Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: KuraCchan    15/02/2011    1 recensioni
Chi è Zexion? Io ancora da quel giorno non l’ho compreso. Ma ho scoperto di amare gli occhi chiari, gli occhi verdi, soprattutto.
Di quella persona con la quale ho parlato quel giorno, non avevo idea di come si chiamasse, né se fosse stato necessario, chiamarla “signore”. Ma io ho avuto quasi il terrore di mancare di rispetto a quella figura che si presentava ai miei occhi come un uomo dalle fattezze di un dio; come una statua scolpita nel marmo liscio dai migliori scultori del mondo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Organizzazione XIII, Zexyon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

{Every Me and Every You

[Otto mesi prima] 

“Chi è Zexion?”
“Io dovrei essere Zexion, signore, perché?”
“Perché, non ne sei sicuro, non sei sicuro di essere Zexion?”
“Nessuno è mai sicuro di niente, signore.
“Mi sai dire il perché?”
“No, signore, ma non ne sono sicuro.”
 

Chi è Zexion? Io ancora da quel giorno non l’ho compreso. Ma ho scoperto di amare gli occhi chiari, gli occhi verdi, soprattutto.
 
Di quella persona con la quale ho parlato quel giorno, non avevo idea di come si chiamasse, né se fosse stato necessario, chiamarla “signore”. Ma io ho avuto quasi il terrore di mancare di rispetto a quella figura che si presentava ai miei occhi come un uomo dalle fattezze di un dio; come una statua scolpita nel marmo liscio dai migliori scultori del mondo.
 

[L’uomo statua]

 
A dire il vero, quello Zexion che si trovava lì lo conosco, lo vedo ogni mattina dentro lo specchio, che tenta di sorridermi, con le cuffiette mezze rotte di un iPod, che riproduce alla musica rinfusa, passando dai cantanti più ignoti a quelli più conosciuti: Iron Miden, Aereosmith, Alesana, Placebo, e un’orchestra d’archi...
Ogni tanto dalle cuffiette fa capolino quella musica leggera, un soffio di fiato. E per quel momento, per quei cinque minuti e cinquanta secondi, io chiudo gli occhi e ricordo la mia figura di allora [o di adesso].
 
Ma poco dopo, (sentendo nelle orecchie un suono ovattato, quasi di sottofondo, di un violino), però mi sono accorto che io non avevo assolutamente nulla in meno di lui, il ragazzo dagli occhi verde-acqua, anzi, forse io sono addirittura più importante, forse perché sono uno dei primi sei cioè uno dei membri originari, forse perché lo odiano tutti. Ma non ne ero sicuro, quindi continuavo a chiamarlo signore, ed avrei continuato per quattro mesi e dieci giorni, quando dopo una riunione ho compreso che Lui non andava chiamato “signore”.
 

[Quattro mesi prima]

 
Un trillo leggero emerge dal silenzio ovattato creato dagli archi, io tengo gli occhi semichiusi,un’intera misura riempita da quel trillo che emerge lento, con un crescendo graduale che esplode... esplode alla fine con tutta l’orchestra. Di nuovo silenzio. Mi tocca aprire gli occhi, li riapro di scatto e mi guardo intorno nervosamente.
Rimango immobile in quel misero letto che quel tirchio del mio capo, Xemnas ci fornisce (non rendendosi conto che delle brandine da campo sono molto più comode); tento in qualche modo di produrre un rumore, per non rimanere in quel silenzio scomodo; la tensione sembra avere il sopravvento, infatti lentamente la mia mano si sposta, dal mio fianco a quelle carte sparse al culmine del mio letto, quando, prima che il polpastrello del mio dito medio potesse sfiorare quel materiale, prima che potesse urtare la carta producendo così un suono, adatto per coprire quel silenzio scomodo, l’orchestra nelle mie orecchie ricomincia a suonare. Un contrabbasso inizia il suo assolo, il suo dialogo prima con il pubblico, e poco dopo con ogni singolo ascoltatore [come me, ad esempio].
 
Poi, il contrabbasso cessa per un attimo il suo suonare virile, rauco, e lui, il violino solista, come per voler replicare, inizia a fraseggiare melodico ed innamorato...
 

