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Autore: Mayo Samurai    08/02/2011    6 recensioni
Tutti noi abbiamo un angelo custode, che veglia su di noi, che prega per noi.
E anche se non ne siamo a conoscenza o non ci crediamo, lui c’è e continua ad osservarci e a proteggerci.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“questa volta sarò io a insegnarti qualcosa!”
Arthur alzò la testa dal libro che stava leggendo, stranamente era riuscito a trovare qualcosa di decente nella libreria dell’americano.
Assottigliò gli occhi, studiando Alfred che se ne stava sulla porta tutto sorridente, pugni sui fianchi e sguardo deciso. Era lì da più di una settimana, ma purtroppo non era riuscito ad insegnargli le buone maniere o a non dormire in classe.
“no grazie” rispose tornando al suo libro.
“eeeh!? Ma perché?” chiese Alfred buttandosi sul letto, facendo perdere l’equilibrio ad Arthur che per poco non finì a terra.
“idiota! Non gettarti su letto in questo modo, o col tuo dolce peso lo sfondi!” sibilò ritraendo le gambe al petto.
“perché non vieni a fare un giro con meee?” Alfred arricciò le labbra in quella che doveva essere un’espressione tra l’offeso e il supplicante.
“perché non ho voglia di uscire, sto leggendo e visto che con te ci sto tutto il giorno, vorrei starmene qui tranquillo e beato a leggere!”
Arthur lanciò un’occhiata al ragazzo steso di fronte a lui, stava pensando a qualcosa ne era certo, solo lui aggrottava le sopracciglia così tanto e socchiudeva gli occhi per concentrarsi. Ma tanto era pronto al peggio.
Ma non “quel” peggio.
Alfred si mise seduto come i cani, incassò la testa nelle spalle, si fece venire gli occhi lucidi e si mise  a uggiolare.
Arthur sbiancò.
No! Questo non poteva farglielo! Cercò di scampare al pericolo coprendosi il viso col libro, ma con scarsissimi risultati, i mugolii disperati di Alfred si sentivano lo stesso.
“s-smettila… mi fai pena… per piacere smettila!”
Alfred fece tremare il labbro, e Arthur per poco non si mise a piangere.
“o-ok, verrò con te! Ma ora smettila!” cedette infine: “evviva! “ urlò Alfred tornando normale e abbracciandolo: “si ma per poco!” sibilò Arthur puntandogli la bacchetta alla pancia, intimandogli di spostarsi.
“fa niente, di sicuro mi chiederai di rimanere ancora quando vedrai dove ti porto!” esclamò tutto contento sedendosi a terra per mettersi le scarpe.
Arthur sospirò, come faceva un ragazzo praticamente maggiorenne e comportarsi come un bambino? Solo quei piccoli marmocchi erano così entusiasti di andare a fare un giro al parco. Se era lì che andavano
Al parco… ci andava spesso con suo fratello…
“daaaiiii! Sbrigatiiii!! Senò la giornata se ne va!”
Si, solo i bambini rompevano per una passeggiata.
 
 

