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Autore: Primb    13/02/2011    5 recensioni
"Correvo. Semplicemente, correvo, il bianco vestito da sposa pieno di macchie e strappi, lo strascico ormai ridotto a brandelli. I rami e gli arbusti della macchia mediterranea mi graffiavano il viso e le porzioni di pelle lasciate scoperte dalla veste nuziale. Mentre inciampavo nell'ennesima radice, sentii uno schiocco e un improvviso bruciore alla guancia. Me la sfiorai con le dita ricoperte dai guanti candidi e questi si tinsero di rosso. Sangue."
Genere: Generale, Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
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‡ Beautiful Novel ‡

 

 

 

 

 

 

In caduta libera.

 

 

 

Sono una pessimista.

Mi hanno sempre definita così, nel migliore dei casi. Altrimenti, nei momenti in cui la gentilezza scarseggiava arrivavo ad essere disfattista, tragica, fatalista, catastrofica, e, in mancanza di fantasia, rompipalle.

È vero, sono una di quelle persone che vede il bicchiere mezzo vuoto, che gira sempre con l’ombrello nella borsetta e controlla il testamento ogni sera, prima di andare a letto.

Sì, a vent’anni avevo già fatto testamento, non si sa mai. Non che avessi granchè da lasciare, ma almeno sulla carta sarei stata pronta al peggio, quando ciò sarebbe accaduto.

Non c’era mai stato un posto in cui mi sentissi realmente al sicuro, al riparo da ogni disgrazia: nemmeno tra le braccia di mia madre, o avvolta nelle lenzuola di flanella del mio vecchio lettino. 

Però c’erano persone, gesti e sensazioni che riuscivano a farmi stare bene. Non cancellavano la mia innata negatività, questo no, ma riuscivano a farmela dimenticare, almeno per un po’.

Milo era una di queste cose. Era il disinfettante sulla ferita, l’acqua fresca sulla gola riarsa, era il colore di un fiore che sboccia sotto la neve e spaventa l’inverno.

Quella mattina mi risvegliai abbracciata a Milo, con il suo respiro caldo che mi scivolava sul collo, e mi ritrovai a pensare che a volte l’eccezione pesa più della regola, e ci sono attimi in cui l’illusione del mondo si sfalda per lasciare spazio a emozioni confuse, colorate, piene di luce.

Piena di luce.

Quella mattina era così, in perfetta assonanza con il mio animo.

Quella mattina non avrei corso pericoli ad attraversare la strada, non avrei avuto bisogno di alcun ombrello e il mio bicchiere non era mezzo vuoto, ma ricolmo, e traboccante di vita.

Ero felice, quella mattina.

 

 

 

- Che fai, non mangi? – chiese Milo masticando.

Chinai lo sguardo sulla colazione che mi aveva preparato: un toast con sopra due uova al tegamino per gli occhi e una striscia di bacon al posto della bocca. Doveva assomigliare ad una faccina felice, ma le uova stavano colando e la striscia di bacon non ricordava per niente un sorriso, anzi. Repressi la nausea con una smorfia.

- Veramente, la mattina non mangio mai cose salate… -

- Ah no? – Milo strabuzzò gli occhi e mi guardò come se fossi un’aliena.

- No. – ripetei, leggermente infastidita dalla sua sorpresa.

- Allora…cosa mangi? –

- Cose dolci! –

Milo si grattò la testa.

- Pane e marmellata, crema al limone, fette di torta, cioccolata… -

Alla parola “cioccolata” lo sgomento del Santo di Scorpio raggiunse il suo apice.

- Cioccolata?!? E per di più a colazione! Ti farà malissimo al fegato, e in più ti riempirai di brufoli!- esclamò, con la sua solita delicatezza.

Ringhiai.

- Ehm…- balbettò, dopo qualche istante di smarrimento – Vado a prepararti qualche…uhm…qualcosa…qualcosa di dolce, sì!-

- Sarebbe anche il caso! – m’imbronciai.

