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Autore: SweetTaiga    14/02/2011    22 recensioni
Ero la romantica del gruppo, una volta. Quella che credeva nell'amore.
Ora son quella cinica, io: la ragazza che a testa alta insegue i sogni e rinnega l'amore. Quella che ripete "ce la faccio da sola, va bene così". Quella sicura, quella forte. Quella per cui il cuore è un organo, punto. Tuttavia, mentre in giro spargo satira, nell'ombra coltivo poesie. Forse sono ancora quella romantica, sotto questo strato d'insensata razionalità.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alle mie tre Muse:
A Zuz, che ha corretto gli errori che nemmeno avevo visto.
A Barbarak, che ha la pazienza di sopportarmi sempre.
A Sephora, che mi ha spinta a pubblicare.

E poi ovviamente alla mia Stella,
che vorrebbe tanto “sentire le imprecazioni di Cupido
mentre brucia come Giovanna d’Arco” ._.



  1. Cupido al rogo!


Ero la romantica del gruppo, una volta. Quella che credeva nell'amore.
Ora son quella cinica, io: la ragazza che a testa alta insegue i sogni e rinnega l'amore. Quella che ripete "ce la faccio da sola, va bene così". Quella sicura, quella forte. Quella per cui il cuore è un organo, punto. Tuttavia, mentre in giro spargo satira, nell'ombra coltivo poesie. Forse sono ancora quella romantica, sotto questo strato d'insensata razionalità.




Dicono che senza amore non si vive .
Beh, io dico che l' ossigeno è più importante!
Dr. House




