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Autore: Keitorin Asthore    05/02/2011    4 recensioni
In che modo esattamente Kurt ha bevuto abbastanza da arrivare a dire “Oh, Bambi, ho pianto tanto quando i cacciatori hanno sparato alla tua mamma” per poi vomitare sulle scarpe di Emma Pillsbury? Missing moment dal quinto episodio della prima serie.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Glee appartiene a Ryan Murphy e alla Fox. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

La versione originale della storia appartiene a Keitorin Asthore e la potete trovare qui

Note dell’autrice

Ho guardato lo sketch "Oh, Bambi" circa 36 volte nelle ultime ventiquattro ore. Mi fa ridere: penso di essere una persona orribile. Perciò ho scritto questo. Spero che vi piaccia: è stato divertente scrivere qualcosa di sciocco che coinvolga Kurt.

FAVOLOSO E DELIZIOSO

Lo sguardo di Kurt si perse nelle rosa e profumate profondità del thermos in stile retrò per poi tornare a posarsi sul suo riflesso. Con una certa trepidazione, fece un rapido riassunto, rivolto allo specchio.

"Assomigli a una bambola di Dresda. Sei carne morta. Nessuna meraviglia che tu finisca nel cassonetto praticamente una volta al giorno".

Versò un sorso o due nella tazza del thermos e lo sorseggiò con cautela. Il rinfrescante gusto un po’ floreale sfumò in un debole, dolce bruciore. Scosse il capo e riprese la sua routine mattutina.

Il leggero ronzio derivato dal sorso di chablis lo spedì a saltellare per la stanza mentre sceglieva gli abiti da indossare quel giorno. Tornò sui suoi passi passando davanti alla sua specchiera e l’occhio gli cadde sul thermos. "Magari giusto un altro po’" si disse.

Svuotò la tazza e cominciò a vestirsi, intonando la sua playlist mattutina. "Holdin' out for a heeeero" cantò alzando la voce. In qualche maniera, quella mattina la sua voce gli sembrava perfino migliore del solito. Forse tutta quella faccenda dell’alcool lo stava elevando a un altro livello.

Kurt si versò un’altra tazza di chablis e lo tracannò. Stavolta il bruciore parve un po’ meno intenso di prima. Indossò una camicia con il colletto bianco, sempre cantando forte. Allungò la mano verso la cravatta, ma si accigliò. "Perché questa camicia non calza bene? Ho solo… Oh".

Osservò il suo riflesso: in qualche maniera era riuscito a saltare sia il primo bottone che il terzo dal fondo; la camicia cadeva sgraziatamente intorno al suo torso magro. "Wow. Così non va proprio bene".

Slacciò i bottoni e ripeté l’operazione, facendo attenzione, stavolta, a infilare ogni singolo bottone nella giusta asola. "Penso proprio che potrebbe servirmi un altro po’ di coraggio liquido" si disse. "Dovrei? Certo che dovrei".

Il liquido rosato scivolò fuori dal thermos dentro la tazza e lui lo bevve velocemente. A questo punto, poteva sentire una piacevole sensazione di calore e un ronzio più pesante. Riprese a canticchiare, battendo i piede mentre si allacciava la cravatta e si infilava la sua giacca immacolata e perfettamente stirata.

Afferrò la borsa a tracolla, facendosela passare sopra la spalla e si diresse verso le scale, ma si bloccò a metà strada per tornare verso la specchiera.

"Non si sa mai" si disse. Riavvitò il coperchio del thermos e lo infilò nella borsa.

Suo padre sedeva in cucina, sfogliando il giornale e sgranocchiando distrattamente dei cereali. "Ehi, ragazzo" lo salutò. "Pronto per la scuola?".

"Certo, perché questo è tutto quello che farò oggi" confermò Kurt, sistemandosi nervosamente la borsa sulla spalla. "Solo scuola. Solo un po’ di sana, vecchia istruzione scolastica".

"Ti fermi per le prove del Glee Club dopo?".

"Certamente. Non me le perderei mai. Mai perse" balbettò.

Burt abbassò lentamente il giornale. "Ti senti bene?" domandò.

Lui rise, in modo acuto e decisamente bizzarro. "Certo che sto bene. Perché mai me lo chiedi, papà, sto alla grande".