- Direi di sì: sei acida. –

- E tu cafone! –

- Vipera! –

- Trattore! –

- Eh? Trattore? –

- Russi, mio caro! –

- Non è vero! –

- Milo, ho fame! –

- Tsk.-

Milo si alzò da tavola dritto come un manico di scopa, le spalle strette e un naso rivolto talmente all’insù che pareva un segugio che fiuta una traccia.

Mi ero dimenticata di quanto fosse permaloso quel ragazzo.

Mi alzai anch’io, presi la rincorsa, e, dato che era voltato di spalle, gli saltai sulla schiena gridando e coprendolo di baci. Bastava davvero poco a farlo tornare di buonumore.

 

 

 

- Adesso vado ad allenarmi, finirò stasera. – disse Milo abbottonandosi i pantaloni leggeri.

Io mi stavo lavando i denti nel bagno di fronte alla camera da letto. Tenevo la porta aperta, così potevo vedere nello specchio il riflesso del Cavaliere dello Scorpione che si preparava per l’allenamento.

- Come mai così tardi? – chiesi, sciacquandomi la bocca dalla schiuma del dentifricio.

- Ordini di Athena. Oggi devo allenarmi con i Bronze Saints. –

- Cosa sono i Bronze Saints? – domandai ancora, entrando nella stanza e rubando la maglietta che stava per mettersi.

- Sono miei subordinati. Giovanissimi, quasi dei bambini con l’Armatura. Li credevo dei morbidi, invece alcuni hanno dimostrato di avere le palle. Eddai, ridammi la maglietta! –

- Hey,sembra una storia interessante! – sorrisi, incuriosita.

- Se vuoi stasera a cena te la racconterò. La maglia, Lily! –

Appoggiai le dita sui suoi pettorali scolpiti, e fu un piacere bearmi anche solo per un secondo della sua pelle calda e compatta. Lui rabbrividì, ed io ghignai: sapevo di avere le mani gelide per via dell’acqua fredda con cui le avevo lavate, e stuzzicarlo con certi dispettucci mi divertiva da morire.

- Guarda che mi fai fare tardi! –

- Uff, e va bene! – sghignazzai, restituendo il maltolto – Ma torna presto, mi raccomando. –

Sorrise e mi strinse a sé, per darmi un bacio lieve.

- Piuttosto, dovresti allenarti un po’ anche tu. Da quanto tempo non vai da Shaka per migliorare nel controllo del Cosmo? –

- Mh. –

- Lily? –

Sbuffai, soffiando via una ciocca di capelli che mi ricadeva sulla fronte.

- Oggi ci vado, te lo prometto. –

- Brava. – mi sorrise Milo. Si sporse verso di me per darmi l’ennesimo bacio, poi uscì.

- A stasera. – gridò, ormai fuori dalla porta.

- A stasera. –

All’improvviso, rabbrividii.

Dalla finestra era entrato un vento gelido che mi fece venire la pelle d’oca. Agitava le fronde degli alberi e sferzava la terra, producendo il rumore di una grande muta di cani che si lancia all’attacco. Un altro brivido.

Chiusi la finestra.

 

 

 

- Ciao, Shaka. –

- Buongiorno, Lily. Cosa ti porta alla Casa della Vergine? –

Non avrei mai colto Shaka di sorpresa, o impreparato, o fuori posto. Erano appena le otto del mattino, eppure lui era lì, bello, pettinato, perfetto, luminoso e splendente nella sua Armatura dorata.

E aveva anche l’aria di chi ha già cominciato la giornata da un po’ e si appresta a compiere i propri doveri con energia.

- Pensavo fosse il caso di esercitarmi un po’ con il Cosmo…-

- E’ molto che non ti alleni.-

Una semplice constatazione. Stavolta non c’era la solita ironia pungente nelle sue lapidarie risposte. Il Cavaliere doveva essere inspiegabilmente di buonumore.

Decisi di farmi i fatti miei, e senza fare domande lasciai che Shaka mi guidasse nel Giardino all’interno della sua Casa. Mi sedetti ai piedi dell’enorme albero fiorito, chiusi gli occhi e cominciai a meditare, senza più curarmi di Virgo e della sua immotivata contentezza.

