Anime & Manga > Saint Seiya
Ricorda la storia  |      
Autore: titania76    12/02/2011    5 recensioni
[Pre-Sanctuary]
Aveva dunque dismesso i panni del Santo Cavaliere di Atena per vestire quelli più scomodi e gravosi del Sommo Pontefice, aveva lasciato la prima casa, la casa del Montone Bianco, quella stessa casa che aveva avuto l'onore e l'onere di presidiare nella sua giovinezza per occupare ora la tredicesima, il grande tempio del Pontefice, la voce terrena della Dea Atena.
Seguito di "Speranza"
[Versione revisionata, corretta e ampliata]
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Shion, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L'amaro prezzo della devozione'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





Erano passati quasi dieci anni da quando Shion era ritornato in Grecia e ripreso il posto di guida del Santuario della Dèa Atena, portando con sé quella bambina a cui aveva dato il nome di Kira. Un nome di origine giapponese, la cui lingua aveva avuto modo di apprendere in occasione del suo viaggio in Giappone, pochi anni prima del suo ritorno in Italia. Il sol levante era un paese totalmente chiuso alle influenze del mondo al di fuori dei suoi confini e perlopiù inospitale verso gli stranieri. Aveva dunque scelto quel nome esotico perché nella sua desinenza verbale significava “brillare”, come le stelle che brillano nel silente cielo notturno e per commemorare l’evento della nascita della piccola, che aveva illuminato la sua vita.

Era durato qualche mese, quel viaggio di ritorno, costellato di deviazioni e soste per evitare le zone nelle quali vi erano conflitti e per assecondare il volere delle stelle, perenne guida per il cammino di Shion, che gli indicavano dove volgere lo sguardo. Ed in quel tempo che aveva passato con lei, che stesse percorrendo lunghe distanze per mare o corresse in lungo e in largo per i paesi europei su qualche treno, Shion si stava affezionando velocemente a quella creaturina. Al suo rientro nelle terre sacre alla Dèa, conscio di non potersene prendere cura come un genitore normale, Shion aveva provato ad affidarla alle cure di una donna di Rodorio, una persona di assoluta fiducia che per anni aveva servito come decana delle ancelle del Grande Tempio, casa del Grande Sacerdote di Atena, posto sulla sommità del monte sacro dal quale troneggiava su tutti i territori del Santuario. Alla fine però, non era riuscito a separarsene e pochi giorni dopo, l’aveva fatta condurre all’interno delle sacre mura, alla sua presenza, ed affidata in seguito alla giovane ancella Iphigenia.
Shion sapeva bene che quello non sarebbe stato il luogo idoneo per allevare una bambina così piccola e lui, nonostante quel forte desiderio, non si sentiva adatto per quel compito. Lui era stato un uomo d’azione, tutt’ora era un uomo d’azione, ma l’affetto che sentiva nel suo cuore gli diceva che qualcosa stava cambiando in lui e che quella, da ora in poi, sarebbe stata la sua missione.
Aveva dunque dismesso i panni del Santo Cavaliere di Atena per vestire quelli più scomodi e gravosi del Grande Sacerdote del Grande Tempio. Aveva lasciato la prima casa dello zodiaco, la casa del Montone Bianco, quella stessa casa che aveva avuto l’onore e l’onere di presidiare nella sua giovinezza durante la guerra sacra, per occupare ora la tredicesima, imponente dimora della Dèa stessa.
Solamente in due erano sopravvissuti all’ultima feroce guerra contro Hades, il signore incontrastato dell’oltretomba. A Dohko della Bilancia, suo fraterno amico e compagno di lotta, era stato affidato il compito di vigilare sul sigillo della Dèa che teneva imprigionate in antiche rovine, le centootto stelle malefiche fedeli ad Hades. A lui, Shion dell’Ariete, era stato affidato l’arduo compito di ricostruire dalle sue ceneri, il nuovo Santuario e difendere il mondo.
Da allora, da quando si era finalmente seduto sul seggio dorato del Grande Tempio, i viaggi si erano fatti più radi, le stelle si erano fatte più silenti.