"Stai parlando a raffica e non ti sei nemmeno curato di quel… quella specie di ciuffo che fanno i tuoi capelli" spiegò Burt. Accennò alla sua fronte (mossa piuttosto complessa con la visiera del berretto da baseball di mezzo) per fargli vedere il ciuffo. "Ed hai le guance tutte rosse. Ti sta venendo la febbre?".

"Papà, le mie guance sono rosse perché ho ereditato la pelle di porcellana di mamma, cosa che se faceva sembrare lei un etereo angelo appena disceso dal cielo, con me contribuisce solo ad aumentare la mia somiglianza con una di quelle grasse statuette tedesche che certe dolci e adorabili vecchiette adorano collezionare" ribatté lui. "Ti giuro che sto bene. Sarò a casa per le sei".

"Non vuoi la colazione?".

Kurt esitò. Il suo stomaco diede qualche segno di protesta, pieno com’era esclusivamente di Chablis rosa. "Non ho tempo" rispose però. "Sto facendo tardi. Ci vediamo stasera: farò il polpettone".

Burt sembrò illuminarsi. "Polpettone?".

"Con tacchino biologico e sostituto di uova".

"Ah. A stasera, figliolo".

Kurt frugò nella borsa e ne tirò fuori le chiavi della macchina. Schiacciò il comando a distanza e il bip che ne seguì gli forò i timpani. "Non ha mai suonato così forte prima" mormorò.

Salì al posto del passeggero, si bloccò e si guardò intorno. "Un momento". Scavalcò la leva del cambio per sistemarsi sul sedile del guidatore. "Ok" si disse. "Tu sei sicurezza. No, tu sei sicuro. Sei fantastico. Ora… Per guidare…".

Kurt girò la chiave dell’accensione, facendo tornare in vita il motore con un rombo. Abbassò lo sguardo sulle piccole lettere e numeri del cambio. "Smettetela di muovervi" ordinò loro. "Bene… La R? Per… Riavvio?".

Innescò la R e l’auto cominciò lentamente a muoversi all’indietro. Kurt pigiò il freno con forza. "Perfetto, non era quello. Avanti il prossimo. F… che sta per… No, non è quello. G?". Innescò la G e stavolta la macchina si spostò in avanti verso la strada. "Sì, trovato!".

Accese la radio mentre il suo navigator si spostava lentamente verso la carreggiata. Mentre il solito noioso paesaggio dell’Ohio gli scorreva davanti, cominciò a cantare le parole della sua compilation originale Tic, tic, BOOM, ma lo stomaco cominciò presto a dare segni di agitazione.

"Ugh" mormorò. "Avrei davvero dovuto fare colazione".

Entrò nel parcheggio della scuola, senza notare di aver quasi investito Karofsky o tantomeno di star andando contromano su una strada a senso unico. Il navigator si spinse lentamente nel parcheggio affollato. Kurt si fermò e spense il motore, per poi accasciarsi all’indietro contro il sedile. "Questo non è poi così bello".

Frugò nella borsa in cerca del thermos, svitandone il tappo. "Non abbandonarmi adesso" sussurrò, con la voce che echeggiava in quelle profondità argentate. Prese un lungo sorso e richiuse il coperchio. "Ecco. Questo dovrebbe bastare".

"Ehi, faccia da bimba!".

Si affossò ulteriormente nel sedile. "Oh, no" mormorò a bassa voce.

Karofsky aprì con violenza la sua portiera. "Buon giorno, finocchio" lo salutò. "Indovina cosa hai appena fatto?".

Kurt nascose velocemente il thermos nella borsa. "Scusa, ti avevo scambiato per una cassetta della posta. Una cassetta della posta molto grossa".

"Ed è per questo che hai cercato di tirarmi sotto?" domandò Karofsky. Pigiò la chiusura della cintura di Kurt, che balzò verso l’alto e lo colpì alla mascella

"Ahi!".

Karofsky lo tirò fuori dalla macchina per caricarselo in spalla come un sacco di patate.

"Potresti almeno chiudere la portiera?" gli domandò senza troppe speranze.

Ovviamente Karofsky lo ignorò, lo trasportò fino al cassonetto più vicino per gettarcelo dentro, chiudere con violenza il coperchio e andarsene fischiettando.

Kurt si rannicchiò nell’oscurità, trattenendo il fiato per la puzza di sorpresa alla stroganoff vecchia di un giorno. Tra quello e l’alcool che gli danzava nello stomaco, cominciava a sentire giusto un pochino nauseato.

