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Autore: crimsontriforce    03/02/2011    1 recensioni
La fine è un luogo di silenzio e riflessione, interrotto solo dal gracchiare di un disco rotto. Dietro al riserbo delle ultime Ere ho trovato queste parole. [Watson, Esher]
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '5. Una piccola bolla di (sur)realtà'
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In fin delle Ere

Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.

[OOC] Standard 'uRuPF' disclaimers also apply. You guys give us a shout, we stop writing about more-or-less-based-on-real-people characters. Although, truth be told, your avatars set shining examples for self-insertions everywhere and being able to explore them through fiction is inspiring. Thanks for doing it right - in addition to all the other awesomeness. [/OOC]


Take this city
A city should be shining on a hill
Take this city
If it be your will
What no man can own, no man can take
Take this heart
Take this heart
Take this heart
And make it break
(U2, Yahweh)

Harriet dixit. Io rispondo.








IN FIN DELLE ERE







1.  La fine è un luogo di cocci e polvere e mare fin dove lo sguardo si stende.





2.  Nei loro giochi, la fine non giungeva. Nei loro giochi c'era un protagonista muto e invisibile e c'era un avversario tragico la cui presenza riempiva gli spazi. Nella realtà...





3.  Si incontrano per l'ultima volta sull'isola lontana, sotto un'eclisse che trabocca stelle. La penombra accende i colori di Laki'ahn, che sono vasti e selvaggi come il vento che la spazza, rialza il suo mare e leviga le sue rocce. Nella realtà ci sono due vecchi che parlano e non si capiscono, fra i cocci impolverati della Storia. Uno parla. Uno ascolta e china la testa, fino a che tutto quello che vede è sabbia e la tesa sporca del suo cappello.





4.  La chiamano l'isola lontana. Ora è lontana da tutto e al centro di ogni mondo, in quest'ultima eco di imprese. Le Ere sono vuote e ferme e attendono.





5.  Nessuno dei due dovrebbe camminare su quella sabbia, sotto un'eclisse che trabocca stelle. L'altro – quello che spiega e invita e confida – è anziano perfino per il conto della sua gente, che vive e numera due volte e mezzo la nostra. Ha vissuto più a lungo di molti di loro ed è sopravvissuto a troppi di loro, quando la pestilenza è venuta e se li è portati via. Si era nascosto bene ed è rimasto da solo ad accumulare parole, che ora consegna allo sconosciuto. Allarga le braccia. Non capisce, l'ahrotan, il peso di ogni sua frase, che attende da 12-0 hahr orecchie disposte ad accoglierla?
Lui, l'ahrotan, ha quarantaquattro anni, un ragazzino secondo il suo metro, ma sente di aver già vissuto troppe vite lasciandone indietro ognuna abbandonata come una conchiglia sulla riva. La risacca risciacqua, lucida, dà prospettiva – a volte strappa i legami. In una di queste, per vent'anni è stato un nuovo pioniere di infiniti mondi come Laki'ahn. L'altro ha già messo in chiaro che la sua razza non ne ha diritto, che quegli uomini piccoli della superficie hanno tentato di rubare gloria non loro.





6.  Vorrebbe dirgli che il capo di quegli uomini era lui, un tempo, prima del vuoto e del buio, vorrebbe spiegare perché ha abbandonato quella strada e che vite ha poi scelto per sé, vorrebbe rispondere in D'ni, come Atrus aveva risposto a Gehn nel giorno cruciale della sua indipendenza, ma tacendo può ascoltare e apprendere, quindi tace.





7.  L'altro gli offre la città, lo lega alla città, lo riempie con la città. È tutto quel che fa, buttandogli addosso ricordo dopo ricordo: si sono incontrati sotto molti cieli, ma i fiumi delle parole dell'altro scorrono sempre dalle fonti di D'ni. La città li insegue, ossessiva. Nei tunnel si sente murato vivo da quei discorsi che dipingono edifici fra gli edifici, morti su pile di morti, senza poter trovare sollievo nell'aria stagna che li circonda. A un universo di distanza può vedere le rovine sorgere dagli oceani di Laki'ahn. Le onde scure s'infrangono sulle memorie dell'Arco e sciabordano sui selciati, ma non possono lavare la polvere dei secoli che li incrosta. La fine è cocci e polvere. La fine è sua, D'ni è sua, dice l'altro: non ha che da decidere il suo splendore e la sua salvezza.
Le stelle dell'Era illuminano fantasmi di stanze senza un tetto.





8.  L'altro è stanco, le sue gambe s'incrinano sotto il peso degli anni. Una smorfia di disgusto lo attraversa ogni volta che si collega senza un Libro ma, quando tocca la pelle morta che porta in mostra sul petto, il retrogusto è sempre di trionfo.





