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Autore: Soe Mame    16/02/2011    6 recensioni
Le vite dei personaggi raccontate attraverso i significati dei tarocchi. Romanzazioni, headcanon e un paio di divergenze dal canon.
[Le Stelle] Ciò che tutti avrebbero visto sarebbe stato un meraviglioso cielo stellato.
[La Luna] Lei non era figlia della luna.
x La raccolta potrebbe rimanere incompiuta. Tuttavia, ciascuna oneshot si può leggere autonomamente.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

9
Ryou Bakura - L'Eremita



Un amore puro, profondo e disinteressato, affinità spirituale

Ryou Bakura era il primogenito di una normalissima famiglia borghese.
Sua madre era una semplice casalinga.
Suo padre un archeologo.
Capitava che Ryou rimanesse insieme a sua madre, senza vedere suo padre per mesi: il suo lavoro lo portava in terre lontane, da lui conosciute solo di nome o attraverso la televisione.
Quando suo padre tornava a casa, però, aveva sempre con sé un dono per lui e per sua sorella.
Sua sorella, Amane.
Era la persona a cui teneva di più.
La sua sorellina era sempre al suo fianco.
Ryou e Amane.
Erano l'uno l'opposto dell'altra.
Ryou era calmo, gentile, sempre sorridente.
Amane era vivace, allegra, dispettosa.
A volte, la bambina cercava di coinvolgere il fratello in qualche sua idea folle, come nascondere le scarpe della mamma o scalare l'impervia credenza per raggiungere il contenitore dei biscotti.
Ryou, nonostante si lasciasse convincere, si limitava a fare da palo: era Amane che compiva tutto il lavoro.
Tuttavia, era Ryou a venire rimproverato, una volta scoperto il danno.
E Amane, ogni volta, accorreva in suo aiuto, dispiaciuta, prendendosi la colpa e promettendo che non avrebbe più fatto nulla di male.
Promesse che duravano circa un paio d'ore.
Ryou e Amane.
Erano l'uno l'opposto dell'altra.
Eppure, forse proprio per questo, erano legati l'uno all'altra, quasi si completassero a vicenda.
Un animo tranquillo, forse bisognoso di essere smosso.
Un animo vivace, forse bisognoso di essere mitigato.
Ryou e Amane.
Amane.
La sua sorellina.
La persona a cui Ryou teneva di più.

L'Eremita viene collegato all'inverno

Una particolarità dei due bambini era il loro aspetto.
Albini.
Entrambi.
La gente rimaneva sempre un po' perplessa, quando li vedeva.
I visi diafani di Ryou e Amane, su cui si aprivano degli occhi di un castano quasi rossiccio, erano incorniciati da dei morbidi capelli bianchi.
La loro mamma si divertiva a farli vestire completamente di bianco, quasi volesse rendere quella loro stranezza una caratteristica.
Ryou e Amane, bianchi come la neve, sembravano due candidi spiriti invernali.
Soprattutto Ryou.
Dai modi gentili, sorridente, tranquillo.
Silenzioso.
Come una distesa di neve.
Amane non poteva essere ricollegata al freddo dell'inverno.
Era solo il suo aspetto a ricondurre alla neve.
Il suo cuore era caldo, il suo animo infuocato.
Se fuori era l'inverno, dentro era l'estate.
Ryou voleva bene ad Amane.
Era lei a portare l'estate nel suo cuore, a riscaldare quell'animo che, altrimenti, sarebbe stato solo una fredda landa invernale.
Perché Ryou era l'inverno.
Nell'aspetto.
Nell'animo.
Ma Ryou era anche un essere umano.
E un essere umano non può sopravvivere in un perenne freddo invernale, in un eterno autunno.
Aveva bisogno di calore.
E la sua primavera, la sua estate, era Amane.
Sorrideva quando la sentiva ridere.
Un tintinnare di campanelli.
La risata della piccola Amane sembrava un tintinnare di campanelli.
Per questo riusciva a trovarla facilmente, quando giocavano a nascondino e lei scoppiava a ridere nel vederlo cercarla.
Ogni parola di Amane, ogni sguardo complice, era come un tocco caldo sul suo cuore.
Ryou e Amane, bianchi come la neve, sembravano due candidi spiriti invernali.
Ma solo Ryou lo era.
E aveva bisogno della sua estate.

L'Eremita è l'arcano numero nove; esso annuncia sia una fine che un principio
Silenzio, attesa

A volte, mentre la loro mamma era impegnata nelle faccende domestiche, Ryou e Amane passavano il loro tempo davanti alla televisione.
Guardando le telenovele che piacevano tanto alla loro mamma.
Non ci capivano molto, in realtà, con tutti quei personaggi e quelle trame contorte.
C'era una cosa, però, che avevano notato.
Capitava che un personaggio, per un qualche motivo, dovesse trasferirsi in un altro luogo, un luogo lontano.
Da quel momento, i personaggi a lui più vicini gli scrivevano delle lettere, come se stessero realmente parlando con lui.
Dopo qualche tempo, ricevevano da quella persona altre lettere, con sopra scritte delle risposte.
Anche se erano lontane, le persone potevano comunicare.
Con un foglio di carta, con una penna.
Quei fogli di carta, su cui loro erano soliti disegnare o che usavano per creare sgangherati origami o palle con cui giocare, erano anche capaci di custodire i sentimenti delle persone, per poi portarli ad una persona lontana.
Rimasero stupiti da quella scoperta.
Loro due, tuttavia, erano sempre insieme.
Non avevano bisogno di fogli di carta e penne, per poter parlare.
La mamma propose di scrivere al loro papà.
Fu così che, con la sua scrittura infantile, Amane scrisse la lettera al loro padre.
Ryou si limitava a starle vicino, a guardarla scrivere.
Era Amane che faceva sempre tutto.
Lei era molto più brava di lui, era giusto che fosse lei a scrivere la lettera.
Lui si limitava a stare seduto al suo fianco, su una sedia posta accanto a quella dello scrittoio, quella su cui era seduta sua sorella.
Quando spedirono la lettera, attesero la risposta per giorni.
E, quando arrivò, per loro fu come aver scoperto un nuovo mondo.
Potevano veramente parlare con le persone lontane attraverso quei fogli di carta.
Non era una fantasia, era possibile.
Così, quando Ryou iniziò le elementari - venendo, dunque, separato dalla sua sorellina, ancora all'asilo -, Amane non si perse d'animo e iniziò a spedirgli delle lettere.
In realtà, si limitava a scriverle, sgattaiolare nella sua classe nel momento più propizio e infilarle sotto il suo banco.
Le meraviglie di frequentare una scuola che comprendeva asilo ed elementari in un unico gruppo di edifici.
Ryou, dopo un attimo di perplessità, rispondeva alle lettere di Amane.
Ma non aveva il coraggio di lasciare la classe e andarle a mettere sotto il banco di sua sorella.
Per questo, ancora una volta, era Amane ad intrufolarsi nella sua classe, per prendere la risposta.
Che poi potessero vedersi a casa tutte le sere era solo un dettaglio trascurabile.
Ad Amane, però, non dispiaceva affatto fare quelle escursioni nella classe di suo fratello.
Diceva che andare nell'edificio delle elementari la faceva sentire più grande.
Ovviamente, la loro mamma era all'oscuro delle "fughe" della bambina dalla sua aula.
Se l'avesse scoperto, avrebbe di certo sgridato Ryou.
- Non puoi lasciare che tua sorella faccia come le pare! - avrebbe senz'altro detto: - Non può entrare e uscire dalla classe, sia sua che tua, come più piace a lei! In quella scuola ci sono delle regole che vanno rispettate! -.
Oppure, casomai fosse stata più indulgente, avrebbe rimproverato il suo primogenito con un: - Ma perché deve essere sempre Amane a portarti le lettere? Perché non sei mai tu ad andare da lei? -.
Perché aveva paura.
Ryou aveva paura di ciò che sarebbe successo se lo avessero scoperto fuori dalla classe.
Quelle regole di cui parlava sua madre e che sua sorella infrangeva con ingenua spensieratezza a lui facevano paura.
Se fosse stato scoperto, di certo avrebbero convocato sua madre.
Lui le avrebbe dato una preoccupazione in più.
E sua madre doveva già pensare alla casa e ai suoi due figli, potendo vedere suo marito solo ogni tanto.
Puliva la casa, cucinava per i suoi bambini.
Ogni mattina e ogni pomeriggio li andava a prendere o li portava a scuola in auto.
Ryou voleva comportarsi bene per non dare preoccupazioni a sua madre.
Una volta, aveva anche provato a dirlo ad Amane.
Ma lei si era quasi messa a piangere quando suo fratello aveva accennato all'idea di non scambiarsi più le lettere.
Così, Ryou si era subito zittito.
Non dare preoccupazioni alla mamma e non far piangere sua sorella.
L'unico modo per farlo era continuare così.
Amane era molto più brava di lui.
Era Amane che faceva sempre tutto.
Lei era molto più brava di lui, era giusto che fosse lei a portargli le lettere.
Lui sarebbe senz'altro stato scoperto.
Amane sarebbe sempre stata capace di sfuggire agli sguardi degli adulti.
In ogni caso, Ryou era felice di ricevere le lettere di Amane.
Dei fogli di carta con sopra scritte le parole che la sua sorellina voleva dirgli.
Fosse anche un: - Ciao! -.
Quei fogli di carta, su cui loro erano soliti disegnare o che usavano per creare sgangherati origami o palle con cui giocare, erano anche capaci di custodire i sentimenti delle persone, per poi portarli ad una persona lontana.
Amane era lontana.
Ma quei fogli di carta gli permettevano di esserle vicino.
Lo scambio delle lettere era un rito che si compiva ogni giorno.
Un giorno, tuttavia, Ryou si ammalò.
Una semplice febbre.
Amane sarebbe voluta rimanere a vegliare su suo fratello, ma doveva andare all'asilo.
La mamma non avrebbe voluto lasciare solo suo figlio, ma lui le disse di non preoccuparsi, che avrebbe dormito e non si sarebbe accorto di niente.
Così, la sua mamma portò Amane a scuola.
Mentre le vedeva sparire oltre la porta di casa, Ryou si sentì come mai si era sentito nella sua vita.
Era come se sentisse il cuore lacerarsi.
Quella porta lo aveva separato da sua madre.
Da Amane.
Dove prima c'erano quella donna e quella bambina, ora c'era solo del legno.
Quel giorno, Ryou non avrebbe ricevuto alcuna lettera pasticciata.
Gli dispiacque.
Era come se, lento ma inesorabile, stesse arrivando l'inverno.
Un inverno che si lasciava l'estate alle spalle.
Avvolto nelle coperte, in dormiveglia, Ryou attese il ritorno di sua madre e sua sorella.
Un tintinnare di campanelli.
Quando Ryou si svegliò, si ritrovò accanto Amane che rideva.
Si era addormentato senza neanche accorgersene.
E, tra le mani, aveva una lettera.
Amane gli aveva scritto una lettera mentre era a scuola.
E gliela aveva consegnata una volta a casa.
Quel giorno, Ryou ricevette una lettera pasticciata.
Fu felice.
Quella scena si ripeté anche il giorno successivo.
Nonostante rimanesse a casa da solo o con sua madre, nel pomeriggio, la casa veniva riempita da quel tintinnare di campanelli.
E una lettera appariva tra le sue mani.
Solo questo lo faceva stare meglio.
Il calore che sentiva non era dovuto alla febbre.
Era come se in quelle lettere ci fosse il cuore di Amane.
Pioveva.
Pioveva tanto.
Quella mattina, pioveva.
Quella mattina, la mamma raccomandò a Ryou di non alzarsi, di rimanere sotto le coperte per non prendere freddo.
Poi, accompagnò Amane all'asilo.
Un cuore che si lacerava.
Ryou si svegliò, agitato, il cuore che gli faceva male.
Era buio.
Era solo pomeriggio, ma la pioggia e il cielo annuvolato lo avevano trasformato in una sera prematura.
Guardò l'orario.
Era pomeriggio inoltrato.
Perché la mamma non aveva preparato il pranzo?
Era pomeriggio inoltrato.
Perché Amane non era ancora tornata dall'asilo?
Era pomeriggio inoltrato.
Ryou attese, nel buio della sua stanza, spaventato.
Tremava.
Di tanto in tanto, si azzardava a raggiungere la finestra e a guardare fuori, sperando di veder comparire, da dietro l'angolo, l'auto di sua madre.
Giunse la sera.
Una sera che la pioggia e il cielo annuvolato avevano trasformato in una notte buia.
Un cuore che si lacerava.
Ormai in lacrime, spaventato, Ryou, ancora in pigiama, aprì la porta di casa e attraversò il pianerottolo, suonando alla vicina.
La sua mamma gli aveva detto che, in caso di bisogno, la vicina lo avrebbe aiutato.
La vicina aprì.
Quando vide il bambino che piangeva, cercò di consolarlo, invano.
Quella sera, Ryou dormì dai vicini.
Perché, quel pomeriggio, la sua mamma e Amane non erano tornate.
Era mattino.
Un mattino acerbo.
Il sole non era ancora sorto.
Ryou non era riuscito a dormire, quella notte.
Per questo, quando udì il suono del campanello, si mise subito in ascolto.
Suo padre.
Era davvero la voce di suo padre.
Quando lo riconobbe, scese dal letto e corse da lui, piangendo, urlando che Amane e la mamma non erano tornate.
Suo padre, abbracciandolo, non rispose.
Ryou non aveva idea di dove fosse in quel momento la vicina, né i suoi parenti.
Continuò a piangere, chiamando Amane, chiamando sua madre.
Un cuore che si lacerava.
Dov'era sua madre?
Un cuore che si lacerava.
Dov'era la sua Amane?
Suo padre, abbracciandolo, piangeva.
- Non torneranno. -.
Silenzio.
Ryou non ricordò mai cosa successe in quei momenti.
Ricordava solo il silenzio.
Ricordava la carcassa informe di metallo, ciò che restava dell'auto della mamma.
Ricordava dei poliziotti.
Ricordava dei dottori.
Ricordava tanti fiori.
Ricordava l'odore dell'incenso.
Ricordava la foto della sua mamma.
Ricordava la foto di Amane.
Ryou non ricordò mai cosa successe in quei momenti.
Ricordava solo il silenzio.

