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Autore: Fatanera    18/02/2011    11 recensioni
(ST TOS) Fino a dove può arrivare l'Amore? Un momento difficile e le sensazioni, i gesti che raccontano tutta l’intensità di un Legame. “Tanto da far male” è l’Amore. Tanto, appunto, da andare al di là di qualsiasi sacrificio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota seria: sto pensando da mesi ad una fic sulla Triade e il Pon Farr, ma non sapevo bene come affrontare la cosa. Scrivere scene di sesso importanti che coinvolgono tre persone non è facile, il confine fra erotico e ridicolo è sottile. Qualche giorno fa ho avuto una illuminazione: perché non scrivere questa storia senza incentrarla sul sesso, ma sulle sensazioni e sui piccoli gesti che ci raccontano tutta l’intensità del Legame che unisce questi tre uomini? “Tanto da far male” è l’Amore che li lega. Tanto, appunto, da andare al di là di qualsiasi sacrificio. Amo questo racconto, mi è uscito davvero dal cuore e spero che, in qualche modo, tocchi anche i vostri. Buona lettura.

“Bones, preferirei davvero che tu non fossi coinvolto in questa storia”
Il capitano parlava con i palmi delle mani rivolti verso l’alto e l’aria supplichevole, rivolto al dottore che sistemava i medicinali sugli scaffali. Non era compito suo farlo, ma in quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non ascoltare Jim, che ormai da un po’ cercava di convincerlo.
“Te lo ripeto per l’ultima volta: non se ne parla! Non ti lascerò da solo ad affrontare questa cosa. Sette anni fa ti ha quasi ammazzato…”
“E tu mi hai salvato la vita…”
Il dottore smise di sistemare le fiale e si voltò verso Jim, che gli stava sorridendo in quel suo modo dolce e fintamente innocente.
“Si, e questa volta non hai più trent’anni, non puoi farcela da solo” disse, rispondendo al sorriso.
“Oh, ce la farei benissimo…” disse Jim, sollevando le spalle, e dalla gola del dottore uscì una risata scoppiettante.
“Sette anni fa tu eri suo amico e il suo capitano, e io un dottore brontolone con cui non poteva fare altro che discutere. Adesso siamo i suoi Compagni. E’ dovere di entrambi aiutarlo a superare questo momento così difficile nel migliore modo possibile” Bones si avvicinò a Jim e gli posò una mano sull’avambraccio. “Adesso Spock è anche una mia responsabilità. Anche se…” Jim lo vide arrossire e mordersi le labbra e gli posò una mano sulla guancia.“Anche se questa cosa mi spaventa un po’. Insomma… a volte faccio fatica a stargli dietro quando è … normale… E io non avevo più trent’anni nemmeno sette anni fa…”
Jim rise e si avvicinò per posargli un bacio sulle labbra, poi posò la fronte contro la sua.
“Non posso fare niente per convincerti a stare alla larga?”
“No…”
“Non sarà facile…”
Il medico annuì. “Lo so, ma saremo in due, in qualche modo lo gestiremo…”
“E poi noi lo amiamo…” disse il capitano.
Bones annuì ancora contro la fronte di Jim e posò la guancia contro la sua.
“Si, in qualche modo faremo…”

I giorni seguenti, Spock dava già segni di nervosismo. Scattava con chiunque avesse a che fare e rispondeva in modo brusco e indisponente anche al capitano e al dottore. Bones aveva notato che mangiava sempre meno, e che la sua dieta era ormai limitata all’acqua e a qualche pezzetto di verdura cruda.

