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Autore: LondonRiver16    08/02/2011    6 recensioni
- Sei l’unico parente vivo che mi sia rimasto al mondo, Mikey, perché ti rifiuti di capire quanto tu sia importante per me? – Non si voltò e preferì continuare a fronteggiare il fratello, ma puntò il dito alle proprie spalle per indicare il più giovane del gruppo. – Il padre di Frank me lo ha affidato in punto di morte, d’accordo? Mi ha affidato la vita di suo figlio! E voi vi divertite a rischiare di essere ammazzati!
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sono imperdonabile, lo so  -_-“ E non starò qui a proporvi le solite scuse, mi annoio da sola, perciò passo subito a ringraziare chi di dovere per le recensioni ^o^

friem. Ecco l’impresa di Davide che si realizza! È vero, ho dato poco spazio a Mikey, principalmente perché la storia vuole essere incentrata sull’amore tra Frank e Gerard. Grazie per la pazienza e a presto ^-^

Rukiah. Sììì, niente lacrime! Poi fammi sapere riguardo a questo capitolo, così misuro i livelli di drammaticità ^^” Eh sì, Jenny fa un po’ da ancora di salvataggio a Frank quando minaccia di imbarcarsi in un’impresa più grossa di lui… meno male che esistono le ragazze! Pian pianino, ecco il ritorno della Frerard. Grazie e a presto ^^

Evazick. Scusa se ti ho lasciata ad aspettare tanto, io al posto tuo mi sarei stufata, però ecco qui il destino del povero Gerardo… mi sa che il tuo sesto senso la sa lunga riguardo a queste cose! L’ho fatto soffrire un tantino tanto ^^” Ah, dimenticavo: sei autorizzata a picchiarmi per i miei ritardi, fa parte del contratto u_u Grazie mille e a presto ^o^

Shadows7. Oddio, non mi parlare di Frank ai concerti che mi viene un collasso. È un mito con la chitarra, ma è anche troppo tenero di suo, altrimenti non susciterebbe storie così deviate XD Ok, ora mi ricompongo ^^” Oddio, con Mikey sono stata malvagia… be’, vedrai ^^” Grazie mille e a presto ^-^

Grazie anche a Coffee_, che ha messo la storia fra le preferite ^^

 

Con il prossimo capitolo concluderò ^-^

VII. He burns my skin[1]

 

Gerard stava morendo.

Se lo sentiva. Sentiva di essere talmente vessato dal dolore in ogni fibra del suo essere che sopravvivere a quel martirio gli sarebbe sembrato un insulto a qualunque forma di vita esistente.

Le braccia non rispondevano ai suoi comandi, si erano ridotte in nulla di più di un ammasso di carne e sofferenza che proveniva dai numerosi lividi. Poteva ancora muovere le gambe, ma ogni minimo tentativo gli provocava fitte così acute che doveva mordersi le labbra a sangue per non urlare. In quanto alla schiena, era in fiamme.

Non vedeva nulla del posto in cui si trovava, regnava un buio innaturale nella sua totalità, degno delle profondità recondite di una miniera.

Raggomitolato sul pavimento come un bambino che cerca di nascondersi da un incubo, aveva troppo timore di ciò che avrebbe scoperto tastandosi il viso alla ricerca della fonte del sangue che sentiva gocciolare sulle gote, perciò teneva le mani ancorate al pavimento.

Stava annegando nel dolore fisico, e per tenersi sveglio non aveva altra ancora di salvezza che i suoi ricordi.

Per quanto provasse a scacciarli per non acuire il dolore, i più immediati e pronti a offuscargli la mente erano quelli relativi ai secoli che gli pareva di aver trascorso sotto il torchio di Korse e degli strumenti di tortura da lui stesso impugnati, mentre le mani viscide dei draculoidi a contatto con la sua pelle nuda lo tenevano fermo, rendendolo inoffensivo.

Ricordava che gli era stata iniettata una sostanza densa e giallastra nel muscolo dell’avambraccio, e ricordava l’eco di una voce maligna che mormorava una promessa ghignando, assicurandogli che lo scopo di quella dose non era solo renderlo più docile, ma anche permettergli di rispondere alle richieste con lucidità e di sentire ogni minima scheggia di dolore che Korse avesse deciso di infliggergli.

