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Autore: Meggie    10/02/2011    6 recensioni
Non fu amore a prima vista, non fu perfetto e non fu facile. Ma sì, fu comunque amore. (Kurt/Blaine)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LET YOUR COLORS BURST


Capitolo uno

Non fu amore a prima vista.
Di questo ne erano entrambi certi.
E non fu nemmeno così facile, nonostante l’ostinazione di Mercedes nell’affermare che fosse scritto nel destino, o qualcos’altro di così diabetico che anche per Kurt risultava essere troppo gay. E voleva dire parecchio.
Però, se c’era una cosa che Kurt aveva imparato dal professor  – oltre ai suoi terribili abbinamenti scarpe-pantaloni -, era il fatto che a volte il viaggio poteva essere entusiasmante. Non facile – decisamente no – o privo di salite, ma alla fine ne valeva comunque la pena.
Kurt poteva avere dubbi su molte cose, tranne una: ne era valsa decisamente la pena.

*

Non fu amore a prima vista.
Non sul serio.
Anche perché, in effetti, Kurt non era assolutamente lì per cercare l’amore. Piuttosto per capire se ci fosse una qualche speranza, per lui, di vivere in un mondo in cui non doveva costantemente temere di essere sbattuto contro un armadietto. O inondato di granita fosforescente. 
Kurt quella speranza l’aveva trovata e ne era rimasto affascinato.
Ma aveva trovato anche Blaine.
L’aveva incontrato letteralmente sul suo cammino, quasi per sbaglio. Lui, di certo, non l’aveva programmato. Non aveva programmato un sacco di cose, ma tra tutte, quella fu la più inaspettata, e anche la più piacevole.
Quando era arrivato alla Dalton, ripetendosi che era lì per spiare i Warblers e non di certo per vedere come fosse la scuola -figuriamoci- in realtà era rimasto incantato da tutto quanto. Dall’ingresso, dalle enormi scalinate, da quelle orride divise che conferivano a tutti gli studenti l’aspetto di piccoli maghi fuggiti da Hogwarts per rifugiarsi in Ohio.
Non era il McKinley quello. Decisamente no.
Kurt aveva cercato di essere il più invisibile possibile, cosa per cui falliva costantemente a scuola. E anche lì non andò tanto meglio.
O forse sì. Perché anche se sul suo viso aveva stampato a caratteri cubitali “Non sono di questo posto, lo so”, nessuno lo spedì fuori da quella scuola a calci. Anzi. Sul suo cammino, letteralmente, trovò Blaine.
Trovò il primo ragazzo che non si preoccupò di toccarlo in pubblico. E non per spingerlo contro un armadietto, ma per trascinarselo dietro Dio solo sapeva dove. Non aveva importanza, comunque. Kurt non ci pensò neppure ad opporre resistenza. L’aveva sentito blaterare sui Warblers e su delle prove e la sala dei Seniors e poi aveva iniziato a correre, mentre quel ragazzo gli stringeva il polso come se fosse normale.
Beh, forse lo era, ma non per lui, non per Kurt.
Non fu amore a prima vista, ma per la prima volta Kurt si sentì bene.
E quando vide Blaine avvicinarsi al gruppo dei Warblers e iniziare a cantare – a cantare TeenageDream guardandolo così tante volte che Kurt ebbe l’impressione che, beh, stesse cantando proprio a lui. Che sciocchezza. No? -, sorrise.
Non sapeva da quanto tempo non sorrideva in quel modo, non sapeva da quanto non si sentisse, non felice, quello sarebbe stato troppo, ma almeno sereno.
E osservava come tutti quei ragazzi fossero così presi da quel coro, come tutti cantassero con loro e saltassero sul posto. Neppure fosse stato un concerto. Erano come rockstar.
Kurt aveva continuato a sorridere e ad osservare Blaine che trascinava tutti quei ragazzi. Aveva stretto con più forza la sua borsa alla spalla e aveva espresso un desiderio.
Voleva tutto quello. Lo voleva disperatamente.
Ma quello non era il McKinley e l’incantesimo fu spazzato via nel momento in cui la canzone finì.
Kurt non aspettò di salutare Blaine o di complimentarsi con gli altri. Aveva visto abbastanza.
Uscì da quella stanza e prese a camminare velocemente verso una probabile uscita. Si perse due volte prima di riuscirci, ma alla fine raggiunse il parcheggio.
Le nocche della sua mano erano bianche da tanto stringeva la cinta della sua borsa. E il sorriso sulle sue labbra se n’era ormai andato.
Era andata meglio del previsto.
O peggio.
Kurt non riuscì veramente a capirlo se non fino alla seconda volta in cui vi tornò.
In ogni caso, non fu amore a prima vista.
Kurt ne era sciuro.