Una notte Jim riemerse dal sonno, disturbato da un movimento al suo fianco. Spock si agitava, voltandosi da una parte e dall’altra e Jim gli posò una mano sulla fronte. Era bollente, così chiamò il dottore.
McCoy si alzò e prese il tricorder.
“Si, la temperatura è davvero alta, gli ormoni sono alle stelle” poi guardò Jim, preoccupato. “E’ cominciato” disse.
La notte passò lentamente, McCoy rimase accanto a Spock e per un po’ riuscì a tamponargli la fronte con un panno bagnato, ma presto il vulcan si alzò dal letto e cominciò a camminare avanti e indietro come un leone in gabbia, rifiutando qualsiasi altro tentativo del dottore di recargli sollievo.
Il capitano aveva indetto una riunione d’emergenza e aveva organizzato i giorni seguenti in modo che non fosse necessaria la sua presenza. Scott aveva preso in carico la nave, che si stava dirigendo verso una zona tranquilla. L’ingegnere aveva accolto con entusiasmo la possibilità di dedicarsi a qualche riparazione necessaria e miglioria facoltativa. Il resto dell’equipaggio avrebbe potuto prendere le cose con calma e riposare.

La mattina seguente Spock rimase seduto per ore con le dita intrecciate e gli indici e i medi uniti davanti al viso e gli occhi socchiusi. Kirk e McCoy avevano tentato di parlare con lui, capire come si sentiva e se potevano fare qualcosa per aiutarlo, ma non avevano ottenuto risposta. Quindi lo osservavano e rimanevano in attesa. Verso mezzogiorno finalmente fu lui a chiamarli.
“Preferirei non coinvolgervi” disse, tenendo lo sguardo basso. Quando aveva separato le mani, McCoy aveva notato subito che tremavano leggermente.
“E come pensi di risolvere la cosa, da solo?” chiese, trattenendo a fatica il disappunto nella voce. Spock non rispose e continuò a guardare il pavimento. Era ovvio che non poteva.
“Sai che non ti lasceremo solo. Quindi è inutile continuare a parlarne, vero?” chiese Jim e ancora una volta gli rispose il silenzio.

La giornata, come previsto, fu ancora peggiore della notte. Spock continuò a camminare avanti e indietro, stringendo le mani una contro l’altra. Un paio di volte si era fermato e aveva sferrato un pugno contro la paratia, ferendosi le mani, ma non aveva permesso al dottore di controllarle. Jim e Bones non potevano fare altro che aspettare ed era snervante. Jim usciva di tanto in tanto per recarsi in plancia a controllare che tutto andasse bene, almeno fintanto che poteva farlo. McCoy aveva portato un po’ di lavoro arretrato nell’alloggio e passava il tempo al computer mentre teneva d’occhio Spock.
Verso sera finalmente Spock si lasciò cadere sul letto e sia Jim che Bones lasciarono le loro occupazioni per andare a controllarlo. Ormai tremava vistosamente e aveva i capillari rotti all’interno degli occhi. Le labbra erano tese e screpolate e si stavano tagliando. La temperatura era altissima, lo si sentiva anche senza tricorder. Bones preparò un bicchiere di frutta frullata e si avvicinò a Spock con un cucchiaio.
“Avanti, prendine un po’” lo pregò Jim “Solo qualche cucchiaio…”
Spock scosse il capo e si voltò dall’altra parte. Bones tentò di avvicinargli comunque il cucchiaio alla bocca e Spock, di scatto, afferrò il bicchiere e lo lanciò contro la parete.
“Lasciatemi in pace!” gridò e poi voltò loro le spalle e si raggomitolò nel letto, tremando e battendo i denti.
Jim tentò di toccargli la fronte, di accarezzarlo, ma Spock scacciò la mano. Con lo stomaco annodato e il cuore pesante, Jim prese uno straccio e si mise a pulire la frutta spiaccicata sulla parete e Bones preparò del tè caldo per tutti e tre. Era normale che Spock si comportasse in quel modo, ma faceva comunque male.