L’oscurità delle mie palpebre calate fu a poco a poco bucata da una miriade di punti luminosi: i Cosmi degli abitanti del Santuario.

Potevo scorgere una macchia lilla in corrispondenza di Mur e della Casa dell’Ariete, e riuscivo a riconoscere Aldebaran in uno spruzzo di energia giallo limone; il Cosmo della Dea Athena splendeva come una piccola stella, e quello azzurro di Milo scintillava per lo sforzo, circondato da una moltitudine di Cosmi colorati che non avevo mai visto ( che fossero i tanto famosi Bronze Saints? ). Del  Cosmo di Camus non c’era traccia,forse era partito per una missione. Mi parve strano.

Il Cosmo di Aiolia invece riluceva quieto nella Quinta Casa, mentre ero sicura di aver sentito dire dagli inservienti che era via per conto di Athena. E se la gioia silenziosa di Shaka dipendesse proprio dalla sua presenza? Del resto…

Quando hai finito di fare la panoramica delle love story del Santuario fammi un fischio…Pecora idiota.

Ma come siamo gentili. Sai, invece, cosa ho scoperto?

Che tra quei due c’è più di un’amicizia non è mai stato un segreto per nessuno, Genio del Male.

Ma, ma…

Oh, Zeus! Cos’è quella faccia? Lo sanno tutti qui, nono rimanerci male!

Oggi sei proprio odioso, Hermes.

Odioso, dici? Beh, se la prendi così quando ti dico che tra Virgo e Leo c’è del tenero, non oso pensare a come reagirai quando ti dirò che Babbo Natale non esiste.

Uff…ma che vuoi?

Dobbiamo parlare.

Un colloquio con me costa 100 euro al minuto.

Eddai, era una battuta!

Beh?

Se non fossi fatto di spirito, in questo momento tenterei di ammazzarmi.

Ok, sono seria.

Bene, allo-

Oh, solo una cosa,solo una cosa! Hai visto come sono stata brava a concentrarmi? Ci siamo parlati quasi subito! E non mi sento affatto stanca, anche se siamo in contatto da un po’! Miglioro di giorno in giorno,eh?

Sei petulante nei giorni in cui io non ne ho nessuna voglia, Pecora. Come posso spiegartelo senza ferirti? Vediamo…io sono in te, tu sei in me; con la giusta dose di volontà e concentrazione (cosa che ti manca in gran quantità, assieme ad un considerevole numero di neuroni ) siamo in grado di agire in perfetta sincronia. Certi tipi di allenamento aiutano, altri sono solo specchietti per le allodole.

D’accordo, ma…

E non rompere! Non dobbiamo parlare di questo, adesso!

Uff…

Allora, Pecora, facciamo seriamente il punto della situazione: come siamo messi, io  e te?

Non lo so, come siamo messi?

Siamo messi maluccio : io sono sveglio e innegabilmente adulto, e ciò significa che non abbiamo più scuse, dobbiamo svolgere i compiti che ci verranno assegnati senza fare troppe storie. In secondo luogo, Iris, la Dea Messaggera, si è dimostrata a noi ostile. Per adesso si è ritirata, ma è un nemico valido e molto vendicativo: dobbiamo tenere gli occhi aperti.

D’accordo. E poi?

Poi c’è il problema dell’umano che ti perseguita. Dovrebbe chiamarsi…

Brain.

Sì, lui. Si è ritirato nel suo covo ormai da un po’, ha avuto tutto il tempo di organizzare una contromossa. E ho motivo di credere che non tarderà ad agire.

E poi c’è Albert.

Giusto, tuo fratello. Ho arginato in te il dolore per la sua morte, riposa in un angolo remoto della tua anima. Ma prima o poi dovrò liberarlo, e allora tu dovrai essere diventata forte, con uno spirito indistruttibile.

Mi chiedo se tutto questo sia giusto.

Non so risponderti. Non conosco altre vie.

Beh…fine del quadro catastrofico?

Pecora…forse la situazione non ti è chiara, ma se le cose stanno così mettiamo in pericolo la vita di Athena.

Che c’entra adesso la vita di Athena?