Ho sentito dire che Parigi è la città dell’amore.
Per questo io sono a Londra, perché io nell’amore non ci credo più. O forse non c’ho mai creduto.
Sono sempre stata una persona egoista, troppo persa ad inseguire i miei sogni e le mie passioni, troppo impegnata a leggere libri e scattare fotografie per poter dedicare il mio prezioso tempo a qualcuno che non fosse Shakespeare o John Keats.
O almeno, così è stato finché non ho incontrato Lui, la mia più grande condanna.
Bello, romantico e simpatico. Il ragazzo che tutte vorrebbero.
Ho vissuto i due anni migliori della mia vita grazie a Lui: ogni giorno un mazzo di fiori, ogni notte un paio di braccia strette al mio petto, ogni mattina un bacio al caffè.
Avrei dovuto sapere che tutto ciò non poteva essere reale.
Dov’era finita la mia forza, a quel tempo? Dov’era la mia indipendenza?
Avevo gli occhi bendati, la vista accecata da qualcosa che un tempo non mi feriva, e che invece in breve m’aveva fatto perdere il senno.
Tuttavia ci credevo sul serio, nell’amore.  Mi sembrava d’averlo finalmente trovato.
Era come nei film: d’un tratto la sfortunata donzella incontra il Principe Azzurro e vive la sua favola.
Ma la realtà era ben diversa da quei sogni ad occhi aperti.
La realtà era la mia migliore amica stretta tra le braccia del mio bel principe.
La realtà erano i loro corpi avvinghiati sotto le lenzuola, nel letto in cui tante volte m’aveva giurato amore eterno.
La realtà, però, erano soprattutto i biglietti per Parigi che avevo comprato.
Soldi buttati a puttane, in pratica, visto che ho strappato i biglietti davanti ai loro sguardi increduli e sono andata via.
Dopo aver cambiato numero di telefono ed essermi resa praticamente irraggiungibile, ho comprato un biglietto di sola andata per Londra.
Andare a Parigi col proprio ragazzo il giorno di San Valentino è il sogno di tutte le donne.
Andarci da sola dopo essere stata cornificata, però, sarebbe stato un incubo.
Così ho optato per la caotica, affollata, meravigliosa Londra.
Nessun locale raffinato in cui scorgere coppiette affiatate, nessuna romantica visuale della Torre Eiffel illuminata.
Cupido al rogo!
Pensavo di rimanere poco tempo a Londra, invece, dopo aver trovato un lavoretto in una delle tante biblioteche della zona, sono ancora qui: costantemente sommersa dai libri e residente nella mia città preferita.
E’ passato un anno da quel giorno, ed è di nuovo San Valentino.
E, come un anno fa, sono sola.
 Sorrido amaramente e, sicura che l’idiota con le frecce non mi raggiungerà fin qui, mi siedo al tavolino di un bar.
«Un succo di frutta alla mela verde, grazie.», ordino ad una giovane cameriera.
Torna poco dopo con un bicchierone rosso fuoco ed un biglietto a forma di cuore.
«E’ un regalo da parte del bar per tutti gli innamorati. Contiene frasi famose sull’amore.», chiarisce con un sorriso la ragazza, in risposta al mio sguardo scettico.
Vorrei urlarle che non sono innamorata, che non tutti al mondo sono innamorati, diamine! E che quel fottuto biglietto è un’offesa ad ogni anima indipendente e felicemente single.
 Cerco tuttavia di mantenere un certo contegno e, con un altro finto sorriso, accetto il biglietto, portando alle labbra il mio succo di frutta.
Lo infilo in tasca e, distrattamente, scorgo lo sguardo deluso della cameriera.
Forse s’aspettava un minimo d’entusiasmo in più.
Oh, al diavolo. Non ho tempo per queste sciocchezze, io.
Mi alzo velocemente, e con un sorriso tirato pago il mio succo di frutta. Niente mancia, per questa volta: il
modo più semplice per farmi perdere ogni buon proposito è nominare San Valentino.
Corro in biblioteca, consapevole di essere terribilmente in ritardo: Madame Lacroix sarà su tutte le furie.
E’ una donnetta simpatica, Madame Lacroix: il seno prosperoso e le gambe sottili, il naso adunco su cui poggiano spessissime lenti rotonde e i capelli bianchi raccolti in un elegante chignon le donano un’aria allo stesso tempo austera e disponibile.
Non appena varco il portone di legno, eccola che mi assale.
«Signorinella, sei in ritardo di ben 7 minuti!»
Ogni volta non posso fare a meno di sorridere sentendo il suo particolare accento quando cerca di parlare italiano. Madame Lacroix è per metà italiana e per metà francese: la madre era di Roma, e le aveva spesso raccontato le meraviglie della nostra penisola.
Spesso mi chiede di descriverle la fontana di Trevi, di raccontarle della tranquilla vita di paese o di narrarle ogni mio viaggio in giro per le città italiane.
Sento la mancanza della mia patria ogniqualvolta ne pronuncio il nome, ma allo stesso tempo sento che la mia città è questa.
Noi italiani siamo dei romanticoni, sempre pronti a sognare senza avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Inoltre la nostra filosofia di vita è basata sull’otium, sulla calma. Cogliere l’attimo non fa parte del nostro patrimonio genetico.
Io invece ho bisogno di meno fantasia e più concretezza, ho bisogno di un lavoro sicuro, di tornare nel mio appartamento ogni sera. Ho bisogno di Londra, ho bisogno di andare di fretta, ho bisogno di non pensare.
Madame Lacroix mi distrae subito dai miei pensieri, e - come ogni volta che lo fa -  provo un moto di gratitudine nei suoi confronti.
«Julie, ti prego! Vieni, su.», esclama ancora la povera bibliotecaria, esasperata.
Il mio nome, Giulia, non mi è mai piaciuto. Troppo banale, troppo diffuso in Italia.
Invece Julie, con accento francese, potrebbe quasi piacermi.
Salverei la Francia solo per il francese, lo ammetto: non ho mai sentito una lingua più dolce e raffinata.
«Julie!»
Dopo l’ennesimo urlo di Madame Lacroix, mi accingo a raggiungerla al registro dei libri.
«Entro fine anno ti preparerò un registro elettronico, Madame.», affermo, guardandola aprire il grosso tomo dove annota a mano ogni libro che entra e che esce dal grosso portone d’ingresso.
«Oh, Petite! Non scherzare. Questa è una piccola biblioteca, non abbiamo bisogno di quegli aggeggi infernali.»
Sorrido ancora: non riuscirò mai a farle cambiare idea.
«Et voilà!», esclama dopo alcuni minuti.
La vedo tirar fuori un fascicoletto stropicciato, e leggo a chiare lettere “Romeo and Juliet”.
«Tieni, bambina. Immagino tu non abbia nulla da fare questa sera, quindi cosa ne pensi di accompagnarmi a teatro?»
Bé, una storia d’amore in cui gli innamorati muoiono è adatta al mio umore.
Inoltre, non potrei mai dire di no a Shakespeare!
«Va bene, Madame Lacroix. Allora ci vediamo a teatro.»