“eccoci qui!” esclamò Alfred spalancando le braccia come se volesse abbracciare il cancello del parco.
“tutto ciò è molto carino… andiamo a casa…”
“hey! No! Aspetta, non sei ancora entrato nel parco e già vuoi andartene?” Alfred lo prese per un braccio, bloccando così la sua presunta fuga.
Arthur gli rivolse un’occhiata gelida, si guardò un po’ attorno poi riprese: “troppi mocciosi… andiamocene”
“ma se non sai nemmeno dove siamo!” replicò Alfred stingendo appena la presa, Arthur si bloccò: “davanti a un parco?”
Alfred rimase sbigottito: “non siamo in un parco qualunque!” spiegò: “ma siamo nel più grande parco al mondo! Il Central Park! Il polmone verde di New York! Non puoi dire di no a una passeggiata qui dentro!”
“sembri ben informato…”mormorò Arthur studiando il viso di Alfred, che sorrideva orgoglioso.
“certo! So praticamente tutto su questo parco!”
“bene, allora se vuoi che io ti segua, dovrai farmi da cicerone ogni qualvolta che incontreremo qualche riferimento storico… va bene?”
“…si… ma tu vieni?”
“si.”
“evviva!”
Alfred senza mollare la presa sul suo braccio, si mise a correre, superando il cancello.
“h-hey! Non serve correre così, r-rallenta!” balbettò Arthur piuttosto affaticato, non sembrava ma le gambe lunghe dell’ americano, bastavano e avanzavano per seminarlo!
“se sei vecchio e ti viene subito il fiatone, non è colpa mia!” rise Alfred, senza voltarsi
“non sono vecchio!” sbottò colpito nell’orgoglio.
“a no? E quanti anni hai?”
“ventitré…”
“allora sei vecchissimo!”
“sta zitto!”
Alla fine Alfred rallentò, sotto di minaccia di Arthur di gettarsi a terra e farsi trasportare.
“non serviva tirarmi un calcio dopo che mi sono fermato…” mugolò Alfred chino sulla caviglia lesionata.
“avrei usato il Britannia Thunder, ma in forma umana non posso fare magie o le vedrebbero tutti”
Alfred sembrava sollevato da questa notizia, niente più scariche elettriche per quel giorno!
“non rallegrarti troppo.” disse Arthur intuendo i suoi pensieri: “che posso benissimo arrangiarmi…”
Alfred gli fece una linguaccia, balzando lontano non appena vide la gamba dell’altro saettare verso di lui.
“tsk, visto che ormai siamo dentro, direi di cominciare a spiegarmi qualcosa no? Ad esempio… a che ti serve quell’enorme borsone che ti sei portato dietro?” borbottò adocchiando la borsa che Alfred aveva preso da casa senza spiegargli nulla: “non ci saranno dentro armi vero?”
“hahaha! Ma certo che no! Come potrei farlo? Ci sono dentro delle cose che ci faranno passare meglio la giornata!”
“del tipo?”
“del tipo che le vedrai! E ora in marcia!”
“e per dove?”
Alfred alzò le spalle: “dove ci portano i piedi!”
Arthur sospirò pesantemente, quella sarebbe stata una lunga giornata.
Passarono tutta la mattinata a passeggiare nel parco, visitandolo, Alfred era un ottimo cicerone e questo Arthur doveva ammetterlo, starlo a sentire mentre spiegava la costruzione del parco con voce entusiasta e piena di orgoglio era una meraviglia. Il tono strafottente e acuto spariva, lasciando spazio a una voce più calma e seria, quasi dolce, mentre descriveva ogni via del “polmone verde di Manhattan”.
“e questo è il museo di storia naturale!” disse fermandosi davanti a un grosso edificio bianco, le scalinate pullulavano di studenti e famiglie, che si apprestavano ad entrare.
“affascinante…”
“se vuoi lo visitiamo…” propose Alfred, vedendo lo sguardo interessato dell’altro.
“ah... d-davvero?” Arthur rimase stupito, strano da parte di uno che guarda immagini demenziali su internet dalla mattina alla sera, proporre di visitare uno dei musei più famosi al mondo.
“si! L’ho visto tante volte… sia nel film “una notte al museo” sia in gita… posso spiegarti anche questo!” ridacchiò.
Arthur soppesò la domanda, la bilancia era tutta a favore di accettare. Sentire di nuovo Alfred così serio e maturo era una delizia, poi, col il caldo che faceva, qualsiasi posto all’ombra sarebbe potuto andare bene, figuriamoci con l’aria condizionata.
“accetto con piacere…” disse con un piccolo sorriso.
Alfred ricambiò con uno ancora più grande: “perfetto! E stammi vicino o ti perdo!”
Arthur non seppe cos’era stato, forse la frase o come l’aveva detta, fatto sta che si sentì improvvisamente triste, tremò leggermente, i ricordi che gli bombardavano la testa gli impedirono di sentire Alfred che gli chiedeva se stava bene.
Barcollò un attimo, arretrando di un passo, probabilmente sarebbe caduto se Alfred non lo avesse acchiappato al volo, accompagnandolo alla panchina più vicina.