Ricordava lo sbattere di una porta e il conseguente girare di una chiave nella toppa, ricordava la difficoltà che gli era costato il tentativo di resistere alla droga che gli circolava in corpo, ricordava un numero imprecisato di colpi in pieno volto prima che quelle luride mani lo immobilizzassero a terra e gli si scagliassero contro per picchiarlo come un randagio su tutto il corpo, così accaniti e zelanti nell’obbedire agli ordini da non lasciargli nemmeno il tempo di guaire tra una percossa e la successiva.

Ricordava l’interrogatorio di Korse, la sua lingua pregna d’astio che sputava domande a raffica sui ribelli, sui piani, sui luoghi in cui si nascondevano quei vigliacchi, carogne, insetti, sulla radio di Doctor Death Defying.

Gerard non aveva aperto bocca se non per urlargli in faccia tutti gli insulti che conosceva. O almeno non finché gli avevano strappato la maglietta e lo avevano ancorato al muro, esponendo la sua nuda schiena bianca a un draculoide che reggeva un bastone di ferro con entrambe le mani. Gerard non si era reso conto dell’estremità incandescente del ferro se non quando aveva sentito la pelle della schiena sfrigolare, quasi sciogliersi sotto la pressione esercitata dal draculoide.

Allora ricordava di aver gridato, di aver gemuto, di aver pianto.

Devastato, era stato allora che il nome di Frank gli era scappato dalle labbra, soffice come un’invocazione, amaro come le gocce di veleno che gli scendevano dagli occhi, mormorato con un filo di voce come una preghiera. Ed era stato allora che Korse aveva schioccato le dita per interrompere la tortura e fare cenno a un draculoide di avvicinarsi: - Va’ nell’archivio e recupera il fascicolo di Party Poison, denominato Gerard Arthur Way all’anagrafe. Cerca accenni a un certo Frank, a un Frank qualsiasi – Una volta che il draculoide era schizzato via a eseguire gli ordini, l’uomo si era avvicinato a Gerard a grandi passi, con gli occhi che brillavano folli. – Via quel ferro. Voltatelo.

I suoi servi avevano obbedito senza fiatare e Gerard si era ritrovato, ansante e vulnerabile quanto un neonato, a pochi centimetri dal volto teso di Korse: - Chi è Frank? Un parente, un amico, un amante? Un ribelle?

Al silenzio di Gerard aveva reagito rifilandogli un pugno nello stomaco: - PARLA!

Il ragazzo aveva inghiottito del sangue e si era premurato di poter fissare il nemico negli occhi prima di sussurrare, acido: - Tu non lo avrai.

Korse aveva sorriso, deleterio: - Vedremo, Party Poison. Nel frattempo credo che mi prenderò qualcosa in cambio – Allungò la mano destra alle proprie spalle, sapendo che ci sarebbe sempre stato qualcuno pronto a servirlo. – I guanti di lattice.

E poi, infine, ricordava quel male, una sofferenza così intensa che era svenuto.

Sì, doveva per forza aver perso i sensi, non c’era altra spiegazione.

Non c’era altra spiegazione possibile a tutto quel buio.

Gerard singhiozzò tentando di girarsi, e sentì alcuni ciuffi di capelli sporchi spostarsi sul viso.

Cercò di radunare ricordi più piacevoli che gli dessero la forza di continuare a respirare nonostante a ogni boccata d’ossigeno corrispondesse una stilettata al torace, ma non appena ripensò agli occhi verdi di Frank, alle sue mani tremanti stritolate dalle sue dita sulla soglia dell’addio, al profumo della sua pelle e al calore del suo corpo sotto al suo l’ultima volta che avevano fatto l’amore, il cuore parve cedergli.

Memorie così dolci non potevano regalargli gioia né speranza, ma solo fargli sentire ancora più marcata l’assenza di Frank e di tutto ciò che era stato.

Non avrebbe più sentito la sua voce né i lamenti infantili che tanto lo avevano fatto dannare e tanto lo avevano divertito, tanto valeva arrendersi.