9.  L'altro si offre e si ritrae, apre i suoi pensieri e con una nuova frase li nasconde. Cerca chi lo ascolti, non tanto un uomo quanto in realtà un'idea, un elemento in serie dopo una serie di fallimenti cui parlare in quella lingua così veloce e impastata che finisce per farlo incespicare anche sulle sillabe spaziate della sua.
È D'ni: cammina sulle ossa della sua gente, che lo rendono duro e secco e orgoglioso. Eppure la scelta finale non può essere sua e resta nelle mani sgraziate di un uomo qualunque. Non può che offrirsi, offrire idee, offrire la ricostruzione e quale uomo degno di tal nome rifiuterebbe?





10.  Ma si protende ancora una volta verso di lui e nel suo sguardo vede solo il vuoto. Occhi tondi e scuri, inespressivi e fermi, nascosti dietro lenti spesse. Lo fissa immobile senza dare segno di condividere la sua gloria. Gretto.
Quanto in basso sono caduti per dover affidare le speranze di D'ni a una persona così piccola. Quanti sono caduti. Sono morti, tutti morti e serve un potere ben oltre l'Arte per ricominciare. La necessità lo brucia. Soffre.





11.  Vuoto. La risposta non è il possesso.





12.  Tre anni fa l'avrebbe ascoltato. Un anno fa l'avrebbe ascoltato, perché è così semplice indossare l'onere e l'onore del costruttore – è stata la sua vita, fatta di calma e metodo e coni. Ricostruire è quello che sa fare. Ancora vorrebbe, dentro di sé, arrivare a vedere Ae'gura risplendere su un lago illuminato a giorno. Le lusinghe colpiscono un fianco scoperto e un anno fa l'avrebbe ascoltato.
La Stele ha reagito a lui oggi.





13.  Non riesce a considerare vicino chi parla di superiorità, con superiorità. Quanto lo vorrebbe: per vent'anni ha cercato una voce viva cui porre tutte le domande che rivolgeva alla pietra. “D'ni” era il suo metro, la sua ambizione, il suo ideale. Ora ce l'ha di fronte.
Non riesce a considerare estraneo chi desidera D'ni. Quanto lo vorrebbe: si vergogna di se stesso.
Si vede di fronte a uno specchio e rifiutarsi gli costa ancora così tanta fatica.





14.  È stanco, le sue gambe s'incrinano sotto il peso della lastra, la schiena si piega per non vedere, le braccia vorrebbero lasciar andare. Eppure ha imparato a cercare il viaggio, non la meta, e fa tesoro di ogni passo nella speranza che ogni Era che calpesta gli confidi il suo animo. A volte funziona, ma il fardello resta solo suo (non sono te, Atrus).





15.  “Vuoto” è anche un conscio vuoto di parole.





16.  La Stele lo attende al centro di tutto. Ha letto di molte Cerche, ma lui non è Galahad e teme di bruciarsi.





17.  Gli occhi di Yeesha sanno intuire reti di simboli nell'oscurità, non i suoi. Tutto quello che riesce a vedere dietro le palpebre chiuse si concretizza in una strada opprimente fra le rovine.





18.  Sottovaluta il germe che il Viaggio ha lasciato in lui: gli spazi dell'assenza hanno messo radici nella terra umida e la rinsaldano, rendendola impervia alle lusinghe come all'incertezza. Non franerà.
Yeesha l'ha visto, nel buio di K'veer, e l'ha lasciato andare in silenzio.





19.  Forza, orgoglio, trionfo, coraggio sono i mattoni con cui l'altro costruisce. Si rende conto che sono edifici grigi, con cui toglie ogni grazia alle Ere? Certo è di D'ni, certo è D'ni, davvero incarna la superbia di cui ancora è intrisa ogni rovina. E lui ascolta in silenzio il lato più buio di quello che ha amato – ascolta e apprende, anche se significa tornare a muoversi in un mondo che ha perso i suoi colori. Aprire gli occhi ai torti una volta non basta, pare, deve tornare a confrontarsi con le sue ossa morte sentendole perse in un elogio dell'orgoglio. Soffre, ma apprende.





20.  L'idea fissa delle rovine all'orizzonte prosciuga il cielo e il mare. Laki'ahn, Noloben, Todelmer, Teledahn, Gahreesen, Dahtamnay, Rebek, Venalem vengono offerte sul loro altare e si sgretolano in cenere grigia fino a che tutto quello che rimane è D'ni, solida e incombente e senza sfumature.





21.  La pietra pesa fra le sue mani.
Il portatore dell'Anello non conosceva la strada, ma la meta era certa. Lui, invece, che da un vulcano è partito?