La clessidra simboleggia il passato
La lanterna simboleggia la conoscenza, una luce interiore, il riconoscimento dei pericoli

Suo padre portò Ryou via dalla casa in cui aveva abitato con la mamma e Amane.
Lo portò con sé.
In terre lontane, conosciute da Ryou solo per nome o attraverso la televisione.
Ryou vide i resti delle civiltà più antiche.
Vide suo padre lavorare tra quelle rovine.
Tuttavia, non gli era concesso avvicinarsi troppo: alcune grotte erano pericolanti, mentre in altri luoghi sarebbe stato solo d'intralcio.
Vide cose che un bambino della sua età non aveva mai visto.
Nella lontana Grecia, vide suo padre rinvenire un'antica clessidra.
Una clessidra.
Qualcosa che permetteva di scandire il tempo.
Il tempo.
Ryou sarebbe voluto tornare indietro nel tempo.
Voleva che il tempo tornasse indietro, voleva che le stagioni si riavvolgessero.
Non voleva più l'inverno.
Rivoleva l'estate.
Ryou era l'inverno.
Nell'aspetto.
Nell'animo.
Ma Ryou era anche un essere umano.
E un essere umano non può sopravvivere in un perenne freddo invernale, in un eterno autunno.
Aveva bisogno di calore.
E la sua primavera, la sua estate, era Amane.
Ma la sua estate non c'era più.
Era scomparsa per sempre.
Il tempo si era fermato.
Nella sua stagione più fredda.
L'inverno non si sarebbe mai più trasformato in primavera.
Non avrebbe mai più sentito il calore dell'estate.
Aveva portato con sé tutte le lettere che, in quegli anni, Amane gli aveva scritto.
Rileggendole ogni sera, Ryou si accorgeva dei progressi di sua sorella nella scrittura.
Progressi che non si sarebbero mai più evoluti.
Quella calligrafia sarebbe per sempre rimasta infantile, disordinata.
Ricordava Amane che scriveva la lettera al loro padre.
Ricordava Amane che cercava di coinvolgerlo in qualche strana avventura.
Ricordava Amane che s'intrufolava nella sua classe.
Ricordava Amane ridere mentre giocavano.
Ricordava Amane guardarlo mentre si svegliava.
Nessuna lettera sarebbe mai più stata scritta.
Nessuna avventura folle sarebbe mai più stata compiuta.
Nessuno si sarebbe mai più intrufolato nella sua classe.
Nessuno avrebbe mai più riso mentre giocava con lui.
Nessuno lo avrebbe più guardato mentre si svegliava.
Amane era sempre stata molto più brava di lui.
In tutto.
Ryou si limitava a starle accanto.
E, ora che lei non c'era più, non sarebbe più stato capace di fare nulla.
Non poteva più stare accanto a nessuno.
Niente poteva aiutarlo a vivere di nuovo.
A volte, vedeva un bambino tenere la mano della sua mamma.
A volte, vedeva due bambini giocare insieme.
Gesti semplici, normali.
Ma che lui non avrebbe mai più potuto fare.
La mano della sua mamma.
Lui non aveva più una mamma.
La sua sorellina.
Lui non aveva più una sorellina.
Silenzio.
C'era solo silenzio.
Un eterno silenzio.
Una distesa di neve.
Una silenziosa distesa di neve.
L'inverno.
Un giorno, suo padre lo riportò in Giappone.
Per visitare la tomba della mamma.
E di Amane.
Quando vide il nome di sua sorella inciso su quella lapide, Ryou scoppiò a piangere.
Quel giorno c'era il sole.
Faceva anche piuttosto caldo.
Ma, nel suo cuore, Ryou sentiva solo il gelo.
Sentì la mano di suo padre sulla spalla.
Sentì le sue parole.
- Così, piangerà anche lei. -.
Ryou si fermò.
Amane non doveva piangere.
Ma, se lei lo avesse visto piangere, avrebbe pianto.
Trattenne le lacrime.
Ma il suo viso era sempre triste.
Amane era piccola.
Una bambina.
Una bambina che mai sarebbe diventata ragazza.
Una bambina condannata a rimanere tale per sempre.
Era crudele che la sua vita si fosse infranta così presto.
Era ingiusto.
Era ingiusto che l'estate si fosse congelata.
Era ingiusto che l'inverno avesse avuto la meglio.
Amane aveva solo l'aspetto di uno spirito invernale.
Amane non poteva essere ricollegata al freddo dell'inverno.
Era solo il suo aspetto a ricondurre alla neve.
Il suo cuore era caldo, il suo animo infuocato.
Se fuori era l'inverno, dentro era l'estate.
L'inverno.
L'estate.
Il tempo.
Il tempo si era fermato.
In quel momento, Ryou si rese conto di essere stato lui a fermare il tempo.
Forse il tempo sarebbe tornato a scorrere di nuovo.
Primavera.
Estate.
Autunno.
Inverno.
Primavera.
Estate.
Il tempo non si sarebbe più fermato.
Ryou avrebbe vissuto anche per Amane.
Sapeva che non sarebbe mai stato come lei.
Sapeva che lei era sempre stata più brava di lui in ogni cosa.
Lei lo aveva sempre difeso, gli aveva sempre voluto bene.
Ora era il momento di ricambiare pienamente quell'affetto.
Avrebbe fatto scorrere di nuovo il tempo.
Per Amane.
Quell'infanzia distrutta si sarebbe trasformata in adolescenza, in età adulta, in vecchiaia.
Avrebbe vissuto anche per Amane.
Sua sorella era in un altro luogo, un luogo lontano.
Un foglio di carta, una penna.
Ryou avrebbe di nuovo parlato con lei.
Anche se erano lontane, le persone potevano comunicare.
Amane ci aveva sempre creduto.
Ci aveva creduto con tutta se stessa.
Un foglio di carta, una penna.
Quei fogli di carta, su cui loro erano soliti disegnare o che usavano per creare sgangherati origami o palle con cui giocare, erano anche capaci di custodire i sentimenti delle persone, per poi portarli ad una persona lontana.
Amane era in un altro luogo, un luogo lontano.
Ma avrebbe potuto parlare con lei.
Non ci sarebbero state risposte.
Questo, Ryou lo sapeva.
Ma voleva che Amane ricevesse le sue lettere.
Voleva che Amane sentisse il suo cuore.
Voleva che Amane sapesse tutto di quella vita.
Voleva che Amane vivesse attraverso quelle lettere.
Era per questo che, ogni sera, Ryou prendeva carta e penna e scriveva un resoconto di tutto ciò che era avvenuto durante la giornata.
"Cara Amane..."
Ogni lettera era per lei.
A volte - ma forse era solo la sua immaginazione - gli pareva di sentire un tocco caldo sul cuore.
Come se Amane stesse veramente leggendo quella lettera.
E le facesse piacere.
Trascorsero gli anni, migliaia di lettere furono scritte.
Ryou decise di abitare da solo.
Smise di seguire suo padre in giro per il mondo.
Desiderava rimanere in un unico luogo, frequentare una scuola fissa, senza essere costretto a cambiare ogni tot mesi.
Scelse il Giappone.
Suo padre rimase perplesso da questa scelta.
Ryou non gli diede alcuna spiegazione.
Si limitò a sorridere con quel suo sorriso eternamente serafico.
Fu così che Ryou iniziò a vivere da solo, in un appartamento comunque pagato da suo padre.
Iniziò a frequentare una scuola fissa.
In ogni caso, suo padre lo chiamava almeno una volta al mese.
Poteva sembrare poco.
Ma Ryou sapeva perfettamente quanto il suo lavoro lo portasse a perdere il senso del tempo.
In realtà, era già tanto se suo padre si accorgesse di aver trascorso un mese ad esplorare una giungla, invece del paio d'ore da lui stimate.
E, di tanto in tanto, suo padre andava anche a trovarlo nella sua nuova casa.
Quando tornava, aveva sempre con sé un dono per lui.
Per lui.
Un dono che Ryou condivideva con Amane.
Lo scriveva nelle lettere, dicendole che quel regalo era anche suo.
Un giorno, suo padre, di ritorno dall'Egitto, gli portò in dono un curioso oggetto.
"Non ho mai visto un oggetto simile.
Sembra uno di quegli scacciasogni indiani, però interamente d'oro, con al centro un triangolo con sopra un occhio.
E con strani pendagli appuntiti al posto delle piume."

Un ciondolo piuttosto bizzarro, che Ryou, comunque, prese l'abitudine di indossare.
Stranamente, il primo giorno in cui lo mise al collo, ebbe la febbre.
Ma durò meno di un paio di giorni.
"Papà mi ha detto che il venditore gliel'ha presentato come "Anello del Millennio"."

