“Forget”
Correva
Eve.
Correva
dimentica del traffico, dei clacson, degli spintoni, dei semafori rossi.
Correva
e basta.
Alle
sue spalle nessuna figura umana che la inseguisse.
E
allora da chi fuggiva, Eve?
Da bambini ci insegnano ogni
cosa: come si mangia, come si va in bagno, come si legge, si scrive, si sta
seduti. Ma nessuno ci dice come dimenticare.
Eve
correva, anzi scappava da se stessa.
Fuggiva
sperando che il vento che le spaccava il viso, l’aiutasse a dimenticare.
Fuggiva
dal tormento che aveva inficiato sull’equilibrio della sua vita e del suo
futuro.
Un
futuro imminente: un lavoro, una casa, un marito e dei figli.
Ciò
che lei aveva sempre ardentemente desiderato e per cui aveva tanto e
faticosamente lottato.
Fuggiva,
ma non si rendeva conto che lo faceva invano. Perché quel tormento se lo
portava con sé, dentro al cuore.
Quel
tormento aveva un nome: Ian.
Al
contrario di ciò che pensava, Eve ricordava bene il primo giorno che lo aveva
visto.
Era
al bar all’angolo di Oxford Strett, di fronte al Marble Arch.
Ogni
mattina andava lì per fare colazione. Un’abitudine che aveva preso da quando
lavorava nell’agenzia di viaggi lì accanto.
Il
barista le aveva appena portato la sua tazza fumante di cappuccino, quando
alzando lo sguardo, Eve vide qualcosa di insolito. Conosceva tutti in quel
posto, ogni assiduo frequentatore, quindi quando vide quella figura alta, magra
capì subito che doveva essere nuovo. Gli occhi erano fissi sul quotidiano del
giorno, i capelli castani, medio – lunghi, coperti da un cappello nero di
cotone.
Eve
amava osservare i dettagli, così prese a fissare quel ragazzo: unghie corte,
dita lunghe e affusolate, due anelli, uno sul pollice destro e uno sul medio
sinistro, una giacca nera di pelle non abbottonata, l’orecchino all’orecchio sinistro.
Non
sembrava di quelle parti, così senza volerlo, si chiese da dove provenisse.
Quando il suo sguardo giunse agli occhi del ragazzo, sobbalzò perché scoprì che
la stava osservando.
Eve
arrossì per la vergogna; era stata colta in fragrante e ora chissà cosa pensava
quel ragazzo di lei. Lui però, non fece una piega: dopo qualche secondo
distolse lo sguardo e ricominciò a leggere il suo quotidiano ed Eve sospirò di
sollievo.
Nei
giorni avvenire, quel ragazzo si presentò puntuale alla stessa ora, nello
stesso bar, accomodandosi allo stesso posto. Eve non riusciva a frenare la sua
voglia di osservarlo. Era come una calamita, dalla quale si sentiva
terribilmente attratta.
Una
mattina però, lui non si presentò e per Eve fu quasi una delusione.
Quel
giorno la ragazza decise che si sarebbe accomodata al bancone; voleva fare in
fretta. Proprio mentre stava sorseggiando il suo cappuccino, si accostò a lei una
figura maschile.
“Un
caffè espresso, per favore?” ordinò con voce calda e profonda.
Eve
non poté fare a meno di alzare lo sguardo. Sbalordita notò con sommo piacere
che quella era la voce del ragazzo misterioso. Stranamente e inconsciamente si
ritrovò a sorridere. Il suddetto ragazzo, si voltò a guardarla e le regalò a
sua volta, uno splendido sorriso.
“Buon
giorno” aggiunse serafico.
“Buo…Buon
giorno” balbettò lei in risposta, assumendo ogni sfumatura di rosso.
“Ci
ritroviamo ancora qui” notò lui.
“Io
ci vengo ogni mattina da mesi” precisò Eve.
“Io
mi sono trasferito da poco a Londra. Lavoro in un ristorante qui vicino” disse,
poi le porse la mano con eleganza “Mi chiamo Ian” asserì sorridendo.
Eve
giurò di non aver mai visto un sorriso così.
Josh,
il suo ragazzo da oltre 8 anni, aveva il sorriso più malizioso che lei
conoscesse, ma quello di Ian era qualcosa di assolutamente illegale.
“Eve…mi
chiamo Eve” balbettò, stringendogli la mano.
Una
mano calda, morbida, un piacere per il tatto.
Quell’incontro
sancì definitivamente un cambiamento repentino nella vita di Ian ed Eve.
Ogni
mattina si incontravano lì, facevano colazione insieme e trascorrevano mezz’ora
del loro tempo a chiacchierare, a ridere, a conoscersi.
Da
allora erano passati ben cinque mesi.
Eve
era convinta di poter gestire tutto nella sua vita. Ciò che però non sapeva,
era che il cuore non può essere manovrato a proprio piacimento.
Quando
si accorse che Ian stava diventando troppo importante per lei, quasi
indispensabile come l’aria, fu come essersi esposti al getto dell’acqua fredda.
