‡
Beautiful Novel ‡
In
caduta libera.
Sono
una
pessimista.
Mi
hanno
sempre definita così, nel migliore dei casi. Altrimenti, nei
momenti in cui la
gentilezza scarseggiava arrivavo ad essere disfattista, tragica,
fatalista,
catastrofica, e, in mancanza di fantasia, rompipalle.
È
vero, sono
una di quelle persone che vede il bicchiere mezzo vuoto, che gira
sempre con
l’ombrello nella borsetta e controlla il testamento ogni
sera, prima di andare
a letto.
Sì,
a
vent’anni avevo già fatto testamento, non si sa
mai. Non che avessi granchè da
lasciare, ma almeno sulla carta sarei stata pronta al peggio, quando
ciò
sarebbe accaduto.
Non
c’era mai
stato un posto in cui mi sentissi realmente al sicuro, al riparo da
ogni
disgrazia: nemmeno tra le braccia di mia madre, o avvolta nelle
lenzuola di
flanella del mio vecchio lettino.
Però
c’erano
persone, gesti e sensazioni che riuscivano a farmi stare bene. Non
cancellavano
la mia innata negatività, questo no, ma riuscivano a farmela
dimenticare,
almeno per un po’.
Milo
era una
di queste cose. Era il disinfettante sulla ferita, l’acqua
fresca sulla gola
riarsa, era il colore di un fiore che sboccia sotto la neve e spaventa
l’inverno.
Quella
mattina
mi risvegliai abbracciata a Milo, con il suo respiro caldo che mi
scivolava sul
collo, e mi ritrovai a pensare che a volte l’eccezione pesa
più della regola, e
ci sono attimi in cui l’illusione del mondo si sfalda per
lasciare spazio a
emozioni confuse, colorate, piene di luce.
Piena
di luce.
Quella
mattina
era così, in perfetta assonanza con il mio animo.
Quella
mattina
non avrei corso pericoli ad attraversare la strada, non avrei avuto
bisogno di
alcun ombrello e il mio bicchiere non era mezzo vuoto, ma ricolmo, e
traboccante di vita.
Ero
felice,
quella mattina.
-
Che fai, non
mangi? – chiese Milo masticando.
Chinai
lo
sguardo sulla colazione che mi aveva preparato: un toast con sopra due
uova al
tegamino per gli occhi e una striscia di bacon al posto della bocca.
Doveva
assomigliare ad una faccina felice, ma le uova stavano colando e la
striscia di
bacon non ricordava per niente un sorriso, anzi. Repressi la nausea con
una
smorfia.
-
Veramente,
la mattina non mangio mai cose salate… -
-
Ah no? –
Milo strabuzzò gli occhi e mi guardò come se
fossi un’aliena.
-
No. – ripetei,
leggermente infastidita dalla sua sorpresa.
-
Allora…cosa
mangi? –
-
Cose dolci!
–
Milo
si grattò
la testa.
-
Pane e
marmellata, crema al limone, fette di torta, cioccolata… -
Alla
parola
“cioccolata” lo sgomento del Santo di Scorpio
raggiunse il suo apice.
-
Cioccolata?!?
E per di più a colazione! Ti farà malissimo al
fegato, e in più ti riempirai di
brufoli!- esclamò, con la sua solita delicatezza.
Ringhiai.
-
Ehm…-
balbettò, dopo qualche istante di smarrimento –
Vado a prepararti
qualche…uhm…qualcosa…qualcosa di
dolce, sì!-
-
Sarebbe
anche il caso! – m’imbronciai.
-
Direi di sì:
sei acida. –
-
E tu cafone!
–
-
Vipera! –
-
Trattore! –
-
Eh?
Trattore? –
-
Russi, mio
caro! –
-
Non è vero!
–
-
Milo, ho
fame! –
-
Tsk.-
Milo
si alzò
da tavola dritto come un manico di scopa, le spalle strette e un naso
rivolto
talmente all’insù che pareva un segugio che fiuta
una traccia.
Mi
ero
dimenticata di quanto fosse permaloso quel ragazzo.