Non lo avrebbe più potuto toccare né seguire i suoi passi né stringerlo a sé per combattere il gelo della notte e degli incubi che le tenebre portavano con sé. Tanto valeva morire.

Anche se acuto, il dolore era diventato una compagnia cheta e solo vagamente fastidiosa a cui Gerard avrebbe potuto abbandonarsi facilmente, così facilmente che la morte era solo a un passo da lui, che lo fissava avvolta nel suo mantello nero, impassibile e nemica di ogni suo respiro.

Era la seconda volta che Gerard la vedeva in poche ore. La dama nera si era già presa Mikey quando Korse aveva ordinato di sacrificare il ragazzo di fronte allo sguardo impotente e sgomento del fratello maggiore per incitarlo a rivelare qualcuna di quelle informazioni a cui teneva tanto. Dunque chi era lui per resistere alle sue grazie?

Gerard smise di agitarsi tanto nello sforzo di voltarsi, di cambiare posizione. Non aveva più importanza.

Perdonami, Frankie.

Fu allora che il rumore degli spari penetrò nella sua prigione, destandolo al punto da riuscire ad allontanare perfino le confortanti lusinghe della morte.

Spari. Grida. Grida umane. Di guastafeste.


Jenny spalancò le porte d’entrata con un calcio che le sfasciò una frazione di secondo prima che si aprissero automaticamente, poi entrò di corsa, impugnando saldamente le pistole e offrendo il viso caparbio al nemico, mentre Frank le stava alle calcagna.

Senza lasciargli il tempo di respirare, l’allarme attaccò con una sirena che spaccava i timpani, mentre una luce d’emergenza grossa come un uovo di struzzo cominciò a lampeggiare sul muro, sporcando di rosso l’atrio candido.

- Frank, corri, li tratterrò io! – urlò Jenny per sovrastare il fischio assordante dell’allarme, e nel frattempo tirò fuori dalla giacca nuove munizioni per il suo revolver. – Se non ti muovi ti saranno addosso in pochi secondi! Sbrigati!

Mentre il rimbombare dei passi dei draculoidi in arrivo lo scuoteva tutto, Frank si guardò rapidamente attorno finché non riconobbe l’ingresso della tromba delle scale che lo avrebbero portato di sopra. Decise che avrebbe azzardato in quella direzione, pregando Dio che l’edificio non avesse dei sotterranei.

Si girò verso Jenny e tentennò, sentendosi più goffo che mai. Avrebbe voluto augurarle buona fortuna e darle un bacio sulla guancia per farle capire che significato aveva per lui quel suo sacrificio, ma il suo viso corrucciato e concentrato lo spinse a contenersi.

- Che stai facendo ancora lì impalato? Corri, stupido! – lo redarguì aspramente lei.

- Oh, sì, certo… grazie!

Finalmente il ragazzo si voltò e imboccò le scale.

Gli sembrò di aver impiegato ore intere per raggiungere il pianerottolo del primo piano, dal quale s’infilò in un corridoio vagamente insonorizzato grazie a una spessa porta di tessuto blu. Appena il tempo di chiudersela alle spalle e udì il rumore delle prime scariche di proiettili provenire dal piano inferiore, dove aveva lasciato la ragazza a combattere da sola, così come lei stessa aveva preteso.

- È l’occasione giusta per vendicare Javier – gli aveva spiegato, senza ammettere repliche.

Il corridoio era largo come quella di una corsia d’ospedale, con il pavimento piastrellato in marmo bicolore, mentre le pareti erano bianche e così anche le varie porte che si affacciavano su di esso, nello stesso numero sia a destra che a sinistra. L’atmosfera, asettica e predisposta fino al punto che perfino il profumo di pulito sembrava essere parte di un piano ben delineato, ricordava un reparto psichiatrico, e Frank non poté impedire a dei brividi gelidi di corrergli lungo la schiena.

Aguzzò l’udito e prese a camminare su e giù lungo il corridoio, ma da oltre quelle porte non giungeva alcun suono che potesse fungere da indizio alla sua ricerca, nulla di nulla.

