È una cosina senza pretese,
scritta di getto, spero apprezziate.
Sei e mezza
Erano
le sei e ventinove, della mattina. E l’unico rumore che riempiva il
silenzio della casa era il ronzio del frigo in lontananza.
A
rompere quella pace mattutina fu lo stridio sfacciato della sveglia, quando la
lancetta dei minuti coprì il sei elegante che se ne stava sulla parte
bassa del quadrante.
Maka
si coprì la testa col piumone, come se quello potesse proteggerla
dall’irruenza della perfida sveglia. Al terzo trillo si arrese, riemerse
dalla trapunta e la spense con un colpo secco della mano, poi si rigirò
dall’altra parte e richiuse gli occhi.
Stava
sognando che sua eccellenza lo Shinigami
si complimentava con lei per aver trasformato Soul in falce della morte, sperava di continuare il sogno, ma anche se non
fosse successo sarebbe andata bene comunque, l’importante era dormire.
Si
accoccolò nuovamente sul cuscino e in un attimo sprofondò di
nuovo tra le braccia di Morfeo.
Esattamente
cinque minuti dopo, una seconda, impietosa, sveglia, si mise a suonare, in toni
più alti della precedente. Maka alzò la
testa, vinta e scocciata, e spense pure quella, buttando subito dopo, a peso
morto, le gambe giù dal letto.
Rimase
seduta con i piedi a penzoloni, per alcuni secondi,
durante i quali le palpebre minacciarono di chiudersi nuovamente.
Prese
coraggio e scese giù dal letto, oppure fu colpita da una tale botta di
sonno che la fece ondeggiare in avanti tanto da farla cascare dal suo
giaciglio, difficile dirlo.
S’incamminò
a testa bassa verso il bagno, colpendo in pieno lo stipite della porta, con la
spalla, facendosi anche un discreto male. Masticò un’imprecazione
assonnata, continuando a camminare per il corridoio, con aria ciondolante,
finché non riuscì a infilarsi nella toilette.
Si
grattò la testa con aria ebete, prima di trattenere il respiro e
sfilarsi il pigiama giallo con sopra disegnati dei piccoli teschi, che a modo
loro, riuscivano
a risultare infantili.
Nuda
e infreddolita s’infilò
nella doccia e afferrò il pomello dell’acqua fredda.
Sarebbe
stato doloroso, lo sapeva, ma era anche altrettanto necessario. Chiuse gli
occhi e lo rigò, in modo che dal tubo della doccia scaturisse un getto
gelido, che la colsse dritto
in testa.
Dovette
trattenersi per non urlare. E si strinse nelle spalle, mentre nello stesso
tempo teneva salda la mano sul pomello, come se lo volesse spaccare.
Dopo
un po’ che si stava sotto il getto freddo però, il corpo finiva
per abituarsi, così, neanche un minuto dopo, Maka
se ne stava in piedi nella doccia, con la fronte appoggiata alle piastrelle, i
capelli fradici e gli occhi irrimediabilmente chiusi.
A
salvarla fu il trillo della sveglia che aveva posizionato vicino al lavandino.
Staccò la testa dal muro, di scatto, rischiando per lo spavento di
perdere l’equilibrio sul pavimento bagnato. Strinse la mano al pomello a
cui ara ancora saldamente attaccata.
Si
passò il braccio sulla fronte, per spostare una ciocca bionda che le era
finita davanti agli occhi. Svegliandosi aveva finito per avvertire di nuovo tutto
il freddo dell’acqua, e in un solo, unico, fluido gesto chiuse il
rubinetto e uscì dalla doccia con un salto, battendo i denti per il
freddo.
Soul
si era lamentato tanto di quella sveglia, che lei si ostinava a voler tenere in
bagno, senza apparente motivo. Ci sbatteva sempre contro, facendola volare per
terra, infatti buona parte dei pezzi erano tenuti
insieme da del nastro adesivo, ma Maka sapeva quante
volte quel chiassoso marchingegno le aveva salvato la vita, soprattutto
scolastica.
Si
asciugò il più velocemente possibile, con l’accappatoio,
sbattendo i piedi sull’asciugamano che stava per terra, per i brividi. La
doccia fredda di prima mattina, soprattutto d’inverno, era traumatica.
Finalmente
vestita scivolò, come un fantasma, fino alla cucina, strisciando i piedi
per terra, e rischiando di capottare, per colpa di un tappeto.
Si
appoggiò stancamente al bancone della cucina, cercando di fare mente
locale. Dove diamine tenevano il caffè?
Si
passò la mano sulla faccia, e poi alzò il braccio per aprire uno
sportello a caso. Biscotti, grissini, pane da toast, fette biscottate e
merendine, no, lì non era.
Aprì
quello affianco, zucchero, miele, caffè, marmellata, zucchero di canna,
no neanche lì. Lo richiuse.
Guardò
poi, accigliata, lo sportello che aveva appena chiuso, per poi riaprirlo e
afferrare il barattolo del caffè.
Preparò
la moka, con gli occhi che le si chiudevano e si
andò a sedere al tavolo. Poco dopo fu svegliata di soprassalto, mentre
dormiva con la testa appoggiata alle braccia, dalla bevanda che veniva fuori
dalla moka sporcando senza pietà il fornello.
Scattò
verso la caffettiera “no, no, no!” sussurrò disperata,
cercando di spegnere in tutta fretta il fornello e rischiando di ribaltare
tutto, peggiorando la situazione.
Parecchio
tempo dopo si era liberata di tutte le macchie scure che insozzavano la cucina,
e fissava il suo riflesso pallido allo specchio.
Si
tirò le guance e si schiaffeggiò un poco per riprendere un
po’ di colore. Erano le sette e mezza, l’ora di svegliare Soul, la
colazione era pronta, il bagno asciutto, le sue guance rosee, e aveva
l’aria più sveglia ed autorevole del suo repertorio.
Spalancò la porta del suo coinquilino con
enfasi e urlò “Soul!
È ora di alzarsi!”
Il
ragazzo mugugnò e si voltò dall’altra parte “Ancora
cinque minuti, Maka” pregò attutito
dalla coperta.
La
ragazza circumnavigò il letto dell’amico fino a trovarsi faccia a
faccia con quel fagotto, e senza tanti riguardi gli strappò le coperte
di dosso.
Soul
si rannicchiò in posizione fetale, infreddolito.
“Maka…” piagnucolò. Un occhio scarlatto
si aprì assonnato tra i capelli candidi che gli cadevano sul volto.
“Come
fai a essere così pimpante appena sveglia?” domandò
flebilmente abbattuto da tanta mattutina energia.
“Un’anima sana risiede in una mente e
in un corpo sano. E aggiungo
io: svegliarsi attivi e pimpanti è un ottimo segno di buona salute! Non capisco perché tu ci metta tanto ad alzarti da quel
letto!” disse.
Non
c’era niente di male a barare un po’, l’importante era che
lui non venisse a saperlo!