Anime & Manga > Rayearth
Ricorda la storia  |      
Autore: Eos del Tramonto    07/02/2011    4 recensioni
"Sono colpevole."
Un piccolo esperimento, nulla più che un'ipotesi su cosa sarebbe accaduto e cosa avrebbe detto Zagart se, invece di essere ucciso dai Magic Knights, fosse stato catturato e processato.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Zagato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: Questa storia non ha fini di lucro, io non ci guadagno nulla, a parte del sano divertimento. Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi autori. Note a fine storia.

LA CONFESSIONE

Plic. Plic. Plic.
1.
2.
3.
Plic.Plic.Plic.
4 Gocce. 5 gocce. 6 gocce.
Gocce sulla pietra nera. Fredda. Ruvida.
Lacrime. Innumerevoli lacrime sul tuo viso, candido, liscio, tiepido.
Qui seduto, ad aspettare, ho solo questa compagnia: il rumore di una goccia che scende dall’alto e il ricordo delle tue lacrime.
Conto le gocce e non sono mai riuscito a contare le tue lacrime.
Erano troppe.
E troppe le avevo causate io.
Ora posso solo aspettare qui, in questa caverna che mi fa da cella, di essere chiamato ad ascoltare qualcuno che mi farà tutto l’elenco delle mie malefatte.
Non vedo l’ora, perché so di averne commesse talmente tante che mi libereranno. Ne sono certo.
Ne arrivano quattro dai corridoi, per portarmi via: è patetico, quattro soldati armati di tutto punto, per un solo prigioniero, disarmato, indebolito, senza più un solo potere magico, che non tocca cibo da giorni, per di più con i polsi incatenati dietro la schiena.
Questo è un paese di vigliacchi, egoisti, profittatori: pensavo però che conservasse almeno un briciolo di onore.
Uno apre la grata che cigola e sfrigola sulla roccia aguzza. Uno entra e cerca di tirarmi su.
So camminare da solo. Voglio proprio sgranchirmi le gambe. Non ho la minima intenzione di rendergli difficile il compito, anzi.
Li conosco tutti e quattro. Ormai conosco tutti i soldati di questa prigione.
Conosco i loro piedi, le loro ginocchia, i loro pugni, i loro gomiti. A volte li ho confusi, quando sono arrivati tutti insieme e numerosi, sempre per tornare al discorso dell’onore.
Conosco le loro voci, i loro sputi, la loro urina, il loro scherno, le loro lingue, il loro veleno.
Mi hanno intossicato con le loro parole.
“Bastardo infame, per colpa tua, la carestia ci ha colpito, mia madre è morta di fame!”
“Senza le sue preghiere, i guaritori non potevano fare nulla, mia moglie morta! E con lei mio figlio!”
“Una figlia. Una figlia bellissima. Macellata dai tuoi mostri!”
“Le mie sorelle sono scomparse, cane! Le hanno prese i tuoi sgherri?”
Sempre donne. E numerose. Ha un che di ironico, viene quasi da ridere.
Non rido però. E neanche mi ribello, anche se potrei farlo. Sarebbe inutile.
Mi sono reso conto che la felicità è solo una questione di scambi.
Mentre loro soffrivano di tutte queste disgrazie, io ho avuto un tesoro enorme e tenero, inestimabile e fragile, da scaldare, accarezzare, baciare.
Ora non è più mio e loro godono come matti a picchiarmi.
Scambi.
Mi prendo semplicemente la parte che mi spetta, mentre una goccia in lontananza mi ricorda qualcuno che piangeva per me.
Il mio tesoro. Portato via da tre boia. Carnefici. Assassini. Non li chiamerò mai cavalieri, per me questa parola un valore ancora lo possiede e non l’attribuirò a tre ragazzine ignoranti. Non sapevano nulla. Non potevano capire.
Mi stanno portando da loro. Mi camminano intorno, a un passo di distanza, ma compatti, come una barriera tra me e il mondo esterno. Per impedirmi di scappare verso questo mondo esterno, che per me non ha più alcun valore.
Idioti che neanche mi guardano; è interessante notare come a nessuno di loro sia venuto in mente che, in tutti i discorsi che mi hanno fatto, c’era qualcosa che non andava. Troppo mentecatti. O abituati a ragionare come tali.
Veniamo trasportati dal basso verso l’alto da una luce che solleva me e le altre quattro guardie attraverso una botola che conduce al tribunale.
Un enorme androne ributtante di luce e lustrini: mi fanno male gli occhi, quegli occhi color violetto che davano tanto fastidio a tutti: sono rimasto troppo tempo lì sotto, ormai la luce è deleteria.
Devo essere una bella macchia mentre cammino per il corridoio tra le panche, sotto sguardi bramosi che mi sezionano come un lupo fa con le carcasse; sporcizia e lividi dalla tunica nera lacerata, a mostrare un pallore insano e carne smagrita. Capelli neri che ricadono in grovigli stopposi, il diadema che mi identificava come Sacerdote mi è stato strappato, mentre i loro risplendono su teste vuote.
Monaco-guida Cleef, per favore, non mi guardare a quel modo mentre cammino verso quel trono vuoto. Quando mi fermo davanti a quello scranno, quando una volta stavo alla sua destra.
Non avevo nulla da dirti allora, così ora. Tu hai pianto, hai urlato per fermarla.
Io ho impugnato la spada.
Giudicami. Non ti è rimasto altro, insieme al resto della corte.
I quattro mi costringono a inginocchiarmi: va benissimo. In ginocchio, davanti a un trono vuoto come i vostri inconsistenti desideri. Sempre più in alto di chi striscia.
Finalmente parlano.