Prudenza, discrezione, riservatezza, pazienza, senso del dovere

Ryou desiderava rimanere in un unico luogo.
Desiderava frequentare una scuola fissa, senza essere costretto a cambiare ogni tot mesi.
Era per via dei suoi numerosi trasferimenti che non era mai stato capace di farsi un amico.
Conoscenti ne aveva, certo, e anche tanti.
Soprattutto di sesso femminile.
Forse era il suo particolare aspetto candido ad attirare ragazze nel raggio di svariati metri.
In ogni scuola da lui frequentata, le prime a dargli il benvenuto erano sempre le sue compagne di classe.
Poi, le sue compagne di scuola, di altre classi.
Tutte estremamente ansiose di mostrargli ogni singolo angolo dell'edificio scolastico, campi sportivi e strade limitrofe comprese.
Ryou non amava molto queste situazioni.
Non gli piaceva stare al centro dell'attenzione.
Preferiva rimanere al suo banco, a studiare o a conversare tranquillamente.
Gli piaceva la calma.
Essere trascinato da una parte all'altra della scuola, attorniato da ragazze festanti, non rientrava esattamente nella sua idea di "calma".
Tuttavia, non aveva il coraggio di opporsi a quelle ragazze, né aveva la forza di mandarle via.
Così, si limitava a qualche sorriso forzato o imbarazzato, passando tutto il suo tempo a cercare disperatamente una via di fuga.
Ma, ovunque lui andasse, loro riuscivano sempre a trovarlo.
Ryou non capì mai come facessero.
Tutto questo successe anche nella sua nuova scuola.
Al cambio della prima ora, si ritrovò circondato da praticamente tutte le sue compagne di classe.
E, a ricreazione, fu trascinato nel rituale giro turistico della scuola.
Ryou non capiva perché le ragazze fossero così fissate con lui.
Forse era il suo particolare aspetto candido ad attirare ragazze nel raggio di svariati metri.
Forse, per avere un po' di desiderata tranquillità, avrebbe dovuto tingersi i capelli.
Forse c'era dell'altro.
Ryou non ne aveva la più pallida idea.
"Tu che sei una ragazza, mi sapresti dire perché tutte le tue quasi coetanee si comportano così?".
Ryou non amava molto queste situazioni.
Tuttavia, non aveva il coraggio di opporsi a quelle ragazze, né aveva la forza di mandarle via.
Raccoglieva tutta la pazienza di cui fosse in possesso e si lasciava portare avanti e indietro per i corridoi della scuola.
Se quelle ragazze erano felici con così poco, non aveva senso non accontentarle.
Del resto, per quanto Ryou non amasse affatto simili situazioni, non gli costavano niente.
A parte gli sguardi contrariati dei suoi compagni di classe.
La sua popolarità tra le ragazze aveva generato opinioni contrastanti da parte dei ragazzi.
C'era chi lo ammirava e cercava di avvicinarglisi, magari per avere un po' di visibilità.
C'era chi lo odiava per la fauna femminile che attraeva senza fare nulla.
C'era chi non si curava minimamente di lui.
Furono queste ultime le persone a cui Ryou si avvicinò.
Li aveva sentiti parlare di un qualcosa - probabilmente, un gioco - che non conosceva.
Monster World.
Incuriosito, si era avvicinato e aveva domandato cosa fosse.
Aveva visto i loro sguardi stupiti.
Probabilmente, non si aspettavano che il suo malgrado popolare Ryou Bakura rivolgesse loro la parola.
Tanto meno su una cosa in apparenza così semplice.
Dopo un primo momento di diffidenza, gli avevano spiegato che - aveva visto giusto - si trattava di un gioco.
Un incrocio tra un gioco da tavolo e un gioco di ruolo.
Era come una sorta di videogame da tavolo.
Quella descrizione così povera bastò per interessare Ryou ancora di più.
Fu così che, quel pomeriggio, si diresse verso il più vicino negozio di giochi, almeno per farsi un'idea più precisa di cosa fosse questo fantomatico Monster World.
Fu lì che incontrò i suoi compagni di classe, sorpresi di vederlo in un posto del genere - più per nerd che per bei ragazzi dal grande successo e vasta popolarità.
Parlarono.
Parlarono della scuola, dei professori, dei giochi, del Monster World.
Per la prima volta, Ryou si sentì "normale".
Un semplice ragazzo come tutti gli altri, senza il pensiero di doversi trasferire e, probabilmente, non rivedere mai più quei suoi coetanei.
Un semplice ragazzo come tutti gli altri, che poteva apertamente parlare della professione di suo padre.
Con il passare dei giorni, ebbe modo di raccontare dei viaggi che aveva compiuto in terre lontane.
Con il passare dei giorni, rivelò di abitare da solo.
Quest'ultima informazione gli fece guadagnare ancora più stima e ammirazione, come se, con quella sua condizione, lui fosse in qualche modo già "adulto".
Non che a Ryou piacesse, come idea.
Non aveva neppure sedici anni.
Non voleva diventare già "adulto".
Ogni cosa a suo tempo.
Non aveva fretta di crescere.
Stava vivendo anche per Amane.
Assaporava ogni attimo di vita.
... ed era sicuro che Amane si sarebbe divertita nel vederlo così popolare tra le ragazze.
Probabilmente, per lei sarebbe stato altrettanto con i ragazzi.
Monster World.
Ryou ebbe modo di giocarci, a casa di un suo compagno di classe.
Era divertente.
Più di quanto avesse immaginato.
Dopo quella prima volta, ci giocò spesso, a casa dei suoi compagni di classe - poteva chiamarli, ormai, amici?
Finché non lo comprò lui stesso.
Ryou viveva da solo, in un appartamento comunque pagato da suo padre.
Che gli inviava anche degli assegni.
Fu per questo che Ryou si prese il lusso di comprare non solo il set base del Monster World, ma anche le relative espansioni.
Un'intera camera era stata adibita a sala gioco.
Su un immenso tavolo era stato posato il campo da gioco.
Quando i suoi amici videro una cosa del genere, non riuscirono a credere ai loro occhi.
Da quel giorno, ogni partita di Monster World fu fatta a casa di Ryou.
Lui era il Dark Master.
Il nemico che gli intrepidi eroi dovevano sconfiggere.
Gli eroi giunti in quel luogo per liberarlo dallo spietato Dark Master.
Colui che muoveva le pedine.
Colui che poneva trappole lungo il cammino degli eroi.
Colui che cercava di far cadere gli eroi.
I dadi.
I dadi che decidevano le sorti del gioco, sia per gli eroi che per il Dark Master.
Ryou si appassionò al gioco.
Per la prima volta, Ryou si sentì "normale".
Un semplice ragazzo come tanti, capace di divertirsi giocando.
Un semplice ragazzo come tanti, capace persino di trovare qualche amico.
Ryou amava la calma.
Ma la vivace confusione che si creava durante le partite di Monster World non lo turbava minimamente.
Anzi.
Era felice.
Quella confusione lo rendeva felice.
Per la prima volta, Ryou si sentì "normale".
A scuola, Ryou seguiva le lezioni e studiava.
Suo padre gli pagava l'appartamento, gli consentiva di vivere in modo più che dignitoso, permettendogli anche di comprare più del necessario.
Ryou voleva ripagarlo con dei bei voti, in modo da non farlo pentire della fiducia che gli aveva dato, consentendogli di vivere da solo.
Non voleva deludere suo padre.
Non voleva dargli alcun peso.
Voleva ripagarlo nell'unico modo che poteva: adempiendo al meglio al suo dovere di studente.
Lo confidò anche ad Amane.
Non avrebbe deluso il loro padre.
Voleva che, almeno da parte di suo figlio, ricevesse solo buone notizie.
Per la prima volta, Ryou si sentì "normale".
Dopo la scuola, Ryou si riuniva con i suoi amici per giocare.
Giocavano delle ore, a volte per tutto il giorno, fino alla sera, quando i suoi ospiti erano costretti a tornare alle proprie case.
Ryou era un ragazzo come tanti.
Con dei passatempi, con degli amici.
Ryou amava la calma.
Ma la vivace confusione che si creava durante le partite di Monster World non lo turbava minimamente.
Anzi.
Era felice.
Quella confusione lo rendeva felice.
Quella confusione era in grado di riscaldare il suo cuore, quasi come solo Amane era in grado di fare.
Era il gioco.
Erano i suoi amici.
Ryou avrebbe voluto fosse per sempre.
Avrebbe tanto voluto giocare con i suoi amici per sempre.

