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Autore: Erre182    08/02/2011    0 recensioni
Zed era affetto da schizofrenia, una malattia che comporta la perdita del contatto con la realtà, lo sdoppiamento della personalità, allucinazioni. Zed, non si rendeva conto di ciò che faceva.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SCHIZOFRENIA
 
 
 
 
Era Lunedì, una tipica mattinata lavorativa come tante altre. Alle sette del mattino la comunità di quella cittadina statunitense si stava lentamente svegliando; le strade cominciavano a riempirsi di giovani studenti che attendevano l’arrivo dell’autobus; un uomo, un giovane imprenditore camminava a passi frettolosi, preparandosi psicologicamente nella speranza di ottenere una promozione che distava anni luce dalla sua situazione attuale;il solito barbone, soprannominato dai bambini del luogo Babbo Natale, per via della lunga folta barba bianca: un uomo simpatico che, se ci si volesse parlare, comincerebbe raccontandoti delle creature che abitavano la terra; un uomo intelligente, quando è lucido; diversamente,in preda ai fumi dell’alcool, avrebbe infarcito il suo racconto, oltre a dinosauri,di ragni blu-verdastri che si cibano dei grossi carnivori.
 
Quella mattina, sarebbe rimasta particolarmente impressa nella mente degli abitanti, dietro tristissime apparenze, almeno fino ai fatti di questo pomeriggio.
Ma ritorniamo un passo indietro.
 
Il postino attraversò in bicicletta mezza cittadina fino ad arrivare al quartiere più malfamato della città; si diresse a casa Thompson, per consegnare posta, per lo più bollette.
La famiglia Thompson era abbastanza povera.
Il capofamiglia Ace Thompson, aveva avuto precedenti per spaccio di droga, cocaina, ed era rimasto senza patente per guida in stato d’ebbrezza; era quindi un soggetto instabile, ma solo per il solo fatto che aveva uno stipendio regolare, non era finito per la strada con tanto di cartone per la notte. Era un uomo abbastanza grassoccio,  e la sua pancia denunciava senza pietà tutta la  birra che l’uomo ingurgitava senza sosta.
La moglie di Ace, Adrienne, aveva perso il lavoro mesi prima e sul viso dai sottili lineamenti, incorniciato da lunghi, mossi e spesso disordinati capelli, apparivano ogni giorno  lividi bluastri, dovuti alle violenti litigate col marito ubriaco.
Adrienne tuttavia era una donna colma di pazienza, che amava i suoi figli ma ogni tanto aveva momenti di tristezza, pensando alla sua vita; la casalinga era magrissima e sembrava che le sue ossa si rompessero ad ogni movimento troppo brusco.
Ace e Adrienne avevano tre figli: il primogenito, Zed, diciassettenne era affetto da schizofrenia, una malattia che comporta la perdita del contatto con la realtà, lo sdoppiamento della personalità e allucinazioni varie,( ma non come quelle del padre -sigari giganti con la faccia che ti invitano per un drink-)ed  affetto da deliri e qualche disturbo psicomotorio.
La malattia del ragazzo era affiorata l’anno prima, a sedici anni, e la psichiatra era rimasta abbastanza sorpresa dal fatto che  si fosse conclamata  così presto.
Già da bambino Zed aveva comportamenti insoliti, era completamente estraneo ad ogni sorta di emozione, faticava a stringere amicizia con i compagni di classe; a dodici anni aveva gettato una sedia contro la lavagna, provocando piccole crepe sulla superficie.
Alcune insegnanti avevano paura di quel ragazzo perché a partire dai nove anni, aveva avuto scatti violenti, faceva fatica a controllare l’aggressività, urlava all’insegnante di sostegno quando veniva corretto .
Fu allora, durante la quarta elementare, che Adrienne propose a Ace  di portarlo dallo psichiatra. Questa discussione le causò un occhio nero, ma alla fine vinse lei.
La dottoressa gli diagnosticò, solo dopo varie sedute, una schizofrenia abbastanza acuta.
Sette anni dopo la nascita di Zed, erano nati Giselle e Kristeen, gemelle dai capelli biondicci, come il padre, mossi come la madre.
Quella mattina, il postino scese dalla bicicletta e si avviò lungo il viottolo che conduceva in casa Thompson; con il dito indice della mano, ormai calloso e deformato dall’ l’età, premette con noncuranza il tasto dorato del campanello, quando si accorse che la porta era aperta, non completamente, ma socchiusa.
Con ribrezzo si accorse in un lampo che nel punto esatto della bottoniera nel quale aveva appoggiato il suo dito indice, c’era del sangue, ormai secco, ed il colore tendeva al Borgogna.
Spaventato e col cuore in gola spalancò la porta…
All’interno dell’abitazione, doveva essere scoppiato il finimondo: ovunque sangue, sulla moquette blu dell’ingresso, Zed, ancora vivo; riportava varie ferite e non tutte di importanza rilevante; poco distante da lui c’erano le bambine senza vita sul divano, in posizione seduta; sul letto matrimoniale la madre giaceva con i capelli impregnati di sangue che macchiavano orribilmente le lenzuola. Ace non c’era, o per lo meno non lo aveva visto.
Il povero malcapitato, in preda al panico, corse immediatamente fuori in giardino e gettò l’occhio alla sedia a sdraio dietro al capanno degli attrezzi, dalla quale si intravedeva un piede .
 