Mi
alzai
anch’io, presi la rincorsa, e, dato che era voltato di
spalle, gli saltai sulla
schiena gridando e coprendolo di baci. Bastava davvero poco a farlo
tornare di
buonumore.
-
Adesso vado
ad allenarmi, finirò stasera. – disse Milo
abbottonandosi i pantaloni leggeri.
Io
mi stavo
lavando i denti nel bagno di fronte alla camera da letto. Tenevo la
porta
aperta, così potevo vedere nello specchio il riflesso del
Cavaliere dello
Scorpione che si preparava per l’allenamento.
-
Come mai
così tardi? – chiesi, sciacquandomi la bocca dalla
schiuma del dentifricio.
-
Ordini di
Athena. Oggi devo allenarmi con i Bronze Saints. –
-
Cosa sono i
Bronze Saints? – domandai ancora, entrando nella stanza e
rubando la maglietta
che stava per mettersi.
-
Sono miei
subordinati. Giovanissimi, quasi dei bambini con l’Armatura.
Li credevo dei
morbidi, invece alcuni hanno dimostrato di avere le palle. Eddai,
ridammi la
maglietta! –
-
Hey,sembra
una storia interessante! – sorrisi, incuriosita.
-
Se vuoi
stasera a cena te la racconterò. La maglia, Lily! –
Appoggiai
le
dita sui suoi pettorali scolpiti, e fu un piacere bearmi anche solo per
un
secondo della sua pelle calda e compatta. Lui rabbrividì, ed
io ghignai: sapevo
di avere le mani gelide per via dell’acqua fredda con cui le
avevo lavate, e
stuzzicarlo con certi dispettucci mi divertiva da morire.
-
Guarda che
mi fai fare tardi! –
-
Uff, e va
bene! – sghignazzai, restituendo il maltolto – Ma
torna presto, mi raccomando.
–
Sorrise
e mi
strinse a sé, per darmi un bacio lieve.
-
Piuttosto,
dovresti allenarti un po’ anche tu. Da quanto tempo non vai
da Shaka per
migliorare nel controllo del Cosmo? –
-
Mh. –
-
Lily? –
Sbuffai,
soffiando via una ciocca di capelli che mi ricadeva sulla fronte.
-
Oggi ci
vado, te lo prometto. –
-
Brava. – mi
sorrise Milo. Si sporse verso di me per darmi l’ennesimo
bacio, poi uscì.
-
A stasera. –
gridò, ormai fuori dalla porta.
-
A stasera. –
All’improvviso,
rabbrividii.
Dalla
finestra
era entrato un vento gelido che mi fece venire la pelle
d’oca. Agitava le
fronde degli alberi e sferzava la terra, producendo il rumore di una
grande
muta di cani che si lancia all’attacco. Un altro brivido.
Chiusi
la
finestra.
-
Ciao, Shaka.
–
-
Buongiorno,
Lily. Cosa ti porta alla Casa della Vergine? –
Non
avrei mai
colto Shaka di sorpresa, o impreparato, o fuori posto. Erano appena le
otto del
mattino, eppure lui era lì, bello, pettinato, perfetto,
luminoso e splendente
nella sua Armatura dorata.
E
aveva anche
l’aria di chi ha già cominciato la giornata da un
po’ e si appresta a compiere
i propri doveri con energia.
-
Pensavo
fosse il caso di esercitarmi un po’ con il Cosmo…-
-
E’ molto che
non ti alleni.-
Una
semplice
constatazione. Stavolta non c’era la solita ironia pungente
nelle sue lapidarie
risposte. Il Cavaliere doveva essere inspiegabilmente di buonumore.
Decisi
di
farmi i fatti miei, e senza fare domande lasciai che Shaka mi guidasse
nel
Giardino all’interno della sua Casa. Mi sedetti ai piedi
dell’enorme albero
fiorito, chiusi gli occhi e cominciai a meditare, senza più
curarmi di Virgo e
della sua immotivata contentezza.
L’oscurità
delle mie palpebre calate fu a poco a poco bucata da una miriade di
punti
luminosi: i Cosmi degli abitanti del Santuario.