Appena fu sicuro che Karofsky se ne fosse andato, sollevò il pesante coperchio e sbucò fuori, spaventosamente simile un cane della prateria un po’ disorientato. "Cavolo, sono davvero stufo marcio di tutto questo" sospirò, arrampicandosi fuori dal cassonetto tirandosi dietro la borsa, un po’ traballante sopra la pila di rifiuti.

I suoi vestiti ora puzzava di vecchio cibo della mensa, qualcosa di sospettosamente viscido aveva imbrattato la superficie di pelle precedentemente perfetta della sua borsa e i suoi capelli era definitivamente e irrimediabilmente spettinati. Si piegò dietro il cassonetto per bere un altro sorso di chablis. "Sei fantastico" si incoraggiò a bassa voce. "Sei sveglio e sexy e delizioso e questo chablis è intelligente. No, un momento, tu sei intelligente e il chablis è delizioso".

Nascose il thermos, raddrizzò la schiena e si diresse verso la scuola. Ne ho bevuto abbastanza, pensò. Non me ne serve più: starò benissimo. D’altra parte, il piacevole ronzio di prima si era trasformato in una sorta di picchio installato nel suo cervello che gli faceva uscire le parole un po’ storpiate e i passi leggermente… Beh, non proprio dritti.

Nonostante ciò, si ritrovò a berne ancora…

Per esempio dopo l’intervallo, quando riuscì ad evitare per un pelo una granita in faccia infilandosi nel bagno delle ragazze.

O nel bel mezzo della lezione di ginnastica, dove risultò abbastanza disorientato da lanciare una palla all’indietro e spintonare la coach Sylvester nel cesto delle palle da basket. Il suo scontento fu qualcosa di terribile.

Infine, svuotò il resto del thermos da qualche parte nell’ora di algebra, dove in qualche modo riuscì a trasformare un’equazione quadratica in labanotation in un elaborata copia dello schema coreografico di Hollaback Boy dei Cobra Starship.

Il resto della mattinata trascorse così in una sorta di confusa nebbia creata dall’alcool. Circa alla quarta ora (l’ultima prima di pranzo), realizzò che stava barcollando lungo il corridoio. O forse era il contenuto del suo stomaco che si agitava come una vasca idromassaggio impostata sul turbo a spingerlo avanti.

Si trascinava lungo il corridoio, simile a uno zombie molto ben vestito, con la gente gli passava davanti in una confusione di colori, aumentando esponenzialmente le sue vertigini. Una specie di grosso blob verde gli camminò di fianco, prima di fermarsi.

"Kurt?".

Alzò lo sguardo e cercò senza successo di parlare. Un paio di grandi occhi marroni da cerbiatto entrarono nel suo campo visivo: il proprietario dei suddetti stava dicendo qualcosa che suonava molto simile al "bla, bla, bla" degli adulti in un fumetto di Charlie Brown.

Aprì la bocca. "Oh, Bambi" mormorò. "Ho pianto tanto quando quei cacciatori hanno sparato alla tua mamma".

Lo sforzo di pronunciare queste parole bastò a mandare sull’attenti il suo stomaco e vomitare violentemente su tutto il pavimento… E su un paio di scarpe davvero graziose.

Udì vaghe esclamazioni di disgusto mentre si lasciava cadere contro un armadietto.

"Signorina Pillsbury, sta bene? Signorina Pillsbury?".

"Penso che sia sotto shock, amico".

Kurt schiacciò la faccia contro il freddo metallo dell’armadietto. "Mi manchi, Bambi".

Un altro paio d’occhi gli si parò davanti- di un marrone più scuro, a forma di mandorla. "Kurt? Stai bene, amico?".

"Puzza d’alcool. E di fiori marci".

Kurt si girò con aria assonnata in direzione della seconda voce. "Non fiori" farfugliò. "Chablis".

"Che?".

"Ah, ah" assentì il ragazzo dagli occhi scuri. "Cavolo. D’accordo, Puck, tu aiuta la signorina Pillsbury mentre io porto Kurt in infermeria…".

"No, no, non là" dissentì la proprietaria degli occhi da Bambi con voce acuta e un po’ strozzata. "Portalo nella sala del coro e chiama suo padre per venirlo a prendere. Non voglio che si metta nei guai".