*

Kurt passò la giornata successiva a ripensare ai Warblers.
Non aveva detto a nessuno dei suoi compagni, neppure a Mercedes, della sua gita alla Dalton.
E non disse niente neppure quando ci tornò il giorno dopo.
Non sapeva bene il perché.
Non sapeva bene neppure perché ci fosse tornato, dopo due giorni. Non c’era motivo ed era rischioso e Kurt lo sapeva, ma…
Quando rivide l’entrata della Dalton non riuscì a preoccuparsi della possibilità di essere scoperto. Non gliene importava. 
Forse l’ultima volta che Karofsky l’aveva spinto contro gli armadietti aveva sbattuto la testa. Forse l’aveva sbattuta troppo forte e aveva iniziato a valutare che le manie suicide non erano poi tanto male. Kurt non lo sapeva, l’unica certezza era che si trovava di nuovo lì, a vagare per i corridoi della Dalton cercando di non essere notato.
Il problema, e lui lo sapeva, era che non ci sarebbe mai riuscito, probabilmente. Sapeva di essere l’opposto dell’invisibilità. E, beh, Kurt era anche abbastanza onesto con se stesso per ammettere tranquillamente che faceva di tutto per non essere invisibile. Anche quando tutto quello significava proporsi come bersaglio preferito di Karofsky e Azimio. Kurt era troppo fiero di se stesso per permettersi di cambiare per qualcuno.
Così, non fu assolutamente sorpreso quando in mezzo all’ammasso di studenti che si riversava per i corridoi per andare a pranzare, venne fermato da una mano e da un sorriso.
Blaine.
“Hey! Uh, Kurt, giusto?”
Kurt gli sorrise, cercando di non pensare alla mano di Blaine ancora sul suo braccio. Era la seconda volta che quel ragazzo lo toccava come se nulla fosse. Kurt decise che era una bella sensazione. Strana, ma piacevole. Avrebbe potuto abituarcisi.
Kurt osservò i ragazzi nel corridoio dirigersi tutti dalla stessa parte. Rimase in silenzio fino a quando non ci fu quasi più nessuno. A parte Blaine, ovviamente, che lo guardava con la testa leggermente inclinata e lo sguardo di chi cercava di capire cosa gli stesse passando per la testa. Kurt avrebbe tanto voluto saperlo lui per primo.
“Uhm, io…” iniziò a dire, prima di accorgersi di un altro paio di ragazzi fermi nel corridoio che guardavano nella loro direzione, forse aspettando Blaine. Decise che non importava, che poteva rischiare che anche loro sapessero, non sembravano particolarmente minacciosi. “… devo dirti una cosa.”

