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Autore: piuma_rosaEbianca    12/02/2011    7 recensioni
Tulipani gialli e rose rosa.
Incidenti, coma, confessioni, vita per uno vissuta per due, monologhi con poco senso e tanto amore, sorrisi di sole all'una di notte.
Scritta per il compleanno della persona più dolce che conosca. Ti voglio bene, piccola ♥
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata -anche questa- alla mia Mallie. Un piccolo, insulso regalo per celebrare l'evento straordinario che è stata la tua nascita.
Ti voglio bene tesoro. Ti amo almeno quanto Matt ama Dom. Perché sì sa che l'amore di Dom per Matt è inegualiabile.

Per il resto della coraggiosa popolazione che si accingerà a leggere la seguente: buona lettura :D


~

Luci all'improvviso.
Umido, caldo, vento forte, rumore, urla.
Pianti disperati, sconvolti, voci familiari ed irriconoscibili.
Apro gli occhi, ignorando il dolore per le luci.
Vedo lui, e tutto muore.
Tutto si ferma nel suo respiro stentato, tutto immobile, silenzioso, in attesa del colpo del defibrillatore.
Non posso alzarmi, ma vorrei essergli accanto.
-Apri gli occhi, ti prego-.
Sussurro piano che quasi non sento la mia voce.
Apri gli occhi.
Dammi il blu fra questo bianco lampeggiante.
Dammi la vita fra questo senso di morte che pesa ovunque.
Dammi una speranza in questa disperazione che mi attanaglia.
Niente. Nulla. Vuoto. Bianco.
Non capisco cosa succede. Ti caricano su un'ambulanza e ti portano via.
I paramedici finiscono di medicarmi e mi lasciano solo.
Chris si avvicina, mi stringe per le spalle, mi tira su dalla strada.
Tutt'intorno sento voci, domande vuote, senza senso.
Non rispondo. Non ce la faccio a parlare, respiro male.
-Portami via-.
Un mormorio confuso nel rumore indistinto e assordante che preme sulle orecchie di tutti.
Un mormorio rivolto solo a Chris.
Che capisce al volo, coglie il “da lui” nascosto in quel “via” ed esegue.
Senza bisogno di parole in più saliamo in macchina e andiamo via da quell'inferno.
Nel silenzio dell'auto mi appoggio al sedile e traggo respiri profondi.
-Chi è il figlio di puttana che ci è venuto addosso?-.
-Non lo so. Stava bene però, l'hanno portato via su una volante. Era ubriaco.-.
-Spero che si ammazzi. Se Matt non...-.
Mi si spezza la voce. Non riesco neanche a figurare il pensiero.
-Matt si sveglierà.- dice in tono fermo.
Annuisco, incapace di proferire parola.
Arriviamo all'ospedale in completo silenzio.
Scendiamo dalla macchina ed entriamo in un grande edificio bianco e blu.
Ho sempre avuto paura degli ospedali.
Mi mettono ansia e detesto il loro odore di vecchio, di allegria costruita a nascondere le morti troppo frequenti. I sorrisi ipocriti delle infermiere che vorrebbero essere da qualsiasi altra parte piuttosto che a
parlare con te, le falsissime condoglianze dei medici.
Odio gli ospedali. Sopratutto quando dentro ci sei tu come paziente.
Chris chiede informazioni a un'infermiera.
Ci dicono che ti hanno portato d'urgenza in sala operatoria, di sederci e di aspettare.ù
Reprimendo una bestemmia mi guadagno una sedia vicino all'entrata, deciso a non alzarmi se non per venire a vedere come stai.
Chris si siede accanto a me con un mezzo sorriso esasperato.
Sa cosa sto pensando, legge la determinazione nei miei movimenti, sa che non ho intenzione di andarmene senza tue notizie.
Sa che sto morendo dietro quest'espressione risoluta.
Sa cosa vorrei dirti, di cosa ho paura.
Chris sa tutto, l'ha sempre saputo.
Mi sta vicino in silenzio nelle ore che aspettiamo lì seduti.
Non so che ora sia, non ricordo neanche il giorno.
Credo sia giugno, ma fa talmente freddo che potrebbe essere febbraio.
Dopo quelle che, più che ore, paiono ere, un'infermiera si avvicina.
Il cielo si schiarisce lentamente mentre ci fa alzare e ci conduce al Reparto di Rianimazione.
Un medico ci accoglie senza alcun mezzo sorriso o frase di circostanza.
-È stabile, ma non riprende conoscenza. Non sappiamo quando potrà svegliarsi, né se si sveglierà.-.
Freddo e conciso. Un medico serio, finalmente.
-Si sveglierà.- ribatto a denti stretti avvicinandomi a te, ingoiando le lacrime che salgono non volute.
Il tuo corpo sembra ancora più piccolo e fragile così pallido e coperto di aghi e tubicini vari.