“tutto bene?”
Alfred aveva portato Arthur su una panchina, sotto una grossa quercia, l’altro biondo era chino su sé stesso e respirava lentamente, non aveva fatto altro da quando si erano seduti.
Si chinò anche lui per accertarsi che non stesse per vomitare.
“Arthur… che ti prende?” sussurrò.
Arthur alzò la testa, appoggiando la schiena alla panchina e sospirò: “niente…”sussurrò:” niente di che preoccuparsi…”
“un’insolazione?”
“forse…”
Arthur parlava a bassa voce, come se gli facesse male ascoltare la sua stessa voce.
“allora ti serve una bella rinfrescata! Hai fame per caso? È quasi ora di pranzo… però non è che dopo vomiti? Non che sia una bella esperienza… una volta mi è successo…”
“un semplice panino andrà bene…” lo interruppe, mettendogli una mano sulla bocca: “…alle verdure… niente salsa… e da bere del the, grazie…”
L’americano annuì e gli fece un sorrisetto, si alzò e si avviò al chiosco vicino.
Arthur ne approfittò per stendersi del tutto sulla panchina, sperando che le mamme ficcanaso o i vecchietti non gli chiedessero perché un giovane se ne sta sdraiato su una panchina, col braccio sugli occhi e con il respiro pesante.
“è successo di nuovo…”mormorò, scostando leggermente il braccio per poter vedere il cielo azzurro.
“è successo di nuovo e non mi sono controllato…” ripeté, nascondendosi di nuovo.
Come poteva, quello stupido americano assomigliargli così tanto? La stessa voce squillante, gli stessi occhi azzurri, la stessa attitudine a contraddirlo...
Era identico.
Cercò di riordinare le idee, ma l’inaspettata bibita ghiacciata che gli atterrò sulla pancia gli fece perdere il filo, si alzò di scatto, portandosi una mano alla parte colpita.
“calmati…è solo una bibita…” Alfred si era seduto ai suoi piedi, stava aprendo un lattina di coca.
Arthur cercò di calmare il fiatone che gli era venuto, si mise seduto, poggiandosi i gomiti sulle ginocchia e nascondendo il viso tra le mani.
“tieni” Alfred gli poggiò sulla testa il suo panino, Arthur sbuffò scocciato, allungò il braccio e prese il suo tramezzino.
“spero tu lo abbia preso giust-“
“tranquillo, alle verdure, senza salsa e del the giusto?” lo interruppe Alfred ripassandogli la lattina.
Arthur sbuffò nuovamente, mettendosi seduto bene.
“che ti è preso prima?” tipico di Alfred essere così inopportuno e invadente.
“…n-niente… assolutamente niente…” ma il tono evasivo di Arthur incitò il ragazzo a continuare.
“non è vero.” Obbiettò.
“credimi è così…” borbottò addentando il suo panino, ma Alfred non ne era convinto, anzi, il volto stanco e pallido dell’altro gli dicevano tutto il contrario.
“non mi piace la tua faccia, sembri un cadavere!” mormorò guardandolo preoccupato.
“è il colore della mia pelle… non devi preoccuparti per me… piuttosto vedi di non dare il tuo panino agli insetti…”
Alfred si voltò di scatto verso il suo pranzo, con la stessa faccia preoccupata di prima, ma il tramezzino era intatto.
“mmm, non mi piacciono gli scherzi sul cibo…”borbottò contrariato, Arthur ridacchiò leggermente, scherzare con Alfred era un buon modo per scacciare i brutti pensieri.