Perdita, regressione, stasi

Ryou si era appassionato al Monster World.
Non passava pomeriggio senza che la sua casa si riempisse di compagni - e, a volte, anche compagne - di classe per una partita.
Le Domeniche, poi, erano in gran parte dedicate a questo.
I dadi.
I dadi che decidevano le sorti del gioco, sia per gli eroi che per il Dark Master.
Alcune volte, gli eroi riuscivano a sconfiggere il crudele Dark Master e a salvare tutti.
Altre, era il Dark Master ad avere la meglio sugli eroi.
Ogni volta, montavano il gioco in modo diverso, creando scenari e situazioni sempre nuove.
Era come un altro mondo.
Un altro mondo in cui era facile - e divertente - perdersi, magari in compagnia dei propri amici.
Ryou poteva dirsi felice.
Aveva tutto ciò che potesse desiderare.
Andava bene a scuola.
Aveva degli amici.
Si divertiva.
Ogni cosa era annotata sulle lettere che inviava ad Amane, sulle lettere che scriveva con il sorriso sulle labbra.
Era sicuro che anche Amane partecipasse alle partite di Monster World.
Che tifasse per lui.
Erano le volte in cui si sentiva più felice del solito.
Erano le volte in cui il calore nel suo cuore era più intenso e confortante.
Ryou poteva dirsi felice.
- E' caduto in coma, ieri sera, ma nessuno sa cosa sia successo esattamente... -
Delle voci concitate.
Un compagno di classe di Ryou era misteriosamente caduto in coma la sera precedente.
Dopo essere tornato a casa dalla partita a Monster World.
Eppure, non aveva avuto incidenti di alcun tipo.
Quel pomeriggio, Ryou e gli altri andarono a trovare il loro amico in ospedale, privo di conoscenza.
Tornarono altre volte, ma lui continuava a non risvegliarsi.
Ryou era angosciato.
Cadere in coma così, senza alcun motivo plausibile?
Il loro amico si sarebbe più risvegliato?
Dopo alcuni giorni, Ryou e gli altri ripresero a giocare a Monster World.
Ripensare a quando anche il loro amico partecipava li faceva stare male.
Ma era più un modo per esorcizzare quella loro angoscia soffocante.
- Anche lui? -
Un'altra persona era caduta in coma.
Nelle stesse circostanze della prima.
Ne seguì una terza.
E una quarta.
E una quinta.
Una volta, finirono in coma altre due persone insieme, lo stesso giorno.
Un'altra volta, a cadere in coma furono tre persone.
Dieci persone in coma.
Giovani.
Sane.
Senza essere state vittime di un qualche incidente.
Cominciarono a diffondersi strane voci, a scuola.
Voci di una qualche maledizione.
I più zelanti si dilettarono nell'investigazione.
Cosa avevano in comune le dieci vittime?
Ryou ebbe paura.
Quelle dieci persone erano tutti i suoi amici.
Quelle dieci persone erano suoi compagni di classe che, almeno una volta, avevano giocato a Monster World con lui.
Ed era proprio dopo essere usciti dalla sua casa che cadevano in coma.
Era proprio dopo aver giocato con lui che cadevano in coma.
Ryou si chiuse in casa.
Si avvolse nelle coperte.
Faceva troppo freddo.
Sentiva le ossa congelarsi.
Tremava.
Non aveva il coraggio di accendere la luce.
Rivedeva gli sguardi dei suoi compagni di classe.
Quelle dieci persone erano tutti i suoi amici.
Quelle dieci persone erano suoi compagni di classe che, almeno una volta, avevano giocato a Monster World con lui.
Ed era proprio dopo essere usciti dalla sua casa che cadevano in coma.
Era proprio dopo aver giocato con lui che cadevano in coma.
Cominciarono a diffondersi strane voci, a scuola.
Voci di una qualche maledizione.
Ryou ebbe paura.
Non poteva essere una coincidenza.
Quei comi erano inspiegabili.
Uno dopo l'altro.
Tutte persone che avevano giocato con lui.
E lui... lui c'era ancora.
Se la maledizione avesse colpito il gioco, lui, come Dark Master, avrebbe dovuto essere il primo a cadere in coma.
Ma la maledizione pareva aver colpito lui.
Era lui a far cadere in coma gli altri.
Non sapeva come.
Ma su di sé aveva una maledizione.
Avvolto nelle coperte, al buio, scrisse una lettera.
Dopo mille esitazioni, cercando di non spaventare la sua sorellina, Ryou si confidò con lei.
Alcune parole risultavano incomprensibili.
L'inchiostro era in gran parte sciolto.
Quel foglio di carta era bagnato.
Quel foglio di carta era costellato di lacrime.
Lui era un pericolo per gli altri.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Perché stava succedendo tutto questo?
Lui non voleva che succedesse.
Perché stava succedendo tutto questo?
Cosa avrebbe dovuto fare?
Strinse a sé l'Anello del Millennio, che non aveva mai smesso di portare, piangendo.
Non poteva scrivere a suo padre, rivelargli cosa stava succedendo.
Non poteva allarmarlo.
Non voleva deludere suo padre.
Non voleva dargli alcun peso.
Voleva che, almeno da parte di suo figlio, ricevesse solo buone notizie.
Tra l'altro, era appena diventato il proprietario di un museo in una piccola cittadina lontana.
Domino.
Per lui era stata una grande gioia: mettere in mostra i più antichi reperti del mondo, far incontrare il passato e il presente.
Consentire a tutti di accedere alla conoscenza, di scoprire i segreti dei secoli più remoti.
Una carriera lavorativa che migliorava di giorno in giorno.
Un figlio che andava bene a scuola ed era felice.
Un figlio che aveva paura di uscire di casa, un figlio maledetto attorno al qualche succedevano cose strane.
Non poteva dirglielo.
Non poteva dirlo a suo padre.
Una risata.
Ryou sgranò gli occhi nel buio.
Sentiva il cuore stretto in una morsa.
Sentiva il cuore riscaldarsi.
Lo sentiva battere con forza, come se stesse cercando di liberarsi da quel calore.
Ma non era il dolce calore di Amane.
Era come una gabbia rovente.
Sentiva il suo cuore far male come se fosse bruciato da fiamme infernali.
Quella risata che aveva sentito non era un tintinnare di campanelli.
Non era quel tintinnare di campanelli capace di scaldargli il cuore.
Era una risata che lo aveva raggelato.
Forse era stata solo un'illusione.
Forse stava diventando pazzo.
Forse.
Forse.
I suoi compagni di classe cominciarono ad evitarlo.
Non osavano più neppure incrociare il suo sguardo.
I professori erano venuti a conoscenza di quella serie di coincidenze, di ciò che accomunava coloro che erano finiti in coma.
Neppure i professori osarono anche solo guardarlo.
Quasi avevano paura di rivolgergli la parola.
Ryou fu interrogato dalla polizia.
La sua casa fu perquisita.
Ma non trovarono niente.
Sguardi sospettosi.
Sguardi adirati.
Paura.
Odio.
I cari delle persone finite in coma lo accusarono.
Gli urlarono contro.
Piangevano.
Disperazione.
Terrore.
Ryou si chiuse in casa.
Si avvolse nelle coperte.
Nascose la testa sotto il cuscino.
Le persone a lui più vicine erano finite in un sonno profondo, da cui, forse, non si sarebbero mai più risvegliate.
Era colpa sua.
Era lui a far cadere in coma gli altri.
Le persone che erano rimaste lo odiavano.
Tremava.
Aveva paura.
Era maledetto.
Non poteva avvicinarsi agli altri.
Non poteva fare amicizia.
Lui era un pericolo per gli altri.
Doveva andarsene.
Andare lontano.
Se lui fosse rimasto, altre persone sarebbero finite in coma.
Doveva andarsene.
Doveva andarsene.
Doveva andarsene.
Subito.
Lontano.
Doveva andarsene.

Solitudine
Assenza di ricerca in aiuti esterni
Diffidenza, rifiuto di contatti con l'esterno
Difficoltà a manifestare i propri sentimenti, paura di un coinvolgimento affettivo

Doveva andarsene.
Ma dove?
Ovunque fosse andato, avrebbe comunque fatto del male a coloro che avessero avuto la sfortunata idea di avvicinarglisi.
Nel buio della sua stanza, vedendo a fatica solo con la poca luce lunare che entrava dalla finestra, Ryou prese le lettere che aveva spedito ad Amane.
Avvolto nelle coperte, immobile nel suo letto, rilesse ciò che aveva scritto alla sua sorellina in quegli ultimi mesi.
Una lettera in particolare catturò la sua attenzione.
Domino.
Suo padre era diventato il proprietario del museo di quella piccola città.
Una città lontana.
Ryou doveva andarsene.
In una città dove nessuno lo conoscesse.
Lui era un pericolo per gli altri.
Ma non riusciva più a sostenere gli sguardi di coloro che non erano ancora stati colpiti.
Doveva andarsene.
Una città lontana.
Una città in cui nessuno lo conosceva.
Non avrebbe stretto alcun legame.
Sarebbe vissuto da solo.
Come un eremita.
Ma, almeno, nessuno lo avrebbe più guardato con odio, con gli occhi pieni di lacrime.
Telefonò a suo padre.
Gli chiese il permesso di trasferirsi.
Suo padre rimase perplesso da questa scelta.
Ryou non gli diede alcuna spiegazione.
Si limitò a sorridere con quel suo sorriso eternamente serafico.
Dal telefono, suo padre non poteva sapere che stesse sorridendo.
Tuttavia, non gli fu difficile immaginarlo.
E, dal telefono, suo padre non seppe mai che suo figlio stava piangendo.
Domino.
Ryou si era trasferito a Domino senza salutare nessuno.
Aveva solo lasciato dei mazzi di fiori nelle stanze d'ospedale dove erano ricoverati coloro che, fino a qualche mese prima, erano stati suoi amici.
Domino era una cittadina piccola, poco più di un paese ma meno di una metropoli.
Visitò il museo di suo padre.
Ryou sorrise nel vedere esposta la collezione di reperti di suo padre.
Un sorriso amaro.
Ryou non era più capace di sorridere serenamente.
Ogni suo sorriso aveva sempre un velo di tristezza.
Sapere di non potersi avvicinare a nessuno senza fargli del male.
Sapere di non poter avere amici senza poi vederli cadere in un coma forse irreversibile.
Aveva smesso di parlarne anche con Amane.
Non voleva darle troppe preoccupazioni.
Si sarebbe fatto carico da solo di quel peso.
In fondo, sarebbe bastato soltanto non avere legami troppo profondi con qualcuno.
Non avrebbe stretto alcun legame.
Sarebbe vissuto da solo.
Come un eremita.
Il suo primo giorno di scuola.
La sua nuova scuola.
Alla fine, non era stato capace di frequentare una scuola in un unico luogo fisso.
Ryou distolse questo pensiero dalla sua mente.
Non doveva più pensare a ciò che era successo.
L'angoscia che continuava ad accompagnarlo, preoccupato per la sorte di coloro che erano stati i suoi amici, era un promemoria sufficiente.
Nella sua nuova scuola successe di nuovo.
Le ragazze.
Apparvero a frotte intorno al suo banco.
Ryou non amava molto queste situazioni.
Non gli piaceva stare al centro dell'attenzione.
Men che meno in un momento del genere.
Cercò di comportarsi come al solito.
Ebbe modo di parlare anche con un ragazzo piuttosto basso, dalla strana capigliatura.
Yugi Muto.
Scoprì che aveva un negozio di giochi.
Parlarono dei vari giochi, insieme ad altri ragazzi.
Katsuya Jonouchi, Hiroto Honda e Anzu Masaki.
Parlarono dei vari giochi, fino al Monster World.
Il Monster World...
Ryou era stato tentato dal buttare quel gioco che conservava così tanti ricordi, ma, all'ultimo momento, non ne aveva avuto la forza.
Quel gioco era legato a dei momenti felici.
Momenti felici andati ormai perduti.
- E se domani facessimo una partita? -
Le parole di Jonouchi lo fecero trasalire.
Una partita...
Era da lì che era iniziata la sua amicizia con gli altri.
Non poteva.
Non poteva avere legami troppo profondi con qualcuno.
Lui era un pericolo per gli altri.
Soprattutto per le persone a lui più care.
Non poteva.
Non doveva.
Durante quel discorso, lo sguardo di Ryou cadde sullo strano pendaglio al collo di Yugi.
Una piramide rovesciata all'apparenza pesante, composta di tanti piccoli pezzi incastrati insieme.
Un puzzle.
Come genere, somigliava moltissimo all'Anello del Millennio.
Sembravano persino dello stesso materiale.
Ryou non teneva mai l'Anello in vista.
Era sempre nascosto sotto la divisa.
Le regole della scuola vietavano i gioielli o simili.
Si stupì, anzi, che Yugi lo portasse così spensieratamente.
Sinceramente incuriosito, Ryou si azzardò a toccarlo.
Yugi gli disse che era stato trovato nella tomba di un antico Faraone.
Ma Ryou non lo sentì.
Non appena le sue dita avevano toccato quella superficie dorata, aveva sentito una specie di scossa.
Una stretta al cuore.
Una gabbia rovente.
Il suo cuore bruciato da fiamme infernali.
Spaventato, Ryou si allontanò da quel puzzle.
Non poteva.
Non doveva.
Era una sorta di segnale.
Non doveva.
Le ragazze.
Non era decisamente il momento adatto.
Ma Ryou fu, in ogni caso, trascinato per la scuola.
Circondato da ragazze chiassose, ansiose di descrivergli minuziosamente ogni angolo dell'edificio.
Ryou faticava a tenersi in piedi.
Neanche si sforzò di esibire il suo sorriso forzato.
Avrebbe voluto essere lasciato da solo.
Forse, in quel momento, la maledizione stava agendo.
Forse quelle ragazze erano in pericolo.
Forse sarebbe dovuto fuggire.
La rude voce di un professore.
Lo rimproverò per i suoi capelli lunghi, glieli tirò.
Ecco, se la maledizione avesse avuto effetto su di lui...
Ryou scosse la testa.
Stava impazzendo, se lo sentiva.
Neanche si curò della predica sui suoi capelli troppo lunghi.
Non si curò di...
- Mi hanno detto che hai avuto dei problemi, nella tua vecchia scuola... -
Ryou fu ad un passo dallo svenire.
No...
Non poteva sapere quello che era successo.
Si era allontanato dalla sua vecchia città proprio per non vedere più quegli sguardi.
Non avrebbe sopportato di vederne ancora.
Non avrebbe sopportato di essere di nuovo additato come creatura maledetta.
Creatura maledetta qual era.
Si allontanò dalle ragazze e si rifugiò nel bagno.
Erano successe troppe cose, una dopo l'altra.
Prima lo strano puzzle di Yugi.
Poi quella strana sensazione.
Infine il passato che minacciava di tornare.
Non poteva.
Non doveva.
Nessun legame.
Avrebbe vissuto da solo.
Si sarebbe mostrato gentile e disponibile.
Ma non avrebbe mai approfondito nessuna conoscenza.
La maledizione non avrebbe colpito più nessun altro.
Nessun altro.
Nessun altro.
Reincontrò Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu.
Gli proposero di nuovo una partita a Monster World.
Ryou li guardò.
Sembravano persone buone.
Quindi, era bene mettere subito le dovute distanze.
Lo confessò.
Raccontò loro ciò che era successo nella sua precedente città.
Raccontò delle persone finite in coma.
Raccontò di come fossero suoi amici.
Raccontò di come gli altri avessero iniziato ad odiarlo.
Non doveva avere alcun legame.
Non poteva permettersi di fare del male ad altre persone.
Avrebbe rinunciato al calore di quella vivace confusione.
Sarebbe stato come una silenziosa landa invernale.
Perché Ryou era l'inverno.
Ma Ryou era anche un essere umano.
Un essere umano non può sopravvivere in un perenno freddo invernale, in un eterno autunno.
Aveva bisogno di calore.
Ma Ryou avrebbe rinunciato al calore di quella vivace confusione.
Non gli era concessa nessun'altra scelta.
Ora che li aveva spaventati, quei quattro ragazzi, sicuramente, non gli si sarebbero più avvicinati.
Sarebbero stati al sicuro.
Sembravano persone buone.
Era giusto così.
Lo disse anche ad Amane.
Le scriveva meno spesso, ma non aveva smesso di farlo.
Le raccontò del museo del loro padre.
Le raccontò del suo primo giorno di scuola nella nuova città, omettendole alcune parti.
Non voleva farla preoccupare.
E poi...
E poi...
Un suono.
Ryou trasalì.
Di nuovo.
Quella risata raggelante.
Era sicuro di averla sentita.
Non era stata una sua impressione.
Si alzò dalla scrivania su cui stava scrivendo la lettera ad Amane.
- Chi sei? -
Lo urlò con tutta la voce che aveva in corpo.
Spaventato.
Non stava parlando da solo.
Era sicuro che ci fosse qualcun altro.
Lo sentiva.
Quella risata non era stata un'illusione.
Lui parlò.
Quella voce parlò.
Parole, frasi.
Ryou non si era sbagliato.
Non era stata un'illusione.
C'era veramente qualcun altro.
Ma Ryou non riuscì a capire da dove lui gli stesse parlando.
Quella voce proveniva da ogni parte.
Si premette le mani contro le orecchie, terrorizzato.
Continuò a sentire quella voce con estrema chiarezza.
Quella voce non veniva da fuori.
Poteva tapparsi le orecchie quanto voleva.
Avrebbe continuato a sentirla.
Tuttavia, non riuscì a capire appieno le sue parole.
Lo chiamava Ospite.
Parlava di tremila anni.
Parlava del pendaglio di Yugi, chiamandolo Puzzle del Millennio.
Ryou si sentì mancare il respiro.
Delle pugnalate.
Al petto.
Quando si aprì la camicia, praticamente strappandola, inorridì.
Quasi urlò dalla paura.
I cinque appuntiti pendagli dell'Anello si erano conficcati nel suo petto.
La camicia era sporca di sangue.
Il suo petto era sporco di sangue.
Le sue mani erano sporche di sangue.
Ad ogni respiro, sentiva nitidamente il metallo rovente dell'Anello sotto la pelle.
Era orribile.
Quella voce era la voce di un mostro.
Perché?
Perché gli stava facendo del male?
Urlò di lasciarlo stare.
Voleva tornare ad essere una persona normale.
Tremava.
Voleva scappare.
Voleva che tutto quello finisse.
Voleva che quel dolore finisse.
- Per ringraziarti dell'ospitalità, ho realizzato i tuoi sogni più segreti. E questo da molto tempo... -
Ryou rimase immobile.
In silenzio.
Cosa stava dicendo...?
- Quando tu giocavi, pensavi ad una cosa, vero? Volevi poter giocare con i tuoi amici per l'eternità... giusto? Io ho realizzato questo sogno per te... -
Era felice.
Tutto quello che era successo.
Quella confusione lo rendeva felice.
Le persone finite in coma.
Quella confusione era in grado di riscaldare il suo cuore, quasi come solo Amane era in grado di fare.
Quelle persone che, un tempo, erano suoi amici.
Era il gioco.
La maledizione.
Erano i suoi amici.
Lui era un pericolo per gli altri.
Ryou avrebbe voluto fosse per sempre.
Ma lui non voleva fare del male agli altri.
Avrebbe tanto voluto giocare con i suoi amici per sempre.
Era lui a mandare in coma le persone.
Quella voce.
Lui aveva solo espresso un desiderio.
E quella voce lo aveva distorto a suo piacimento.
Ryou quasi impazzì.
Tremava.
Allora era vero.
Si premeva le mani contro le orecchie.
La causa di tutto era solo lui.
Urlava.
Quella voce era tranquilla.
Parlò di guardiani di tombe.
Parlò di profanatori di tombe.
Rise.
La sua risata era spaventosa.
Ryou rabbrividì.
La maledizione.
L'Anello del Millennio era un oggetto maledetto.
Quella voce era uno spirito.
Uno spirito crudele.
Sanguinava.
- Ora devi dormire un po'. -
Piangeva.