Una piccola parte di me sente le voci di Chris e del medico appena fuori dalla porta discutere sulle scarse probabilità che tu sopravviva.
Il resto è concentrato a ricordare tutti i casini che hai superato, tutte le volte che sei finito all'ospedale e ne sei sempre uscito trionfante, ogni singola volta in cui la morte è venuta a reclamarti e l'hai mandata
via a calci.
Mi siedo sulla poltroncina accanto al letto, stringendo convulsamente un lembo della tua coperta candida.
Senza rendermene neanche conto prendo a ripetere la parola “sopravvivi” a bassa voce, come una fanatica preghiera, con la disperazione che solo un uomo nella mia condizione può conoscere.
Un uomo che assiste alla lenta degradazione della persona più importante della sua vita, un uomo che non ha avuto l'occasione di dire a questa persona quello che prova e che non sa se potrà mai farlo.
In un punto imprecisato fra un respiro e un altro “sopravvivi” scoppio a piangere.
Mi prendo la testa fra le mani, rannicchiandomi su me stesso e piango come non ho pianto mai.
Piango e chiedo scusa.
Scusa per tutto quello che ho fatto e non. Scusa per non aver fatto niente per evitarti questo. Scusa per non essere riuscito a dirti quello che volevo. Scusa per non essere al posto tuo. Scusa per aver bevuto
e non aver potuto guidare. Scusa per averti distratto. Scusa per saper solo disperarmi. Scusa per tutto.
Penso a cosa mi diresti se potessi sapere cosa penso. Penso a come ti incazzeresti, odi che qualcuno si scusi inutilmente. Penso a quanto preferirei vederti urlare, prendermi a schiaffi e invece sei steso su un letto, incosciente.
E piango ancora di più, e soffoco quasi frai singhiozzi, e voglio morire.
Dopo qualche ora Chris rientra nella stanza.
Sento che si avvicina, mi mette una mano sulla spalla e resta in silenzio, senza parole da dire.
Gli lancio un'occhiata riconoscente e noto che ha gli occhi rossi. Anche lui ha pianto, fuori di qui, meno di me, ma ha pianto anche lui.
Ma lui non si abbatte come sto facendo io. Lui non ha i rimpianti che ho io. Lui non ti ama come ti amo io. Lui non sta perdendo l'amore della sua vita.
Mi sento uno schifo a pensare queste cose. Vorrei scusarmi anche con lui, ma non ho la forza di parlare.
Piango in silenzio finché anche le lacrime non perdono senso e smettono di scendere.
Allora rimango lì seduto, le ginocchia al petto e il capo chino per non vederti.
Sento Chris che telefona a tua madre, a Tom e Morgan, a Kate.
Vengono tutti, uno dopo l'altro.
Marilyn entra in totale silenzio, una piccola valigia in mano e si siede sulla sedia esattamente davanti a me, sedendosi in una posizione più dignitosa della mia ma con la stessa disperazione negli occhi.
Kate ha la dignità di versare qualche lacrima prima di dire che deve andare a prendere suo figlio e che tornerà in settimana.
Tom e Morgan non si permettono dimostrazioni del reale dolore che provano e si mettono subito a lavoro, con Chris, per annullare tutti i concerti fissati per l'estate e ad avvertire le varie case discografiche della situazione.
Per fortuna non siamo in tour.
A sera rimaniamo io e tua madre nella stanza, gli altri sono andati tutti a cena.
-Tu eri in macchina con lui?- mi chiede all'improvviso alzando gli occhi su di me.
Annuisco timidamente, in soggezione di fronte a quell'azzurro così simile al tuo.
-Perché tu sei vivo?-.
Continua a fissarmi dritto negli occhi, come a volermi leggere dentro una spiegazione a tutto quello.
-Anche Matt è vivo.-.
Alzo lo sguardo incatenandolo al suo, cercando di darle conforto, di far capire che la capisco, che sto male quanto lei.
-Perché tu stai bene?-.
-Non ne ho idea.-.
-Perché mio figlio è in coma e tu non ti sei fatto niente?-.
Alza la voce, si sporge in avanti stringendo convulsamente la coperta.
-Non lo so, non lo so. Non ha idea lei di quanto vorrei essere al posto di Matt adesso. Di quanto mi senta in colpa per essere stato lì accanto e non aver potuto far niente per evitare quello che è successo. Non sa neanche lontanamente com'è essere qui senza alcun graffio e vedere lui incosciente.-.
Stringo i denti per non urlare, mantengo un tono calmo. Trattengo le lacrime che minacciano di affiorare di nuovo. Mi mostro più forte di quanto sia davvero.
Ricade sulla poltrona, abbandonandosi sullo schienale, si copre il volto con le mani tremanti, e in poco scoppia in singhiozzi che la scuotono da capo a piedi.
Vorrei alzarmi, andarle vicino e provare a consolarla, ma non ci riesco.
Mi mormora delle scuse, le rispondo piano di non preoccuparsi.