Si disse che non era niente, che avrebbe risolto tutto. Che sarebbe passato,
così com’era arrivato.
Ma
non fu così.
Stare
lontana dalla piacevole routine mattutina era più difficile di quanto pensasse.
Provò
a non andare al bar per una giornata, ma si sentì così male che per tutto il
giorno ebbe la testa tra le nuvole, tanto che il suo capo, Star, la invitò ad
andare a casa a riposare, perché secondo lei non aveva una buona cera. Ma il
ritorno a casa, la costrinse a fare i conti con la realtà.
Il
mattino seguente fu Ian a non presentarsi e per Eve fu come perdere il terreno
sotto i piedi. Pensò che si fosse offeso per la sua mancanza del giorno
precedente e si diede della stupida. Non voleva perderlo.
Per
la prima volta nella sua vita, aveva incontrato una persona con la quale poteva
confrontarsi, parlando di ogni cosa. La lusingavano i suoi complimenti.
“Sei
una ragazza bella, hai cervello” diceva “Sei brillante, intelligente,
mentalmente disposta al confronto. Mi piace parlare con te”, dopo lui le
sorrideva e Eve non poteva fare altro che perdersi nell’estasi di quelle parole
e dei sentimenti che provava per lui.
Si
era innamorata.
Si,
Eve, nonostante fosse fidanzata con un ragazzo eccezionale, si era innamorata
di Ian.
Non
una cotta qualsiasi.
Non
un’infatuazione.
Amore.
Amore proprio.
La
scoperta non fu piacevole, perché Eve si sentì il mondo crollare addosso.
Ogni
certezza, ogni progetto futuro sfumò sotto i suoi occhi.
Cosa
avrebbe fatto?
Cosa
avrebbe detto?
Non
voleva pensarci. Aveva aspettato una vita intera di sentirsi così, ma non con
Ian.
Lei
doveva restare con Josh. Non poteva deludere lui e la sua famiglia. Non poteva
spazzare via così, il loro futuro insieme.
Ci
pensò a lungo Eve.
Ci
pensò così tanto che un weekend finse di stare male e non volle vedere nessuno.
Chiusa
nel suo appartamento alla periferia di Londra, Eve ebbe modo di riflettere.
E
quando il lunedì mattina si svegliò, ebbe la consapevolezza che niente per lei
sarebbe mai stato come prima. Lei stessa era cambiata.
Si
alzò dal letto malvolentieri, si lavò, si vestì e si diresse al bar.
Prima
di entrarvi, si ripassò mentalmente ciò che doveva dire e tentò nuovamente di
convincere se stessa che quella era le decisione giusta per tutti.
Ma
tutti chi?
Josh,
la sua famiglia…
Ma
lei? Per lei era giusto realmente?
Non
si rispose.
Spinse
la porta e entrò.
Con
lo sguardo percorse il piccolo bar che aveva imparato a conoscere e ad amare in
quegli anni e gli occhi le divennero lucidi.
Quando
quegli stessi occhi, incrociarono quelli castani di Ian, fu come esser
attraversati da una scossa elettrica. Eve avrebbe voluto corrergli incontro e
baciarlo, ma non lo fece se non nella sua testa.
Percorse
con lentezza i passi che la separavano dal tavolino, quando vi giunse, si
accomodò e ordinò la sua solita colazione.
“Buon
giorno Eve” salutò allegro Ian.
“Giorno
a te” rispose lei, cercando di trattenere il tremolio della sua voce.
“Scusa
per la settimana scorsa, ma ho avuto un impegno urgente e non sono potuto
venire”
“Oh
no, non importa. Anche io sono mancata una mattina, non ho sentito la sveglia e
quando sono arrivata, tu eri già andato via” mentire, mentire, mentire.
Era
quello che stava imparando a fare troppo bene, Eve.
Ian
le sorrise con sincerità
“Come
stai?” le chiese, girando lo zucchero nella tazzina di caffè.
“Bene”.
Ian
la fissò per qualche istante, corrucciando la fronte.
“Sicura?
Mi sembri più pallida del solito…” ma non terminò la frase che Eve gli mise una
mano davanti alla bocca e lo guardò con sguardo supplicante.
“No,
Ian. Non sto bene” affermò, separandosi da lui.
Inspirò
chiudendo gli occhi.
“Non
va affatto bene. Non posso continuare così” sussurrò.
“Che
significa?” domandò Ian con voce ferma, se provava qualche strana emozione, fu
bravo a non farla notare.
Eve
lo fissò.
Se
fosse stata in un’altra situazione, non le sarebbe importato niente e avrebbe
seguito il cuore. Ma non poteva.
“Sono
sempre stata una persona determinata” asserì Eve.
“Sicura
di ciò che voleva. Mai e dico mai ho tentennato. Ho sudato sette camicie per
studiare e trovare questo lavoro. L’ho fatto per me stessa e per il mio
futuro”.
Ian
l’ascoltava in silenzio, fissandola attentamente coi suoi occhi sinceri.