Potevo
scorgere una macchia lilla in corrispondenza di Mur e della Casa
dell’Ariete, e
riuscivo a riconoscere Aldebaran in uno spruzzo di energia giallo
limone; il
Cosmo della Dea Athena splendeva come una piccola stella, e quello
azzurro di
Milo scintillava per lo sforzo, circondato da una moltitudine di Cosmi
colorati
che non avevo mai visto ( che fossero i tanto famosi Bronze Saints? ).
Del Cosmo di Camus
non c’era traccia,forse era
partito per una missione. Mi parve strano.
Il
Cosmo di
Aiolia invece riluceva quieto nella Quinta Casa, mentre ero sicura di
aver
sentito dire dagli inservienti che era via per conto di Athena. E se la
gioia
silenziosa di Shaka dipendesse proprio dalla sua presenza? Del
resto…
Quando
hai finito di fare la
panoramica delle love story del Santuario fammi un
fischio…Pecora idiota.
Ma
come siamo gentili. Sai, invece, cosa ho
scoperto?
Che
tra quei due c’è più di
un’amicizia non è mai stato un segreto per
nessuno, Genio del Male.
Ma,
ma…
Oh,
Zeus! Cos’è quella
faccia? Lo sanno tutti qui, nono rimanerci male!
Oggi
sei proprio odioso, Hermes.
Odioso,
dici? Beh, se la
prendi così quando ti dico che tra Virgo e Leo
c’è del tenero, non oso pensare
a come reagirai quando ti dirò che Babbo Natale non esiste.
Uff…ma
che vuoi?
Dobbiamo
parlare.
Un
colloquio con me costa 100 euro al minuto.
…
Eddai,
era una battuta!
…
Beh?
Se
non fossi fatto di
spirito, in questo momento tenterei di ammazzarmi.
Ok,
sono seria.
Bene,
allo-
Oh,
solo una cosa,solo una cosa! Hai visto come
sono stata brava a concentrarmi? Ci siamo parlati quasi subito! E non
mi sento
affatto stanca, anche se siamo in contatto da un po’!
Miglioro di giorno in giorno,eh?
Sei
petulante nei giorni in
cui io non ne ho nessuna voglia, Pecora. Come posso spiegartelo senza
ferirti?
Vediamo…io sono in te, tu sei in me; con la giusta dose di
volontà e
concentrazione (cosa che ti manca in gran quantità, assieme
ad un considerevole
numero di neuroni ) siamo in grado di agire in perfetta sincronia.
Certi tipi
di allenamento aiutano, altri sono solo specchietti per le allodole.
D’accordo,
ma…
E
non rompere! Non dobbiamo
parlare di questo, adesso!
Uff…
Allora,
Pecora, facciamo seriamente
il punto della situazione: come siamo messi, io
e te?
Non
lo so, come siamo messi?
Siamo
messi maluccio : io
sono sveglio e innegabilmente adulto, e ciò significa che
non abbiamo più
scuse, dobbiamo svolgere i compiti che ci verranno assegnati senza fare
troppe
storie. In secondo luogo, Iris,
D’accordo.
E poi?
Poi
c’è il problema
dell’umano che ti perseguita. Dovrebbe chiamarsi…
Brain.
Sì,
lui. Si è ritirato nel
suo covo ormai da un po’, ha avuto tutto il tempo di
organizzare una
contromossa. E ho motivo di credere che non tarderà ad
agire.
E
poi c’è Albert.
Giusto,
tuo fratello. Ho
arginato in te il dolore per la sua morte, riposa in un angolo remoto
della tua
anima. Ma prima o poi dovrò liberarlo, e allora tu dovrai
essere diventata
forte, con uno spirito indistruttibile.
Mi
chiedo se tutto questo sia giusto.
Non
so risponderti. Non
conosco altre vie.
Beh…fine
del quadro catastrofico?
Pecora…forse
la situazione
non ti è chiara, ma se le cose stanno così
mettiamo in pericolo la vita di
Athena.
Che
c’entra adesso la vita di Athena?
Ragiona.