“se hai finito possiamo anche ripartire!”
Arthur lo guardò male, con ancora metà panino da finire.
“non è colpa mia se al posto di quel “forno” che ti ritrovi, io ho una bocca normale…”
Alfred aggrottò le sopracciglia offeso: “non ho un forno al posto della bocca…” mormorò incassando la testa nelle spalle.
“possiamo camminare anche mentre mangio... che ne dici?” propose Arthur vedendo la faccia afflitta dell’atro.
Il ragazzo sembrò illuminarsi e si alzò, tutto contento di poter proseguire con la passeggiata.
Passarono le ore più calde della giornata a visitare i musei, Arthur osservava affascinato le figure impagliate degli animali presenti nel museo di storia naturale.
“e lì c’è la sala degli animali africani!” esclamò Alfred avvicinandosi alla bacheca dove erano stati riposti una gazzella e una zebra di dimensioni naturali.
“sono fatti molto bene…”
“certo! Sono una fedelissima ricostruzione dell’animale originale! Qui tutto è fedelissimo a com’era nel passato! Hai visto all’ingresso il dinosauro? È finto ma sembra vero da quanto è fatto bene non trovi? Per non parlare delle statue di cera degli uomini delle caverne e…” Alfred parlava e parlava, ed Arthur stava ad ascoltare, rapito. Era la prima volta che lo vedeva così entusiasta di una cosa, raccontava tutto nei minimi particolari, con grande sicurezza rispondeva alle frequenti domande che Arthur gli rivolgeva.
Era la giornata perfetta, se Alfred fosse stato così tutti i giorni, non ci sarebbe stato bisogno della sua presenza, a parte un ego smisurato, il ragazzo si era dimostrato gentile, anche se a volte testardo e inconcludente.
“e qui…” Arthur lo seguiva come un fedele cagnolino, ad un certo punto pensò di esserlo diventato, quando si era staccato un attimo e Alfred lo aveva richiamato, ma tutto sommato si stava divertendo anche lui.
“e ora? Che vuoi fare? È da tutto il giorno che siamo qui..” disse, quando furono fuori dal museo, con il sole che picchiava ancora forte.
Alfred fece un gran sorriso, che sembrò leggermente inquietante da come era largo: “e ora la seconda parte!”
 

  
“…”
“dai vieni fuori!”
“…no…”
“su! Non ti prenderà in giro nessuno! Tutti sono vestiti così!”
“ah si!?”
“si!”
Alfred sentì lo sbuffò contrariato di Arthur fin dentro i camerini.
“i-io non esco conciato così!”
“e daaai… tutti sono in costume da bagno!”
“ma non con su i super eroi!” sbraitò aprendo di scatto la porta e indicandosi il costume, attirandosi l’attenzione di tutti i presenti.
In quel preciso momento, mentre aveva gli occhi di tutti puntati addosso, mentre si indicava le “regioni vitali”, Arthur Kirkland voleva morire.
“non è con i super eroi!” ribatté Alfred “è con le “s” di Superman!” concluse con tono serio e agitando il dito per aria.
Arthur sospirò pesantemente, perché dovevano trovarsi lì? Mezzi nudi di fronte a così tanta gente? Che se lo aspettava che il laghetto del pattinaggio invernale potesse trasformarsi in una piscina d’estate?
E mentre Arthur borbottava maledizioni su maledizioni, Alfred lo prese per un braccio e lo trascinò vicino all’acqua: “mi dispiace di aver preso quel costume… ma è l’unico che mi è rimasto da quando aveva tredici anni! Ed era l’unico che ti andava bene? O mi sbaglio?”
Borbottò un “si” poco convinto, forse era meglio così, non sarebbe stato piacevole doversi tenersi il costume per tutta la giornata, mentre un assillante americano ti bagnava di continuo.
“la vuoi smettete? Sono capace di entrare da solo!” sibilò allontanandosi dal bordo.
“eeeh, lo facevo perché tu te ne stavi lì come un baccalà!” spiegò Alfred, già immerso per buona parte del busto.
Arthur fece una smorfia, azzardandosi a riavvicinarsi al bordo.
“ce la faccio da solo…” borbottò chinandosi sull’acqua e fissandola torvo.
“non ti mangia mica sai…”
Arthur lo guardò male e gli fece una linguaccia, per poi allungare le gambe immergendole.
“è fredda…”
“è perché sei rimasto fuori al sole troppo tempo! vedrai che se entri ti riabitui subito!”
Arthur non sembrava molto convinto, entrò lentamente, bagnandosi prima ogni parte del corpo, le braccia, la spalle magre e la schiena pallida.
“mi dici come fai a essere così magro? Ma tu mangi almeno?” chiese Alfred notandole costole che affioravano dal torace mentre muoveva le braccia.
“certo che mangio! Mangio di meno perché sono un angelo! E poi parla per te! Io sarò magro, ma tu sei grasso!” commentò acidamente accennando alla pancetta che se ne stava sopra l’elastico del costume.
“non è pancetta! Non sono grasso… sono muscoli a riposo…” borbottò girandosi.
“se, se…”
Alfred lanciò un’occhiata contrariata alle spalle fin troppo magre dell’atro, erano esili ma belle ed eleganti, quasi femminili. Si accorse di esser rimasto immobile a fissarle, solo quanto venne richiamato e si mosse, sentendo l’acqua attorno a sé fredda.
Le ore che passarono in piscina furono piuttosto piacevoli, Alfred nuotava di qua e di là, dimostrando ad un disinteressato Arthur come fosse bravo a nuotare.
Arthur rimase attaccato al bordo per tutto il tempo, allungava le gambe ogni tanto ritraendole ogni volta che una persona gli passava accanto. “guarda che se stai in una piscina pubblica prima o poi qualcuno ti toccherà.” mormorò affiancandosi al biondo.
“non mi piace il contatto con l’altra gente…”
“Nemmeno se ti tocco la spalla? Io non sono “l’altra gente”!” disse sfiorandogli la spalla scarna. Quasi si spaventò quando sentì sotto le dita le ossa dure.
“non toccarmi!” sibilò spostandosi.
“prima o poi dovrai spiegarmi cosè tutto questo ribrezzo per le altre persone..”
Arthur ammutolì e non proferì parola per tutto il pomeriggio.
 