Ragiona. Non possiamo rischiare di provocare i nostri nemici fino ad esasperarli, o finiremo per soccombere. Ora siamo in un momento di pace temporanea, ma non durerà a lungo. Se Iris riesce ad ottenere l’appoggio di Hera, siamo fregati. E lo stesso vale per il tuo nemico umano: non possiamo permettere che si impossessi di nuove tecnologie, o saremo perduti.

Non ti seguo del tutto. La cosa di Brain mi è chiara, ma perché hai tirato fuori Hera?

Iris è la Messaggera prescelta da Hera, è la sua diletta, come io lo sono di Zeus. Ora come ora, la mia cara collega non si azzarderebbe ad attaccarci, siamo sotto la protezione di Athena, che è molto più forte di lei.

Ma se Hera si schierasse dalla sua parte le cose cambierebbero…

Vedo che cominci a capire.

E tu pensi che Hera sarebbe disposta ad attaccare Athena, se solo Iris glielo chiedesse?

Non me la sento di escluderlo. Iris è un nemico valido e vendicativo: il suo rancore non si spegnerà, questo è certo.

E se non facciamo attenzione rischiamo…

Rischiamo una nuova Guerra Sacra.

Oh…che intendi fare?

Con Iris e Hera? Niente, per adesso. Per prima cosa voglio sistemare quel dannato umano.

Brain? Ma lui è cosa da poco!

Eppure ci ha messo in difficoltà già una volta, non dimenticarlo. Anche il tuo amico, il Cavaliere di Scorpio, a causa sua ha passato un brutto quarto d’ora.

È vero, ma secondo me non ne vale lo stesso la pena.

Avanti, Pecora! Se non lo facciamo ora che siamo nel pieno delle forze, quando dobbiamo farlo?

Sarà, ma tu non me la racconti giusta.

Non capisco cosa tu voglia dire.

Andiamo, Hermes! Qual è il vero motivo di questa decisione?

Te l’ho appena spiegato.

Voglio la verità.

È questa.

Bugiardo.

Onorato.

Hermes! Tu sei in me, io sono in te. L’hai detto tu, proprio poco fa! Non devi nascondermi nulla!

Umpf. Mi …ato.

Cosa?

…ato.

Se bisbigli non sento.

Mi ha ingiuriato! Ha offeso la mia persona, ha oltraggiato la mia autorità, ha sminuito la mia importanza, ha ferito il mio orgoglio! Ti basta?

Così va bene. Ceto che sei permaloso!

Pf. Questa volta faccio finta di non aver sentito, mortale dalla lingua biforcuta.

Tse.

Ci serve un piano d’attacco, Pecora: adesso usciamo di qui, smontiamo baracca e burattini e poi torniamo alla tua vecchia casa, la Clara Domus… sono sicuro che quel verme si trovi là. Poi lo secchiamo e ci ritiriamo nella mia dimora sul Pireo, quella gestita da mio figlio. Meglio restare ad Atene, sembra che questa città sia diventato il punto di ritrovo di tutte le divinità reincarnate…

Hey, frena un secondo! Vuoi dire che non torneremo al Santuario?

No, direi di no.

E perché mai?

Per svincolarci da Athena. Se non ci protegge, non rischia di essere coinvolta.

Athena ha dei valenti paladini che servono proprio a questo.

Pensavo che non volessi assolutamente mettere in pericolo la vita dei tuoi amici e del tuo amato.

Ma nemmeno voglio perdere la loro amicizia e il suo amore.

Se dovessero infrangersi alla prima difficoltà, credimi, sarebbero dei legami da poco.

Non me la sento Hermes, non sono pronta.

Ti conosco, Pecora. Non sarai mai pronta.

Non voglio lasciarlo.

Ora non conta.

Lo amo.

Al punto di vederlo soccombere per le tue debolezze, il tuo egoismo, la tua stupidità?

Lotterei con lui.

Lily, questo non importa! Non possiamo rischiare che una guerra devasti il mondo per i tuoi capricci.

Lo so, però…

È un compito che ci è stato assegnato, un destino che non abbiamo scelto. Lo so che è ingiusto, ma va affrontato. Non possiamo continuare a sopravvivere e basta.