*

Kurt doveva ammettere che si sentiva leggermente in soggezione. E in imbarazzo.
Non importava che fosse stato lui a rivelare di non essere veramente uno studente della Dalton, e d’altra parte non importava neppure che, come aveva sottolineato David, l’avessero già capito. Si sentiva stupido. Stupido per essere tornato quando avrebbe potuto facilmente far dimenticare la sua presenza in quella scuola fino alle provinciali. Stupido per essersi attaccato a quella minima speranza che aveva intravisto due gironi prima. Stupido per aver pensato a Blaine perché era solo un ragazzo che gli aveva afferrato un polso, seriamente, non poteva pensare a lui, no?
Però era lì. Davanti a sé Blaine lo guardava ancora come se volesse leggergli dentro qualcosa che neppure lui conosceva bene, mentre Wes e David, i due ragazzi che aveva notato in corridoio, lo osservavano divertiti.
“Sei talmente pessimo come spia che ci hai quasi fatto tenerezza.”
Kurt sorrise leggermente alle parole di David. Almeno non rischiava di essere lanciato in un cassonetto. Erano progressi.
Ma Blaine, Blaine aveva capito subito. Aveva capito ancora prima che lui riuscisse ad ammetterlo a se stesso che non era lì veramente per i Warblers. Se così fosse stato, non avrebbe avuto motivo di tornare una seconda volta. Kurt lo sapeva. Ma si sentiva così patetico, così stupido ad aggrapparsi a qualcosa che non aveva e che non poteva avere ma che nonostante tutto gli infondeva speranza. Non riusciva ad ammetterlo a se stesso, non riusciva a ripeterselo senza fare una smorfia. Ma Blaine l’aveva capito, aveva afferrato quel pensiero ancora prima che lui riuscisse veramente a formularlo nella sua testa. L’aveva stretto nella sua mano e l’aveva protetto dagli altri.
E Kurt lo aveva mentalmente ringraziato quando aveva chiesto a David e Wes di lasciarli da soli.
Kurt l’aveva trovato un gesto gentile nei suoi confronti. Parlare dei suoi problemi a scuola, problemi riassumibili con “Sono l’unico ragazzo apertamente gay”, non era facile. Ma Blaine l’aveva messo a proprio agio e gli aveva fatto capire che non era da solo. Che non era l’unico e che la sua vita non doveva essere all’insegna della disperazione solo perché, beh, era capitato che gli piacessero i ragazzi.
Kurt si era sentito capito, capito veramente, per la prima volta nella sua vita.
Non era solo.
Blaine gli aveva detto “Coraggio” e lui si era sentito le lacrime pizzicare gli angoli degli occhi. Perché era ciò che si ripeteva sempre, ma quando era un altro, quando era un’altra persona a dirglielo, era meglio. Erano in due a crederci adesso.
Non era solo.
Blaine gli aveva mostrato che esistevano ragazzi, ragazzi normali, che non avevano paura di essere contagiati da una malattia, che malattia non era, che era una normalità solo un po’ diversa. Perché lì alla Dalton erano tutti uguali, non importava l’essere gay, non importava essere differente.
Kurt ne era rimasto abbagliato e si era sentito meno solo e meno abbandonato a se stesso. Per quanto al McKinley ci fossero persone che gli volevano bene e che lo sostenevano, nessuno avrebbe mai potuto capire sul serio. Perché nessuno era come lui. Blaine sì. Blaine poteva capirlo perché c’era già passato, ma ne era uscito e ora era lì, davanti a lui, e tutti – tutti! – in quella scuola sembravano adorarlo ed era come una rockstar e…
Kurt gli sorrise.
Non fu amore a prima vista. Kurt non era così stupido da ricascarci per l’ennesima volta.
Però fu abbastanza stupido da prendere Blaine e posizionarlo su un piedistallo. Fu più forte di lui.
E inizialmente non si rese assolutamente conto dello sbaglio.
Blaine era perfetto per stare lassù e dispensare consigli.
E Kurt, Kurt voleva solo ascoltarlo.
Ne era profondamente convinto.
Non c’era nulla di sbagliato.

*

Kurt non riuscì più a tenere Blaine e la sua fuga alla Dalton un segreto. Raccontò tutto a Mercedes. Di come fosse andato lì per spiare i Warblers, di come avesse scoperto venissero trattati, di come avesse conosciuto Blaine. Le raccontò di lui e dei messaggi che ogni tanto gli mandava – e grazie al cielo Blaine gli aveva dato il suo numero in caso avesse bisogno di sostegno. O semplicemente parlare – e di come, beh, fosse gay anche lui e “non era tutto fantastico?”
Mercedes lo aveva ascoltato e aveva sorriso – e forse si era anche annoiata un pochino, ma Kurt non poteva farci niente -, e aveva detto che magari avrebbe potuto farglielo conoscere. E in quel momento Kurt si era reso conto di non essere neppure sicuro che l’avrebbe rivisto. Almeno, non prima delle provinciali.
In realtà aveva evitato di pensarci perché pensarci avrebbe voluto dire ammettere di non avere un vero motivo per rivederlo. E tra la Dalton e Lima c’erano due ore di strada. Quattro, se si considerava il ritorno. Quattro ore.
(E lui aveva percorso quattro ore di strada in tre giorni, solo per rivederlo. Era l’emblema della pateticità. Avrebbe potuto vincere un premio, per quello.)
E nonostante Blaine non facesse che scrivergli cose che lo facevano sorridere per interi minuti dopo averle lette – e, seriamente, a volte si sentiva un po’ stupido a sorridere per un banalissimo “Come va?” – non sapeva se potevano considerarsi veramente amici.
Probabilmente no.
E se non erano amici perché uno di loro due avrebbe dovuto passare delle ore in macchina e attraversare l’Ohio per vedersi?
A conti fatti, probabilmente Kurt avrebbe preferito non avere una risposta a quella domanda.