Il Santuario iniziava a ripopolarsi. Non solo servitori e ancelle, ma anche giovani promettenti con tanti sogni, speranze e ideali da perseguire con fervore; raccolti da ogni parte del mondo per divenire servitori della Giustizia. Certo in pochi, pochissimi, sarebbero riusciti nell’impresa di ottenere il titolo di Santo Cavaliere di Atena; gli altri, i più volenterosi, quelli che non avevano superato la prova, sarebbero rimasti per alimentare le schiere delle guardie addette al Santuario. Mansione forse meno prestigiosa, ma ugualmente nobile e certamente di grande importanza per la sicurezza del Santuario stesso e del piccolo villaggio di Rodorio, da sempre fedele sostenitore della Dèa e dei suoi Cavalieri.


*****


Dieci anni di pace e serenità, per Shion, trascorsi ad amministrare il Santuario come un efficiente burocrate: ad ascoltare e risolvere sia i problemi interni che quelli delle popolazioni dei dintorni; dieci anni passati a veder crescere la piccola. Già, la sua piccola Kira. La luce dei suoi occhi, era divenuta vivace e birbante, curiosa fino all’inverosimile e con l’indubbia qualità di mettere se stessa, e gli altri, nei guai. Contesa e vezzeggiata da tutti – anche perché una delle poche bimbe che vivevano direttamente all’interno del Santuario – tanto da renderlo a volte vergognosamente geloso, fino a fargli dimenticare il suo austero ruolo. Erano stati anche dieci anni di immensa felicità ad opera di quella bimba che gli aveva riempito il cuore d’amore come solo la sua Dèa e la giovane e fiera Sasha, sua incarnazione terrena, aveva fatto tanti anni prima, portando nel Santuario non solo devozione e giustizia, ma anche il senso della famiglia. In tutti quegli anni, Shion era sereno e rinfrancato, perché avere attorno quella bambina di donava la parvenza di una vita normale: in lei, dopo quella miracolosa rinascita cui era stato testimone, non aveva scorto alcun cosmo e questo lo aveva egoisticamente tranquillizzato. Almeno a lei, si augurava, sarebbe stata risparmiata quella dura vita e una morte precoce che spettava ai Santi servitori di Atena; e da padre, sperava per lei, una volta cresciuta, che potesse creare una famiglia e vivere felice.
In quegli anni, trascorsi placidamente, mentre Shion espletava con grande zelo le sue funzioni di Grande Sacerdote, la piccola veniva affidata alle cure della decana delle ancelle, che si premurava di educarla alle nozioni base delle arti femminili tanto care alla Dèa e di un precettore, che la erudiva su tutte quelle conoscenze che ogni giovane era tenuto ad imparare: leggere, scrivere e fare di calcolo, erano alla base di tutto. In più, era istruita anche sulla storia e la mitologia. Le erano preclusi però i testi antichi così come l’insegnamento del greco classico.
Al tramonto, dopo la sua estenuante giornata di formazione, la piccola correva fra le braccia di Shion, suo padre, che la stringeva forte e le dedicava un dolce e benevolo sorriso. Momenti di tenerezza che riempivano i cuori di entrambi. Non perdeva occasione Kira di farsi raccontare dal padre le storie dei suoi nobili e coraggiosi compagni, non la terribile guerra a cui lui era sopravvissuto, che capiva, nonostante la sua giovane età, quanto il solo ricordo di quell’evento riempisse di dolore il cuore del padre; quello che la faceva divertire e sognare erano i piccoli aneddoti, stralci di vita quotidiana vissuti negli anni precedenti, storie di quotidianità del Santuario in quell’epoca lontana e romantica. Storie di dame e cavalieri. Ma chiedeva anche dei numerosi viaggi per il mondo e delle avventure che il padre aveva vissuto nei suoi centoquarantaquattro anni di vita. Già, Shion per sua stessa natura era assai longevo, retaggio che gli derivava dalla sua appartenenza alla mitologica razza dei muriani. Un popolo leggendario e magico, ai suoi occhi di bambina. Shion aveva ben centoquarantaquattro anni, ma nell’aspetto fisico ne dimostrava nemmeno quaranta ed era ancora nel pieno del suo vigore giovanile.