Se avesse cominciato a controllare una porta dopo l’altra senza alcun ordine avrebbe rischiato di bruciare subito il fattore sorpresa, ma non aveva idea di dove dirigersi e per un minuto buono non smise di marciare, nervoso e spedito come se avesse dovuto farlo sui carboni ardenti.

Infine lo sentì. Era labile, così labile che probabilmente, pensò, si trattava solo del frutto della sua immaginazione, del desiderio di sentirlo.

Eppure l’aroma di caffè era lì, nell’aria, che si opponeva fieramente al disinfettante.

Frank sapeva di stare sognando, ma sapeva anche di non avere in mano nulla di più certo; così seguì il suo sogno.

La fragranza tanto familiare lo condusse fino alla terzultima porta sulla destra, e il ragazzo, trovandola disposta ad aprirsi se sottoposta a una lieve spinta, non esitò a intrufolarsi.

La stanza era larga quattro o cinque metri per una lunghezza che Frank si sarebbe sentito di approssimare attorno ai dodici metri, ed era, se possibile, ancora più nivea del resto dei locali dell’edificio: le pareti e il soffitto sembravano addirittura verniciati di recente, per il pavimento si era ricorsi ancora una volta al marmo, immacolato, brillante.

Era vuota, ma incassata nella parete opposta a Frank c’era una seconda porta, anch’essa bianca, provvista di un oblò trasparente che attirò immediatamente l’attenzione del giovane. Ma non aveva percorso che pochi passi in quella direzione che una voce – la voce di quella notte, la stessa che aveva apostrofato Gerard con il suo nome da killjoy, quella dell’uomo che aveva dichiarato guerra ai ribelli senza mai smettere di curare il proprio sorriso – lo raggiunse, questa volta non alterata da un altoparlante.

- Frank Anthony Iero.

Frank si voltò di scatto, preso alla sprovvista. L’uomo - magro, completamente pelato ed elegantemente vestito con un completo gessato e una cravatta bianca attorno al collo - era sulla soglia e stava scorrendo le righe di una cartelletta da infermiere.

- Figlio unico di Anthony Dean Iero e della moglie Linda Isabel, entrambi deceduti quando il soggetto aveva sedici anni. Età anagrafica attuale: diciannove anni. Sospettato di frequentare soggetti deviati nonché socialmente pericolosi e di prendere parte egli stesso a occasionali manifestazioni di insurrezione – A quel punto piantò i proprio occhi in quelli del ragazzo e stirò le labbra in un sorriso da far congelare le vene. – Ah, Frank, cosa direbbero i tuoi genitori di tutto questo? Fossi tuo padre mi mostrerei perlomeno deluso dal tuo comportamento.

Frank fece un passo indietro: - Quel foglio non dice niente su di me. Niente. La mia vita è ben altro.

- Oh, non credere che non conosca la tua vita, Frank – esclamò Korse, compiaciuto, muovendo due passi verso di lui con fare tronfio. – So che non eri nulla più di un ragazzino spaurito la notte in cui Party Poison ti salvò dai miei draculoidi. Un moccioso terrorizzato, facile preda delle adulazioni di un soggetto deviato come Party Poison.

Frank strinse i denti: - Noi ci amiamo.

- Facile preda delle sue perversioni sessuali…

- Ora basta! – esplose Frank, sentendo gli occhi pizzicare e il sudore imperlargli la fronte. – In quanto a perversione tu sei l’ultimo che possa permettersi di aprir bocca! Ora dimmi dov’è Gerard!

Korse sghignazzò: - Povero, piccolo Frank, così sottomesso. Vedo che ti ha domato per bene, Frankie. È questo il nomignolo con cui ti chiama lui, non è vero? O almeno questo è il nome che biascicava mentre lo marchiavo a fuoco. Oserei dire che stava addirittura piangendo. Alquanto patetico, devi riconoscerlo.

Frank non seppe trattenere un gemito, ma si riprese subito e portò la mano alla cintura alla ricerca della pistola arancione che gli aveva affidato Jenny, ne strinse l’impugnatura con le mani sudate e la puntò contro Korse, il dito pronto sul grilletto.

Contro ogni sua aspettativa, l’uomo scoppiò a ridere: - Ma guardati, l’eroe improvvisato! Credimi, Frank, non sarai mai in grado spararmi.