*

Quando Karofsky l’aveva baciato si era sentito nuovamente perso e distrutto e solo. Si era fatto scivolare a terra, con la schiena contro gli armadietti, in quell’orribile e puzzolente spogliatoio, mentre cercava di capire cosa fosse appena successo.
Karofsky l’aveva baciato.
Era rimasto con lo sguardo fisso nel vuoto per un tempo inestimabile. Due minuti, o un’ora intera. Kurt non lo sapeva. Si era sentito più solo che mai lì, nascosto in un angolo di quegli spogliatoi, mentre il resto del mondo, completamente ignaro, andava avanti con la sua vita oltre quella porta.
Le lacrime gli erano uscite da sole. Non troppe perché, Dio, si sentiva un idiota a piangere per Karofsky e per qualcosa di così stupido come un bacio e-
Però qualcuna era uscita comunque.
Le aveva asciugate col dorso della mano, tirando su col naso e decidendo che doveva uscire da lì, che non poteva rischiare di farsi trovare dagli altri giocatori. Proprio no.
Aveva oltrepassato la porta a testa bassa e aveva percorso tutto il corridoio evitando gli sguardi di tutti, sperando non notassero le guance umide di lacrime o l’espressione sconvolta sul suo viso. Aveva afferrato di corsa la sua borsa e si era diretto verso i bagni con passo spedito.
Si era infilato in quello dei maschi perché per quel giorno ne aveva avuto abbastanza. Non importava il fatto che non si sentisse neppure a proprio agio in quel bagno. Era solo uno stramaledetto gabinetto, poteva passarci sopra per una volta. Una soltanto.
Era entrato in un cubicolo, l’aveva chiuso a chiave e si era seduto sulla tavoletta abbassata del water.
Poi, senza neppure pensarci – era stanco di farlo e gli faceva male la gola per tutte le lacrime che stava ingoiando e gli occhi gli bruciavano terribilmente, e non gliene fregava neppure niente di come stava trattando i suoi vestiti quel giorno – afferrò il cellulare e chiamò Blaine.
Blaine rispose dopo qualche squillo di troppo, tanto che Kurt pensò anche di mettere giù, ma rispose.
E non appena sentì la sua voce, si lasciò completamente andare.
Non si sentiva più così solo.

*

Kurt non raccontò niente a Mercedes.
Non gli piaceva tenerle dei segreti e non era neppure particolarmente bravo perché poi iniziava a sentirsi in colpa e alla fine le spiattellava comunque tutto. Il periodo di segretezza di Blaine era durato qualcosa come poco più di due giorni.
Ma questa volta non le disse niente.
Non sapeva perché. Non è che si sentisse in imbarazzo – beh, forse un po’ sì. Un po’ tanto. Ma non era quello il punto. Il punto forse era che si trattava di qualcosa che andava oltre lui e basta. C’entrava anche Karofsky. E per quanto lo ritenesse orribile, Kurt non era come lui. Non sarebbe andato in giro a raccontare a tutti ciò che sapeva.
Non l’avrebbe fatto perché sapeva quanto fosse difficile e frustrante e spaventoso e… no. Kurt sapeva di non essere una persona perfetta, ma non aveva intenzione di mettere Karofsky alla mercé di tutti. Nonostante tutto quello che aveva passato – e passato. Non era passato proprio un bel niente. Non era cambiato nulla – non avrebbe augurato a nessuno il suo stesso trattamento.
Neppure a Karofsky.
Quindi non l’aveva raccontato a Mercedes. 
L’aveva raccontato a Blaine, però, e l’aveva considerato abbastanza. L’aveva raccontato a lui perché era sicuro che Blaine avrebbe saputo cosa fare. Era lui che gli aveva detto “Coraggio”, era lui che gli aveva detto di essere forte, era lui che c’era già passato. Kurt pensava che Blaine potesse dargli tutte le risposte che cercava.
Forse non era così, ma a Kurt non importava.
Fino a quel momento Blaine aveva dimostrato di averle davvero, le risposte che cercava. Aveva dimostrato di essere interessato in lui e nella sua disastrosa vita sociale al McKinley.
Aveva dimostrato di essere interessato a lui, e tanto bastava.
E poi gli aveva detto di aspettarlo per il giorno dopo. Che sarebbe venuto a parlare con Karofsky, che non doveva avere paura, ci avrebbe pensato lui.
Coraggio
“Non devi. Non sei obbligato” e la sua voce diceva l’opposto delle sue parole, lo sapeva.
Kurt se lo immaginò sorridere. E non riuscì ad impedirsi di sorridere anche lui. Nonostante sulle guance avesse ancora il segno delle lacrime, nonostante si sentisse ancora malissimo. Blaine riusciva a rassicurarlo. Kurt non si era mai sentito così calmo con nessun ragazzo.
“Non vengo perché sono obbligato, Kurt, ma perché voglio. Non sei da solo, ok?”
Kurt sospirò, mordendosi il labbro inferiore che aveva iniziato a tremare. Sentiva le lacrime bruciargli gli occhi, ma sapeva che non avrebbe pianto.
Basta, Kurt, basta.
“Grazie Blaine” mormorò con voce tremula, mentre con gli occhi fissi davanti a sé vedeva come la vista gli si appannasse. Sbatté le palpebre un paio di volte e prese due respiri profondi, prima di ripetere, con voce più ferma, “Grazie”
Altre persone gli avevano fatto capire di essergli vicino. Altre persone gli volevano bene.
In quel momento, però, lo sentì sul serio. Lo sentì nel petto e fu una sensazione bellissima.
Non sei solo.
Non lo era, e forse non lo era mai stato neppure in passato, ma fu solo in quel momento che riuscì ad esserne convinto. 