[È tutto un sogno?]

 
 
“Riunione!!” una voce molto familiare combattè con l’eco dei corridoi del castello. “Riunione!!”
Era la prima volta che risiedevo nel castello, e già dalla prima volta compresi che i letti nei sotterranei sono di gran lunga più comodi. Né Laxaeus né Vexen erano arrivati, o almeno non si erano ancora fatti né vedere né sentire ed io ero da solo, e l’unico del gruppo dei sotterranei, e mi sentivo come un pesce fuor d’acqua.
Più e più volte quella voce fiera di sé avvertì tutti dell’inizio della riunione.
Nascondo le cuffiette sotto i capelli, e indosso quella divisa nera appesa all’armadio. I passi ritmici dei miei compagni si riuniscono a percorrere il lungo corridoio che ci porta nella sala della riunione. Sento brusio nel corridoio: la mia stanza è esattamente al centro della parete destra del corridoio, e sento tutto. Proprio tutto. Addirittura troppo.
 
Toc,
 
Toc,
 
Toc.
 
Per tre volte una mano ferma e sicura batté sulla mia porta, che tremolava sui battenti arrugginiti, io rimasi immobile, ancora seduto sul materasso del mio letto, la mano chiusa sopra i pezzi di carta. La maniglia della porta si abbassò con  delicatezza e una figura slanciata dai fianchi stretti e le spalle larghe apparvecontroluce sulla soglia della porta. Io stavo per chiudere la zip della mia divisa nera, proprio sotto il mento, quando la sua mano calda e rosea si avvicinò al mio mento, i suoi polpastrelli sfiorarono il mio collo, si avvicinarono alla cerniera, la abbassandola per pochissimi centimetri: io arrossisco.
            -Ma cos...?
            “Non è necessario indossare questa... Levatela.”

[No, non è un sogno...]

 
            Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, sfilai il grande soprabito annuendo: “si, signore”.
Mi scostò dagli occhi il grande ciuffo di capelli che mi ritrovavo, scoprendo il mio volto, che lo guardò terrorizzato, ma con una forte ammirazione.
            Si diresse verso la porta sfiorandomi la mano.
            “Andiamo, manchiamo solo noi... E non chiamarmi signore... capito?!”
Alzai la testa guardandolo negli occhi verdi ed accennai un piccolissimo sorriso: “Si, ma non sono sicuro di riuscirci, signore.”
 