E adesso perché piangi? Guada che lo sento…

Ascoltami, Lily. Se ora non compi questo passo, potresti non avere più un futuro. Sarai arrivata fin qui, ti sarai ferita e affannata per niente. Ti chiedo di lasciare andare la sua mano, per adesso. Più avanti la riallaccerai alla tua, quando il mondo che hai costruito con i tuoi sforzi sarà un posto un pochino più giusto.

Sniff.

Stringi i denti.

Milo questa non me la perdonerà.

Certo che lo farà.

No, sniff…né io potrò mai perdonare me stessa. Mi odierò, e diventerò acida e cattiva, e mi richiuderò dentro di me, e mi verrà la gobba sulla schiena, e mi resterà addosso per sempre. Mi trasformerò in una chiocciola e invecchierò di cento anni in un giorno solo.

Non credere che lasci che il corpo che mi ospita vada in rovina. Ci tengo alle apparenze, io!

Pf. Però sono sola al mondo, stavolta definitivamente.

Pecora! Non offendermi, per Zeus! Non sei mai stata sola, né lo sarai mai: sarò sempre con te, che tu lo voglia o no!

Suona come una minaccia.

Molto peggio, è una promessa.

…Grazie, Hermes. Ti voglio be…

Prova a dirmi una smanceria del genere e in meno di due minuti ti spedisco a sciogliere le lande ghiacciate dell’Ade con un cerino.

Glom!

 

 

 

 

 

Mi trovavo alla Tredicesima Casa, davanti al portone di legno intarsiato che conduceva alla sala dove poco tempo prima si era tenuto l’ultimo synagein. Se chiudevo gli occhi potevo vedere il Cosmo di Athena fluttuare quietamente sul trono di marmo. Segno che forse la coscienza della Dea era a riposo e Saori Kido aveva il pieno controllo di sé stessa.

Bussai, e fui invitata ad entrare. Un po’ esitante varcai il portone che si era spalancato magicamente davanti a me.

Mi avvicinai alla ragazzina dai capelli viola percorrendo un lungo tappeto rosso, e la salutai chinando il capo quando raggiunsi la distanza giusta.

- Ciao, Lily. –

- Ciao, piccola Saori. –

Se Lady Kido fu in qualche modo infastidita dal mio eccesso di confidenza, non lo diede a vedere.

- Cosa ti porta qui? Il Cavaliere di Virgo mi ha confidato di averti visto molto turbata. –

In effetti, Shaka aveva sentito il mio Cosmo agitarsi ed intorbidirsi durante la meditazione, e quando mi aveva visto andarmene con gli occhi gonfi di pianto era rimasto palesemente inquieto. Però non pensavo avesse già informato la Dea del mio stato.

- Infatti. C’è una cosa di cui devo parlarti, o Pallade.

Lo sguardo di Saori si fece più serio, non sembrava più tanto una ragazzina. Era diversa rispetto ai primi tempi in cui l’avevo conosciuta, sembrava più matura, più consapevole del suo ruolo, e forse, in qualche modo, più triste. Mi ricordai del giorno in cui mi aveva rivelato le sue paure: nella sua confidenza appena accennata avevo potuto scorgere tutta la fragilità di quella creatura divina e sola.

Chissà se avrebbe capito che la mia non era una fuga, né un abbandono.

Chissà se avrei avuto la forza di dirle che le volevo bene, e che un giorno sarei tornata.

Chissà se in realtà sarei tornata davvero.

Chissà…

- Di che si tratta? –

Inspirai a fondo, prima di dire addio alla Dea dagli occhi azzurri.

 

 

 

 

 

 

Del resto era un pessimo giorno per andarsene, io me lo sentivo.

Anche se era quasi sera l’aria brillava ancora di azzurro, il profumo del mare era intenso e penetrante, e gli uccelli si ostinavano a cantare, a celebrare quel sole che, ignaro delle leggi della natura, non voleva saperne di spegnersi.

Era come se tutto il Creato si fosse messo d’accordo, come se l’ Universo intero tramasse per non far sopraggiungere la sera e ostacolare la mia partenza.