*

Non fu amore a prima vista.
La prima volta che Kurt vide Blaine fu colpito più dall’insieme della Dalton e dai Warblers e dall’entusiasmo di tutti e, sì, forse anche dalla voce di Blaine e da come gli sorrideva, ma non fu amore a prima vista.
Questo perché Kurt sentì il suo cuore perdere un battito solo nell’esatto momento in cui lo guardò scendere le scale dopo che si era offerto di pagargli il pranzo. Dopo che Kurt gli aveva raccontato di come, quello con Karofsky, fosse il suo primo vero bacio. Un bacio che contasse, almeno. E i baci che contavano erano quelli con i ragazzi, non quelli dati a Brittany per far felice suo padre. Dopo che Blaine aveva affrontato Karofsky cercando di parlargli e di rassicurarlo e di fargli sapere che era normale essere confusi o spaventati. Ma che non era solo.
Dopo tutto quello, Kurt l’aveva guardato per un secondo, mentre Blaine, davanti a lui, scendeva le scale, e aveva pensato che avrebbe potuto facilmente innamorarsi di lui. Che le cose che si ripeteva nella testa, che era un amico – forse addirittura meno –, che non doveva comportarsi come aveva fatto con Finn, che sarebbe finita male, come sempre, non erano abbastanza.
E non avevano funzionato molto bene.
Quando, seduti sugli scalini, Blaine l’aveva guardato, Kurt aveva sperato per un istante di essere baciato da lui. Lì, sugli scalini della scuola dove tutti avrebbero potuto vederli. Lì in mezzo agli studenti, in mezzo a quelli che lo tormentavano, in mezzo a tutti.
Blaine, ovviamente, non l’aveva fatto, ma Kurt si era reso conto di ciò che aveva pensato. Di ciò che significava.
E quando l’aveva guardato, mentre iniziava a scendere le scale, aveva provato qualcosa.
Non fu amore a prima vista, perché quella era la terza volta che Kurt lo vedeva. E poi, amore era una parola grossa. Impegnativa. Forse… forse gli piaceva. Sì. Di sicuro.
Di sicuro.
Ma in ogni caso, Kurt non gli diede importanza.
Era fortunato ad avere Blaine come amico, non avrebbe rischiato di rovinare tutto. L’aveva già fatto in passato, mettersi in ridicolo perché aveva inseguito qualche assurda fantasia sentimentale. Non l’avrebbe più fatto.
Avrebbe fatto finta di niente. Aveva anche già abbastanza casini nella sua vita, senza doverci aggiungere una cotta per un ragazzo di un’altra scuola.
Che aveva visto tre volte.
Quando Blaine si girò sorridendogli, per sapere dove dovesse dirigersi per andare alla mensa, Kurt si inumidì le labbra e rispose al sorriso, prima di fargli strada.
Comunque, non era più così triste.