*****


Era una splendida e soleggiata giornata di primavera inoltrata, iniziata nel modo consueto per entrambi. Quella però era una giornata speciale per la piccola Kira, era il giorno del suo undicesimo compleanno. La sera prima aveva strappato a suo padre, con non poche insistenze, il permesso di poter andare finalmente al villaggio di Rodorio. Un luogo per nulla distante dal Santuario, ma di cui aveva solo sentito parlare, la cui gente di tanto in tanto saliva fino al Grande Tempio per chiedere udienza al Grande Sacerdote. Spesso aveva chiesto a suo padre il perché le fosse sempre stato negato il permesso di poterci andare, ma le motivazioni erano sempre state, se non vaghe, piuttosto deludenti. Eppure lei non era una persona speciale da dover essere nascosta, poteva infatti girare liberamente per il Santuario; era una bambina normale come tante altre. Non capiva il perché il padre la volesse tenere così rigidamente sotto la sua ala protettiva, che diventava a volte davvero opprimente.
Era da poco passati il mezzogiorno di quel 29 maggio, il cielo era terso e la temperatura gradevole: condizioni ideali per fare una bella passeggiata fino a Rodorio. Nei giorni precedenti aveva piovuto incessantemente fino a rendere quasi impraticabili alcuni degli abituali sentieri che i servitori erano soliti usare per spostarsi all’interno del Santuario. Gli Dèi però, avevano concesso una tregua a tanta pioggia, regalando quella giornata che pareva perfetta. Si mostrava raggiante la piccola Kira, mentre scendeva le scale secondarie della tredicesima casa per dirigersi verso Rodorio, assieme alla sua inseparabile tata Iphigenia e al vecchio Gregorios.
Nonno Gregorios, come lo tutti ormai lo chiamavano, era il decano dei servitori e da sempre aveva ricoperto anche il ruolo di servitore personale del Grande Sacerdote. Ora, troppo anziano per continuare a svolgere con la sua solita solerzia e precisione i suoi compiti, aveva ottenuto il permesso da parte di Shion di riunirsi alla sua famiglia – che viveva appena al di fuori di Rodorio, nel borgo più antico – che ormai era composta solamente da alcuni nipoti e un’anziana sorella, ma più giovane di lui.

Procedevano a passo spedito, Gregorios e Kira – per quanto almeno poteva permettersi il vecchio – passando per un antico e ormai poco frequentato sentiero che costeggiava una delle piccole arene secondarie, costruite sfruttando una spianata naturale e adibite a campo di allenamento dei giovani guerrieri. Quello era uno dei tanti sentieri che si dipanavano all’interno del Santuario, nascosto alla vista degli abituali frequentatori. Poco più indietro, si era attardata la giovane Iphigenia, assorta a sbirciare Icarus – uno dei giovani maestri impegnati in quell’arena polverosa – che non perdeva occasione di urlare ed inveire contro i malcapitati allievi. La giovane lo guardava divertita e ammirata e qualche volta si lasciava scappare una risatina imbarazzata, nel vederlo così severo e concentrato nel suo ruolo, quando poi, lontano da suoi ragazzi, era invece timido e impacciato. Icarus era intento a mostrare a quei giovani, una nuova tecnica marziale: attivando il suo cosmo da Cavaliere d’Argento, si era esibito in un poderoso calcio volante, colpendo e sbriciolando una buona porzione della parete rocciosa che costituiva la parte retrostante quel campo, che franò di lato. Non si avvise, il giovane maestro, che lungo il sentiero sottostante stava camminando qualcuno.
In pochi attimi, le rocce franate a causa di quel terribile colpo, si riversarono sul sentiero, seppellendo il vecchio Gregorios e la piccola Kira. Pochi istanti di incredulità, infine riecheggiarono solamente le isteriche grida della giovane Iphigenia che attirarono l’attenzione sulla tragedia appena accaduta.

In lontananza, nella direzione delle dodici case dello zodiaco, per un breve istante si era scorto un flebile bagliore dorato, una lieve sfumatura di cosmo, provenire da una delle casa. Fu solamente un attimo, ma abbastanza perché fosse percepito dal Grande Sacerdote. Stentava a crederci Shion, in tutti quegli anni, più di cento anni da quando aveva visto cadere uno ad uno i suoi compagni in battaglia, aveva atteso un segnale anche minimo che potesse indicare la nascita di un predestinato alla casta più alta, quella d’Oro. Ed ora lo aveva avvertito, sì, ne era certo, lo aveva riconosciuto. Un forte e brusco spalancarsi del pesante portone intarsiato – che dava l’accesso alla sala delle udienze – aveva ben presto riportato l’attenzione di Shion al presente.
Grande Sacerdote, una tragedia! – Proruppero nella sala divenuta attonita, quelle parole dal tono sconvolto. Come una furia, un soldato semplice, andando contro al rigido cerimoniale del Santuario, stremato per la lunga corsa si era gettato ai piedi di Shion portando notizie nefaste. In quel momento la sala era gremita di funzionari amministrativi che stavano esponendo e discutendo i loro rapporti mensili. Una dolorosa fitta al cuore e un lieve e inaspettato cedimento delle ginocchia, aveva portato il Grande Sacerdote, che fino a quel momento stava in piedi appena dietro al seggio, ad appoggiarvisi pesantemente per non cadere a terra. Quel malessere improvviso era ben evidenziato dall’accentuarsi del suo naturale pallore del volto. Il copricapo d’oro gli pesava enormemente sulla testa dandogli una sensazione di inimmaginabile oppressione.
Girandosi nuovamente impettito, con tono perentorio, Shion aveva ordinato al soldato di fargli strada.