Non possiamo
rischiare di provocare i nostri nemici fino ad esasperarli, o finiremo
per
soccombere. Ora siamo in un momento di pace temporanea, ma non
durerà a lungo.
Se Iris riesce ad ottenere l’appoggio di Hera, siamo fregati.
E lo stesso vale
per il tuo nemico umano: non possiamo permettere che si impossessi di
nuove
tecnologie, o saremo perduti.
Non
ti seguo del tutto. La cosa di Brain mi è
chiara, ma perché hai tirato fuori Hera?
Iris
è
Ma
se Hera si schierasse dalla sua parte le cose
cambierebbero…
Vedo
che cominci a capire.
E
tu pensi che Hera sarebbe disposta ad attaccare
Athena, se solo Iris glielo chiedesse?
Non
me la sento di
escluderlo. Iris è un nemico valido e vendicativo: il suo
rancore non si
spegnerà, questo è certo.
E
se non facciamo attenzione rischiamo…
Rischiamo
una nuova Guerra
Sacra.
Oh…che
intendi fare?
Con
Iris e Hera? Niente, per
adesso. Per prima cosa voglio sistemare quel dannato umano.
Brain?
Ma lui è cosa da poco!
Eppure
ci ha messo in
difficoltà già una volta, non dimenticarlo. Anche
il tuo amico, il Cavaliere di
Scorpio, a causa sua ha passato un brutto quarto d’ora.
È
vero, ma secondo me non ne vale lo stesso la
pena.
Avanti,
Pecora! Se non lo
facciamo ora che siamo nel pieno delle forze, quando dobbiamo farlo?
Sarà,
ma tu non me la racconti giusta.
Non
capisco cosa tu voglia
dire.
Andiamo,
Hermes! Qual è il vero motivo di questa
decisione?
Te
l’ho appena spiegato.
Voglio
la verità.
È
questa.
Bugiardo.
Onorato.
Hermes!
Tu sei in me, io sono in te. L’hai detto
tu, proprio poco fa! Non devi nascondermi nulla!
Umpf.
Mi …ato.
Cosa?
…ato.
Se
bisbigli non sento.
Mi
ha ingiuriato! Ha offeso
la mia persona, ha oltraggiato la mia autorità, ha sminuito
la mia importanza,
ha ferito il mio orgoglio! Ti basta?
Così
va bene. Ceto che sei permaloso!
Pf.
Questa volta faccio finta
di non aver sentito, mortale dalla lingua biforcuta.
Tse.
Ci
serve un piano d’attacco,
Pecora: adesso usciamo di qui, smontiamo baracca e burattini e poi
torniamo
alla tua vecchia casa,
Hey,
frena un secondo! Vuoi dire che non torneremo
al Santuario?
No,
direi di no.
E
perché mai?
Per
svincolarci da Athena. Se
non ci protegge, non rischia di essere coinvolta.
Athena
ha dei valenti paladini che servono proprio
a questo.
Pensavo
che non volessi
assolutamente mettere in pericolo la vita dei tuoi amici e del tuo
amato.
Ma
nemmeno voglio perdere la loro amicizia e il suo
amore.
Se
dovessero infrangersi alla
prima difficoltà, credimi, sarebbero dei legami da poco.
Non
me la sento Hermes, non sono pronta.
Ti
conosco, Pecora. Non sarai
mai pronta.
Non
voglio lasciarlo.
Ora
non conta.
Lo
amo.
Al
punto di vederlo
soccombere per le tue debolezze, il tuo egoismo, la tua
stupidità?
Lotterei
con lui.
Lily,
questo non importa! Non
possiamo rischiare che una guerra devasti il mondo per i tuoi capricci.
Lo
so, però…
È
un compito che ci è stato
assegnato, un destino che non abbiamo scelto. Lo so che è
ingiusto, ma va
affrontato. Non possiamo continuare a sopravvivere e basta.
…
E
adesso perché piangi? Guada
che lo sento…
…
Ascoltami,
Lily. Se ora non
compi questo passo, potresti non avere più un futuro. Sarai
arrivata fin qui,
ti sarai ferita e affannata per niente. Ti chiedo di lasciare andare la
sua
mano, per adesso. Più avanti la riallaccerai alla tua,
quando il mondo che hai
costruito con i tuoi sforzi sarà un posto un pochino
più giusto.