            I suoi passi erano sicuri, camminava con le spalle diritte e lo sguardo fiero, rivolto davanti a sé, io invece a testa bassa dietro di lui, ogni tanto alzavo il volto per vedere il suo riflesso sulle pareti bianche del corridoio.
Ormai tutti gli altri erano arrivati a destinazione, e noi eravamo quasi vicinissimi al portone della sala.
            “Sempre così taciturno?”
            “Sempre stato così, signore”
            “Non chiamarmi signore, l’hai memorizzato?”
            “Non so signore. Come dovrei chiamarla?”
            “Col mio nome... non lo sai, Zexion?” una vampata di calore pervase le mie guance facendomi ancora di più nascondere dietro i miei capelli di un grigio spento. Il ragazzo aveva accelerato il passo ed io dovetti quasi correre per raggiungerlo, tanto i suoi passi l’avevano allontanato da me, ed appena di fui vicino, abbassai la testa di nuovo: “No, signore” risposi a bassa voce. Alzai gli occhi guardando il ragazzo davanti a me: conosceva il mio nome... ma io non conoscevo il suo.
Il ragazzo, proprio di fronte a me non ebbe il tempo di rispondermi poiché ci ritrovammo davanti ad un immenso portone che si aprì da sé stridendo sui battenti metallici. Dentro, una stanza bianca al centro della quale dodici alte sedie si ritrovavano disposte in circolo, con diverse altezze. Io rimasi stupito e guardai che quasi tutte le sedie erano occupate, da persone dalle più strane caratteristiche, alcune di loro indossavano quel cappotto nero che il ragazzo mi aveva fatto togliere, parlavano tra di loro generando un brusio, non diverso da quello che si poteva generare in una classe di ragazzini.
L’uomo seduto sulla sedia più alta portava cappuccio nero del soprabito che gli copriva il volto e rimaneva immobile con le braccia conserte fissando un unico punto: me.
            Con grazia discese dalla sua sedia e si avvicino, quasi danzando, a me e al ragazzo che mi aveva accompagnato, che accennò un sorriso arrogante e fuggì andandosi a sedere nel suo posto, accavallando le gambe sottili.
            Sentii delle voci soffuse e mischiate tra loro, che parlavano con lui, chiedendogli chi fossi, ed altre informazioni su di me, lui iniziò a discutere con gli altri aggiungendo la sua voce nel bisbigliare in sottofondo; Vexen e Laxaeus erano pure seduti al loro posto, e appena li vidi mi balenò in testa il fatto che non mi avevano avvertito di essere saliti al castello: il Freddo Accademico scrutava gli altri con il suo occhio critico ed arrogante, squadrandoli con il suo solito fare altezzoso, e non provava ad intervenire nelle discussioni degli altri, quasi si sentisse il migliore di tutti. Laxaeus era immobile, e come sempre, in silenzio, teneva gli occhi puntati sulle sue mani che rimanevano immobili, incrociate tra loro.
            Il Superiore richiamò la mia attenzione ed abbassò il suo cappuccio mostrando il suo volto mulatto circondato da fluenti capelli grigiastri. Il suo sorriso, perfetto, mi infuse una specie di rassicurazione, ma i suoi occhi, gialli somiglianti a quelli di un felino, che rilucevano con il fioco fascio di luce della luna proveniente dalla finestra leggermente aperta, risultavano poco e niente rassicuranti incutendomi un poco di terrore; mi osservavano: mi sentii gelare.
            Abbozzai un sorriso sviando il suo sguardo, oltrepassai quel confine che si era formato oltre la linea delle sue spalle, come per sfida; subito il Superiore si rigirò facendo perno su un piede e seguendomi si andò a sedere al suo porto, il più in alto di tutti.
 

[Come per sfida...]

 La riunione aveva intenzione di prendersela comoda, io rimasi in silenzio ad ascoltare le diverse voci di ognuno dei membri dell’organizzazione, le loro voci entravano calme dentro il mio cervello e rimanevano impresse. A poco a poco ogni persone in quel luogo mostrò il proprio viso, talvolta coperto dal cappuccio del soprabito, e mi accorsi che dopo quella riunione avrei potuto riconoscere la voce di ognuno di loro anche se fossero lontanissimi da me, e questo mi piaceva... Forse loro non l’avevano capito, ma già per me si era instaurato un legame, quel legame che negli anni di lavoro con Laxaeus non sono mai riuscito ad instaurare: non l’avevo mai sentito parlare, il suo appellativo, l’eroe del Silenzio, gli calzava a pennello, quanto il mio non mi calzava affatto, a mio parere.
            Compresi che quel legame legato al suono della voce, aveva un fondamento di verità. Decisi di parlare, decisi di intervenire nel discorso, per potere instaurare dalla mia parte quel legame.
            Parlai a bassa voce. Un uomo, che a mio parere non superava la trentina, si girò di scatto verso di me guardandomi con i suoi occhi limpidi ed azzurri infossati nel cranio.
            “Scusa, ragazzo?” mi chiese, con un leggero accento anglosassone, guardandomi in viso e sorridendomi beffardamente.
L’attenzione discese limpida, come una goccia d’acqua, su di me così come gli sguardi delle altre undici persone in quella stanza. Io per un attimo rimpiansi di avere preso parola, sentendomi a disagio tentai di sviare tutti gli sguardi chiudendo più volte gli occhi e guardando da diverse parti.
            “I nostri cuori...” feci una piccola pausa, quasi studiata. E ripetei la frase detta un momento fa, non compresa dai miei “colleghi”, guardando fisso il muro bianco davanti ai miei occhi. Un brusio iniziò a formarsi in sottofondo, e nel muro di fronte a me iniziarono a formarsi, chissà per quale effetto ottico, diversi arabeschi neri, che formavano spirali intrecciate circondanti un unico punto.
 