*****


Trascorsero pochi ma interminabili secondi da quella malaugurata dimostrazione. La giovane Iphigenia, tremante e piangente, ancora non riusciva a capacitarsi dell’accaduto. Aveva lasciato la mano della piccola Kira solo una manciata di minuti prima, perché scioccamente voleva rimirare quel bel ragazzo che le faceva battere il cuore. L’aveva lasciata andare avanti ripromettendosi di raggiungerla in un attimo ed invece la piccola era scomparsa impietosamente dalla sua vista. Icarus, inginocchiato al suo fianco, le cingeva le spalle per confortarla e sostenerla in quel momento terribile. Con comandi brevi e secchi, aveva impartito gli ordini ai ragazzi ancora inebetiti per l’accaduto, di rimuovere con cautela le rocce e la terra franata.
Nel sopraggiungere a passo sostenuto a quel maledetto sentiero, un forte stato di ansia e una grande oppressione nel petto, crescevano in Shion. Come un peso fastidioso, reggeva con poco riguardo il copricapo d’oro nella mano ed una strana luce brillava nei suoi occhi, rabbia e angoscia si stavano manifestando sul suo viso completamente svelato alla luce del sole. Mai, quando ricopriva il suo ruolo ufficiale, il Grande Sacerdote poteva mostrarsi senza le insegne del ruolo che la Dèa Atena aveva stabilito per lui. In quel momento poco gli importava. Quella sensazione che aveva provato subito dopo aver percepito il cosmo dorato, si stava facendo sempre più insistente ad ogni passo che lo avvicinava al luogo.
Non appena vi giunse, si lasciò andare ad un moto di rabbia incontrollato, come mai pensava di esserne capace, infiammando veementemente il suo immenso cosmo e direzionandolo con un gesto rapido della mano, scaraventò lontano i giovani che si stavano ancora affannando a rimuovere le macerie. Richiamando nuovamente il suo cosmo e avviluppandolo attorno alla grande massa di rocce e terra davanti a sé, con la sua telecinesi liberò il passaggio, riportando alla superficie i due corpi.
Alla vista di tutti i presenti apparve come un vero miracolo. La piccola Kira era illesa, avvolta da una debole luce che subito scomparve al passare del pericolo. Piangeva rannicchiata accanto al corpo inerme di Gregorios, con le manine che ancora stringevano quella rugosa e ossuta dell’anziano servitore. Anche il corpo del vecchio sembrava a prima vista illeso, ma il suo cuore stanco e malato, non aveva retto al terrore di quello che stava accadendo.
Shion, seppur preoccupato della sorte della sua piccola, non si avvicinò di un passo a Kira: rimase ritto in piedi ad osservare la bambina che aveva alzato lo sguardo sconvolto verso di lui. Le lacrime miste a terra le rigavano il viso ancora paffuto, deformandolo in una maschera grottesca. Parlava a singhiozzi, Kira, quasi in un lamentoso sussurro chiedeva scusa per quanto era successo, chiedeva scusa per aver tanto insistito per quella passeggiata, chiedeva scusa per aver trascinato con sé nonno Gregorios. Chiedeva scusa perché non lui non si muoveva più. Come un mantra dal suono straziante, la piccola chiedeva scusa al padre, perché sentiva e vedeva, in maniera forte e distinta, la paura, la rabbia e la frustrazione dipinte sul suo volto. Sentimenti e stati d’animo che avevano scalzato il più immediato sollievo per l’incolumità di Kira, sottolineati ora dall’espressione dura dei suoi lineamenti e dalla severità che traspariva dai suoi occhi ormai irriconoscibili. Con lentezza, senza proferire alcuna parola di conforto, calandosi nuovamente l’elmo sacerdotale sulla testa, Shion si era voltato dando le spalle alla bambina e si era incamminato con incedere sicuro verso la tredicesima casa.