-Era il suo compleanno e non gli avevo neanche fatto gli auguri. L'ultima volta che ci siamo parlati avevamo litigato per una stupidaggine. L'ultima volta che ci siamo visti ero ubriaca e l'ho cacciato via da casa senza neanche riconoscerlo. E adesso forse non si sveglierà più e non avrò mai modo di scusarmi. Di dirgli quanto gli voglio bene e quanto mi dispiace per la madre degenere che sono stata-.
Quelle parole mi colgono di sorpresa. Dette piano con voce tremante, con tono disperato. La capisco, ma non so come dirglielo. Non so come dirle che ho lo stesso rimpianto.
-Era il suo compleanno e anche quest'anno non ho avuto il coraggio di dirglielo. Le ultime parole che mi ha detto sono state “Dom, piantala di cantare che già è nuvoloso”. L'ultima cosa che ho visto di lui è stato un sorriso e un lampo di azzurro, era felice. Sono diciotto anni che lo conosco e non gli ho mai detto la verità. Non gli ho mai detto quanto lo amo e quanto ho ci ho sognati insieme.-.
Stavolta a rimanere sorpresa è lei. Alza di scatto la testa, gli occhi spalancati.
-Sei innamorato di mio figlio?-.
Ridacchio per il relativamente piccolo particolare che rende quella frase sbagliata.
-Non è esatto. Io non sono innamorato di Matt. Io lo amo come nessun altro, a parte lei, forse, potrà mai amarlo. Lo amo nel modo più completo, totale e incondizionato in cui si possa amare una persona. Lo amo abbastanza da non voler poi troppo essere al posto suo adesso, perché lui ne soffrirebbe. Lo amo da poter morire per lui. Non sono innamorato di Matt, io vivo di lui.-.
-E lui questo non lo sa, giusto?-.
-Giusto.-.
-E non lo sa perché..?-.
-Perché sono uno stupido fifone e non ho mai avuto il coraggio di dirglielo per paura di non essere ricambiato, di rimanere deluso, di perderlo anche come amico.-.
-E adesso hai paura che muoia e di rimanere col rimpianto di non averglielo mai detto.-.
Annuisco anche se non è una domanda.
-Quindi siamo nella stessa merda, bene.-.
Sbotta all'improvviso, sbuffando e rivolgendomi un piccolo sorriso di solidarietà.
Inevitabilmente sorrido anche io.
Sì, siamo proprio nella stessa merda.
Rimaniamo per un po' in silenzio a fissare il corpo immobile di Matt sul letto.
Poi il silenzio viene interrotto da un rumore gorgogliante proveniente dal mio stomaco.
Cazzo, ma quant'è che non mangio qualcosa?
-Io devo andare a mangiare qualcosa. Viene con me?-.
Mi alzo stiracchiandomi. Le ginocchia mi fanno male per quanto sono state piegate, la schiena chiede pietà per il troppo tempo passato china.
Lei mi sorride, annuisce e si alza.
-Andiamo.-.
Mi prende per mano come si fa con un bambino e mi porta fuori dalla stanza.

* * *


Io e tua madre rimaniamo qui per una settimana.
Una settimana in cui le racconto un po' della tua vita, della band, di Gaia e Kate, della nostra musica, dei nostri concerti, dei nostri tour. La rendo partecipe di tutto quello che si è persa in anni di assenza dalla tua vita.
I medici dicono che fa bene rimanerti vicino e parlare di cose che ti sono familiari. Che ti fa bene sentire voci conosciute, e anche musica che ti piace.
Tua madre alla fine se ne va. Torna a casa, a Teignmouth.
Mi ringrazia di averla aggiornata, di esserle rimasto vicino, della sincerità.
Mi prega di chiamarla se ci sono cambiamenti, di rimanerti accanto.
Mi raccomanda di non buttarmi giù, di essere forte perché è quello che tu vorresti.
Ci salutiamo con un abbraccio. Lo sappiamo entrambi che non ci vedremo più.
Io torno nel mio appartamento.
Vengo a trovarti quasi ogni giorno, ma mi fa sempre più strano.
Tu non dai segni di miglioramento per quanto continui a parlarti e a farti ascoltare musica.
I medici continuano a dire che ti fa bene, ma non cambia niente.
Chris mi chiama ogni tanto, per sapere come stiamo.
Come stai tu, se migliori, se dai segni di poterti risvegliare.
Come sto io, se mi riprendo, se ce la faccio a lasciarti in pace.
Ad accettare la tua morte.
La risposta è no per tutto.
È sempre no, anche quando mi chiede se voglio trasferirmi da lui o almeno a Teignmouth.
O se voglio cambiare semplicemente città, smettere di pensarti, di vivere della tua vita.
No, voglio rimanerti vicino. Voglio essere con te quando ti sveglierai.
Perché ti sveglierai, lo so.
Anche se le probabilità sono scarse tu sei forte, tu ce la fai.