Buoni consigli

Ryou non andò a scuola.
Forse non ci sarebbe tornato affatto.
Rimase avvolto nelle coperte.
Sul letto.
Seduto nell'angolo più nascosto.
Quel mattino, aveva trovato le sue scarpe sporche di fango.
Quella notte, aveva piovuto.
Nel pomeriggio precedente, le strade non erano ricoperte di fango.
Quella notte, Ryou non era uscito di casa.
Non era uscito di casa.
Ryou era rimasto in casa.
Era stato lui ad uscire di casa, quella notte.
Ryou non ricordava niente.
Ricordava solo quella voce.
E di essersi risvegliato sul letto, con ancora indosso le scarpe.
Sporche di fango.
Lui aveva usato il suo corpo.
Lui aveva camminato per le vie di Domino con il suo corpo.
Agli occhi degli altri, era stato Ryou ad uscire di casa, quella notte.
Cosa aveva fatto?
Cosa aveva fatto con le sue sembianze?
Cosa aveva fatto con il suo corpo?
Aveva fatto del male a qualcuno?
Era stato Ryou Bakura a fare del male a qualcuno.
Ma non era Ryou.
Era lui.
Era sempre stato lui.
Era stato lui a mandare in coma quelle persone un tempo sue amiche.
Cosa dovevano aver visto?
Erano state aggredite da Ryou Bakura.
Era stato Ryou Bakura a fare del male a qualcuno.
Ma non era Ryou.
Ma era colpa sua.
La colpa di tutto sarebbe ricaduta su di lui.
Stavolta non ci sarebbe stata nessuna Amane a correre in suo aiuto.
Stavolta non ci sarebbe stata nessuna Amane a prendersi la colpa.
Lui non aveva fatto niente.
Lui aveva fatto del male.
Lui era innocente.
Lui era colpevole.
Li sentiva ad ogni singhiozzo.
I pendagli appuntiti dell'Anello.
Erano ancora conficcati nel suo petto sanguinante.
A volte caldi, a volte freddi, a volte roventi.
Ryou non capiva.
Non capiva perché stesse succedendo proprio a lui.
Perché proprio lui doveva subìre una cosa simile?
Perché, almeno, non gli era stata offerta una via di fuga?
Fuggire.
Era quello che aveva sempre fatto.
Ryou si era sempre nascosto dietro agli altri.
Le regole che gli impedivano di portare lui stesso le risposte ad Amane.
Il fatto che Amane fosse più brava di lui in tutto.
Fuggire.
Ryou era sempre fuggito da tutto.
Era fuggendo che aveva sempre risolto i suoi problemi.
Era fuggendo che aveva vissuto.
E, adesso che non aveva vie di fuga, si sentiva perduto.
Non poteva fare niente.
Anche solo andare in ospedale per farsi estrarre quei pendagli.
Era sicuro che lui non glielo avrebbe permesso.
Non c'erano vie di fuga.
Era in trappola.
Forse per sempre.
Cosa voleva quella voce?
Se avesse portato a termine il suo progetto, lo avrebbe lasciato stare?
Ma qual era l'obiettivo di quella voce?
Perché lo stava usando?
Perché lo stava manovrando?
Cosa voleva?
Cosa?
Il suono di un campanello.
Il campanello della porta.
Ryou trasalì.
Ma andò ad aprire.
Non era andato a scuola, non poteva permettere che qualcuno indagasse troppo su di lui.
Anche solo facendogli una domanda.
Chiunque fosse, doveva andarsene.
Vedere che lui stava bene e poi andarsene.
Yugi.
Jonouchi, Honda, Anzu.
No.
Il Puzzle del Millennio.
Era ciò che lui voleva.
Lui era pericoloso.
Dovevano andarsene.
Dovevano andarsene.
Dovevano andarsene.
Dovevano andar-