Come si dichiara l’imputato?
“Colpevole.”
Brusii. Bisbigli. Esclamazioni spaventate
“Mi dichiaro colpevole di tutto ciò che ho commesso.
Sono colpevole delle volte in cui ha gioito.
Sono colpevole delle volte in cui era arrabbiata.
Sono colpevole di quando si spaventava e mi veniva a cercare, perché era previsto che perfino i suoi incubi fossero convertiti nella preghiera.
Sono colpevole di averla consolata.
Sono colpevole per averle detto che era libera di sognare se ne aveva voglia.
Sono colpevole di averla fatta dormire tra le mie braccia.
Sono colpevole di quando aveva freddo e mi chiedeva di scaldarla.
Sono colpevole di averla stretta forte a me, di averla voluta sentire vicina, di aver sussurrato il suo nome.
Sono colpevole di averla pensata ogni giorno, ogni momento.
Sono colpevole di aver pregato che mi chiamasse per non starle troppo lontano.
Sono colpevole di aver battuto le mani, quando si è messa a cantare con gli uccellini del giardino. Sono colpevole di quando è arrossita, perché si vergognava, perché cantava solo canzoni tristi.
Sono colpevole perché le ho detto che poteva essere triste, se ne avesse avuto voglia, poteva essere inquieta, timorosa, agitata, qualunque cosa lei volesse, non doveva essere sempre e solo felice e tesa nel suo compito.
Sono colpevole, perché lei era preoccupata, perché quando lei era triste tutti si dispiacevano.
Sono colpevole perché le ho detto che vederla piangere per me era un supplizio, ma se la faceva stare bene, poteva farlo, poteva anche strapparmi il cuore dal petto e metterlo a una bambola.
Sono colpevole perché è scoppiata a piangere subito dopo che le ho detto questo e non sapevo come calmarla.
Sono colpevole di averla fatta uscire dal castello, per la festa della Luna, per averla fatta ballare, giocare, mangiare i dolcetti, passeggiare sul ponte a guardare le stelle.
Sono colpevole di tutti i suoi sospiri, di tutte le sue vergogne, di tutte le volte che ha provato imbarazzo.
Sono colpevole di tutte le volte che ha pronunciato il mio nome
Sono colpevole per tutti i baci, le carezze, gli abbracci che le ho dato.
Sono colpevole del suo calore, del suo rossore, colpevole perché ignoravo le sue parole e davo retta solo alle sue braccia. Sono colpevole perché la volevo per me, in ogni modo possibile.
Sono colpevole per averla trattata come un essere umano. Come una donna.
Sono colpevole per averla amata con tutto me stesso e aver tentato di difenderla come dovrebbe fare qualunque uomo innamorato, senza contare sulle preghiere di qualcun altro: lei era la mia principessa, io il suo cavaliere.
Sono colpevole perché le volevo dare un futuro e ho fallito miseramente.
Sono colpevole di tutte le sue lacrime. E ora, vecchi, liberatemi!”

Tre boia per liberarmi, ecco di cosa hanno bisogno questi vecchi ipocriti, felici sulle spalle di qualcun altro.
Tutto sommato, mi stanno facendo un favore. Sono stanco.
Emeraude. Sto arrivando.

Note: Nulla di pretenzioso, piccola fatica scritta in un’ora alle due di notte per combattere un attacco di insonnia, dopo aver ri-visto (il Ri- ripetetelo tante volte) la penultima puntata di Rayearth, purtroppo in italiano, visto che il doppiaggio jap sub ita è semi introvabile. In questa puntata Zagart si confessa. Per una strana associazione di idee, mi è venuta in mente la scena iniziale di “The Libertine” e mi sono messa a pensare all’eventualità di un tribunale. Condivisibile o meno, a me piace molto l’elenco come tecnica, un po’ sulla scia de “La vertigine della lista” di Umberto Eco. Quindi potete dire anche che è una schifezza, ho voluto esprimere un’ossessione portata fino all’estremo. Almeno, io sono convinta che Zagart sia bello ossessionato, alla fine decide di distruggere un mondo per questo. Ovviamente serve sapere il finale della serie per capirla, quindi chi lo legge senza che gli sia mai capitato tra le mani si ritroverà degli spoiler giganteschi, siete avvisati. C’è un po’ di AU, nel senso, so che il mondo di Sephiro è molto meno brutale, ma proprio perché non c’è più una colonna portante, ne volevo mostrare il lato più oscuro, diciamo il peggio che tirano fuori gli individui nelle situazioni più drammatiche. Spero davvero vi sia piaciuta.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rayearth / Vai alla pagina dell'autore: Eos del Tramonto