"Guai per cosa?" biascicò Kurt, poi fu afferrato intorno alle ginocchia e per la seconda volta quel giorno si ritrovò caricato sulle spalle di qualcuno. "Perfetto, Kurt, se dai di stomaco sulla mia schiena, giuro che ti uccido".

"Oh, che carino" mormorò Kurt in tono sognante, appoggiando la testa contro le spalle larghe del suo soccorritore. Mentre quest’ultimo lo trasportava per i corridoi, fu ripetutamente sballottato e urtato: il suo stomaco non gradì molto la pessima combinazione di essere scosso e trasportato a testa in giù e si trovò sul punto di rimettere un’altra volta.

"Finn? Che diamine…".

"Dunque, indovina un po’ chi ha appena vomitato sopra le scarpe della signorina Pillsbury in mezzo al corridoio?" disse Finn.

Un volto capovolto entrò nel suo campo visivo. "Che cos’hai fatto?".

Kurt strizzò gli occhi. "Perchè sei a testa in giù?".

Dopo essere stato depositato da Finn su una delle alzate, si distese sulla schiena, fissando il soffitto girare lentamente. Qualcuno si sedette di fianco a lui e cominciò ad accarezzargli la fronte. "Cosa è successo?" chiese la ragazza.

"Ha borbottato qualcosa a proposito di Bambi" spiegò Finn. "E poi ha rimesso su tutto il pavimento".

"Hanno ucciso la mamma di Bambi" disse Kurt, mettendosi dritto: i suoi occhi iniziavano a bruciare. "I cacciatori… Loro hanno ucciso la mamma di Bambi e dopo lui era così triste e… e… senza madre".

"Sta piangendo?".

"Perchè sta piangendo?".

Il mento di Kurt tremò. "La mia mamma è morta".

"Oh, buon dio!".

Kurt appoggiò mollemente le mani sulle ginocchia e sollevò lo sguardo al soffitto. "I cacciatori hanno ucciso la mia mamma" mormorò.

"Cioè, stava parlando di Bambi e adesso credo di essere lui Bambi?".

"Oh, Quinn, per favore, non incoraggiarlo!".

Quinn circondò Kurt con un braccio, spingendolo ad appoggiare la testa contro la sua spalla. "Non lo sto incoraggiando" disse in tono duro. "Sta male".

"Stava correndo nella foresta e loro le hanno sparato" singhiozzò Kurt.

"Lo so, lo so" lo rassicurò Quinn, massaggiandogli la schiena. "Va tutto bene".

"Qual è il tuo problema, Fabray?".

"Ormoni da mamma orsa che emergono" ribatté Quinn, scoccando a Santana un’occhiata omicida prima di riprendere i suoi inutili tentativi di calmare l’amico.

"La signorina Pillsbury ha detto di chiamare suo padre" disse Finn, cominciando a frugare nella borsa di Kurt. "Dov’è... Ah, ecco il telefono".

Il thermos rotolò fuori e cadde sul pavimento, dove Mercedes lo raccolse, lo aprì e ne annusò il contenuto. Si accigliò, accostandosi a Kurt. "Tesoro?".

"Sei un cacciatore?" domandò lui, tirando rumorosamente su con il naso.

"No. Hai bevuto questa roba?".

"Bevuto?". Tina le prese il thermos di mano. "Oh, dio, ha lo stesso odore della roba che uso per togliermi lo smalto dalle unghie".

Lo passò ad Artie, che disse: "È disgustoso. Kurt, l’hai davvero bevuto?".

"Era favoloso e avrebbe dovuto farmi sentire delizioso" gemette questi. "No, no, aspetta, era delizioso e avrebbe dovuto farmi sentire favoloso". Si fermò un attimo. "Oh, non mi sento bene".

Tina lanciò il cestino dell’aula a Mercedes, che lo posizionò di fronte a Kurt per poi indietreggiare velocemente mentre dava di nuovo di stomaco. Quinn si limitò ad alzare gli occhi al cielo.

"Sei sorprendentemente a tuo agio con questo schifo" osservò Santana.

"Nausee mattutine: finisci con l’abituartici…".

Finn chiuse la telefonata. "Suo padre sta arrivando. Avete detto che è ubriaco?".

Artie annuì. "Assurdamente sbronzo".

"In più, abbiamo appurato che gli viene la sbornia triste" aggiunse Tina.