Sniff.
Stringi
i denti.
Milo
questa non me la perdonerà.
Certo
che lo farà.
No,
sniff…né io potrò mai perdonare me
stessa. Mi
odierò, e diventerò acida e cattiva, e mi
richiuderò dentro di me, e mi verrà
la gobba sulla schiena, e mi resterà addosso per sempre. Mi
trasformerò in una
chiocciola e invecchierò di cento anni in un giorno solo.
Non
credere che lasci che il
corpo che mi ospita vada in rovina. Ci tengo alle apparenze, io!
Pf.
Però sono sola al mondo, stavolta
definitivamente.
Pecora!
Non offendermi, per
Zeus! Non sei mai stata sola, né lo sarai mai:
sarò sempre con te, che tu lo
voglia o no!
Suona
come una minaccia.
Molto
peggio, è una promessa.
…Grazie,
Hermes. Ti voglio be…
Prova
a dirmi una smanceria
del genere e in meno di due minuti ti spedisco a sciogliere le lande
ghiacciate
dell’Ade con un cerino.
Glom!
Mi
trovavo
alla Tredicesima Casa, davanti al portone di legno intarsiato che
conduceva
alla sala dove poco tempo prima si era tenuto l’ultimo
synagein. Se chiudevo
gli occhi potevo vedere il Cosmo di Athena fluttuare quietamente sul
trono di
marmo. Segno che forse la coscienza della Dea era a riposo e Saori Kido
aveva
il pieno controllo di sé stessa.
Bussai,
e fui
invitata ad entrare. Un po’ esitante varcai il portone che si
era spalancato
magicamente davanti a me.
Mi
avvicinai
alla ragazzina dai capelli viola percorrendo un lungo tappeto rosso, e
la
salutai chinando il capo quando raggiunsi la distanza giusta.
-
Ciao, Lily.
–
-
Ciao,
piccola Saori. –
Se
Lady Kido
fu in qualche modo infastidita dal mio eccesso di confidenza, non lo
diede a
vedere.
-
Cosa ti
porta qui? Il Cavaliere di Virgo mi ha confidato di averti visto molto
turbata.
–
In
effetti,
Shaka aveva sentito il mio Cosmo agitarsi ed intorbidirsi durante la
meditazione, e quando mi aveva visto andarmene con gli occhi gonfi di
pianto
era rimasto palesemente inquieto. Però non pensavo avesse
già informato
-
Infatti. C’è
una cosa di cui devo parlarti, o Pallade.
Lo
sguardo di
Saori si fece più serio, non sembrava più tanto
una ragazzina. Era diversa rispetto
ai primi tempi in cui l’avevo conosciuta, sembrava
più matura, più consapevole
del suo ruolo, e forse, in qualche modo, più triste. Mi
ricordai del giorno in
cui mi aveva rivelato le sue paure: nella sua confidenza appena
accennata avevo
potuto scorgere tutta la fragilità di quella creatura divina
e sola.
Chissà
se
avrebbe capito che la mia non era una fuga, né un abbandono.
Chissà
se
avrei avuto la forza di dirle che le volevo bene, e che un giorno sarei
tornata.
Chissà
se in
realtà sarei tornata davvero.
Chissà…
-
Di che si
tratta? –
Inspirai
a
fondo, prima di dire addio alla Dea dagli occhi azzurri.
Del
resto era
un pessimo giorno per andarsene, io me lo sentivo.
Anche
se era
quasi sera l’aria brillava ancora di azzurro, il profumo del
mare era intenso e
penetrante, e gli uccelli si ostinavano a cantare, a celebrare quel
sole che,
ignaro delle leggi della natura, non voleva saperne di spegnersi.
Era
come se
tutto il Creato si fosse messo d’accordo, come se
l’ Universo intero tramasse
per non far sopraggiungere la sera e ostacolare la mia partenza.
E
poi c’era
quella musica.
Avevo
sentito
le prime note di quella melodia rimbalzare tra le colonne di marmo
della sala
del synagein.