Tu, cazzo, sei troppo grande per morire così.
Ma io, io sono piccolo, sono fragile, sono solo.
Io non ce la faccio più a vederti uguale ogni giorno, a vedere i tuoi occhi sempre chiusi, immobili, addormentati forse per sempre.
E io, debole come sono, alla fine crollo.
Alla fine me ne vado.
Lascio il numero all'ospedale, raccomando di chiamare per qualsiasi cosa.
Do indicazioni sui tuoi gusti musicali e il tuo tipo di incenso preferito, perché possano continuare con la terapia.
Lascio un mazzo di tulipani gialli e rose rosa nella stanza, i tuoi fiori preferiti. Chiedo di tenerli sempre freschi, in modo che se tu ti svegliassi li riconosceresti e riconosceresti me, che sono l'unico a saperlo.
Ci sono anche nostre fan fra le infermiere, ragazze davvero dolcissime. Si prenderanno cura di te, lo so.
Ti lascio un bacio prima di partire per New York.
Sulla fronte, dolce, delicato.
Ti sussurro un “A presto” ed esco, le lacrime agli occhi e il cuore pesante.
Mi trasferisco nel mio appartamento a New York.
Riprendo a vivere, qui.
Esco, faccio nottate in pub e discoteche, mi porto a letto ragazze per il semplice gusto di sentire qualcuno vicino.
Sono andato a prendere una delle tue chitarre acustiche.
Vado a suonarla nei pub per le serate di karaoke o faccio piano bar.
Porto un po' di te a giro per il mondo, come ci piaceva fare una volta nelle pause dai tour.
Vivo attaccato a distanza a te.
Quando me lo chiedono dico che sto bene, che sono sicuro che ti sveglierai, che non ho paura per te, che ne hai passate talmente tante che è inutile anche stare in pensiero.
Vedo i nostri fan su Twitter, Facebook e Myspace che ti sono vicini, stanno male per te, sono seriamente dispiaciuti per la band e per noi.
Ho mandato in giro il mio indirizzo di posta elettronica e di casa.
Arrivano ogni giorno centinaia di e-mail, lettere e regali.
Hanno tutti il tatto di seguire la mia richiesta e non venirmi a trovare.Sanno che sono in giro a New York, che giro senza guardia del corpo, che sono disposto ad incontrare tutti.
Cerco di vivere anche per te, e vivo bene.
Cerco di vivere il doppio e lentamente dimenticarti.
Lentamente torno Dominc Howard e non il “batterista dei Muse”.
Lentamente il numero di posta, elettronica e non, diminuisce.
Stringo nuove amicizie, ho qualche ragazza, storie stupide di qualche giorno.
Mi chiamano anche per far parte di alcune band, ma rifiuto sempre.
Non può esistere una band con uno di noi due senza l'altro.
E i mesi, intanto, passano.
Rotolano piano uno dietro l'altro, sparpagliando ricordi, attutendo il dolore, ridandomi la vita, ridandomi il sorriso.
E in tutto questo ogni due settimane sono da te.
Arrivo la mattina, m'informo su come stai, ti sto vicino, cambio i fiori, sempre i soliti nel solito vaso, ti parlo di quello che ho fatto dalla visita prima, rimango la notte a dormirti vicino e poi riparto il pomeriggio
dopo.
Non ti dimentico, non smetto di amarti, non smetti di mancarmi.
Ho sviluppato la fobia del silenzio e della solitudine.
Ho ridipinto e riarredato la casa. Adesso è tutto in varie tonalità di blu.
E il tempo scorre, maledetto.
E i mesi lenti scivolano, le settimane passano, i giorni corrono via.
Corrono e presto son cento. Cento contati.
E da cento, centocinquanta, e poi centosessanta, fino a centosettanta.
Una sera, fra il centosettantaquattresimo e il centosettantacinquesimo, dopo qualche settimana che non lo sentivo, Chris mi chiama.
-Ehi Dom, scusa se non mi sono fatto sentire ma siamo stati in vacanza per il compleanno di Kelly.-.
-Ah, tranquillo, lo immaginavo. A proposito, falle gli auguri da parte mia.-.
La falsissima allegria nel mio tono di voce non lo convince.
-Come stai?-.
Sospiro.
-Come sempre. Bene finché non ci ripenso.-.
-Quant'è passato?-.
-Centosettantuno giorni. Contati.-.
-Quant'è che non lo vai a trovare?-.
-Nove giorni. Te?-.
-Mesi, credo. Se per il quattro fossi a Londra, potremmo vederci?-.
-Certo.-.
-Bene.-.
Silenzio.
-Allora ci vediamo.-.
-Sì, ciao. A presto.-.
Riattacco prima che possa dire altro.
È il primo dicembre. Fra sette giorni è il mio compleanno, fra due quello di Chris.
Festeggerà con la sua famiglia, lui che ne ha una.
Io e te siamo simili anche su questo fronte.