22.  La pietra pesa fra le sue mani. Segue con il pollice la linea sottile di intarsi che ne orna il bordo. La pietra è ruvida e graffia le sue mani. Quel rincorrersi di cerchi e linee non è D'ni. La pietra pesa, quando l'abbandona fra le mani di un Bahro?





23.  La risposta è il non possesso. Vuoto.





24.  Una cosa sarebbe da dire, in tutta onestà. Una sola:
“E grazie Sherlock”, senz'altro commento.
Un monumento all'ovvietà.
Farebbe da sintesi estrema e scatto liberatorio – in D'ni, come Atrus aveva risposto a Gehn nel giorno cruciale della sua indipendenza. Ma si vergogna della sua pronuncia, gli elementi di retorica che aveva dedotto non includevano l'ironia e ad ogni modo il fine riferimento culturale andrebbe perso nella traduzione. Prende fiato, si schiarisce la gola e resta in silenzio. La rivalsa non è importante. Allora ascolta, analizza, annota l'essenziale, apprende le realtà dietro alle parole. Ritrova tutte le sfumature gialle e rosate dei granelli sotto i suoi piedi, il blu intenso del mare che nella sua pienezza scaccia ogni visione, ritornando increspato solo dal vento, infine quello del cielo intriso di stelle che nasconde un altro spazio calmo, nell'interstizio fra gli universi.





25.  D'ni, “nuovo inizio”.
Alla fine – una fine che è vuoto e rispetto e amore, infusa dei colori di tutte le Ere – lascerà andare la Stele abbandonandola a terra e le volterà le spalle, mentre di fronte ai suoi occhi stanchi si staglieranno le prime luci accoglienti del Tutto.

























Datemi un angolino in cui rantolare e morire in pace... X_x Note:

@ suddivisione in 25, né più né meno: lo vedete tutto quel sangue sputato? Ecco, è mio.
@ "dead sea as far as the eyes can see": ffffuuuuuuuu riuscirò mai a liberarmene? /citazionivintage
@ Isola lontana: nun sacc', Esher dice che si chiamava così (chi la chiamava così?) e conteneva tesori (e chi li ha tolti?). Whatever, dude.
@ ahrotan: abitante di superficie.
@ 12x25+0x1 hahr: 300 anni circa (da quand'è caduta D'ni.)
@Atrus che risponde a Gehn: episodio dal Book of Atrus. Gehn fa pesare quanto sia stato lui, e non Anna, a insegnargli tutto quel che sa di D'ni e Atrus placido e pacifico lo pwna in perfetto D'ni.
@ fil rouge di Watson che tace: see what I did there, essendo il protagonista di un Myst. Considerato che il nostro fearless leader si autodefinisce un gran timido, forse un po' tanto zitto c'è stato davvero...
@ stanze senza tetto: non è un dettaglio emo, è la caratteristica portante degli edifici della Caverna XD
@ pelle morta esibita da Esher: la pelle di Bahro grazie alla quale linka a piacimento (dicendo sottovoce, per non farsi sentire, “Scotty, portami su!”)
@ Esher che incespica nella pronuncia Daccccch'ni (salute!) perché si sta imparpigliando con l'inglese: offro umilmente una possibile giustificazione per l'orrendo accento dell'uomo nella sua stessa madrelingua. A me capita, però al contrario: parlo inglese con un accento accettabile, ma se devo infilare una parola o due d'inglese in una frase italiana risulto sistematicamente ridicola. Non ho infilato abbastanza parole italiane in frasi inglesi per notare cosa succede in quel caso...
@ la Stele ha reagito a lui (solo) oggi: uhmmmmmmm non è la prima volta che Watson passa da K'veer, eh.
@ non sono te, Atrus: leziosisssssimo rimando a Saavedro. Qui da intendersi non come potere posseduto, ma come capacità di sopportar fardelli (l'uomo ha “the burdened one” come definizione Wordsficiale, o “caretaker of burdens” secondo Yeesha che indora la pillola. O traduce meglio di Nick. O conosce suo padre meglio di una profezia. Chissà!)
@ riferimento al Signore degli Anelli: End of Ages è tolkieniano, news at eleven. Gli alti ranghi di Cyan, DRC e intersezioni dei suddetti sono composti da nerdacci, idem. Qualcuno è sorpreso?
@ “Quel rincorrersi di cerchi e linee non è D'ni”: FIDATEVI DI CHI SE LI E' RICOPIATI TUTTI UNO PER UNO
@ “E grazie Sherlock”: come dicevamo per Tolkien, riferimenti culturali leziosi, we haz them.
@ un altro spazio calmo: Star Fissure!
@ le luci del Tutto: qui il lezioso è Atrus, io vado solo al traino '_' Releeshahn significa appunto “il Tutto” e alla fine si va a Releeshahn.
   
 
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