00
99
Gioco della sanzione.
Ryou sentì qualche frase spezzata.
Come se fosse in dormiveglia.
Silenzio.
Il silenzio spezzato da frasi.
Il silenzio spezzato da numeri.
Stavano giocando a Monster World.
Yugi, Jonouchi, Honda, Anzu.
Lui.
Lui voleva far loro del male.
Come aveva già fatto.
Quei quattro ragazzi sembravano persone buone.
Aveva rivelato loro ciò che era successo.
Aveva sperato di spaventarli.
Di fare in modo che non lo cercassero più.
Di fare in modo che non gli si avvicinassero più.
Aveva sperato di metterli al sicuro.
Eppure loro...
Eppure loro erano venuti a casa sua.
Erano venuti a trovarlo.
Perché avevano fatto una cosa simile?
Forse non gli avevano creduto?
Sembravano persone buone.
Non era giusto che lui facesse loro del male.
Fuggire.
Ryou era sempre fuggito da tutto.
Era fuggendo che aveva sempre risolto i suoi problemi.
Era fuggendo che aveva vissuto.
E, adesso che non aveva vie di fuga, si sentiva perduto.
Non poteva fare niente.
Forse Amane lo stava guardando.
Allora Amane stava piangendo.
Ma Ryou non poteva fare niente.
Era prigioniero.
Prigioniero di colui che stava facendo del male a quei quattro ragazzi.
Se solo gli fosse stata offerta una via di fuga...
... no.
Quella che aveva non era una via di fuga.
Era qualcosa che aveva sempre avuto.
Era lui.
Era lui che poteva sconfiggere lui.
Lui poteva fare tutto ciò che stava facendo solo perché lui glielo permetteva.
Ryou doveva riprendersi il suo corpo.
Doveva riprendere conoscenza.
Cercò di parlare.
Cercò di muoversi.
Sentì un braccio rispondere ai suoi comandi.
Istintivamente, lo portò sul piccolo computer che sapeva avere d'innanzi.
Digitò delle lettere.
Digitò il suo nome.
Sentì i pendagli appuntiti dell'Anello farsi roventi.
Li percepiva.
Facevano male.
Ma se gli stavano facendo male, allora stava riprendendo possesso del suo corpo.
Urlò di dolore - un urlo che solo lui udì - quando sentì qualcosa conficcarsi nella mano che si era ripreso.
Lasciò il braccio.
Si stava facendo male.
Lui era pronto anche a fargli del male.
Ryou non sarebbe fuggito.
Fuggendo non avrebbe mai risolto nulla.
Stavolta non c'era alcuna Amane.
Ryou sapeva che non sarebbe mai stato come lei.
Ma stava vivendo anche per lei.
E non avrebbe mai permesso che lui rovinasse le loro vite.
Non avrebbe permesso che lui facesse ancora del male a chi gli si avvicinava.
Monster World.
Un sacerdote bianco.
Un mago.
Uno stregone.
Ryou era diventato una pedina.
Era sul campo da gioco del Monster World.
Non sapeva come ci fosse arrivato.
Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu erano lì.
Erano diventati delle pedine.
Delle piccole pedine in un immenso campo da gioco.
Su un lato del campo, c'era Yugi.
Ma non era lo Yugi che aveva conosciuto.
I suoi occhi, i suoi lineamenti, la sua voce.
Erano molto più adulti e decisi.
Ryou si voltò.
Sull'altro lato del campo, c'era lui.
Nel suo corpo.
Ma non era lui.
La sua voce, pur restando la sua, era diversa.
I suoi occhi non avevano niente a che fare con i suoi.
Il suo sorriso non somigliava affatto al suo.
Vide la sua mano.
Insanguinata.
L'aveva conficcata sulla punta di una delle torri del castello del Dark Master.
Per farlo tacere.
Quella che stavano giocando era una partita a Monster World.
Un altro mondo in cui era facile - e divertente - perdersi.
Un altro mondo che era diventato teatro di un incubo.
Un altro mondo in cui si stava disputando una crudele partita.
Una partita in cui era in gioco la loro stessa vita.
Una partita in cui era in gioco tutto.
Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu gli si avvicinarono.
Con le loro mani di plastica, afferrarono la sua.
Ci sarebbero riusciti.
Avrebbero sconfitto il Dark Master.
Sarebbero tornati alla normalità.
La normalità.
Ryou voleva tornare ad essere un ragazzo normale.
Senza oggetti maledetti o spiriti sanguinari.
La normalità.
Sì.
Ci sarebbero riusciti.
Lui era il Dark Master.
Lui era la causa di tutto.
Il nemico che gli intrepidi eroi dovevano sconfiggere.
Ci sarebbero riusciti.
Avrebbero sconfitto il Dark Master.
Gli eroi giunti in quel luogo per liberarlo dallo spietato Dark Master.
Per lui.
Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu erano venuti a casa sua per lui.
E ora stavano combattendo anche per lui.
Per liberarlo dal Dark Master.
Per liberarlo da lui.
Colui che muoveva le pedine.
Colui che, da mesi, non aveva fatto altro che usarlo come sua pedina per poter raggiungere il suo scopo.
Colui che, in quello stesso istante, stava usando il suo corpo come involucro.
Colui che, in quello stesso istante, lo stava usando come pedina.
Colui poneva trappole lungo il cammino degli eroi.
Conosceva il gioco.
Gli eroi avrebbero dovuto affrontare ostacoli di ogni tipo.
Anche nel castello di Zork, la mostruosa creatura del Dark Master.
Ma ci sarebbero riusciti.
Avrebbero sconfitto il Dark Master.
Ryou si sarebbe ripreso la sua vita, la sua normalità.
Colui che cercava di far cadere gli eroi.
L'altro Yugi aveva in mano le loro vite.
Lui cercava di strappargliele.
Le cinque pedine avevano riposto tutta la loro fiducia nell'altro Yugi.
Ryou aveva paura.
Ma fuggire non gli avrebbe ridato ciò che stava perdendo.
Ryou aveva paura.
Ma non sarebbe fuggito.
Doveva credere nell'altro Yugi.
Doveva credere nelle altre quattro pedine.
Doveva credere nei dadi.
I dadi.
I dadi che decidevano le sorti del gioco, sia per gli eroi che per il Dark Master.
I dadi sarebbero stati imparziali.
Lui non aveva alcun vantaggio, non avrebbe potuto piegare i dadi alla sua volontà.
... o forse sì.
Ryou ne era sicuro.
Lui avrebbe fatto qualcosa.
Forse l'aveva già fatto.
Il suo braccio.
Lui lo teneva sul tavolo, inerte, la mano ancora sanguinante.
Quel braccio era suo.
Lui era concentrato sull'altro Yugi.
Parlava con la sua voce.
Somigliava alla sua.
Ma era spaventoso vederla uscire dalle proprie labbra.
Era terribile vedere il proprio corpo in balìa di un simile mostro.
Il suo braccio.
Mosse appena le dita.
Con un dito, aprì la piccola scatola contenente i dadi.
Con le altre dita, ne prese altri due.
Con il dorso della mano, fece cadere dal tavolo i due dadi che lui aveva usato fino a quel momento.
Quei dadi erano normalissimi dadi.
E anche lui se ne rese conto, quando li prese con la mano che ancora controllava, dopo averli lanciati.
La sua espressione sconvolta gli fece capire che aveva ragione.
I dadi che lui aveva usato erano manipolati.
I dadi.
Zork era stato annientato.
L'altro Yugi aveva vinto.
Gioco della sanzione.
Un urlo.
Il suo urlo.
Ryou riaprì gli occhi.
Era d'innanzi al tavolo su cui era stato posato il Monster World.
Le cinque pedine giacevano sul campo, inerti.
Di fronte a sé, quattro persone.
Gli sorridevano.
I pendagli appuntiti dell'Anello scivolarono fuori dal suo petto.
Un dolce calore gli toccò il cuore.
Ryou sorrise.
Era finita.
Lui non c'era più.
Erano salvi.
Tutti loro erano salvi.
Lui.
E i suoi amici.

Difficoltà nel superare gli ostacoli

Ryou ricevette delle telefonate.
Coloro che, un tempo, erano suoi amici, si erano risvegliati dal coma in cui lui li aveva fatti cadere.
Tuttavia, Ryou sapeva che nessuno di loro aveva alcuna intenzione di rivederlo.
Lui aveva usato il suo corpo.
Le sue sembianze.
Per loro, era stato lui a far loro del male.
Nel rendersene conto, Ryou sentì una stretta al cuore.
Ma, ormai, aveva già detto addio al suo passato.
Non avrebbe più fermato il tempo, né avrebbe desiderato di poterlo riavvolgere.
Avrebbe mandato avanti il tempo.
Ciò che era passato sarebbe rimasto nella sua memoria, nel suo cuore.
Ma sapeva che non avrebbe più potuto riviverlo.
Forse, era meglio così.
Per tutti.
Ryou ricominciò una nuova vita.
Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu divennero suoi amici.
Gli unici che sapevano ciò che era successo, gli unici che non lo avrebbero mai accusato.
L'Anello del Millennio era tornato ad essere un oggetto innocuo.
Nonostante ciò, ogni volta che si avvicinava a Yugi, uno dei pendagli puntava in direzione del suo Puzzle.
Yugi.
Lui voleva il suo Puzzle.
Yugi.
C'era un altro Yugi.
Un altro Yugi che viveva nel Puzzle, come lui aveva vissuto nell'Anello.
Tuttavia, l'altro Yugi sembrava decisamente meno violento dello spirito dell'Anello.
Se non altro, non aveva mai cercato di fare del male al suo ospite.
Fare del male...
Ryou portava ancora le cicatrici.
Una piccola ferita circolare su una mano.
Cinque vistose ferite, poste in semicerchio, sul suo petto.
Queste erano talmente profonde che, forse, sarebbero rimaste per sempre.
Gli Oggetti del Millennio.
Così si chiamavano il Puzzle e l'Anello.
Allora, Ryou aveva visto giusto: avevano la stessa provenienza.
Gli dissero che ce n'erano altri cinque.
Uno dei quali, l'Occhio, era in possesso di Pegasus J. Crawford, inventore del Duel Monsters, un gioco di carte molto in voga in quel periodo.
Duel Monster, gioco in cui Yugi aveva sconfitto il campione in carica, Seto Kaiba.
Duel Monster, gioco a cui Yugi era stato invitato a partecipare per un torneo indetto dallo stesso Pegasus.
Un gioco a cui Yugi era stato costretto a partecipare.
Pegasus aveva preso in ostaggio l'anima del nonno di Yugi.
Yugi sarebbe dovuto andare da solo sull'isola di Pegasus.
Si sarebbe dovuto trovare alla mercé del suo nemico.
Jonouchi riuscì a seguirlo.
Ryou, Honda e Anzu dovettero imbarcarsi di nascosto sulla nave per l'isola, il Regno dei Duellanti, come clandestini.
Non avrebbero lasciato Yugi solo.
Erano amici.
E nessuno di loro lo avrebbe mai lasciato da solo.
Men che meno di fronte ad un simile pericolo.
Pegasus aveva un Oggetto del Millennio.
Ryou sapeva quanto potesse essere spaventoso un possessore di uno di quegli Oggetti.
Che anche Pegasus fosse, in qualche modo, manipolato?
Pegasus aveva un Oggetto del Millennio.
E uno dei pendagli del suo Anello, di tanto in tanto, sembrava risvegliarsi, per poi indicare il castello costruito in cima alla collina che dominava l'isola.
La dimora di Pegasus.
Era lì che Yugi e Jonouchi dovevano arrivare.
Dieci stelle ciascuno.
Almeno nove duelli da vincere, dato che ognuno di loro partiva già con una stella.
Ryou, Honda e Anzu seguirono Yugi e Jonouchi durante i loro duelli, fecero il tifo.
Incontrarono persone assurde.
Assistettero a duelli di ogni genere.
La mente di Ryou era ormai completamente concentrata su quei duelli, sull'obiettivo di Yugi e Jonouchi.
Pegasus.
E il suo Occhio.
Yugi e l'altro Yugi lo avevano aiutato, quando lui si era ritrovato in balìa di quell'essere.
Avrebbe voluto ricambiare, avrebbe voluto fare qualcosa di concreto per loro, per aiutarli a sua volta.
Ma si era reso conto che, oltre a sostenerli, non poteva fare altro.
Era frustrante.
Ma, così come aveva creduto in loro quando era una pedina, tanto da affidare loro la sua stessa vita, doveva credere in loro anche in quei momenti.
Ci sarebbero riusciti.
Sarebbero giunti al castello di Pegasus.
Sembrava andare tutto bene.
Finché uno dei loro avversari, un uomo sconfitto da Jonouchi in una macabra grotta, li rinchiuse all'interno di quella stessa galleria.
Come se scheletri, bare e giganteschi massi finti rotolanti non fossero abbastanza.
La via d'uscita era sbarrata.
Non sarebbero potuti uscire da lì.
Erano intrappolati.
Ma quella galleria doveva pur portare da qualche altra parte...
L'Anello.
I pendagli si illuminarono, alzandosi tutti insieme, indicando una via.
Ryou prese l'Oggetto.
Erano intrappolati.
La via d'uscita era sbarrata.
Seguire la direzione indicata dall'Anello non costava nulla.
Forse era questo il potere di quell'Oggetto.
Ritrovare ciò che si è perduto.
La via d'uscita.
Loro dovevano ritrovare la via per poter uscire.
Forse era questo il potere di quell'Oggetto.
Ritrovare ciò che si è perduto.
L'Anello li condusse d'innanzi ad un labirinto.
D'innanzi a due avversari gemelli che Yugi e Jonouchi avrebbero dovuto affrontare in coppia.
Un indovinello.
Il duello non avrebbe assicurato loro la via della salvezza.
Quei due gemelli posero loro un indovinello.
Era la sua soluzione ad assicurare loro la via della salvezza.
Ma Yugi e Jonouchi erano concentrati sul duello.
Oltre a sostenerli, forse lui, Honda e Anzu potevano fare altro.
Potevano trovare la soluzione a quell'indovinello.
In realtà, Ryou non era mai stato bravo negli indovinelli.
Ma, stavolta, ne valeva della loro salvezza.
Due porte.
Solo una era quella giusta.
I gemelli avevano parlato con frasi criptiche.
C'era un inganno.
Ma non riusciva a capire quale fosse.
Due porte.
Solo una era quella giusta.
Solo una.
Solo una era la via della salvezza.
- Ti dirò qual è la porta giusta. -
Una voce.
Ryou trasalì.
Chi aveva parlato?
Honda stava guardando altrove.
Forse Anzu?
- Hai detto qualcosa? -
Ma quella voce non era la voce di Anzu.
Quella voce.
- Sono stato io. -
Quella voce era la sua.
No.
Era solo un'illusione.
Non era vero.
Lui non c'era più.
Lui se n'era andato.
Lui se n'era andato per sempre.
Non poteva essere lui.
Non poteva...
- Ascoltami bene. Pensi di trattenerti qui ancora a lungo? Un nuovo Oggetto millennario si trova a portata di mano. Sono stato io a guidarti fin qui, sai? -
Era lui.
Era tranquillo.
Ryou tremava.
Lui rideva.
Non poteva essere vero.
Doveva essere solo un'illusione.
Doveva.
Doveva.
- Dovrai riprendermi con te. Ti dirò qual è la porta giusta. Io sono un bandito, per me è facile indovinare. -
Forse era questo il potere di quell'Oggetto.
Ritrovare ciò che si è perduto.
Anche ciò che non si sarebbe mai più voluto ritrovare.
Ryou era caduto nella sua trappola.
Da quanto tempo lui era lì?
Da quanto tempo?
Era lui ad indicargli il castello di Pegasus?
Lui voleva il Puzzle.
Forse voleva anche l'Occhio.
Un bandito.
Ricordava di come gli aveva parlato di profanatori di tombe.
Ricordava di come fosse arrivato anche a fargli del male.
Quell'essere, quello spirito, era un mostro.
Doveva gettare l'Anello.
Doveva liberarsene.
Doveva distruggerlo.
Prima che fosse troppo tardi.
Prima che lui usasse nuovamente il suo corpo per fare del male agli altri.
Soprattutto alle persone a lui più vicine.
- Ho capito... a causa di quello che è successo in passato hai paura di me... -
Paura.
Ryou aveva paura di lui.
Sì, era vero.
Aveva paura di quel mostro capace di manovrarlo come un burattino.
Aveva paura di quel mostro capace di usarlo per fare del male.
Aveva paura.
O forse, la paura non era abbastanza.
Lui era terrorizzato.
- Stai tranquillo, non sono più lo stesso. Ti offro il mio aiuto per salvare i tuoi amici. -
Simili parole, pronunciate dalla sua voce, avrebbero senz'altro fatto cambiare idea a Ryou.
Non c'erano dubbi.
Ryou avrebbe sicuramente dimenticato le torture a cui era stato sottoposto.
E dire che lui non era solito essere sarcastico...
Come poteva anche solo pensare che lui gli credesse?
Ogni singola sillaba era intrisa di falsità, ogni singola sillaba era intrisa di menzogna.
- Basta! No, non mi fido più di te! -
E mai si sarebbe fidato.
Era stato uno stupido a fidarsi dell'Anello.
Era stato uno stupido a crederlo ormai libero.
Doveva gettare l'Anello.
Doveva liberarsene.
Doveva distruggerlo.
Prima che fosse troppo tardi.
Prima che lui usasse nuovamente il suo corpo per fare del male agli altri.
Soprattutto alle persone a lui più vicine.
- Allora sarò più chiaro: se non mi porti con te adesso, i tuoi amici non usciranno mai di qui! Saranno condannati per l'eternità! -
... era lui.
Yugi e l'altro Yugi lo avevano aiutato, quando lui si era ritrovato in balìa di quell'essere.
Avrebbe voluto ricambiare, avrebbe voluto fare qualcosa di concreto per loro, per aiutarli a sua volta.
Due porte.
Solo una era quella giusta.
Solo una era la via della salvezza.
Lui sapeva quale.
Ryou avrebbe voluto fare qualcosa per Yugi, avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarlo.
Se aiutarlo significava lasciare il suo corpo a quel crudele Dark Master...
... che lui lo facesse diventare una sua pedina.