Non siamo stati capaci di trovare una donna con cui poter costruire una famiglia.
Io perché non ho mai amato davvero nessuno che non fossi tu.
Tu perché fai tanti discorsi e alla fine non ne sei capace, non sapresti reggere allo stress di badare a dei bambini ed doverti controllare, ed avere una donna sola, unica e fissa.
Pensavi che Kate fosse quella giusta, dopo Gaia, ma ti ha dimenticato. Si è già trovata un altro, quella stronza, sai?
Ed il figlio alla fine, non era neanche tuo.
Possibile che sia rimasto solo io a tenere ancora a te come prima?
Possibile che sia l'unico per cui il coma non ha cambiato niente? Che spera ancora? Che ti aspetta ancora?
Sì, possibilissimo. Triste però, molto. Tante persone, tante parole, tanti inutili “per sempre” e alla fine io ero l'unico sincero.
Non so che ora sia, ma sono stanco.
Mi alzo lentamente dal divano, butto via la bottiglia di birra vuota e vado in camera dove mi lascio cadere sul letto vestito come sono e mi addormento all'istante.
I giorni passano come niente e mi ritrovo su un aereo per Londra sapendo a malapena come ci sono arrivato.
È il quattro mattina quando, dopo mesi, rivedo Chris.
Assolutamente identico a come l'avevo lasciato.
Faccio per tendergli la mano, ma mi batte sul tempo e mi abbraccia.
-Dom, Dom, Dom. Scusami Dom. Non avrei mai dovuto lasciarti solo dopo l'incidente. Non sai quanta paura avevo che ti potesse succedere qualcosa. Scus..-.
Lo interrompo sciogliendo l'abbraccio.
Lo stringo per gli avambracci, guardandolo dritto negli occhi.
-Chris, amico, tranquillo. Sto bene. Non ho mai neanche lontanamente pensato a lasciarmi andare, o addirittura ad ammazzarmi.-.
Sospira sollevato. Sollevato di ritrovarmi perspicace come sempre, di non dovermi spiegare, di non doversi scusare. Di ritrovarmi in forma, non abbattuto. Di sentirmi dire “Sto bene” in totale sincerità.
Sto bene, sì. Davvero. Perché sto per rivederti e perché ho preso una decisione durante il viaggio.
Ho deciso di dirti tutto. Anche se sei incosciente so che in qualche modo puoi capirmi.
Quindi una sera di queste mi metto lì e ti parlo. Ti spiego come stanno le cose, cosa provo.
Ti dico dopo tanto quello che non ho mai avuto le palle di dirti.
Lo faccio, sono deciso.
Non ne parlo con Chris, perché so che, anche se mi appoggerebbe, mi prenderebbe per scemo, per disperato, e mi tratterebbe con compassione.
Nessuno ha mai capito quanto è grande davvero il nostro legame.
Nessuno capirebbe con quale convinzione so che in qualche modo mi sentirai, capirai.
Stanchi entrambi dal viaggio andiamo subito a casa mia, che in realtà sarebbe nostra anche se sono l'unico che ci torna spesso.
Ci mettiamo sul divano, una birra a testa, e ci raccontiamo un po' dei mesi trascorsi.
Sopratutto io racconto cosa ho fatto a New York, come ho superato la cosa, come ho vissuto da solo.
E gli racconto proprio tutto. Ogni cosa.
Parliamo per ore, ordiniamo due pizze per cena e continuiamo.
Continuo.
Mi libero di ogni cosa, ogni pensiero, ricordo, paura, film mentale.
Parlo riprendendo a mala pena fiato, la gola e le labbra secche.
Parlo di continuo finché non si fa tardi e senza neanche accorgercene crolliamo addormentati sul divano, le bottiglie ancora in mano e le pizze da finire.
Il pomeriggio dopo veniamo a trovarti.
Le infermiere mi salutano come se fossi un paziente abituale e rispondo con un sorriso.
Faccio strada a Chris fino alla tua stanza, sempre la stessa, sempre uguale.
Ci sediamo ai tuoi lati, ma stavolta io me ne sto zitto.
A parlare è Chris.
E parla più di quanto l'abbia sentito parlare da quando lo conosco.
Parla senza sosta, come me la sera prima.
Parla di tutto e niente, della sua vita, della sua famiglia. Di quanto la musica gli manca, ma è felice di poter stare un po' a casa, di poter vedere crescere i suoi figli.
Ti racconta cosa ha fatto in estate, per Halloween, per i vari compleanni dei suoi innumerevoli figli.
Kelly è di nuovo incinta, un'altra bambina.
Buster cresce bene, Alfie ha iniziato a prendere lezioni di basso ed Ava di pianoforte.
Ti confessa che manchi un po' a tutti, che ogni tanto sorge l'incognita dello “zio Matt”.
Si scusa per non essere tornato prima, per non aver fatto niente per te, di averti dimenticato.