 
“se vuoi ora ce ne andiamo a mangiare in un ristorante qui vicino? Ti piace l’idea?”
Oggi era per caso il suo compleanno? Un Alfred così disponibile e gentile non capitava tutti i giorni.
“c-che non sia un Mc-Donald’s….” borbottò. Non ci era mai entrato, ma gli era bastato vedere dei ragazzi divorarsi assurdi panini ripieni per fargli passare qualsiasi voglia.
Alfred rise: “no, no… a dir la verità è un trattoria… i ristoranti sono un po’ costosi per me…” ridacchiò arrossendo appena.
Arthur annuì lievemente: “ok, va bene…”
L’americano gli rivolse un sorriso dolce: “bene! Allora ti porto in una trattoria dove si mangia benissimo! È dello zio di Feliciano e Lovino! Miei amici, Cucina italiana! È davvero buona! Dovresti assaggiare la loro carne! O la pasta! Delle vere squisitezze!”
Arthur annuì di nuovo, distrattamente, aveva sentito parlare delle loro abilità culinarie, che facevano concorrenza a quelle dei francesi.
Appena arrivarono vicino alla trattoria, Arthur rimase piacevolmente stupito nel constatare che non c’era tanta gente.
Poche persone=tranquillità, tranquillità=rilassarsi, rilassarsi=Arthur contento.
“oi! Feliciano! ciao!”
Alfred salutò il ragazzo che stava dietro alla cassa, un moretto piuttosto basso, esile, ma con un energia da far invidia ad Alfred.
“Alfred! Che bello rivederti! Ciao!” lo salutò l’italiano avvicinandosi.
Arthur lasciò che fosse l’americano ha gestire il tutto, voleva godersi la giornata osservando questo nuovo Alfred.
Feliciano li fece accomodare a un tavolo in veranda, dava sulla strada, una stradina secondaria, deliziosamente rivestita di pietrini grigi, con dei pali dall’aspetto pittoresco che illuminavano con la loro luce arancione il terreno.
“ti piace qui?”
Arthur si destò dai suoi pensieri guardando il ragazzo davanti a lui che gli sorrideva gentile.
“si… è bello…” mormorò leggermente imbarazzato giocando con la tovaglia candida.
Alfred ridacchiò compiaciuto: “grazie, è da quando sono piccolo che vengo in questo ristorante, i genitori di Feliciano e Lovino sono… erano grandi a mici dei miei genitori…”
Arthur notò il cambiamento di voce dell’altro, chiedendosi perché ogni volta che gli capitasse di parlare dei suoi genitori, si riferisse a loro al passato, cambiando improvvisamente comportamento.Preferì non interferire, non aveva voglia di rovinare l’atmosfera tranquilla che si era creata, si limitò a guardare il menù con finto interesse.
Ordinarono un bel piatto di spaghetti ciascuno, separati, come fece notare Alfred a Feliciano, che sorrise appena, quasi complice. Gli ricordava troppo un film Disney quel piatto di pasta e quel ristorante italiano…
E appena arrivò la loro ordinazione, Alfred ci si fiondò come se non mangiasse da anni.
“potresti mantenere un comportamento civile? Sai siamo in un luogo pubblico…”
Alfred alzò la testa, mostrando una bocca sporca di sugo e spaghetti: “tu defi proprfio assaggiare questi spageffi! Sono la fine del monfo!”
“parla a bocca vuota!” lo riprese Arthur: “ e adesso mangio, tranquillo…” mormorò girando la forchetta nel piatto, attorcigliando gli spaghetti attorno alla forchetta.
Portò alla bocca la posata, assaggiando la pasta.
Rimase un attimo fermo così, mentre il sapore del pomodoro e del ragù gli riempiva la bocca.
“deliziosi…” riuscì a dire, non appena poggiò la posata sul tavolo.
“vero? E non solo gli spaghetti! una volta ho preso una fiorentine deliziosa! Era così piena! Buonissima!”
Arthur ascoltò di tutte le cose che Alfred avesse mangiato in quel ristorante.Una volta aveva preso dei gamberetti, così tanti da farsi venire il maldipancia, una volta invece, aveva preso la pizza, la più buona che avesse mai assaggiato! Raccontò anche di come lui, con suo fratello e i due Vargas, quando avevano nove anni, andavano poi a giocare nel parco, dopo cena o pranzo, e di come si divertiva, a rincorrersi per le stradine, o a quanto ci mettessero per trovarsi quando giocava a nascondino.