- Smettila di chiamarmi con quel nome – ringhiò Frank, ricordando il discorso sui nomi in codice che aveva intrattenuto con Jenny durante la corsa in città. Lui aveva voluto sceglierne uno che sentiva in qualche modo collegato a quello di Gerard: se il maggiore era un veleno da festa, lui sarebbe stato il demone del divertimento. – Io sono Fun Ghoul.

- Non importa. Tu non sparerai, Frank. Io lo so. Ti conosco.

Frank rimase immobile, silente, a studiare l’estrema sicurezza messa in mostra da quel volto. Korse sembrava tranquillo e continuava a sorridere imperterrito nonostante fosse completamente disarmato e avesse un revolver puntato addosso.

- Cosa ti fa sentire così sicuro? – domandò Frank, stringendo le palpebre.

- Te l’ho già detto. Io ti conosco, e alla perfezione – Avanzò ancora finché la distanza che li separava non si ridusse a un paio di metri. – Tu sei solo una vittima del processo di ribellione, Frank. Le loro manie e una serie di sfortunate coincidenze ti hanno fatto imboccare la cattiva strada, ma io so che la colpa non è tua e sono qui per offrirti l’opportunità di tornare a condurre la vita più felice che potresti mai immaginare.

- Stammi lontano… - sussurrò il ragazzo, alzando la pistola in direzione della sua fronte. – Stammi lontano!

- Dammi retta. Tu non premerai quel grilletto – Gli tese la pallida mano curata. – Fai la scelta giusta, ora che ne hai la possibilità. Aiutami a schiacciare gli insetti che ti hanno sconvolto la vita, aiutami a eliminarli, e in cambio renderò la tua vita perfetta, senza lacrime né rimpianti o rimorsi.

Frank indietreggiò ancora e s’impose di smettere di tremare. Deglutì prima di parlare.

- Non vedo nessuna possibilità di libera scelta nella tua proposta, soprattutto non riesco a vedere quella che continui a chiamare opportunità. E ti faccio notare che ti è sfuggito un piccolo dettaglio, quando hai preteso di smembrare la mia vita per ridurla in tanti piccoli segmenti logici che avresti potuto comprendere con mentalità da scienziato – Un punto interrogativo andò a disegnarsi sulla faccia di Korse, e questa volta fu il turno di Frank di sorridere. – Potrò anche essere una persona debole, ma ciò che provò per Gerard è molto più intenso della paura che ho di uccidere un uomo. E questo non è qualcosa che puoi spiegare razionalmente. Spiacente.

Il grilletto cedette con incredibile facilità sotto la pressione decisa del suo dito e il proiettile partì per andarsi a conficcare appena sotto la spalla sinistra di Korse, che rovinò a terra con un ululato, non più in grado di fare tante moine per ingraziarsi il ragazzo.

Frank non perse altro tempo, rimise la pistola nella fondina che gli ciondolava al fianco e corse fino alla porta chiusa in fondo alla camera per affacciarsi all’oblò, che dava su una cella d’isolamento di due metri per due scarsi illuminata a giorno da grosse lampade al neon, quasi come se il prigioniero non fosse altro che un raro organismo da esaminare in un laboratorio.

Ciò che intravide, come uno spettatore alla televisione, gli spezzò il fiato.

Gerard giaceva sul pavimento, avviluppato su se stesso in posizione fetale, il volto coperto dalle braccia, che sussultavano a scatti come il resto del corpo. Gli avevano messo addosso un’anonima tuta grigiastra di una taglia troppo piccola la cui stoffa, a contatto con la sua pelle, si era macchiata di rosso all’altezza della schiena e lungo le cosce, lì dove aveva riportato le ferite più ingenti. La stanza stessa presentava aloni lasciati dal passaggio del sangue, colpevole di aver rovinato la perfezione del pavimento.

Gerard subì uno spasmo e inarcò la schiena di colpo, come colpito da una frusta invisibile, e Frank sobbalzò prima di precipitarsi a cercare a tentoni la maniglia della porta, dato che era incapace di staccare gli occhi di dosso alla figura del ragazzo riverso a terra.