Io sto in silenzio ad ascoltare, colpito per quanto la sua vita sembri bella, felice, così diversa dalla mia che pensavo perfetta.
Ma no, non è felice. Non del tutto.
Anche a lui, come a tutti, manca la band. Mancano gli infiniti viaggi sul tour-bus, i concerti, i bagni di folla, le partite a calcio con i fan. Manca la vita che avevamo, manchi te.
Ti parla dei fan, di come continuano a contattarlo su Twitter, di come non ci abbandonano, di come ti sono ancora vicini, ti amano ancora come prima.
Le parole corrono leste una dietro l'altra, scendendo di tono come scende il sole dietro l'orizzonte, come scende leggera una coltre di neve su Londra e le sue luci.
Arriva troppo presto l'ora di andar via, ma io non vado.
Do le chiavi a Chris, gli dico di star tranquillo.
Lo convinco che sto bene e rimango qui con te.
Mi faccio portare del cibo cinese davanti all'ospedale e lo mangio in stanza.
Il personale mi conosce ormai, sa chi sono e che non faccio niente di male, mi lascia stare.
Ti racconto un paio di cose, anche se ho fatto poco dall'ultima volta che sono venuto.
Kate si è fatta risentire, con il suo finto interessamento e il suo paiolino di scuse quali impegni vari, un nuovo film e i bambini.
Gaia ha chiamato per chiedermi come stavi: due parole in croce, un saluto ed ha riattaccato.
Nessuno della tua famiglia o della crew si è fatto sentire.
Ti hanno dimenticato tutti ormai.
Ormai, per il mondo, la stella di Matt Bellamy si è spenta in un fottutissimo ospedale di periferia.
Nessuno sa che in realtà c'è ancora chi crede, chi spera, chi ti resta vicino e prega in un qualcosa di cui non è neanche sicuro, nella disperata attesa di un qualsiasi tuo segno di miglioramento.
Sono rimasto qui per parlarti di quella cosa, ma non ci riesco.
I pensieri non riescono ad ordinarsi, a mettersi in fila indiana ed infilarsi nella mia voce.
Le parole escono vuote, meccaniche, prive di senso e significato.
Come un bambino balbuziente finisco a ripetermi di aver coraggio.
Ma il coraggio non ce l'ho e non ce l'ho mai avuto.
Non ho mai creduto di potercela fare quando stavi bene, figuriamoci ora che stai così.
Per fortuna la stanchezza mi risparmia altre fatiche e il sonno mi assale pietoso, sfumando la mente nel nero e la confusione nell'incoscienza.
Mi risveglio che è ancora buio ed esco subito, in totale silenzio.
Cammino lento nella fredda aria appena rischiarata da un sole appena sorto e ancora assonnato.
Continua a nevicare sulla strada bagnata e lentamente la città si risveglia.
Esco dal parcheggio dell'ospedale e mi ritrovo in piena periferia di Londra, circondato da palazzine malandate ed enormi centri commerciali.
Cammino per ore finché non trovo un bar aperto.
Prendo solo un espresso da portar via e lo bevo camminando, tornando indietro verso l'ospedale.
Lungo la strada vedo un negozio di fiori.
Cazzo, quasi me ne dimenticavo!
Tulipani gialli e rose rosa, sempre gli stessi.
La commessa mi sorride e mi fa i complimenti per la scelta.
Non capisco, ma non ho voglia di indagare.
Torno all'ospedale che sono già le undici, cambio i fiori nello stesso, vecchio vaso e torno a casa.
Pranziamo presto e ci vediamo un film.
Ridiamo di battute stupide, facciamo gli idioti come non succedeva da tanto, troppo tempo e per un po' riesco a dimenticarmi i miei sensi di colpa per non averti parlato ieri sera.
Mi decido.
Stasera lo faccio, te lo prometto.
Stasera rimango da te e ti dico tutto.
Ceniamo e riparto.
Chris non dice niente e mi lascia andare solo.
Mi sa che sospetta qualcosa, ma ha il tatto di non parlarmene.
Mi tremano le mani quando chiudo la porta della stanza e mi siedo sulla solita poltroncina.
Mi schiarisco la voce come per richiamare l'attenzione, faccio un respiro profondo e comincio.
-Matt.-.
Ti chiamo. Il tuo nome limpido, vibrante nel silenzio.
-Ciao Matt. Sono ancora a parlarti, sì, ma stavolta sono cose importanti.-.
Pausa, riordino i pensieri, respiro. Continuo.
-Devo dirti la verità, dopo tanto. E la verità è che sono un coglione. Sono uno stupido fifone. Sono il tuo migliore amico e non ho mai avuto le palle di dirtelo in tutti gli anni che ci conosciamo.-.
Ce la puoi fare, dai Dom.
-La verità...- deglutisco. -La verità è che ti amo, Matt.-.
Chiudo gli occhi e aspetto che il mondo mi crolli addosso.
Quasi mi immagino la tua voce urlare “Che cazzo stai dicendo?”.
