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Autore: Vale11    07/02/2011    3 recensioni
Se il mare ti chiede di non lasciarlo dormire da solo, tu cosa fai?
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Capitan Uncino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’uomo che aveva scambiato per un animale prima, e per uno scoglio poi, aveva lunghi capelli neri e bagnati attaccati alla fronte e alla schiena. Mossi, e impastati di sabbia e sangue. Stava sdraiato su un fianco, quasi in posizione di difesa. Aveva gli occhi chiusi. Il braccio destro stretto al petto, uno strano marchingegno in cuoio e metallo avvolto intorno. Aveva la camicia nera a brandelli. Aveva il respiro pesante, e un tremito lo scuoteva regolarmente, quasi con cattiveria, ogni volta che cercava di buttare aria nei polmoni. Aveva una serie di strane ferite circolari e profonde che gli marcavano la spalla destra: file di denti più o meno lunghi, ma comunque aguzzi, che sembrava l’avessero quasi masticato. E aveva il braccio sinistro segnato da un lungo taglio irregolare, come se qualcosa di particolarmente affamato avesse provato a strapparglielo via. Attraverso i brani di stoffa della sua camicia si intravedeva il colore di qualche tatuaggio. Le dita della mano sinistra si contraevano ritmicamente seguendo i battiti del cuore, si chinò d’istinto per fermarle, appoggiando una delle sue mani sulla sua. L’altra sulla tempia, scoprendo nuove escoriazioni più leggere. Una ferita sulla fronte, un occhio leggermente cerchiato di nero, il sopracciglio dell’altro attraversato da un taglio netto. Il labbro inferiore spaccato, appena un po’ a sinistra rispetto al centro. Si chiese con che razza di bestia avesse avuto a che fare quell’uomo per ridursi così, e perché il suo sangue avesse quello strano colore, quasi malsano.
Strinse la sua mano fra le sue, più piccole.
“Calmo. Fermati. Sei vivo. Ci sei.”
Gli passò un braccio dietro le spalle per spostarlo al coperto. Era così freddo. Si rese conto che l’ammasso di metallo e cuoio gli serviva per tenere un uncino fissato al polso destro, dove avrebbe dovuto esserci una mano.
Lei conosceva quell’uomo. O meglio. Lei sapeva chi fosse quell’uomo. Non poteva dire di conoscerlo. Per come lei intendeva il verbo conoscere, immaginava che nessuno potesse dire di conoscerlo. Ne sapeva qualcosa, e quel qualcosa rendeva un ossimoro la sua condizione contingente. Un uomo orgoglioso, vendicativo e crudele, questo dicevano le sirene. Un uomo solo, come il mare. E come il mare, altrettanto ammaliante. Pericoloso. E interessante.
Ma, viste le sue condizioni, se ne sarebbe preoccupata dopo.
Si rese conto del suo respiro accelerato dopo pochi passi, e delle rughe di dolore che si erano formate sul suo viso quando l’aveva spostato. Situazione pessima. Disastrosa. Quando avevano raggiunto la soglia di casa, il suo ospite aveva spalancato gli occhi si era lasciato sfuggire dalle labbra uno strano lamento. Come quello di una belva ferita. Non aveva mai visto degli occhi così.
 
Tutto si poteva dire, tranne che tempo prima, parecchio tempo prima, non si fosse organizzata a dovere. Viveva a metà strada fra la foresta e la spiaggia, sotto una fonte d’acqua. La pendenza l’aveva aiutata a scavare il canale che le portava l’acqua  davanti casa, senza obbligarla a viaggi continui e faticosi in giro per il bosco. Ringraziò mentalmente l’accorgimento di anni prima. Secoli prima. Di una vita prima. Le sarebbe venuto l’esaurimento nervoso, altrimenti. Mise a bollire un paiolo d’acqua per l’ennesima volta. Finì di pulire e disinfettare il braccio del suo ospite prima di ricucirlo, sterilizzò l’ago sul fuoco, con l’alcool.
Lo sapeva che aveva un nome.
James Hook.
Lo conosceva pure.
Ma si rifiutava di usarlo finchè lui non glielo avesse permesso. Sono cose importanti, i nomi. Accozzi di lettere con un certo potere dietro, in un certo senso. Ed essere relativamente famosi, come l’uomo di cui si stava occupando ora, era quasi una maledizione. Perché tutti avrebbero saputo il tuo nome, ma tu non avresti saputo il loro. Non era una situazione in cui lei avrebbe voluto trovarsi. Tutti avrebbero creduto di conoscerti, mentre magari nessuno era in grado di poterlo fare.
Anche lei aveva un nome. Ma lo teneva nascosto bene. Significava molto, quel nome, e nulla di positivo. Lo conosceva chi la conosceva, e tanto bastava. Quel ragazzino volante lo conosceva, e al villaggio indiano lo conoscevano. Ma non tutti. Non tutti. La tribù di bambini che seguiva Pan invece non aveva la benché minima idea di come si chiamasse, ne le fate.
Le sirene si. Tutte le sirene si. Ne avevano diritto, da quando si era tagliata i capelli.
Gli pulì di nuovo il braccio prima di fasciarlo, passando con l’alcool su tutta la lunghezza della ferita. Lo vide stringere gli occhi senza aprirli. Non li aveva più rivisti da quando, entrando in casa, li aveva spalancati per mezzo secondo. Poi era crollato di nuovo, e non poteva non pensare che gli fosse andata bene così. Stare sveglio per tutto il tempo delle medicazioni non gli sarebbe piaciuto. Con tutti i buchi che aveva in corpo, non sarebbe piaciuto a nessuno.
Gli spostò una ciocca di capelli scappata dalla coda che gli aveva fatto poco prima con un laccio di cuoio. Capelli ribelli. In lui nemmeno quelli parevano domabili. Appoggiò la stoffa imbevuta d’alcool sul taglio e lo vide stringere di nuovo gli occhi, in una manifestazione inconscia di fastidio.
“Lo so che non ti stai divertendo, ma ho quasi finito”
Si sedette sul letto, iniziando a disinfettare il taglio sul sopracciglio. Era diverso dagli altri, sembrava fatto con un’arma da taglio, non con qualcosa di seghettato e irregolare. Spostò lo sguardo sull’ammasso di cuoio e metallo che di solito portava addosso, appoggiato sul tavolo in mezzo alla stanza.
Quella era un’arma da taglio. E sembrava anche ben affilata. L’uncino era sporco di sangue, ma se fosse suo o di qualcun altro, o qualcos’altro, non avrebbe saputo dirlo.
Scosse la testa, continuando a cercare di convincere quei riccioli neri a stare dove dovevano stare, e non dove volevano stare. Impossibile. Indomabili, di nuovo. Come gli occhi che aveva visto per pochi centesimi di secondo solo poche ore prima. Le dispiaceva non poterli rivedere anche in quel momento, aveva la sensazione che in compagnia di quell’uomo una persona avrebbe potuto vedere il mare ogni volta che voleva, solo guardandolo negli occhi.
E il mare è pericoloso e inaffidabile, triste e crudele, immenso e profondo. Non era da tutti avere il mare negli occhi.
Aspettò di sentire il suo respiro regolarizzarsi e di aver ricontrollato tutte le fasciature
Spalla braccio e schiena
 prima di addormentarsi con la testa sul cuscino sul quale riposavano onde di riccioli neri.
  
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