Ritrovò il corpo ferito, ma vivo, di Ace Thompson: aveva un grosso e profondo taglio alla testa e sui polsi c’erano delle ferite poco profonde. Il corpo era accasciato sulla sua sedia da giardino preferita, che teneva di fianco al capannone degli attrezzi.
Era una strage.
Il postino pensò a ciò che aveva visto dentro la casa:  le due gemelle  Giselle e Kristeen Thompson erano morte e ad entrambe mancava il dito medio; ad una mancava l’occhio destro, all’altra quello sinistro; una coltellata alla gola, le aveva uccise;la moglie, Adrienne, un taglio secco in pieno petto, una ciocca tagliata di capelli; la casa era un caos totale,le sedie capovolte, il tavolo fracassato come un guscio di noce.
 
Lo raggiunse e lo scosse dal torpore agghiacciato l’unico soggetto rimasto illeso, il cagnolino, un meticcio subito battezzato “Tony”
Il cucciolo era sporco di sangue, probabilmente era stato accarezzato con le mani sporche.
 
 
 
 
 
All’ospedale, questo pomeriggio Zed come per magia si risveglia.  Nota il suo migliore amico, un grosso gatto di dimensioni umane, alto più di lui che lo guarda con un ghigno malvagio: si chiama Tommy, almeno così lo chiama da quando ha nove anni, il suo unico compagno di giochi; un gattone nero, con una macchia sul muso marrone, gli occhi verdi che luccicano alle luci dell’ospedale e sorridono; Zed ricambia annuendo e cominciano a conversare; dicono cose di cui non mi è concesso narrare.
Ace si sveglia e di impulso si guarda attonito intorno. Era normale per lui vedere il figlio parlare da solo, ma non in quelle condizioni,non su un letto d’ospedale.
Questo suscita nel povero alcolizzato una lacrima, non di dolore fisico, ma psicologico. Vede il suo unico figlio rimasto, schizofrenico per di più, giacere su un letto d’ospedale sul punto di morte, per una cosa, che, chi se non lui, poteva avere fatto!
Aveva davvero ucciso le sue figlie, la sua amata moglie, cercato d’ammazzare il figlio schizofrenico e poi tentato il suicidio?
Era ubriaco o sotto i postumi della droga quella mattina?
No era sobrio, ma questo lui non lo ricorda, rammenta  solo frammenti d’immagini, sbiadite come le sue fotografie del College, ma nulla di coerente .
Questa domanda lo tormenta per tutta la mattina; ad ogni movimento si sente come un puzzle scomposto, come quando una dopo l’altra si staccano le tessere dall’immagine per riporle nella scatola.
il figlio sembra non vederlo, neanche tanto è impegnato nel suo discorso con Tommy.
Zed improvvisamente comincia a piangere; Ace non l’ha mai visto piangere: fin da piccolo è sempre stato estraneo alle emozioni; ben presto il pianto si muta in una risatina isterica, propagata in breve anche al gatto.
La risata di Zed diventa sempre più stridula e compulsiva
Ora è tutto chiaro.
Zed si alza a fatica dal letto, prende in mano una bottiglia di vetro, contenente acqua naturale, la solleva come un automa oltre il livello della sua testa e dice con un filo di voce:
“Buona notte papà.”
  
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