Li riapro lentamente e vedo il tuo volto immobile e inespressivo come sempre.
Ti devo almeno una spiegazione, dai.
-Sì, Matt. Ti amo. E non lo dico tanto per dire. Ti amo per davvero. È una cosa che non ho mai provato per nessun altro, una cosa che non riesco neanche a descriverti per quanto è grande, assolutamente enorme, inconcepibile. Ti amo in tutto quello che sei e che sei per me. Ti amo in tutto quello che fai e che fai per me. Sei il mio migliore amico da tanto tempo, ma da altrettanto tempo so che provo per te qualcosa di più che semplice bene. Sei come un fratello, ma non è amore fraterno. Sei all'incirca come l'unica persona con cui sono sicuro di voler passare il resto della mia vita. L'unico con cui sarei felice di invecchiare. Non hai idea di quanto mi costi dirti queste cose, sopratutto adesso. E non sai quanto mi sento stupido. Sembra che stia parlando al vuoto, alla stanza. Ma lo so, lo so che in qualche modo tu mi senti. La nostra telepatia funziona anche così, no? Siamo fratelli di musica io e te, te lo ricordi? Ci intendiamo senza bisogno di parole, sguardi o chissà cosa. Ci intendiamo e basta. La telepatia più assurda e semplice del mondo.-.
Le parole alla fine vengono da sole, come se le stessi suonando.
Escono e vibrano nell'aria, senza alcuna incertezza o tremolio.
-Sono quasi sicuro che tu non provi la stessa cosa, nonostante tutti i testi che scrivi sembrino parlare di me, di noi. In un certo senso spero che tu mi stia sentendo, ma ho anche paura. Ho paura che tu possa prenderla male, rifiutarmi. Ho paura di perderti. Perché fin'ora, anche se non eri quello che desideravo, eri almeno il mio migliore amico, mi eri vicino e mi bastava. Ma non potrei sopportare di essere allontanato volontariamente. Non lo farai, vero Matt? Anche se non ricambi, non mi allontanerai, vero? Fai così. Se mi stai sentendo, quando ti svegli fai finta di nulla. Io ho l'animo in pace perché te l'ho detto e tu puoi continuare a fare come se non fosse successo nulla. Se invece ricambi, beh, cazzo, che aspettavi a dirmelo? Che ipocrita che sono. Magari avevi paura anche tu, la mia stessa. Magari abbiamo perso un sacco di tempo perché siamo due stronzi senza palle, e non abbiamo il coraggio di dirci la verità. Dovrebbe essere dichiarato illegale mentire sui propri sentimenti. Ognuno dovrebbe dirlo subito. “Ti amo” o “Ti odio”. “Ti voglio bene” o “Mi stai sul cazzo”. Sembra facile a dirlo, no? Invece non lo è. Invece è una gran merda. È più difficile dire cosa si prova a una persona che confessare un assassinio. Preferirei andare in carcere piuttosto che essere rifiutato. Anche se non ti direi niente ed accetterei ogni tua decisione, ciò non toglie che starei da schifo, piangerei come una ragazzina e mi sentirei in colpa.-.
Mi blocco un attimo, mi schiarisco la gola, riprendo fiato.
Sorrido. È più semplice di quanto pensassi.
-Insomma, sto dicendo un sacco di cose senza dire nulla. Che poi il succo della cosa te l'ho già detto prima. Quello che volevo dirti lo sai già. Potrei anche andarmene.-.
Pausa, panico. No, niente, sono tranquillo. Riprendo.
-Ma quando ti svegli, Matt? Sarebbe un bel regalo, già che oggi è il sette, è il mio compleanno. Mi manchi, sai? Manchi un po' a tutti. Ti hanno dimenticato, sai? La tua più grande paura si è realizzata e tu neanche lo sai. Tanto quando ti sveglierai torneranno tutti come cagnolini dal padrone e tu non saprai mai niente. Non saprai mai neanche che io sono stato l'unico ad esserci sempre, che ho vissuto per due in questi mesi, solo per te. Non saprai mai quanto ho pianto, quanto ho desiderato di morire per non provare più dolore. Spero che almeno capirai che non ho mai smesso di sperare, di aspettare, di starti vicino. Ma mi senti, Matt? Senti cosa dico? Perché se mi senti e non ti svegli apposta non è bello, sai?-.
Sospiro buttando la testa all'indietro e appoggiandola allo schienale.
-Dovresti vedermi. Sono qui seduto a parlare da solo. Mi sento talmente stupido.. Tu stai lì incosciente, non mi senti, non senti niente. E io sono qui che mi ammazzo di seghe mentali. Che non mi riprendo. Che parlo al vuoto di una cazzo di stanza di ospedale, che mi apro al nulla. Cazzo Matt, svegliati ti prego.-.
Rialzo la testa, ti guardo.