E poi c’era quella musica.

Avevo sentito le prime note di quella melodia rimbalzare tra le colonne di marmo della sala del synagein.

Chi la cantava?

Forse qualcuno si stava esercitando, ma chi?

Forse venivano dal cuore di Athena, dal punto esatto in cui io l’avevo spaccato.

Forse era una musica immaginaria, e la sentivo soltanto io.

La Dea se ne stava davanti a me, immobile nella sua bellezza diafana, apparentemente insensibile a quelle note dolorose.

E se il profilo nobile della divinità si manifestava imponente, incrollabile e maestoso, la ragazza che lo ospitava piangeva.

Piangeva, ma lo faceva con dignità, quasi con discrezione. Fui grata a Saori per questo, e non nego che qualche lacrima sfuggì anche a me.

- Chiamami tutte le volte che avrai bisogno. Athena è con te. –

- Grazie di tutto, amica mia. – mormorai prima di andare.

E mentre mi dirigevo verso la porta, dando le spalle alla Dea che piangeva per me, riconobbi finalmente le parole di quella canzone.

Erano versi di Saffo:

“ …molte cose mi disse, e anche questo:

Ahimè, così terribilmente soffriamo

E ti lascio senza volerlo per nulla.

 

 

 

 

 

Se separarmi da Athena era stato inaspettatamente difficile, dire addio a Milo sarebbe stato pressoché impossibile. Per non parlare degli altri Saints.

Con che coraggio sarei partita? Con che faccia? Cosa gli avrei detto, come potevo?

La mia razionalità cominciava a venir meno, e l’unico chiodo fisso che avevo era quello di non risultare patetica agli occhi della persona che amavo.

Sembra stupido, ma in quel momento il mio problema più grosso era sparire nel modo più dignitoso che mi venisse in mente, cercando di cancellare ogni traccia del mio passaggio. Non volevo che mi ricordassero come un persona debole, o, peggio, una traditrice.

Per questo corsi a perdifiato lungo il sentiero che fiancheggiava i Templi Sacri, per poter giungere all’Ottava Casa a raccattare i miei pochi averi, senza essere costretta a mentire a tutto il Santuario.

Ero così immersa nei miei pensieri che non mi accorsi di una presenza che mi veniva incontro, e gli rovinai addosso rotolando a faccia in giù sul selciato.

Quando rialzai la testa, non mi stupii di incontrare gli occhi di Camus: avevo già intuito la sua identità spiando il Cosmo color avorio che lo avvolgeva. Probabilmente era tornato dalla sua missione e stava recandosi da Athena a fare rapporto.

Il Cavaliere di Aquarius mi guardò con un’aria contrariata e insieme interrogativa. Sentii le lacrime pungermi gli occhi: non ero in grado di rispondere alle domande, e forse neanche alle accuse, che mi rivolgeva con quello sguardo silenzioso.

Mi rialzai di scatto, afferrai una delle sue mani e gliela baciai.

Cercai di sostenere il suo sguardo più a lungo che potevo, ma un istante fu già troppo. Chinai la testa di colpo, mormorai un “mi dispiace” strozzato e corsi via.

Non mi fermò. Non una parola, non un gesto.

“Grazie” pensai.

Arrivai finalmente all’Ottava Casa. Avevo il fiatone, le gote arrossate e pareva che tutte le energie del mio corpo fossero impiegate nel titanico sforzo di non piangere.

Cominciai a frugare un po’ alla cieca nella camera da letto di Milo, ammassando le mie cose sul letto quando le riconoscevo. In fondo all’armadio trovai una valigia, e decisi di usarla per portare via i miei beni.

Mancavano pochi oggetti, ancora pochi, fottutissimi dettagli e me ne sarei andata. Pochi dettagli, poche cianfrusaglie, era davvero necessario affannarsi così tanto per portarle via?

Sì, non volevo che a Milo restasse di me una traccia equivoca. Non volevo che un giorno provasse odio o rancore nel guardare un oggetto che mi era appartenuto.