Si scaraventò nella stanza angusta e cadde in ginocchio accanto a Gerard, le mani sospese a pochi centimetri dal suo corpo devastato e troppo timorose di ferirlo per sfiorarlo, le orecchie che non percepivano altro se non i lamenti confusi che gli uscivano dalla gola, le labbra incapaci di articolar parola.

Credeva di esser preparato a quella missione, di essere pronto ad affrontare qualsiasi nemico. Ma non lo era a vedere lui ridotto in quello stato.

- Gee… - lo chiamò, scuotendolo con delicatezza estrema per un braccio, ossessionato dalla paura di poter spezzare l’ultimo, fragile meccanismo che lo teneva in vita. – Gee, sono io, sono Frank… stai tranquillo, adesso sono qui, è finita… Gee…

Fu in quel momento che, con l’ennesima contrazione, Gerard si voltò fino a ritrovarsi supino e allargò le braccia sul pavimento, scoprendosi il volto di scatto.

A quella visione Frank saltò di nuovo in piedi, trattenne a stento un urlo e si tirò indietro boccheggiando finché la parete di fondo non bloccò la sua fuga, costringendolo ad affrontare la ben misera realtà.

Non erano stati i lividi nerastri che costellavano il volto di Gerard a spaventarlo, e neppure le stille di sangue raggrumato sulle guance, ma piuttosto l’origine di quel sangue. Korse aveva voluto punirlo privandolo di uno dei doni più preziosi che siano mai stati concessi a una creatura indegna come l’uomo.

Gli occhi verdi e dorati, gli occhi che Frank si era sentito addosso talmente tante volte che era riuscito a smettere di arrossire a ogni singolo sguardo, non c’erano più; al loro posto Frank non riusciva a distinguere altro che sangue e male, un dolore inimmaginabile le cui agghiaccianti conseguenze si riassumevano sul viso deturpato di Gerard.

- Frank… - ansò a un tratto il ragazzo con un fil di voce, spostando le mani lungo il pavimento in una disperata ricerca di calore umano. – Frank, parla ancora, ti prego. Io… io non riesco a vederti.

Ingoiata l’angoscia a occhi serrati, Frank si affrettò a tornare accanto a lui. Con una mano strinse la sua, imbrattata di sangue, mentre allungò l’altra ad accarezzargli una guancia.

- Cosa ti hanno fatto, Gee? Oh mio Dio…

- Frank… non avresti dovuto venire… se si accorgono che sei qui… Korse… ti prego, scappa…

- Stai tranquillo, non sono venuto da solo: Jenny mi copre le spalle. In quanto a Korse, credo che per un po’ avrà problemi a reggersi in piedi, nell’eventualità che riesca a rialzarsi.

Mentre cercava di rasserenarlo, scrutò le sue ferite all’altezza degli occhi e notò che erano parzialmente cicatrizzate, perciò si sentiva di supporre che Korse avesse ordinato di medicarlo quel poco che gli avrebbe permesso di continuare a respirare – e quindi di poter essere nuovamente interrogato sotto tortura. Sottoposto a un supplizio così disumano, Gerard aveva forse rivelato informazioni rilevanti in merito ai movimenti dei ribelli?

Frank allontanò quei dubbi, che se erano legittimi erano anche inadeguati al momento, e si fece forza, conscio del fatto che ogni secondo di esitazione poteva costare la vita a Jenny, quindi infilò un braccio sotto le ascelle di Gerard e lo aiutò a tirarsi in piedi nonostante i suoi gemiti.

- Mi dispiace, - sussurrò, - ma dobbiamo muoverci, Gee.

- Sono solo un peso – tentò di opporsi Gerard, compiendo i primi passi fuori dalla cella solo grazie al sostegno del più piccolo. – Lasciami qui…

- Piantala di lagnarti! – lo ammonì allora Frank, e raccolse tutte le proprie energie per accelerare nonostante il peso del compagno gravasse quasi totalmente su di lui. – Sono venuto qui per salvarti e non se ne parla di lasciarti di nuovo nelle loro mani. Fidati di me, Gee, ne usciremo vivi. Ora dobbiamo solo trovare Mikey e poi…

- Mikey è morto – lo interruppe l’altro, con uno sforzo immane. – Korse gli ha sparato. L’ho visto.