-Te l'ho mai detto che sei bellissimo, Matt? Te l'ho mai detto che tutti i particolari per cui ti prendevo per il culo, dal dente sporgente alla bassa statura, mi fanno impazzire? Sei una persona fantastica, Matt. Sei pazzo, sei un genio, sei un musicista con le contro palle, sei un uomo con il cuore da ragazzino, sei dolce e tremendamente sexy. Sei assolutamente scopabile, dico sul serio. Sei adorabile. E cazzo, sembrerà assurdo ma mi piace tutto di te. Assolutamente tutto. Matt, minchia, come posso dirlo in altri modi?-.
Sbuffo esasperato da me stesso.
-Matt, basta. Ho finito le metafore e le cazzate. Le parole che dovevo dirti erano appena due, e le ho dette prima. Te le ridico se non le hai capite: Ti amo.-.
Solo ora mi accorgo di avere le mani sudate, il cuore a mille e il respiro affannato.
Chiudo gli occhi e non mi accorgo di niente.
Sento un gemito e li spalanco, spaventato.
-Che... CAZZO!-.
Senza riuscire a trattenermi lancio un urlo e mi alzo di scatto.
-Matt!-.
Esclamo sorpreso. Mi sorridi confuso, non capisci cosa succede.
Un'infermiera irrompe nella stanza allarmata dal mio grido, vede che sei sveglio e corre a chiamare un medico.
La stanza si riempie di medici e infermiere.
Io vengo spinto in un angolo, ma i tuoi occhi non si staccano un secondo da me.
Ti fanno dei controlli di routine, stai benissimo.
Sono tutti increduli ed entusiasti, qualche infermiera perfino commossa. Io ho le lacrime agli occhi senza neanche essermene accorto.
Lentamente poi, la stanza si svuota di nuovo. Prima di uscire un medico si avvicina e mi dice di stare attento a parlarti e di non alzare la voce.
Poi se ne va anche lui lasciandoci soli.
Io mi avvicino con un sorriso enorme, pienamente ricambiato.
-Matt...-.
Ingoio le lacrime, inutilmente.
Scendono copiose, incontrollabili. Indescrivibilmente di gioia.
-D-dom-.
Il semplice suono della tua voce mi scatena un'altra ondata di lacrime.
-Matt. Matt cazzo. M-mi sei mancato.-.
Non riesco a dire altro, sopraffatto dall'emozione.
Non riesco a credere che tu sia davvero vivo, sveglio, sano. Che tu mi stia guardando e sorridendo di nuovo.
Ti guardi intorno, sorridi all'indirizzo dei fiori, dello stereo e i CD, e di nuovo a me.
-Mi è mancato così tanto il sole.-.
Rido per l'assurdità di quella affermazione.
-È l'una di notte.-.
Allunghi una mano a sfiorare i petali di uno dei tulipani.
-Tulipani gialli. “C'è il sole nel tuo sorriso”.-.
Un colpo al cuore. Non li ho mai imparati i significati dei fiori, io.
Ti volti a guardarmi, mi fissi dritto negli occhi.
-E rose rosa. Hai avuto la fortuna di scegliere i fiori giusti per quello che dovevi fare.-.
-H-hai..?-.
M'interrompe subito.
-Sì, Dom. Non chiedermi come e cosa stavo vedendo nella mia testa, ma sì. Ho sentito tutto.-.
Trattengo il fiato, in attesa.
-Sei un fottutissimo coglione. In diciotto cazzo di anni non hai mai pensato di dirmelo? Ma no, dovevi aspettare che finissi in coma!-.
-E te?-.
-E io cosa? Secondo te? Stupido idiota.-.
Scoppio a ridere. Rido e piango insieme, incredulo, al settimo cielo.
-Non hai davvero idea di quanto mi sei mancato.-.
Dico piano avvicinandomi al letto e prendendoti una mano.
La stringi con più forza di quanta pensavo che avessi.
-Ok, scusa, è anche colpa mia. Avrei potuto farmi avanti anche io, ma l'ho sempre dato un po' per scontato.-.
-Matt, non importa. Posso dirtelo di nuovo. Tutte le volte che vuoi.-.
-Ridillo allora, ma fallo guardandomi negli occhi. Parlare agli incoscienti è facile, ma voglio vedere se fai sul serio.-.
Ti guardo dritto negli occhi, stringendoti la mano.
-Matt, ti amo.-.
Sorridi.
-Anch'io, Dom. E buon compleanno-.


~

Beene, anche questa è finita, tranquilli.
Ora che ne dite di apprezzare il notevole sforzo mentale che sto facendo per inventarmi qualcosa da scrivere qui, essere solidali e fare un piccolo sforzo per lasciarmi una recensione?
Dai, è una cosa carina no? :D
Ok, vi faccio una promessa, che stasera son presa bene. Risponderò privatamente ad ogni singola recensione, giuro.
Bene, dai, che aspettate? :DD

Alla prossima,

sempre vostra, Piuma_rosaEbianca.

   
 
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