Stanchezza, demotivazione, essere schiacciati dalle difficoltà
Paura della realtà e del confronto con essa

Yugi vinse il torneo del Regno dei Duellanti.
Jonouchi ottenne i soldi per curare gli occhi malati della sua sorellina.
Tutti coloro che erano stati presi in ostaggio da Pegasus erano stati liberati.
Ryou ricordava i festeggiamenti.
Ricordava la felicità degli altri.
Ryou si era risvegliato fuori dal labirinto.
Lui non aveva più parlato.
Ma Ryou non si fidava affatto.
Non si fidava.
Non si sarebbe mai fidato.
Un piccolo oggetto rotondo in una tasca.
Il maglione schizzato di rosso.
Una mano bagnata di liquido color rubino.
Il cadavere di Pegasus.
Privo di un occhio.
Privo dell'Occhio.
Lui non aveva più parlato.
Aveva direttamente agito.
Quando?
Quando era successo?
Mentre stava dormendo?
Non ricordava.
Ricordava di stare guardando un duello e poi... e poi...
Si era risvegliato.
Quelle sue mani avevano strappato un occhio, seppur d'oro.
Quelle sue mani avevano strappato una vita.
Dopo il Regno dei Duellanti, Ryou rimase chiuso in casa.
Gettò il maglione.
Gettò i pantaloni.
Non li avrebbe mai più reindossati.
L'Occhio era ancora nella tasca.
Sapeva che lui non gli avrebbe mai permesso di disfarsene.
Lui era lì.
Ryou lo sapeva.
E ora che lui era tornato cosciente, non gli avrebbe mai permesso di disfarsi dell'Anello.
Lui era lì.
Ryou lo sapeva.
Ma lui non gli parlava mai.
Né mostrava segni di alcun tipo.
Ryou aveva paura.
Sapeva che lo stava osservando.
Sentiva il suo sguardo perennemente su di sé.
Eppure, lui non parlava.
A volte, Ryou si illudeva che se ne fosse andato.
A volte, Ryou si illudeva di essere tornato un ragazzo normale.
Dita che tamburellavano, annoiate, sul tavolo.
Un gesto semplice.
Ma non era Ryou a volerlo fare.
Dita che tamburellavano, annoiate, sul tavolo.
Era lui a farlo.
Lui non gli parlava mai.
Ma gli ricordava che c'era.
Dita che tamburellavano, annoiate, sul tavolo.
Un gesto semplice.
La più terribile delle minacce.
Lui gli stava dicendo che c'era.
Che, no, non se n'era andato.
Che mai l'avrebbe fatto.
Lui gli stava dicendo che avrebbe potuto prendere possesso del suo corpo in ogni momento.
Senza che lui se ne accorgesse.
Per farne ciò che voleva.
A volte, Ryou si illudeva che se ne fosse andato.
A volte, Ryou si illudeva di essere tornato un ragazzo normale.
- Piove. -
Una semplice constatazione, fatta senza alcuna intonazione particolare.
Ma non era stato Ryou a farla.
Una semplice constatazione, fatta senza alcuna intonazione particolare.
Era stato lui a farla.
Lui non gli parlava mai.
Ma gli ricordava che c'era.
Una semplice constatazione, fatta senza alcuna intonazione particolare.
Lui gli stava dicendo che era con lui in ogni momento.
Senza che lui se ne rendesse conto.
Ryou, in lacrime, gli chiedeva cosa volesse.
Gli chiedeva chi fosse.
Gli chiedeva.
Ma lui non rispondeva.
Ryou sapeva che lo aveva sentito.
Ryou sapeva che lui non aveva alcuna intenzione di rispondere.
Non per segretezza.
Ma per passatempo.
Perché Ryou, ogni giorno che passava, si sentiva sempre più folle.
Parlava da solo.
Aveva paura persino della sua stessa ombra.
Aveva paura di avvicinarsi agli altri.
Non sapeva cosa lui avrebbe potuto fare.
Forse anche per noia.
Aveva paura di guardarsi allo specchio.
Temeva quasi che, nel suo riflesso, invece del suo viso spaventato, apparisse un volto mostruoso.
Temeva di veder riflessi non i propri occhi, ma quegli occhi che aveva visto quel giorno, durante quella partita a Monster World.
Con Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu cercava di comportarsi normalmente.
Riuscì ad ingannarli.
Riuscì a far credere loro di stare bene.
Nascose loro la sua paura.
Nascose loro i suoi brividi ogni volta che lo sentiva.
A volte, mentre stava parlando con loro.
A volte, quando era vicino al Puzzle.
A volte, quando stava semplicemente camminando.
Sentiva l'Anello, innocuamente posato sul suo petto, farsi più caldo o più freddo.
Sentiva qualche monosillabo incomprensibile.
Sentiva le sue dita sfiorargli i capelli - senza che lui lo volesse.
Era solo un'illusione.
La sua vita era solo un'illusione.
Lui lo illudeva che quel corpo fosse suo.
Lui lo illudeva di essere libero.
Succedeva che Ryou si ritrovasse, da un momento altro, in luoghi sconosciuti, senza sapere come ci fosse arrivato.
Senza sapere cosa lui avesse fatto.
Camminava per il centro.
Si ritrovava in periferia.
Era a casa.
E poi a scuola.
Era al parco.
E poi al porto.
Ryou stava impazzendo.
Ogni giorno che passava, si sentiva sempre più folle.
Sarebbe voluto fuggire.
Stavolta, sarebbe voluto fuggire davvero.
Voleva gridare aiuto.
Ma lui glielo impediva.
Non lo sgridava.
Non alzava la voce.
Semplicemente, faceva in modo che non potesse più muoversi.
Per tanto tempo.
Per ore intere.
Gli toglieva la voce.
Gli impediva di aprire gli occhi.
Ryou voleva gridare aiuto.
Ma lui glielo impediva.
Imprigionandolo nel suo stesso corpo.
Il suo carnefice era dentro di lui.
La sua prigione era il suo corpo.
E non sarebbe potuto fuggire in nessun modo.
Era prigioniero.
Forse per sempre.
Era stata un'illusione.
Le sue parole, quel giorno, nel Regno dei Duellanti.
Lui aveva solo voluto giocare con lui.
Ryou sapeva perfettamente che lui si sarebbe potuto riprendere il suo corpo in ogni momento.
Ma non l'aveva fatto.
Voleva che lui se ne accorgesse.
Voleva che fosse lui ad acconsentire.
Voleva schiacciarlo con il senso di colpa.
Illusione.
Possessione.
Sangue.
Anello.
Ferite.
Ogni cosa proveniva dall'Anello.
Dal dono che suo padre gli aveva fatto.
Dal dono che condivideva con Amane.
Amane.
La sua sorellina.
Non le aveva più scritto, da quando era tornato dal Regno dei Duellanti.
Ryou aveva paura.
Paura di avvicinarsi alla scrivania.
Perché era lì, proprio mentre scriveva ad Amane, che lui si era fatto sentire la prima volta.
Lui aveva distrutto tutto.
Aveva distrutto il significato dell'Anello, dono di suo padre, sempre lontano per lavoro.
Aveva distrutto il significato della scrivania, unica cosa che lo legava alla sua sorellina, lontana per sempre.
Aveva distrutto delle vite - forse Pegasus non era neppure il primo e, probabilmente, non sarebbe stato neppure l'ultimo.
Aveva distrutto le loro vite.
Aveva distrutto la sua vita.
Ryou urlava.
Piangeva.
Gli chiedeva perché.
Perché gli stesse facendo tutto quello.
Perché lo stesse manovrando.
Perché non si cercasse un altro corpo da possedere.
Lui non rispondeva mai.
Ma Ryou sapeva che lo stava sentendo.
Lui era l'unico che lo sentiva.
Gli altri credevano alla sua maschera.
Credevano a ciò che mostrava esteriormente.
Nessuno poteva sentirlo.
Ryou era solo.
Solo come un eremita.
Niente più tocchi caldi sul suo cuore.
Solo fiamme infernali che bruciavano il suo cuore.
Ferite.
Ryou riaprì gli occhi.
Aveva la vista annebbiata.
Sentiva solo un fortissimo dolore al braccio.
Vedeva dell'acqua rossa scivolargli lungo la pelle.
Un ragazzo dalla pelle scura stava cercando di portarlo da qualche parte.
La voce di Jonouchi.
La voce di Anzu.
Automobili.
L'odore degli ospedali.
Voci concitate.
Incubi.
Freddo.
Vento.
Un gigantesco drago rosso.
Delle fauci spalancate.
L'altro Yugi.
La ferita al braccio.
Le ginocchia gli cedettero.
Non aveva più forza.
Era stanco.
Stanco di ogni cosa.
Lui aveva distrutto tutto.
Aveva distrutto la sua vita.
Lacrime.
Alla fine, non era stato capace neppure di vivere per Amane.
C'era riuscito solo per un breve periodo.
Poi era arrivato lui.
Lui aveva distrutto tutto.
Aveva distrutto la sua vita.
Che se la prendesse per sempre, allora.