"Ha vomitato" commentò Brittany. "Sembrava come se qualcuno avesse perforato un letto ad acqua".

"Perforato un… Ah, non importa".

Kurt spinse via il cestino e si sdraiò lentamente sull’alzata. "Ho sonno" si lamentò. "Voglio soltanto… dormire".

"Un momento" lo bloccò Quinn, prendendolo per mano. "Kurt? Kurt, hai mangiato qualcosa oggi?".

Lui socchiuse gli occhi a causa della luce artificiale sopra di lui. "Ho bevuto un sacco di roba rosa che sapeva di profumo".

Quinn lo rimise seduto e gli passò un sacchetto di cracker. "Mangia un po’ di questi e bevi dell’acqua".

"Poi posso dormire?".

"Sì".

Le obbedì, con il ronzio delle parole degli altri ragazzi nelle orecchie, ingoiando cracker finché Quinn non si ritenne soddisfatta, per poi appoggiare la testa sul suo grembo e cadere rapidamente nel pesante sonno degli ubriachi.

La prima cosa di cui fu di nuovo consapevole fu qualcuno che lo scuoteva gentilmente. "Sveglia, ragazzo".

Aprì appena gli occhi. "Che c’è?" borbottò.

"Kurt, dove hai preso l’alcool?".

"Non alcool, chablis".

Il volto di suo padre gli si parò davanti: in qualche maniera Burt Hummel riusciva a sembrare deluso, arrabbiato e preoccupato tutto allo stesso tempo. "Figliolo, il chablis è alcool. Lo sai di essere di un buon cinque anni troppo giovane per poter bere?".

Gli occhi di Kurt si riempirono nuovamente di lacrime. "Avrebbe dovuto essere meraviglioso" singhiozzò.

Burt cambiò posizione, a disagio. "Non piangere, ragazzo. Era tua madre quella capace di gestire le lacrime".

A quel punto, Kurt stava praticamente urlando. "Mi chiamava sempre "tesoro" quando piangevo" urlò. "E poi i cacciatori le hanno sparato. Le hanno sparato a moooooooorteeeee!".

Burt guardò Finn. "Di che diavolo sta parlando?".

Finn spostò il peso da un piede all’altro, imbarazzato. "È andato in confusione con Bambi. E si è preso una sbornia triste. Questo è tutto quello che siamo riusciti a capire".

Burt scosse il capo. "Immagino" borbottò, rimettendo in piedi il suo ben più che brillo figlio. "Forza, Kurt, andiamo a casa".

"Ma se vado a casa, daranno tutti i miei assoli a Rachel" protestò, barcollando sui proprio piedi con le lacrime che gli scorrevano sulla faccia. "Morirò, semplicemente morirò".

"Al momento dovresti preoccuparti di ben altro" lo rimbeccò Burt. "Riesci a camminare?".

Kurt mise le braccia avanti nel tentativo di guadagnare un minimo di equilibrio. "Forse".

"Portiamoti a casa" sbuffò Burt. "Del resto parleremo più tardi".

E mentre incespicava in direzione della porta, inciampando nei suoi stessi piedi e con la vista che gli si offuscava, Kurt decise qualcosa di molto importante.

Niente più chablis. Mai più. Non è favoloso e non mi fa sentire delizioso.

No, aspetta. Non è delizioso e non mi fa sentire favoloso.

Accidenti.

 

Note della traduttrice

Dunque, questa è la prima di una lunga serie di storie di Glee (la maggior parte Kurt-centric) scritte dalla magnifica Caitlin che faranno la loro apparizione su questo sito ad opera delle mie spero decenti traduzioni. Ho deciso di cominciare da questa perché è stata una delle prime sue opere che ho letto e perché sinceramente non credevo che qualcosa potesse rendere migliore la scenetta del "Oh, Bambi" prima di leggere questa shot.

Mi occuperò personalmente di tradurre eventuali commenti e inviarli all’autrice originale.

Detto questo, ho letteralmente odiato tradurre la parte in cui Kurt litiga con il cambio automatico della sua macchina, dato che non ho mai visto un cambio automatico in vita mia: per fortuna esiste la santa Wikipedia che mi ha illuminato per poterla rendere in mondo decente. Ora mi sto solo chiedendo in che condizioni sarebbe arrivato a scuola il povero Kurt se avesse dovuto vedersela con un cambio manuale…

Alla prossima fiction, see you soon!

  
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