Chi
la
cantava?
Forse
qualcuno
si stava esercitando, ma chi?
Forse
venivano
dal cuore di Athena, dal punto esatto in cui io l’avevo
spaccato.
Forse
era una
musica immaginaria, e la sentivo soltanto io.
E
se il
profilo nobile della divinità si manifestava imponente,
incrollabile e
maestoso, la ragazza che lo ospitava piangeva.
Piangeva,
ma
lo faceva con dignità, quasi con discrezione. Fui grata a
Saori per questo, e
non nego che qualche lacrima sfuggì anche a me.
-
Chiamami
tutte le volte che avrai bisogno. Athena è con te.
–
-
Grazie di
tutto, amica mia. – mormorai prima di andare.
E
mentre mi
dirigevo verso la porta, dando le spalle alla Dea che piangeva per me,
riconobbi finalmente le parole di quella canzone.
Erano
versi di
Saffo:
“
…molte cose
mi disse, e anche questo:
Ahimè,
così terribilmente soffriamo
E
ti lascio senza volerlo per nulla.”
Se
separarmi
da Athena era stato inaspettatamente difficile, dire addio a Milo
sarebbe stato
pressoché impossibile. Per non parlare degli altri Saints.
Con
che
coraggio sarei partita? Con che faccia? Cosa gli avrei detto, come
potevo?
La
mia
razionalità cominciava a venir meno, e l’unico
chiodo fisso che avevo era
quello di non risultare patetica agli occhi della persona che amavo.
Sembra
stupido, ma in quel momento il mio problema più grosso era
sparire nel modo più
dignitoso che mi venisse in mente, cercando di cancellare ogni traccia
del mio
passaggio. Non volevo che mi ricordassero come un persona debole, o,
peggio,
una traditrice.
Per
questo
corsi a perdifiato lungo il sentiero che fiancheggiava i Templi Sacri,
per
poter giungere all’Ottava Casa a raccattare i miei pochi
averi, senza essere
costretta a mentire a tutto il Santuario.
Ero
così
immersa nei miei pensieri che non mi accorsi di una presenza che mi
veniva
incontro, e gli rovinai addosso rotolando a faccia in giù
sul selciato.
Quando
rialzai
la testa, non mi stupii di incontrare gli occhi di Camus: avevo
già intuito la
sua identità spiando il Cosmo color avorio che lo avvolgeva.
Probabilmente era
tornato dalla sua missione e stava recandosi da Athena a fare rapporto.
Il
Cavaliere
di Aquarius mi guardò con un’aria contrariata e
insieme interrogativa. Sentii
le lacrime pungermi gli occhi: non ero in grado di rispondere alle
domande, e
forse neanche alle accuse, che mi rivolgeva con quello sguardo
silenzioso.
Mi
rialzai di
scatto, afferrai una delle sue mani e gliela baciai.
Cercai
di
sostenere il suo sguardo più a lungo che potevo, ma un
istante fu già troppo.
Chinai la testa di colpo, mormorai un “mi dispiace”
strozzato e corsi via.
Non
mi fermò.
Non una parola, non un gesto.
“Grazie”
pensai.
Arrivai
finalmente all’Ottava Casa. Avevo il fiatone, le gote
arrossate e pareva che
tutte le energie del mio corpo fossero impiegate nel titanico sforzo di
non
piangere.
Cominciai
a
frugare un po’ alla cieca nella camera da letto di Milo,
ammassando le mie cose
sul letto quando le riconoscevo. In fondo all’armadio trovai
una valigia, e
decisi di usarla per portare via i miei beni.
Mancavano
pochi oggetti, ancora pochi, fottutissimi dettagli e me ne sarei
andata. Pochi
dettagli, poche cianfrusaglie, era davvero necessario affannarsi
così tanto per
portarle via?
Sì,
non volevo
che a Milo restasse di me una traccia equivoca. Non volevo che un
giorno
provasse odio o rancore nel guardare un oggetto che mi era appartenuto.
Il
mio era un
bisogno infantile, è vero, eppure mi sembrava indispensabile.