Per due giorni e due intere notti si era ritirato in assoluta contemplazione, cercando consiglio nelle stelle e nel volere della sua Dèa. Aveva annullato qualsiasi impegno ufficiale, vietando a chiunque, anche alle ancelle proposte all’accensione dei bracieri sacri, l’ingresso alla sala delle udienze che celava, dietro enormi tendaggi rosso cremisi alle spalle del seggio d’oro, il passaggio per il tempio della Dèa dove troneggiava la grande statua della sua amata Dèa Atena.
Era prostrato ai suoi piedi; il suo volto mostrava ancora i segni della disperazione che aveva provato in quell’attimo e il suo animo era in frantumi. Era inorridito dal suo stesso comportamento, Shion, dai sentimenti che ancora provava.
Come aveva potuto voltarle le spalle e abbandonarla in quel modo? Avrebbe solamente voluto stringerla a sé, rassicurarla come tutte le sere, proteggerla da ogni male.
Come poteva ora non maledire il fato che gliela stava portando via? Quello stesso fato che gliel’aveva donata e che ora la stava destinando ad una vita così infausta. Un destino da guerriero ora l’avrebbe attesa, fatto di sacrifici e rinunce. Mai avrebbe pensato che tali pensieri potessero toccarlo. Lui, devoto servitore della Dèa Atena, guerriero e protettore della Giustizia, guida del Santuario nominata dalla stessa Dèa, stava anteponendo i suoi sentimenti per la bambina ai sentimenti e ai doveri verso la sua Dèa. Lo aveva fatto forse inconsapevolmente fin dal primo giorno, fin dal primo respiro miracoloso che aveva riempito quel corpicino creduto morto. Quanto egoisticamente avrebbe voluto ignorare quel segno e cancellare dalla memoria di tutti i presenti quell’evento; quanto avrebbe voluto trattenere in sé, come il più prezioso dei tesori, quei sentimenti verso sua figlia. Solo ora se ne stava rendendo davvero conto, incapace di elevare una tale supplica di perdono alla Dèa Atena. Si sentiva così indegno di quella carica tanto onerosa.
Ora era troppo tardi, ora non poteva fare più nulla, ora si era manifestato in lei la presenza del cosmo. Da quel giorno, sotto gli occhi di tutti, Kira era divenuta soltanto un’altra fanciulla destinata ad intraprendere l’ardua strada per diventare un Santo protettore di Atena.
In quei giorni di raccoglimento aveva maturato una decisione che avrebbe condizionato il resto della sua vita: non l’avrebbe affidata ad altri. Lui se solamente lui sarebbe stato il suo maestro. Questo era l’impegno solenne che pronunciò davanti all’imponente statua di Atena, che dall’altro si ergeva a benevola protezione dell’intero Santuario e delle terre circostanti.