Frank sentì morire una parte di se stesso, la stessa che aveva già abbandonato l’anima di Gerard, ed ebbe voglia di collassare a terra e bestemmiare al cielo. Ma non c’era tempo.

Scavalcarono il corpo di Korse e percorsero il corridoio fino a raggiungere la porta imbottita, dietro alla quale trovarono Jenny, che, sudata quanto stremata dal combattimento a fuoco, aveva appena teso la mano per abbassare la maniglia quando se li trovò di fronte e le mancarono le parole.

Frank si aspettava di sentirla strillare o almeno che non riuscisse a trattenersi dall’esclamare qualcosa alla vista delle condizioni di Gerard, ma la ragazza diede solo una rapida occhiata clinica al sangue rappreso per poi rivolgersi al più giovane, cupa come quando aveva raccontato la storia del suo amore perduto: - Ti stavo venendo a cercare. Li ho fatti fuori tutti, ma credo che uno di loro abbia fatto in tempo a dare l’allarme alla sede centrale. In cinque minuti sommergeranno questo posto, perciò faremo meglio a darci una mossa.

Frank annuì e continuò a incitare Gerard perché resistesse e si facesse forza mentre scendevano le scale, attraversavano l’atrio ingombro dei corpi senza vita dei draculoidi abbattuti da Jenny – la quale da parte sua non aveva riportato la minima ferita – e varcavano le porte fracassate per raggiungere il furgone.

Il corpo di Gerard sembrava farsi sempre più pesante, mentre le sue reazioni alle parole di Frank divenivano sempre più rare e insensate.

Jenny sfiorò la spalla di Frank: - Sali dietro assieme a lui e assicurati che non subisca altri urti.

Il ragazzo assentì, spalancò la portiera scorrevole del retro del furgone e fece un ultimo sforzo per permettere a Gerard di sdraiarsi sui sedili precedentemente abbassati. Si accovacciò vicino a lui e gli strinse le mani gelide, pallide quanto il suo viso era pieno di contusioni: - Ci siamo, Gee. È tutto finito, tutto finito.

Jenny salì con un balzo e mise in moto.

- Un medico – biascicò a mezza voce Frank, scivolando con lo sguardo lungo il corpo semi-incosciente del compagno. – Gli serve un medico, Jenny.

Lei operò un’inversione totale del mezzo e non dimostrò alcuna pietà nei confronti dell’acceleratore, così si ritrovarono a sfrecciare lungo le strade perfettamente lineari di Battery City.

- Lo portiamo da Show Pony. Lui saprà cosa fare – replicò la ragazza.

- È un dottore?

- La vita da guastafeste lo ha costretto a diventarlo. Non ha titoli di studio, ma posso assicurarti…

- Non ce n’è bisogno, mi fido di lui. Gerard si è sempre fidato – la bloccò Frank, e con la coda dell’occhio notò il sorriso che si andava delineando sulle labbra di Jenny.

- Frank – si sentì chiamare. I loro sguardi s’incontrarono nello specchietto retrovisore, e quello di Jenny ebbe il potere di scaldare il cuore del giovane. – Starà bene. È arrivato fin qui. Starà bene.

Frank si costrinse a rispondere con un sorriso, ma risultò un’impresa ardua tanto quanto lo sarebbe stata scoppiare a ridere dopo aver ricevuto un cazzotto nello stomaco. Anche se aveva strappato Gerard dagli artigli di Korse, non riusciva a provare sollievo.

Non riusciva a smettere di pensare che se fosse arrivato prima, a quell’ora avrebbe potuto specchiarsi negli occhi del compagno, accogliere il suo sguardo come la più dolce fra le liberazioni, e non temere per la sua vita.

Non riusciva a impedire al senso di colpa di comprimergli il cuore in una morsa soffocante che lo faceva sanguinare.

Frank Iero – proprio lui – non riusciva a piangere.


 


[1] Da S/C/A/R/E/C/R/O/W, My Chemical Romance

 

   
 
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