Poche
cose e
avrei finito, ancora poche cose…
“Testa,
cuore,
per favore, non cedete. Non abbandonatemi adesso!”
E
in quel
momento, in quel dannato momento ( mancavano davvero poche cose ) un
piccolo
puntino, azzurro e luminoso, bucò la nebbia dei miei
pensieri disordinati.
Milo.
Mi
bloccai di
colpo e pregai con tutto il cuore di diventare invisibile.
-
Ciao, Lily! Sono tornato. –
Non
si era
ancora accorto del mio stato d’animo, forse potevo fingere
fino all’ultimo che
andava tutto bene, potevo mentire, sì…
No,
non potevo
farlo. Non potevo fare anche questo,
non a Milo.
Sospirai,
e le
difese che avevano arginato le mie emozioni si ruppero come se fossero
fatte di
carta. Scoppiai a piangere in maniera disperata, prendendo di tanto in
tanto
ampi respiri perché mi veniva a mancar l’aria.
-
Lily, che ti
succede? È per qualcosa che ho fatto? Shaka mi ha detto che
eri inquieta, ma
non pensavo di trovarti così… -
Mi
abbracciò,
ed io mi aggrappai a lui con disperazione, come un naufrago che trova
un
appiglio.
-
M-Milo, io…
- singhiozzai, da persona banale quale ero. Lui mi accarezzò
dolcemente la
testa, e per tutta risposta io aumentai la stretta, arrivando perfino a
graffiarlo.
-
Io…io –
Cosa
avrei
voluto dire? Che lo amavo, certo.
“Io
ti amo”,
le tre parole più semplici del mondo.
Tempo
addietro
ne avevo abusato tante volte, senza rimorsi e senza vergogna, e ora che
succedeva? La prima volta che amavo davvero, non usciva niente.
Ero
tutta
sbagliata. Lo sono sempre stata, dal momento in cui sono nata. Uno
scherzo
della natura, un dispetto di qualche Dio. Io, Lily, non ero altro che
una burla,
un errore, una svista.
Solo
così
riuscivo a spiegarmi perché ero nata storta, completamente
inesatta rispetto al
mondo. C’è stato un equivoco, lassù in
cielo, ed è da lì che sono nata.
Sono
fatta
talmente male che quando Milo si staccò da me con una
carezza e andò a
prendermi un bicchiere d’acqua, non dissi altro che
“va bene”.
Mi
trovavo
ridicola.
Ma
se non
altro, in quel breve lasso di tempo riuscii a ricompormi, a ritrovare
lucidità
e focalizzare il punto della mia missione.
Richiamai
tutte le forze che mi erano rimaste ed invocai Hermes.
Quando
Milo
tornò e mi vide con indosso
Io,
dal canto
mio, non sapevo più che cosa fare per tenermi unita, per non
cadere a terra e
sfracellarmi in mille pezzi.
E
di colpo,
quasi per scherno, mi tornarono in mente i versi di Saffo che avevo
udito poco
fa, e a questi se ne aggiunsero altri:
“
Vai e stai
bene, e di me
Ricordati,
perché sai
Come
ti ho
amato”
Anche
se
dentro sentii scuotermi con la forza di un terremoto, non lo diedi a
vedere. Mi
tenni stretta la mia maschera fino all’ultimo,
chissà poi perché. Chissà
perché
nella vita uno preferisce mentire, certe volte.
Così,
quella
volta lì, mentii.
Avrei
voluto
dirgli che l’amavo.
Invece
dissi
solo:
-
Io vado.-
Eccomi
qua. Ritardo pauroso, lo so. Chiedo
infinitamente, e ancora una volta, scusa.
Ora
come ora non penso di riuscire ad avere il
tempo di ringraziarvi uno per uno. Vi manderò una mail uno a
uno il prima
possibile. Alla fine del prossimo capitolo, invece,
preciserò a quali frammenti
di Saffo i versi facciano riferimento.
Grazie
del tempo che buttate per me, grazie della
pazienza, grazie della fiducia. Soprattutto tu, rib! J
Spero
che il capitolo vi piaccia!
Un
bacio
stan