Seduta su una panchina, cercavo di osservare il mio futuro negli occhi altrui, sembrava tutto spento visto dalla loro prospettiva.
O forse ero sbagliata io, e i miei movimenti forse non erano stati creati per potersi amalgamare a quelli altrui.
Non sapevo quale parte del mio cuore, non captasse le emozioni quotidiane, e nessuno sforzo è servito a farmelo capire.
Così, come ogni giorno, componevo la mia monotia e tornavo nel buco buio che cercavo di chiamare casa.
La mia era una casa piccola, conteneva un bagno, una camera e una piccola cucina; ancora non so cosa mi abbia spinto ad andarmene, me lo diceva mia madre ' Avril, rimani, non ha senso, non hai l'età, non hai.. non hai.'
E io invece, sai cos'è? Io credevo di avere quello che gli altri sognavano di avere, e anche se qualcuno mi avesse dato la certezza che ciò che dicevo fosse vero, non sarebbe cambiato niente.
Se qualcuno si fosse avvicinato a me dicendomi che il suono che usciva dalla mia bocca riusciva a tramutare un sogno in realtà, ci avrei creduto, ma la scintilla si sarebbe spenta nello stesso esatto momento in cui avrei pensato 'caspita, questo è un dono' -
Così, ho continuato a vivere nella menzogna, e a cercare di cacciare via ogni pensiero che mi spronava ad aprirmi, a mostrare le mie doti, a mostrare al mondo quanta musica contenesse la mia anima.
ma tutto ciò è difficile, io non credo di farcela.
sì, perché tutto ciò non è facile.