“Era
in programma da mesi che io e Josh…formassimo una famiglia” Eve trattenne il
fiato e non guardò Ian negli occhi.
Voleva
gridare.
Voleva
piangere.
Sbattere
i piedi a terra, ma continuò.
“Tra
meno di un anno ci sposeremo. Mi ha proposto di seguirlo in Irlanda. Il suo
lavoro di rappresentanza lo conduce in giro per il mondo, ma a quanto pare gli
hanno offerto di stabilirsi lì. L’agenzia di viaggi per la quale lavoro ha una
filiale proprio a Dublino e quindi non avrei problemi. Sai quanto amo Londra,
te ne ho parlato talmente tanto in questi mesi che penso tu sia stanco di
sentirmelo dire. Però non posso lasciare Josh da solo, quindi tra tre settimane
mi trasferirò con lui a Dublino” solo in quell’istante Eve ebbe la forza di
alzare la testa e fissare Ian.
Una
maschera di cruda indifferenza si ergeva sul suo volto.
“E’
quello che vuoi davvero?” domandò lui a bruciapelo.
Eve
avrebbe dovuto dire di no, non era quello che voleva, perché sarebbe voluta
restare lì con lui. Per sempre.
Ma
mentì, ancora una volta.
“Si,
è quello che voglio” asserì.
“Bene.
Allora buona fortuna…Eve” Ian le porse la mano, titubante la ragazza ricambiò
quel gesto.
“Penso
sia meglio che io vada” continuò Ian con freddezza, alzandosi dalla sedia.
“E’
stato un piacere fare la tua conoscenza” aggiunse, prima di fare un cenno di
saluto col capo e andare via.
Eve,
la quale era rimasta per un attimo interdetta, fece tutto con esasperante
lentezza.
Non
voleva abbandonare quel luogo, ma dovendolo fare cercava di racchiudere nei
suoi occhi ogni minimo particolare, in modo da custodirlo nel proprio cuore per
tutta la vita.
Quando
una lacrima solitaria le rigò il volto, capì che era giunto il momento di
andare via.
Uscita
dal bar, si sentì tirare per un braccio e senza accorgersene si ritrovò
racchiusa in un abbraccio che sapeva di familiarità.
E
pianse.
Pianse
così forte che tutti si voltarono a guardarla.
“Non
volevo andarmene in quel modo, scusami. Sono stato uno sciocco. È che mi sono
talmente abituato a te, sono assuefatto dalla tua presenza che non posso
pensare di…perderti in questo modo. Scusami. Scusami ti prego” mormorò Ian,
stringendo spasmodicamente a sé, il corpo della ragazza.
Il
cuore di Eve scoppiò di gioia, ma allo stesso tempo prese a sanguinare, perché
quelle parole non lenivano il suo dolore e non cambiavano ciò che aveva ormai
deciso.
Lui
l’allontanò da sé di poco, in modo da guardarla negli occhi.
“Sei
così…bella e intelligente” le sussurrò dolce, accarezzandole il viso con le
dita.
“Ian…Ian”
soffiò lei in preda al delirio.
“Shh…stai
tranquilla, piccola.”
Le
loro labbra si sfiorarono appena, prima di perdersi in un gioco antico quanto
il mondo.
Quello
era un bacio d’addio, perché Ian era consapevole che Eve non sarebbe tornata
sui suoi passi, però voleva farle sapere che cos’era diventata per lui.
Separarsi
fu doloroso, ma necessario.
“Ti
rivedrò ancora un giorno?” domandò lui, perdendosi con la mano tra i capelli
crespi della ragazza che avrebbe amato per sempre.
“Non
lo so” mormorò lei con sincerità, non riuscendo a fermare le lacrime.
Ian
annuì e guardandola un’ultima volta le disse:
“Non
ti dimenticherò mai. Sii felice, Eve”.
Eve
annuì e quando lui si fu allontanato, fissò il punto esatto dov’era scomparso,
sussurrando a bassissima voce, qualcosa che sarebbe rimasto immutato nel tempo.
“Ti
amo…” poi corse via…
Correva
Eve.
Correva.
Correva
per fuggire a quella confessione, a quel bacio, a quell’addio così doloroso.
Senza
volerlo si ritrovò dall’altra parte della città. Prese ad osservare il Tamigi
che scorreva sotto di lei.
Pianse
un’ultima dannata volta, poi capì che doveva tornare indietro e che la sua vita
sarebbe stata come programmata: un lavoro, una casa, un marito e dei figli.
Il
tempo l’avrebbe aiutata a dimenticare.
Ci insegnano tutto nella vita.
Tranne a dimenticare.
Perché nessuno sa realmente
come si fa.
Perché nessuno mai dimentica
sul serio.
Io stessa fatico a farlo, però la capisco.
Ian non ha nulla a che vedere col "Diario del vampiro", non seguo questa serie tv.
"Forget" è una one shot tormentata, probabilmente risente del mio periodo. Chissà.
Ve la lascio. Spero di ritornare ad essere Sognatrce 85 quanto prima, per ora mi ritiro.
A presto, spero.
Con affetto.
Marghe