*

Fu in quell’occasione che Kurt presentò Blaine a Mercedes.
Non l’aveva programmato, ma non aveva potuto far finta di nulla quando Mercedes, con un vassoio in mano, aveva guardato attentamente Blaine, prima di spostare lo sguardo su di lui. Cos’avrebbe potuto dirle? Era chiaro che, beh, quello fosse Blaine.
Aveva una cavolo di divisa addosso. Non passava inosservato. Forse alla Dalton, ma non al McKinley.
Quindi aveva dovuto fare le dovute presentazioni. E sorbirsi le occhiatine consapevoli – che poi, consapevoli di cosa? – da parte di Mercedes. E il sorriso di Blaine, ovviamente. E Mercedes che, nuovamente, squadrava Blaine dalla testa ai piedi, forse alla ricerca di qualche difetto.
E alla fine era arrivata la domanda.
Kurt non era stupido, e la stava aspettando. Solo che quando Mercedes, con la cannuccia della Coca Cola tra le labbra e gli occhi fissi su di lui, gli chiese perché Blaine fosse lì, beh, non riuscì ad inventarsi qualcosa.
“Wicked!”
Kurt si girò di scatto verso Blaine, sgranando gli occhi. “Wicked?” ripeté titubante.
“Sì!” proseguì l’altro, stirando le labbra in un sorriso mentre si girava verso Mercedes, “Devi sapere che anch’io sono un grande fan di Wicked e sono riuscito a… a… beh, sono riuscito ad avere questa… copia. Questo DVD, sì. Ed è… ed è praticamente introvabile e sapevo che Kurt non l’aveva e sono dovuto venire qui di corsa. Letteralmente. A portarglielo. Sì.”
Kurt aggrottò le sopracciglia, guardando con la coda dell’occhio la reazione di Mercedes. Non sembrava particolarmente convinta – d’altra parte doveva ammettere che Blaine non era stato particolarmente convincente. E sperò che Mercedes non fosse a conoscenza del fatto che non esistesse proprio, un DVD di Wicked -, ma non disse nulla.
Rilasciò un sospiro di sollievo e sorrise a Blaine, che ricambiò non appena spostò lo sguardo su di lui.
Quando abbassò gli occhi sul pranzo del giorno – pranzo che aveva pagato Blaine. E nessun ragazzo gli aveva mai offerto niente. E non importava che fossero alla mensa scolastica, ok? Non importava proprio – sperò di non dover sottostare al terzo grado di Mercedes, una volta che Blaine se ne fosse andato.
Ma gli bastò una rapida occhiata verso la sua migliore amica per sapere che no, non se la sarebbe cavata così.
Grandioso.