La giornata a lavoro trascorre velocemente: sono pochi i poveri idioti solitari che vengono a rintanarsi in biblioteca nei giorni di festa.
Ben presto arriva la sera, e l’emozione per lo spettacolo inizia a farsi sentire.
Decido di indossare un semplice paio di jeans ed una camicia bianca; poi, riflettendo sull’abituale eleganza di Madame Lacroix, indosso anche una cravatta nera.
Dopo essermi infilata il cappottino nero che ho comprato col mio primo stipendio e ravvivato i miei cortissimi capelli col gel, esco finalmente di casa, alla ricerca del Miracles Theatre.
Tanto per cambiare, a Londra piove.
E, come sempre, non ho un ombrello con me.
Due cambi d’autobus ed un viaggio in metropolitana, ed eccomi finalmente alle porte del teatro, con i capelli arruffati ed il naso arrossato. Alla faccia dell’eleganza!
Pochi secondi dopo il mio arrivo, vedo scendere da un taxi Madame Lacroix, avvolta in una mantella blu notte e con il capo coperto da un raffinato cappellino.
«Bonsoir, Julie. Entriamo?»
Rispondo con un cenno del capo, e sottobraccio entriamo nel modesto teatro.
I sedili rossi sono comodi e spaziosi, ma probabilmente ci sono a stento duecento posti.
«Non farti ingannare dalle dimensioni, petite. Questo teatro ha una lunga storia alle sue spalle, e devi sapere che qui recita una sola compagnia teatrale da secoli.»
Dimentico ben presto le osservazioni che avrei voluto fare, in quanto una musica soave e la luce soffusa ci avvisano che lo spettacolo è iniziato.
Romeo è un giovane della mia età, dal viso angelico e la pronuncia perfetta; dev’essere sicuramente di madrelingua inglese. Giulietta, invece, ha un accento più particolare; per un paio di volte avrei quasi giurato di sentirla parlare in spagnolo, anziché in inglese.
«Julie, vai a fare qualche foto, tesoro.» mi sussurra Madame Lacroix.
Annuisco, dirigendomi ai piedi del palco.
Mi accovaccio sul pavimento, cercando di dare il minor fastidio possibile agli altri spettatori, e fotografando ogni singola scena non posso fare a meno di notare i lineamenti gentili del giovane Romeo: la bocca rosea sembra disegnata, e gli abiti d’epoca rendono giustizia al suo corpo slanciato.
Lo spettacolo prosegue spedito, senza interruzioni e senza alcun mormorio dalla platea.
Durante la scena finale, con la morte dei protagonisti, un senso d’angoscia mi stringe il cuore.
E' in momenti come questo che sono davvero felice di essere Me.
Un'altra persona, al mio posto, si sarebbe sentita estremamente sola. 