Poi portarono il secondo, una splendida insalata di mare, piena di gamberi e cozze: “tutte freschissime!” disse orgoglioso Feliciano quando le mise in tavola.
“oi, Feli, ma dov’è Lovino? Stasera non l’ho visto…” disse Alfred, allungando il collo alla ricerca del maggiore dei Vargas, e della sua espressione costantemente scocciata.
L’italiano rise sotto i baffi, malizioso: “hihi, il fratellone è fuori con Antonio, forse non rientrerà per la notte.”
Alfred arrossì appena: “Feli..non davanti ad Arthur che non sa ancora niente…”mormorò imbarazzato.
L’italiano ridacchiò, nascondendo il viso col vassoio: “ok, scusa” e se andò.
“che cosa intendeva Feliciano?” chiese Arthur con tono innocente, tanto che sembrò che l’aureola fosse spuntata tra i capelli biondi.
“n-niente…” borbottò imbarazzato Alfred rimase un attimo in silenzio, giocando con il guscio vuoto di un’ostrica: ”t-tu che ne pensi… delle relazioni omosessuali?”
Scese il silenzio, dove un imbarazzatissimo Alfred guardava altrove e uno stupito Arthur fissava l’americano imbarazzato.
Il biondo scrollò le spalle: “ niente in contrario… vedi noi lassù siamo per la tolleranza…” si fermò un attimo, guardando con sguardo perso i fiori in veranda: “c’era un vecchio signore, che ho conosciuto quando ero ancora un marmocchio, che diceva che se tu ami una persona, non importa di che sesso, razza sia, a te importa solo che l’ami… potrebbe essere un mostro, ma tu di quella persona vedrai solo l’anima, solo ciò che è bello da vedere, mentre colore della pelle e l’aspetto fisico svaniscono…” mormorò con li occhi pieni di una luce calda e gentile, mai notata prima.
Alfred ascoltò tutto in rigoroso silenzio, senza neanche mangiare, ascoltò rapito quelle parole così sagge e sincere, abbassò la testa ripensandoci: “chi era… quel signore?”
Arthur scosse la testa: “ non me lo ricordo… era quando ero ancora in vita… tantissimi anni fa…”
“mi racconteresti come sei diventato angelo?”
Arthur si irrigidì, la luce gentile che albergava nei suoi occhi svanì, sembrò anche che stesse tremando.
“ma… se non vuoi fa niente eh…” aggiunse, notando il repentino cambiamento.
Arthur lo guardò riconoscente, quasi triste, accennando a un sorriso.Pagarono il conto, salutando con baci e abbracci il piccolo italiano.
“guarda che Feliciano non ha mica intenzione di stuprarti o cosa…” disse Alfred, rimproverandolo per l’espressione schifata che aveva fatto quando il ragazzo si era avvicinato a lui.
“non è che non mi fidi di Feliciano... ha l’aria del bravo ragazzo... ma non mi piace il contatto con la gente, tutto qua…”
“certo che mi hanno rifilato un catorcio di angelo…”
Arthur non ribatté e Alfred si ritrovò a terra, con la pancia che bruciava.
“HAIA!”
“ecco cosa succede ad abbassare la guardia…” mormorò divertito Arthur, soffiando sulla punta fumante della sua bacchetta.
Alfred fece una smorfia, rialzandosi: “questa me la paghi…” borbottò per poi prenderlo in braccio e correre in direzione del parco.
“c-che fai! M-mettimi giù!”
“se mi chiedi scusa!”
“grrr, non giocare con me ragazzino! O vuoi un'altra scarica!?” sibilò con la bacchetta già sfoderata.
“hahaha, se cado io cadi anche tu, e ti finisco addosso! Lo vuoi veramente!?”
Arthur si zittì, l’idea di ritrovarsi un americano di 100 Kg addosso non era una buona idea.
“almeno posso sapere dove mi stai portando?”
Ma Alfred non rispose, si limitò a rallentare, senza fermarsi.
Quanto un riverbero di luce lo colpì al viso, Arthur capì dove lo aveva portato.
Tentò di fuggire, di scappare il più lontano possibile, ma quando non sentì più le braccia di Alfred sotto di sé, si strinse a sé stesso e si lasciò cadere.
Proprio in mezzo alla piscina.
 