*

Dopo quel giorno, Blaine aveva iniziato a telefonargli. E Kurt aveva iniziato a raccontargli tutto ciò che gli passava per la testa. Anche le cose più imbarazzanti.
Ma sentire la risata di Blaine dall’altro capo del telefono lo faceva sorridere. E gli faceva dimenticare le battutine stupide che buttava fuori senza pensarci.
Era bello avere qualcuno come Blaine con cui parlare. Era bello e a Kurt ogni tanto, quando Blaine gli diceva qualcosa di gentile o rideva appassionatamente, batteva il cuore un po’ più forte. Aveva una cotta proprio stupida, ma non era nulla di ingestibile.
E poi valeva la pena sopportare quei… sintomi, se voleva dire averlo nella sua vita.
Kurt non ne era sicuro, ma pensava che a quel punto potevano considerarsi amici. E nonostante la sua cotta irrazionale – irrazionale, poi. Blaine era perfetto. E lo capiva completamente. E aveva il suo senso dell’umorismo e non c’era nessuno ad avere il suo senso dell’umorismo. Neppure Mercedes, probabilmente – non provava alcun senso di malessere per quella parola.
Non voleva niente di più.
Era già abbastanza grato che in quel momento della sua vita Blaine fosse capitato sul suo cammino. Non osava sperare in altro. Si sarebbe accontentato di averlo come amico. Di avere accanto qualcuno come lui, che potesse capirlo, e confortarlo, e aiutarlo ed essere se stesso senza aver paura che Kurt potesse contagiarlo come una malattia infettiva.
“Allora, che ne dici?”
Kurt osservò il soffitto della sua camera dal letto su cui era sdraiato, stringendo tra le dita il cellulare e cercando di non sorridere come un idiota. E stava fallendo miseramente su quest’ultimo punto.
Ma non era colpa sua. Blaine l’aveva invitato a vedere RENT. E, beh, d’accordo l’essere amici, ma su certe cose, lì, al sicuro nella sua stanza, non poteva farci nulla. Lì, dove nessuno poteva vederlo, dove, soprattutto, non poteva vederlo Blaine, poteva lasciarsi andare.
“Dico che sono curioso di vedere come il tuo guardaroba abbia risentito della clausura forzata a causa delle divise della Dalton” rispose alla fine, cercando di non far trapelare troppo l’eccitazione nella sua voce.
Blaine scoppiò a ridere. “Vediamo se riuscirò a stupirti”
“Ok. Adesso ho paura” ridacchiò, girandosi su un fianco e cercando di non parlare troppo ad alta voce. Non voleva che suo padre lo sentisse. Aveva solo accennato vagamente di Blaine, soffermandosi più sul fatto che era andato a spiare i Warblers che non che avesse conosciuto un ragazzo.
Avrebbe dovuto dirglielo, però, dato che aveva appena accettato di uscire con lui.
Come un appuntamento.
Da amici, però. Amici.
Suo padre non avrebbe avuto da ridire e oh, andiamo, erano solo amici.
Due amici che sarebbero andati a vedere RENT.
Quando Blaine gli diede la buonanotte, Kurt si limitò a sorridere, come se l’altro potesse vederlo, e a chiudere la conversazione.
Solo pochi giorni prima era convinto che la sua vita avrebbe fatto schifo. Solo pochi giorni prima Blaine non faceva neppure parte della sua vita. E c’erano solo le spinte contro gli armadietti e i nomignoli e le prese in giro e quella sensazione di essere solo, sempre e comunque solo, ovunque si trovasse.
Adesso c’era un bacio di troppo, oltre alle spinte e agli insulti e alle prese in giro, ma c’era anche qualcosa che gli faceva dimenticare tutto quello.
Solo amici. Ma non importava.
Non fu affatto amore a prima vista, e all’inizio fu solo una cotta. Kurt ne era sicuro.
Solo che poi iniziò a diventare altro. Blaine divenne di più e per Kurt divenne quasi troppo, quasi troppo per lui. Anche solo come amici.
In quel periodo ancora non sapeva quanto avesse torto. Non sapeva un mucchio di cose e si convinceva di certe altre solo per poter essere tranquillo, per stringere un po’ di quella tranquillità che Blaine gli aveva regalato.
Prima di appoggiare il telefono sul comodino, gli arrivò un messaggio e Kurt non ne fu affatto sorpreso.
From Blaine:
Buonanotte :)
Si addormentò col sorriso sulle labbra.
In quel periodo non sapeva un sacco di cose che pensava di conoscere, ma non gli importava. Se le faceva bastare.

NOTE: Ed eccoci qui con la prima parte di quella che è ormai diventata un’epopea.
Allora, questa storia nasce nel momento in cui vedo Special Education e decido che sarebbe bello vedere tutto quell’episodio con gli occhi di Kurt. Doveva essere una riflessione su Blaine da parte di Kurt. Doveva essere breve. Poi si è allungata sempre di più e ha iniziato a lievitare come una torta. Il risultato è che 1) non è più una one shot; 2) per adesso conta 25 pagine. E non è ancora finita, anzi. Questa storia copre il periodo che va dalla puntata 2x06 alla 2x12 circa.
Per chiarire, per me la Dalton è un collegio, quindi rimangono lì a dormire. Questo lo specifico perché Ryan Murphy e soci è evidente non hanno idea della distanza Lima-Westerville. Che sono due ore. A quanto pare secondo loro Kurt e Blaine si potrebbero fare 4 ore di strada per un caffè (ogni riferimento alla 2x12 è assolutamente voluto). Insomma, io Googlemaps lo so usare, ok? XD Quindi ho cercato di sopperire alla loro mancanza di ricerche con le teorie che sono uscite nella mia t-list e in community americane. Comunque, la Dalton è un collegio. Fino a quando uno di RIB non mi dirà testualmente il contrario, rimarrò così (e nel momento in cui smentiranno questa cosa li ucciderò. Con la loro mancanza di ricerca mi faranno uscire fuori di testa, lo so).
Ultima cosa: il titolo è preso da Firework di Katy Perry. Titolo deciso prima che uscisse fuori la notizia che sarebbe stata inserita in un episodio. Sono una veggente, è chiaro.
E poi devo assolutamente ringraziare Misako93 che si è betata tutto <3 Grazie grazie grazie ;O; 
   
 
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