[Sto impazzendo(?)...]
 

 
Il ragazzo che mi aveva accompagnato rimaneva immobile sulla sua sedia, tenendo le gambe sottili ma muscolose, accavallate, (la destra sulla sinistra per l’esattezza), tenendo le ginocchia rivolte a sinistra e le caviglie a destra. Poggiava la punta del gomito sinistro sul bracciolo bianco e piatto della sedia, la mano sinistra era aperta sulla quale poggiava il mento arrotondato. Gli occhi, di un verde illuminato dal chiarore della luna, squadravano tutti gli uomini e le donne, solo una: Larxene, che risiedevano nella stanza.
Ogni tanto interveniva nel discorso ripetendo, alla fine di ogni suo intervento una frase che mi entrò nel cervello come una litania: “L’avete memorizzato?”, come per essere sicuro che le persone intorno a lui comprendessero le sue, poche, parole e le ricordassero.
A volte si scostava i capelli luminosi rosso-arancio, con un leggero movimento verso l’alto con la mano destra, mentre le altre persone parlavano e discutevano: segno di mancato interesse.
Ogni tanto, però, il mio sguardo colpiva di sbieco quello di Saix, il membro prediletto di Xemnas, che nonostante il viso arcigno marchiato da quella cicatrice a forma di croce potesse incutere terrore, era l’unico che dal solo sguardo mi pareva d’accordo con la mia idea. Mi fissava con degli dolci, quasi attraenti, gialli come un fiore di campo, occhi felini.
In quel momento il mio cuore batteva a mille e sentii vivamente che la mie mani si erano fatte sudate sotto i pesanti guanti di pelle che portavo, ero visibilmente emozionato, ed un poco anche terrorizzato. Terrorizzato dal silenzio che era calato in un attimo: Xemans scoppiò a ridere. Una risata contenuta, ma allo stesso tempo (e l’eco della stanza non aiutava a pensarne il contrario), sorta per deridere me e quella mia affermazione.
“Zexion. Stai correndo troppo, caro.” Quell’ultima parola pronunciata dal Superiore mi percorse tutta la spina dorsale, tanto ammaliante. Il suo sorriso si fece nervoso, tentando di rispondermi.  “Quello che noi cerchiamo non apparirà proprio adesso, che ne abbiamo bisogno.” Continuando a ridacchiare arrogante annunciò che la riunione sarebbe terminata in quel momento. Allargò le braccia verso i membri dell’organizzazione e sorridendo scomparve in una nuvola di fumo nero con alcune sfumature azzurrine, che pervase la stanza.
Luxord, perché così si chiamava l’uomo dagli occhi limpidi ed infossati, seduto accanto a me, mi diede una pacca sulla spalla, per poi scomparire anche lui in una nuvola di fumo nero, che pervase le mie narici facendomi dare qualche colpo di tosse per liberarmene definitivamente. Tutti gli altri, al contrario dei primi due, discesero dalle loro sedie, per uscire dalla stanza insieme. Io scivolai aggraziato dal mio sedile, il sesto più alto, e non appena toccai terra vidi di nuovo la figura di Saix che si allontanava.

“Ehi! Aspetta!”


{Commenti dell'autrice

Bene, eccoci alla prima fantiction che posto in questo sito.
Non so come potrebbe essere iniziare con una fanfiction su una coppia palesemente Crack, ma non ci posso fare niente: Kingdom Hearts mi porta solo ed esclusivamente a scrivere fanfiction crackkose xDD
Detto questo ci tenevo a precisare che in questa fanfiction non volevo delineare una circostanza particolare facente parte del videogioco o uno  dei classici "E se...?" che a mio parere, oramai sono diventati un poco monotoni (senza per nulla sminuire il genere e chi lo scrive), tant'è che la One-shot ha anche un chè che può sembrare anche un qualcosa fuori dall'universo di Kingdom Hearts, ma volevo delineare la mia concezione del carattere di Zexyon, personaggio che è nella top 3 dei miei personaggi preferiti appartenenti a questo videogioco.

{Terminando qui, spero vi sia piaciuta, e spero vogliate commentare e recensire~
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: KuraCchan