 
 

“Alfred sei un idiota…” sibilò, scuotendo le braccia nel tentativo di perdere un po’ di acqua.
Il ragazzo accanto a sé non faceva che ridere, anche lui fradicio dalla testa ai piedi.
“m-ma ti sei visto? Hahahaha! Sembri un pulcino tutto bagnato! Hahahha”
“smettila! È colpa tua se sono fradicio… cretino… trascinarti con me non è bastato…” di fatti, vendetta dolce vendetta, neanche il tempo di prendere fiato che gli aveva afferrato una caviglia e lo aveva scaraventato in piscina a sua volta.
“sei un cretino… e smettila di ridere!” sbraitò strizzandosi la maglietta, rabbrividendo all’aria fredda della sera.
“ahaha… c-cosa vuoi che sia un po’ di acqua hihi…”
“Ohh, l’acqua niente, il vento gelido invece fa qualcosa! Se ti prendi un malanno adesso guarda che io non ti curo chiaro!?”
“ma i super eroi non prendono le malattie!”
“gli idioti vorrai dire…” borbottò rimettendosi la maglietta, che aderì al petto come un seconda pelle gelida, facendolo rabbrividire: “s-se me lo prendo io, vedi come ti riduco…”mormorò sfregandosi le spalle.
All’improvviso sentì un dolce peso sulle spalle, e il freddo svanito del tutto, alzò la testa e vide poggiata sulla schiena una felpa grigia.
“non è gran ché…”disse Alfred alzando le spalle: “è quella di ricambio e non è pesantissima…”
Arthur rimase in silenzio, a guardare le guancie rosse del ragazzo, che tentava di nascondere il più possibile.
Ridacchiò impercettibilmente, guardandolo con affetto: “no… va bene così… su torniamo a casa…”
 
 
 
 
 
E finalmente ho finito anche questo capitolo :D mi scuso per il leggero ritardo, è che mi sono messa a scrivere solo ieri, dopo tre giorni di puro ozio…
Grazie a tutti quelli che seguono, mi rendete così felice! *___*
 
Ivan_Kirkald: grazie per la recensione! Fai il cos play di Britannia Angel? *__* o cielo che cosa buona e giusta!
 
 
Usuk_love: grazie! :D sia per la recensione sia per essere la una mia fan! *gongola* sono contentissima che ti abbia preso! Kufufufufu, vedrò di fargliene capitare di cotte e di crude a questi due, prima di giungere alla conclusione…
 
Konoha_Hellisng_94: (scrivo il tuo nome tutto giusto senza guardare *___*) niente più anteprima per te! Senò poi mi fai le recensioni corte! (quel bellissimo senò che la profe mi ha proibito di usare ^O^)
Спасибо (grazie in russo) ;-)
 
 
LibbyRed19: vedrò di far maltrattare Alfred ancora un pochino, giusto per poi farlo correre tra le braccia del suo Britannia Angel…è meglio che finisca qua o spoilerizzo troppo, grazie.
 
 
E come al solito: commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!
 
   
 
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