«Magnifique! Stupendi, stupendi!»
A spettacolo concluso, Madame Lacroix insiste per complimentarsi personalmente con gli attori.
«Oh, grazie, Madame Lacroix. Siete sempre così gentile!», risponde la ragazza che interpretava Giulietta.
«Vi conoscete, Madame?», chiedo, incuriosita dalla loro intimità.
Lei si limita ad annuire, con un sorriso triste dipinto sul volto. E’ il bel Romeo a rispondere adeguatamente alla mia domanda. «Madame Lacroix fa parte della storia di questo teatro, signorina! Fu una grande attrice, davvero una grande attrice ai suoi tempi.»
Con un ampio sorriso, si china a baciare le guance dell’anziana bibliotecaria al mio fianco, per poi concentrare il suo sguardo su di me.
«Theodore Price, piacere di conoscerti.», sussurra, tendendomi la mano.
Dopo averla stretta timidamente, ricordo di dovermi presentare a mia volta.«Piacere mio, io sono Giulia Rizzo.»
«Rizzo? Sei italiana?», chiede a sua volta una ragazzina appena scesa dal palco.
Annuisco ancora. «Del Sud Italia, precisamente.»
“Giulietta” mi tende la mano. «Io sono Esmeralda Torres, vengo dalla Spagna.»
«Io invece sono Lizzy Stuart. Sono nata a Londra, vivo a Londra e spero di morire a Londra.», esclama la ragazzina dai capelli ricci.
«Oh, suvvia, parlare di morte alla tua età!», replica Madame Lacroix, accompagnando l’espressione scettica con un cenno della mano. Poi sembra rianimarsi. «Ma dov’è il nostro caro astro nascente?», domanda.
«Parlavate di me, Madame Lacroix?», domanda una voce alle nostre spalle.
 Voltandomi, mi trovo incatenata ad un paio di occhi neri come la notte, incorniciati da scomposti ricci dello stesso colore.
«Proprio di te, caro!», esclama lei, porgendo la mano che il ragazzo bacia.
«Caro, lei è Julie.», dice la donna, indicandomi.
Gli occhi del ragazzo si posano di nuovo su di me, lentamente. «Richard Knight.»
Nessuna mano tesa, nessun sorriso. «Giulia Rizzo.», mi limito a rispondere.
«Andiamo a preparare un buffet, ragazzi! Julie, mostra a Richard le foto: magari trovate un accordo per un articolo. Sai, lui è il miglior attore della compagnia, ed il più portato per la pubblicità.», esclama Madame Lacroix, prima di scomparire dietro le quinte.
Mi giro lentamente verso il ragazzo silenzioso accanto a me, e sospiro. Sarà una lunga serata.
«Allora, quale qualifica hai per essere qui?», mi chiede senza preavviso.
«Laurea in Lettere e Giornalismo, master in fotografia.»
Un mezzo sorriso spunta sul suo volto. «Qualcosa in contrario?», domando.
«Le donne capaci di comprendere la letteratura sono poche. Sono tutte troppo frivole percapire.»
«Immagino di essere stata automaticamente inserita tra le donne incapaci di comprendere.», affermo, con ironia e fastidio al tempo stesso.
Non si prende nemmeno la briga di rispondermi, il principino, così ho il tempo di meditare il contrattacco. «E’ lecito chiedere come mai l’astro nascente della compagnia non abbia interpretato un personaggio importante e complesso come Romeo?», chiedo, alzando il mento.
«Uccidermi per amore non è tra i miei obiettivi, preferisco altri ruoli.»
«Se posso permettermi, quali?»
«Questo mese interpreterò Mr. Darcy, ad esempio.», risponde, senza alcuna variazione nel tono di voce.
«Sono sicura che sarete meraviglioso: siete insopportabile ed altezzoso al punto giusto per questo ruolo.»
 Una risata roca mi fa capire di non esser riuscita ad intaccare il suo stupido orgoglio.
«E posso domandarti, invece, da quando le donne indossano la cravatta?», mi domanda lui.
Errato: il suo orgoglio è stato colpito e affondato, ed il contrattacco lo conferma.
«Da quando gli uomini sono diventati incapaci di portare i pantaloni, Mr. Knight.»
Senza dargli il tempo di replicare, raggiungo il resto della compagnia dietro le quinte.
Mi occuperò io stessa delle mie foto: un altro secondo con quell’uomo e rischierei di essere accusata - giustamente - di omicidio.
Infilando la mano in tasca, trovo il famoso biglietto di San Valentino.
Lo apro accuratamente: sono troppo curiosa per buttarlo senza dare almeno una sbirciatina.


“Temere l'amore è temere la vita, e chi teme la vita è già morto per tre quarti.”


Trattengo a stento una risata. Puah, come seio temessi l’amore! Getto il biglietto nella spazzatura vicina, ma mentre sto per raggiungere gli altri non  mi accorgo dello scalino ed inciampo rovinosamente.
Una risata alle mie spalle mi avvisa che il caro Mr. Knight ha apprezzato lo spettacolo. «Bell’uscita di scena, Mrs… com’è che ti chiami, scusa?»
Mi supera senza nemmeno aiutarmi ad alzarmi, con un sorriso sadico dipinto sul viso.
Mi arrendo: il 14 febbraio è proprio il mio giorno sfortunato.


NOTE:
Ecco qui la mia personalissima visione del giorno di San Valentino ._.
Ma in fondo si sa, si odia questa festa solo quando si è single, come ho avuto modo di confermare parlando con Sephora xD
Penso sia giusto specificare che un paio delle frasi sopra citate sono prese dalla mia pagina facebook, Cleptomane d' E m o z i o n i, quindi se qualcuno le ha già sentite non si preoccupi: non ho copiato nessuno :P
Detto questo, spero che apprezzarete questa mia storia :)

A presto, 
SweetTaiga : )

   
 
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