Il primo assalto avvenne vero sera. Jim stava osservando la sua piccola libreria, prendendo i libri a caso e sfogliandone le pagine. Amava il rumore della carta e il profumo delle copertine di pelle antica. Senza sapere come, si trovò schiacciato contro la libreria. Una mensola gli si conficcò nello stomaco, togliendogli il fiato. Prima di rendersi conto di cosa stesse succedendo, si trovò le dita di acciaio di Spock nei muscoli delle braccia e il suo alito bollente sulla nuca. Spock gli si premeva addosso e gli sfregava l’inguine contro, tenendolo stretto fino quasi a impedirgli di respirare.
“Spock!” lo chiamò ma il vulcan non lo sentiva nemmeno. Continuava a colpirlo con i fianchi, e ad ogni colpo i fianchi di Jim sbattevano contro la libreria. Il capitano fece forza con le braccia e cercò di spingersi via e rivoltarsi, ma tutto ciò che ottenne fu di scivolare a terra e Spock fu subito sopra di lui. L’ufficiale annaspava, sembrava non avere il controllo dei propri movimenti. Cercava di strappare i vestiti di entrambi e tirava e spingeva, graffiandolo e facendogli sbattere la testa contro il pavimento. Jim non riusciva a liberarsi e nemmeno a ripararsi in qualche modo, la forza di Spock era troppa per lui. L’unica soluzione che riuscì a trovare fu intrecciare gli avambracci dietro la testa per evitare i colpi e impedire che Spock gli rompesse l’osso del collo.

Bones sentì un rumore e un grido di dolore. Corse nella zona notte e rimase ghiacciato. Spock stava spingendo Jim contro la libreria. Poco dopo era a terra e Spock gli stava strappando l’uniforme. Il suo primo istinto fu cercare di fermarlo, ma sapeva che era inutile. Non ci sarebbe riuscito e non doveva farlo. Lui lo sapeva e anche Jim. Era quello che doveva succedere. Nei prossimi giorni Spock si sarebbe accoppiato con loro, ripetutamente. Per la maggior parte del tempo non avrebbe avuto controllo su ciò che faceva, e questo significava che avrebbe potuto essere violento, che avrebbe potuto fare loro del male. Jim e Bones ne avevano parlato a lungo e sapevano a cosa andavano in contro. Lo accettavano perché era l’unica cosa che potevano fare per Spock.
Bones ne era consapevole e pensava di essere preparato, ma ora vedere Spock che prendeva il suo Jimboy in quel modo, vedere il dolore sul suo viso e il sangue sulle sue braccia e sulla fronte, dove si era ferito picchiando la testa contro la mensola… Si appoggiò al muro dietro di sé con le mani premute sulla bocca e gli occhi chiusi mentre le lacrime spingevano dietro le palpebre.

Spock era ancora raggomitolato nel letto, con gli occhi stretti nel tentativo di controllare il dolore. Si sentiva bruciare, aveva crampi nei muscoli e le ossa dolevano come se stessero per spezzarsi. E si sentiva male dentro, perché aveva fatto male a Jim. Lo ricordava come si ricorda un incubo, e aveva paura perché fra poco lo avrebbe rifatto, lo avrebbe ferito ancora e avrebbe ferito anche Leonard. Leonard che gli stava bagnando la fronte e i polsi con acqua gelata, che si stava occupando di lui nonostante ciò che aveva fatto.
“Perché lo stai facendo?” chiese, e la voce uscì rauca. Sentiva la gola gonfia e l’aria che gli usciva dai polmoni era incandescente. Il dottore gli avvicinò qualcosa alle labbra e questa volta Spock si sforzò di bere. Il poco liquido che riuscì a inghiottire era fresco e dolce.
“Perché stai male e io sono un dottore” rispose McCoy e poi gli posò le labbra fresche sulla fronte.
“Jim?” chiese ancora.
“Stai tranquillo…” disse “Ti porto un po’ di frutta…”
“Aspetta…” Spock gli afferrò un polso e McCoy ebbe un tuffo al cuore mentre un brivido di paura lo attraversava. Posò il bicchiere sul comodino. Spock si mosse e lo afferrò per le spalle, lo spinse sul letto e come un gatto gli si arrampicò sopra.