Felicità lontana ma raggiungibile
Desiderio e volontà di superare gli ostacoli

Ryou riaprì gli occhi.
Negli ultimi mesi - negli ultimi anni - aveva potuto compiere praticamente solo quel gesto.
Un brontolio.
Il suo stomaco.
Aveva fame.
Fame.
Era una sensazione così umana.
Era una sensazione così normale...
Si alzò, barcollante.
Guardò verso il suo petto.
Le cinque cicatrici, ciò che era rimasto delle ferite inferte mesi e mesi prima.
L'Anello non c'era.
L'Anello era scomparso.
Il suo cuore ebbe un sussulto.
Un sussulto di gioia.
L'Anello non c'era.
Lui non c'era.
Senza l'Anello, lui non poteva esserci.
Era finita.
Era finalmente finita.
Quel mostro se n'era andato.
Se n'era andato per sempre.
Ryou si era reimpossessato della sua vita.
La sua vita, solo sua.
E di Amane.
Ryou non aveva capito niente di ciò che era successo.
Non aveva idea del perché fosse su un'isola meccanica all'apparenza abbandonata.
Non aveva idea del perché fosse su un dirigibile.
Non aveva idea del perché ci fossero così tante persone.
Ma non gli importava.
Non gli importava affatto.
Era libero.
Libero dal suo carnefice.
La sua prigione era tornata ad essere il suo corpo.
Ciò che gli apparteneva era finalmente tornato a lui.
I sorrisi che rivolse a Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu erano sinceri.
Stavolta non c'erano maschere.
Stavolta non stava nascondendo niente.
I suoi ricordi, la sua vita, il suo corpo, la sua volontà.
Era di nuovo tutto suo.
Sarebbe tornato normale.
Sarebbe tornato ad essere un ragazzo normale, come tutti gli altri.
Senza oggetti maledetti o spiriti sanguinari.
La normalità.
La vita.
La vita che viveva anche per Amane.
Lui aveva bloccato il tempo.
Lo aveva cristallizzato in un unico attimo.
L'attimo del terrore.
Per due anni, Ryou era rimasto imprigionato in quell'attimo immobile, in quell'attimo di orrore.
E lui avrebbe fatto scorrere di nuovo il tempo.
Il tempo non si sarebbe più fermato.
Era libero.
La libertà.
La normalità.
Finalmente poteva stare con i suoi amici senza temere di far loro del male.
Finalmente poteva uscire di casa senza aver paura di ritrovarsi da tutt'altra parte.
Finalmente poteva guardare in faccia le persone senza essere terrorizzato dall'idea che potessero essere sue vittime, magari solo per un suo capriccio.
Era libero.
La libertà.
La normalità.
Era libero.
Era finita.
Era finalmente finita.
Era libero.
- Ti sono mancato, mio ospite? -
Lui lo aveva cristallizzato in un unico attimo.
Per poi infrangere quel mondo di vetro che lo circondava.
Ryou si ferì.
Si ferì con quei pezzi di vetro che volarono da quel mondo infranto.
Un'illusione.
Era stata solo la sua ennesima, crudele illusione.
Senza Anello, lui non poteva esserci.
Non poteva.
Non poteva.
Ryou fuggì.
Fuggì dalla sua casa, fuggì più lontano che poté.
Voleva fuggire da lui.
Tuttavia, sapeva che, nella sua fuga, stava portando con sé anche il suo carnefice.
Anche la sua prigione.
Una chiesa.
Ryou vi entrò.
Dicevano che nessuno spirito malvagio potesse entrare in una chiesa.
Ma allora perché la sua voce continuava a rimbombargli nella testa?
Perché lo sentiva parlare degli Oggetti del Millennio?
Perché lo sentiva nominare Yugi, perché lo sentiva nominare un tale Shadi?
Perché lo sentiva parlare di un mondo della memoria?
Perché lo sentiva?
Perché lo sentiva così forte?
Il cuore che bruciava tra le fiamme infernali.
La sua voce che proveniva da ogni dove.
Il corpo che iniziò a fargli male.
Le statue che assistevano, impassibili.
Le fiamme delle candele che si spegnevano.
Le vetrate della chiesa che si infrangevano.
Il suo urlo di disperazione che si tramutava in una risata folle che non gli apparteneva.

Il bastone simboleggia il cammino intrapreso, le prove superate
Evoluzione interiore poco manifesta ma profonda

Gli faceva male la testa.
Gli faceva male tutto.
Gli bruciavano gli occhi.
Non riusciva a parlare.
Si sentiva distrutto.
Gli dissero che gli Oggetti del Millennio erano andati perduti.
Stavolta per sempre.
Ryou non gioì.
Non sapeva se crederci o meno.
Ma quando vide Yugi, gli occhi arrossati per il troppo pianto, capì che doveva essere vero.
Gli Oggetti del Millennio erano andati perduti.
E, con essi, anche loro.
Jonouchi, Honda e Anzu gli spiegarono ciò che era successo.
Gli raccontarono di quel fantomatico mondo della memoria.
Gli raccontarono di come l'altro Yugi fosse l'anima di un giovane Faraone che aveva perduto la memoria.
Gli raccontarono di come l'altro Yugi fosse finalmente andato nei campi Iaru.
Gli raccontarono di come Yugi fosse distrutto.
Le parole non bastavano.
Ryou lo vedeva da solo.
Yugi aveva perso metà della sua anima.
L'anima del Faraone, l'altro Yugi.
Mentre lui...
Lui aveva perso il suo carnefice.
Lui aveva perso colui che aveva distrutto il suo mondo, colui che aveva infangato i suoi ricordi e i suoi affetti.
Lui aveva perso quel mostro.
Stavolta doveva essere vero.
Quel mostro non sarebbe mai più tornato.
Quel mondo in cui stava vivendo non era più un'illusione.
Stavolta era vero.
Bakura.
Ryou trasalì quando sentì quel nome uscire dalla bocca di Jonouchi.
Era il suo nome, certo.
Ma il modo e il contesto in cui Jonouchi l'aveva pronunciato gli faceva assumere altri significati.
Di fronte al suo sguardo perplesso, Anzu gli spiegò che, nel mondo della memoria, avevano incontrato lo spirito dell'Anello, quando ancora era vivo.
Si chiamava Bakura.
Per la prima volta in quegli anni, Ryou si rese conto di tante cose.
Lui era uno spirito.
E, come tale, doveva essere morto.
Lui era uno spirito.
E, come tale, doveva stare cercando qualcosa che, una volta trovato, gli avrebbe dato la pace.
Ryou si rese conto di non sapere nulla di lui.
Di Bakura.
Yugi, Jonouchi, Honda e Anzu lo avevano visto.
Bakura doveva aver avuto un corpo, doveva aver avuto una vita.
Una vita che era stata distrutta presto.
La sua era una voce giovane.
Quel mostro... perché era diventato un mostro?
Cosa gli era successo?
Per la prima volta in quegli anni, Ryou si rese conto di tante cose.
Si rese conto di non sapere nulla di lui.
Del resto, Bakura - aveva un nome, ed era il suo stesso nome - non gli aveva mai risposto, limitandosi a tormentarlo e usarlo.
- Com'era? -
Ryou non riuscì a frenare quelle parole prima che potesse pronunciarle.
Gli sguardi stupiti dei tre, tuttavia, non lo intimidirono, né lo imbarazzarono.
Voleva sapere.
Voleva sapere chi fosse quel mostro.
Voleva sapere chi fosse quella disperata anima dannata.
Fu Jonouchi a rispondergli.
- A parte il nome e il colore dei capelli, non aveva nulla in comune con te. -
Bakura.
Un'anima dannata.
Ryou sentì una stretta al cuore.
Era... pietà?
Pietà per quel mostro?
Pietà per quell'anima dannata.
Pietà per quell'anima che aveva distrutto la sua vita.
Pietà per quell'anima che lo aveva ferito.
Una piccola cicatrice circolare su una mano.
Cinque vistose cicatrici, poste in semicerchio, sul suo petto.
Una lunga cicatrice su un braccio.
Gli aveva conficcato dei pendagli appuntiti nel petto.
Gli aveva piantato una mano sulla punta di una torre del castello dello Zork.
Lo aveva persino accoltellato.
Un'anima dannata.
Bakura.
Ryou aprì le finestre della sua casa.
Lasciò che la luce del giorno illuminasse tutte le stanze.
Si specchiò.
Ciò che vide riflesso era Ryou Bakura.
Ma di Bakura non c'era traccia.
C'era solo Ryou.
Si sedette alla scrivania.
Prese un foglio.
E una penna.
Erano più di due anni che non scriveva ad Amane.
Sperava che non si fosse offesa.
"Scusami se non ti ho più scritto; in questi mesi sono successe molte cose.
Ma non ti dirò tutto: ci sono alcune vicende che voglio tenere per me.
Per il resto, ho molto da raccontarti.
"
Un suono.
Ryou trasalì.
Sorrise.
Un tintinnare di campanelli.

(Definizioni e descrizioni del tarocco non mi appartengono e sono tratte da Wikipedia e Tarocchi.it, che ne detengono i diritti)

Innanzitutto, grazie a XShade-Shinra per avermi fornito i dialoghi del manga della parte del labirinto dei gemelli nel Regno dei Duellanti. @.@
Seconda cosa: lo so, è spaventosamente lungo. oAo
Perdonatemi. ç_____ç *toccherà leggerlo a rate* *se mai qualcuno sarà così folle da farlo*
Ci tenevo a far bene il tarocco di Ryou - dato che è uno dei personaggi che preferisco; riguardo Amane (romanzazione a catinelle), mi piace pensarla come l'opposto di Ryou, più decisa ed estroversa. ^^ Comunque, ci sono alcuni punti che non mi convincono molto; in particolare, la parte relativa a Bakura. °°
Tuttavia, pensandoci bene, non vedo altro modo in cui potrebbe essere stato il loro rapporto: non so, per quanto la Tender mi piaccia, non li vedo particolarmente intenti a dialogare. °° Anzi...
Eh, del resto, il dolce Eremita ha problemi con gli ospiti... Un punto a XShade-Shinra e Melissa. ^^
Riguardo "Triumphi" in sé: come avrete notato, aggiorno anche a distanza di mesi con mostruosi elenchi telefonici di cui mi scuso ç___ç; purtroppo, in questo periodo non ho davvero abbastanza tempo. @.@
Ragion per cui, avendo anche Ma-ry-oh! da portare avanti, rivoglio l'estate oAo penso mi dedicherò a Triumphi con ancora più calma; inizialmente, pensavo di alternare le due fanfiction, ma mi rendo conto che è impossibile. ^^"
Quindi, vedrete un aggiornamento mooooolto lento. XD Sì, ancora più di adesso. oAo
Ma penso sia meglio così. ^^

Per Shadi, sono felice che, nonostante sia un personaggio altamente ignorato, il suo tarocco sia comunque piaciuto. ^^ *sì, è come, pensate, è anche quello con meno visite XD* *al contrario di quello di Seto* *... sì, ci ritornerò, non temete >.>*
x AliceWonderland: E' passato più di mese, spero che ora vada meglio. oAo
I personaggi che mi piacciono? Ehm... *guarda la lunghezza dell'Eremita* Non farti queste domande. >///>
Ti ringrazio. ^^ (al più presto? ... ehm...)
x Diana924: Sull'infanzia, in effetti, non è che ci fosse molto di rilevante da dire. XD
E, sì, Shadi è abbastanza pessimista. °°
Grazie del commento. ^^
  
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