*****


Non vi erano più state manifestazione del cosmo di Kira. La giovane neanche sapeva o comprendeva il significato di possedere un cosmo, ma la sua vita da quel giorno era radicalmente cambiata. Non abitava più alla tredicesima casa assieme all’amato padre, ma era stata alloggiata con altre giovani in una baracca al limitare ovest del Santuario, dove sorgevano i dormitori riservati alle giovani ancelle: a quel tempo, poche erano state le candidate a diventare amazzoni e nessuna delle pretendenti era riuscita nell’impresa di conquistare una delle vestigia ad esse riservate.
Ora una nuova routine iniziava per lei, una vita fatta di sacrifici e solitudine.
Gli anni del duro addestramento a cui venne sottoposta, trascorsero fra esercizi fisici sfiancanti, privazioni e ferrea disciplina, atti a rafforzare e modellare il suo giovane e infantile corpo. I progressi erano lenti ma costanti sotto la vigile guida del suo maestro. Agilità, velocità, potenza e resistenza scaturivano da lei. Non più dolcezza e spensieratezza nel suo sguardo, solo determinazione, consapevolezza e un velo indelebile di tristezza. Nessuna carezza o conforto paterno sfiorava la sua pelle che da morbida e delicata, via via diveniva sempre più resistente e impreziosita da piccole cicatrici che segnavano la sua crescita.
Per quei lunghi anni, anche nei pericoli più estremi a cui la sottoponeva il suo maestro, perché potesse manifestarsi nuovamente in lei il suo cosmo, esso aveva continuato a tacere; ma questo non le aveva impedito di impegnarsi con tutta se stessa per rendere il padre, no, ora solamente il suo maestro, fiero di lei.
Il susseguirsi di quegli anni difficili aveva portato grandi cambiamenti in lei. Ora giovane donna, con il cosmo dorato che lentamente ma progressivamente iniziava a svegliarsi, era giunta ad affrontare l’ultima prova. Non una prova di forza, non un combattimento contro qualche avversario; di combattimenti ne aveva affrontati e superati tanti, ma la prova più difficile in assoluto, il riconoscimento da parte delle sacre vestigia d’oro che a cui lei era destinata.
Non era affatto facile per Kira, una strana tensione la pervadeva. Forse la consapevolezza di non essere lei la predestinata a quella vita, forse la paura di deludere la persona a lei più cara. Una strana e dolorosa sensazione di mancanza, di vuoto, si stava insinuando in lei mentre con entrambe le mani spingeva le enormi e pesanti porte della sala delle udienze. Un’oppressione al petto l’accompagnava mentre a passi lenti attraversava quello spazio austero, fino ad arrivare e fermarsi di fronte al Grande Sacerdote e al suo destino.
Con un solenne cenno del capo, Shion le aveva dato il segnale. Espanse il suo cosmo, Kira, debole e timoroso. Il suo cuore batteva forte per la tensione e per la paura. Qualcosa la frenava, ma non sapeva spiegarsi cosa. In quel momento si arrese cadendo in ginocchio di fronte al contenitore che racchiudeva in sé le sacre vestigia d’oro. Alzando lo sguardo verso il Pontefice, il suo maestro, suo padre, vide suoi occhi solo freddezza. Lo stava deludendo; ed una lacrima scese sul suo viso. Chiuse gli occhi, Kira e riprovò; espanse nuovamente il suo cosmo, questa volta con maggiore decisione, con rabbia e frustrazione verso se stessa e la sua debolezza. La luce aurea che avvolgeva lieve il suo corpo divenne più ampia, più vasta; fino a riempire quasi l’enorme sala. Era irrequieto il suo cosmo, difficile da controllare, come le emozioni che in quel momento le turbavano l’animo.
Un bagliore accecante scaturì dal contenitore all’improvviso, a sovrastare tutto. Infine, sul corpo spossato e ansante di Kira, aderendo come una seconda pelle, si posarono le Sacre vestigia d’oro.
Tutto si era compiuto.
Pochi giorni trascorsero dal grande giorno della prova. Il Santuario era in fermento per la notizia: finalmente a camminare su quelle terre aride vi era nuovamente un cavaliere d’oro.
La cerimonia ufficiale per l’investitura fu molto informale, pur mantenendo inalterato il millenario rito, alla presenza solo di pochi cavalieri d’argento e dei maestri, quella organizzata per festeggiare tale evento. Niente sfarzo, niente esagerata solennità nonostante quell’investitura di tale rilievo avrebbe richiesto. La stessa Kira, aveva pregato e insistito affinché fosse il più semplice possibile. Non le importava degli onori, non le importava delle felicitazioni che avrebbe ricevuto e del giubilo della gente. Non le importava nulla. Solo avrebbe voluto rivedere lo sguardo amorevole e pieno di orgoglio del padre.
La stessa notte dopo il rientro dalla prima missione ufficiale di Kira, una violenta esplosione di cosmo sconquassò la dimora del Grande Sacerdote mettendo in allarme tutto il Santuario. Pareva uno scontro mortale con un temibile nemico. Poi, solo il silenzio.

Quasi alle prime luci dell’alba, con in mano un semplice fagotto, la ragazza si apprestava a lasciare quel luogo isolato e sacro, nella più completa solitudine. Aveva volto per l’ultima volta il suo sguardo verso la tredicesima casa, ripensando con mestizia all’ultimo incontro che avrebbe avuto nella sua vita con il padre.