Il mio era un bisogno infantile, è vero, eppure mi sembrava indispensabile.

Poche cose e avrei finito, ancora poche cose…

“Testa, cuore, per favore, non cedete. Non abbandonatemi adesso!”

E in quel momento, in quel dannato momento ( mancavano davvero poche cose ) un piccolo puntino, azzurro e luminoso, bucò la nebbia dei miei pensieri disordinati.

Milo.

Mi bloccai di colpo e pregai con tutto il cuore di diventare invisibile.

- Ciao, Lily! Sono tornato. –

Non si era ancora accorto del mio stato d’animo, forse potevo fingere fino all’ultimo che andava tutto bene, potevo mentire, sì…

No, non potevo farlo. Non potevo fare anche questo, non a Milo.

Sospirai, e le difese che avevano arginato le mie emozioni si ruppero come se fossero fatte di carta. Scoppiai a piangere in maniera disperata, prendendo di tanto in tanto ampi respiri perché mi veniva a mancar l’aria.

- Lily, che ti succede? È per qualcosa che ho fatto? Shaka mi ha detto che eri inquieta, ma non pensavo di trovarti così… -

Mi abbracciò, ed io mi aggrappai a lui con disperazione, come un naufrago che trova un appiglio.

- M-Milo, io… - singhiozzai, da persona banale quale ero. Lui mi accarezzò dolcemente la testa, e per tutta risposta io aumentai la stretta, arrivando perfino a graffiarlo.

- Io…io –

Cosa avrei voluto dire? Che lo amavo, certo.

“Io ti amo”, le tre parole più semplici del mondo.

Tempo addietro ne avevo abusato tante volte, senza rimorsi e senza vergogna, e ora che succedeva? La prima volta che amavo davvero, non usciva niente.

Ero tutta sbagliata. Lo sono sempre stata, dal momento in cui sono nata. Uno scherzo della natura, un dispetto di qualche Dio. Io, Lily, non ero altro che una burla, un errore, una svista.

Solo così riuscivo a spiegarmi perché ero nata storta, completamente inesatta rispetto al mondo. C’è stato un equivoco, lassù in cielo, ed è da lì che sono nata.

Sono fatta talmente male che quando Milo si staccò da me con una carezza e andò a prendermi un bicchiere d’acqua, non dissi altro che “va bene”.

Mi trovavo ridicola.

Ma se non altro, in quel breve lasso di tempo riuscii a ricompormi, a ritrovare lucidità e focalizzare il punto della mia missione.

Richiamai tutte le forze che mi erano rimaste ed invocai Hermes.

Quando Milo tornò e mi vide con indosso la Divina Armatura fece cadere il bicchiere per la sorpresa. Però non disse nulla, lì per lì. Era stato preso da una rigidità anomala, come se fosse stato colpito da un’improvvisa paralisi.

Io, dal canto mio, non sapevo più che cosa fare per tenermi unita, per non cadere a terra e sfracellarmi in mille pezzi.

E di colpo, quasi per scherno, mi tornarono in mente i versi di Saffo che avevo udito poco fa, e a questi se ne aggiunsero altri:

“ Vai e stai bene, e di me

Ricordati, perché sai

Come ti ho amato”

Anche se dentro sentii scuotermi con la forza di un terremoto, non lo diedi a vedere. Mi tenni stretta la mia maschera fino all’ultimo, chissà poi perché. Chissà perché nella vita uno preferisce mentire, certe volte.

Così, quella volta lì, mentii.

Avrei voluto dirgli che l’amavo.

Invece dissi solo:

- Io vado.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi qua. Ritardo pauroso, lo so. Chiedo infinitamente, e ancora una volta, scusa.

Ora come ora non penso di riuscire ad avere il tempo di ringraziarvi uno per uno. Vi manderò una mail uno a uno il prima possibile. Alla fine del prossimo capitolo, invece, preciserò a quali frammenti di Saffo i versi facciano riferimento.

Grazie del tempo che buttate per me, grazie della pazienza, grazie della fiducia. Soprattutto tu, rib! J

Spero che il capitolo vi piaccia!

Un bacio

stan

  
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