*****


- Come! Come puoi! – le aveva gridato in faccia il suo disappunto, Shion. – No! – Aveva urlato ancora più furente. – Non posso permettertelo, non dopo tutto questo. – Si era girato dandole le spalle, preda della rabbia. L’elmo d’oro, posato sul tavolo, luccicava alla flebile luce di una lanterna.
- Tutto questo forse non era destinato a me – aveva cercato di ribattere con voce incerta, la ragazza. Non convocata ufficialmente, ma introdottasi quasi di nascosto sfruttando dei passaggi da tempo dimenticati, si era presentata a lui in vesti comuni.
- No! Le sacre vestigia ti hanno riconosciuta, ti hanno accettata. Ora esse appartengono a te e tu appartieni a loro. Questo legame è indissolubile. – Non si capacitava delle parole che Kira aveva pronunciato poco prima, non poteva e non voleva accettarle. – Questa tua rinuncia è un affronto verso tutti coloro che si sono sacrificati finora. Stai macchiando di disonore me, il tuo maestro e te stessa. Stai mancando di rispetto ai tuoi predecessori, a tutti i santi guerrieri di Atena morti nel compimento del proprio dovere. – Tremava dalla rabbia, Shion.
Aveva fatto qualche passo fino a raggiungere il seggio e vi si era aggrappato con disperazione.

- Queste tue parole, questi tuoi atti… mi stai spezzando il cuore – aveva detto infine con un filo di voce, portandosi le mani al volto.

- Ne sono consapevole maestro, adorato padre. – Aveva chinato la testa ancora più profondamente, trattenendo un singhiozzo. – Però… - cercava in sé il coraggio per liberarsi dal peso che la stava opprimendo sin dal primo giorno – è troppo il dolore che sento, troppa la sofferenza che vivo da quando… - aveva fatto una pausa, Kira. Non era certa se il padre che le dava le spalle avrebbe capito – È troppa la responsabilità e il peso delle vestigia e della carica che mi è stata data.
Nuovamente si era concessa una pausa, sapeva che quello che avrebbe detto qualche istante dopo, sarebbe stato doloroso per il padre.

- L’ho sentito, padre; il giorno della prova l’ho sentito: non sono io la prescelta.
- No! No! No! – aveva gridato come una furia, Shion, rilasciando una forte ondata del suo potente cosmo. – La mia Dèa non sbaglia! Lei ti ha salvato quando sei nata e io ti ho cresciuta in questi diciassette anni qui al Santuario seguendo il suo volere. Come puoi ora rinnegarla?
- Come posso rinnegare qualcuno in cui non ho mai creduto? – Era in ginocchio, Kira, le mani portate al petto e il cuore pieno di dolore. – So di ferirvi con queste mie parole padre, ma tutto quello che ho fatto finora, l’ho fatto solo per voi, perché mi guardaste ancora con gli occhi di un padre orgoglioso. Perché voi per me siete la persona che più amo al mondo.
- Non essere blasfema
La voce di Shion era diventata profonda e gelida, imperiosa. Girandosi finalmente verso la figlia, aveva sceso i gradini coperti dal tappeto rosso, arrivando a pochi passi da lei.
Non mi lasci altra scelta. La punizione per queste tue parole, parole di tradimento, è la morte. In qualità di Grande Sacerdote del Santuario della Dèa Atena non posso fare altro. -

- – Abbassando il capo e chiudendo gli occhi, Kira attendeva rassegnata che il colpo calasse su di sé.
Ci furono momenti di completo silenzio dove solo il rumore dei passi del Grande Sacerdote risuonavano nella sala deserta. Si era avvicinato al tavolo e con entrambe le mani aveva preso l’elmo d’oro. Altri passi si erano uditi, che si allontanavano da lei.
- Ti rinnego come figlia, ti rinnego come allieva e ti rinnego come cavaliere di Atena. – aveva proclamato. Aveva indossato l’elmo e la sua voce, da quel momento in poi si era fatta un poco più metallica. Seduto sullo scranno d’oro, stava emettendo la sua sentenza. – Sei bandita per sempre da questo luogo sacro. Se vi farai ritorno sarai trattata da nemica. Ora vattene, sparisci dalla mia vista! -
“Questa è la sola cosa che posso fare per te. Vivi una vita normale e piena. Vivi e dimenticati di questo mondo.”


*****


- Addio, padre. – Con le lacrime agli occhi, Kira aveva rivolto un ultimo pensiero all’uomo che l’aveva cresciuta e amata ed ora abbandonata a se stessa, prima di intraprendere l’incognita della vita al di fuori di quei territori.



   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: titania76