Jim era sul divano, con la testa buttata indietro sullo schienale. Aveva dolore ovunque, il suo corpo si stava macchiando di lividi un po’ dappertutto e i graffi sulle braccia e sui fianchi bruciavano. Bones lo aveva disinfettato e gli aveva messo una pomata antibiotica. Sentiva Bones che gemeva nell’altra stanza ed era molto diverso da quando i suoi gemiti erano di piacere. Non poteva fare niente, poteva solo aspettare e sperare che Spock non gli facesse troppo male. Continuò a fissare il soffitto, deglutendo per scacciare il nodo che aveva in gola.

Quando Bones lo raggiunse era avvolto nell’accappatoio e aveva un labbro spaccato che sanguinava abbondantemente. Jim balzò in piedi e prese il kit del pronto soccorso.
“Cosa…?” chiese ma il dottore sollevò le spalle.
“Non è niente…” Si lasciò cadere sul divano e si lasciò tamponare il labbro. Aveva l’aria sfinita. Poi prese la garza e continuò a medicarsi da solo.
“Vai di là, qui ci penso io…” disse.
“Stai bene?” chiese Jim e Bones annuì.

In camera trovò Spock raggomitolato in un angolo sul pavimento. Lo aiutò ad alzarsi e lo fece stendere sul letto. Prese il catino e andò in bagno a cambiare l’acqua, poi tornò da lui e prese a bagnarlo. Il vulcan sembrava respirare a fatica. La sua temperatura doveva essere insopportabile persino per lui. Poteva sentire il suo cuore che batteva veloce come quello di un topolino. Non sapeva come facesse a resistere.

Bones medicò Jim per l’ennesima volta. La seconda notte era passata e nessuno di loro aveva chiuso occhio. Il dottore aveva deciso di preparare una colazione come si deve e il capitano si gettò con entusiasmo sulle uova e pancetta e pane tostato. Il dottore si diresse verso la camera con la solita tazza di frutta frullata a cui aveva aggiunto del miele, era l’unica cosa che riusciva a fare inghiottire a Spock, oltre a un po’ d’acqua. L’alta temperatura lo stava disidratando e McCoy cominciava ad essere seriamente preoccupato. Se non riusciva a farlo bere un po’ di più, avrebbe dovuto ricorrere alle ipo di salina.

Jim guardava Bones che si dirigeva in camera con la tazza fra le mani e gli si stringeva il cuore. Il dottore sapeva che Spock inghiottiva solo due o tre cucchiai di frutta e poi, ogni volta, lo assaliva. Eppure continuava ad andare da lui. Jim non sopportava di vedere le sue spalle segnate dai lividi, le sue labbra spaccate, il suo viso sempre più stanco. Dentro di sé ammirava la sua forza e la sua determinazione, e lo amava talmente tanto da sentire male al cuore.

Jim era riuscito a trascinare Spock in bagno e cercava di pulirlo con la spugna e un po’ d’acqua saponata. Nella zona notte McCoy aveva cambiato le lenzuola e stava pulendo il pavimento perché Spock aveva cominciato a vomitare quel poco che mangiava. Il dottore aveva iniziato a praticargli iniezioni di fisiologica e integratori. L’ideale sarebbe stata una flebo, ma Spock non l’avrebbe tenuta, nelle sue condizioni. Quando il vulcan fu di nuovo a letto, i due ufficiali tornarono nella zona giorno. Il dottore ricominciò a trafficare con frutti e verdure e Jim lo osservava seduto al tavolo.
“Non ti viene mai voglia di lasciare perdere e andartene?”
Il dottore si voltò a guardarlo. Subito il sorriso stanco e triste di Jim gli entrò nell’anima.
“Sempre, ogni volta che mi guarda come se non sapesse chi sono…”
“E perché non lo fai? Perché non te ne vai?” chiese il capitano.
“Perché non è colpa sua… e perché non posso lasciarti solo con lui” rispose il dottore e si sedette accanto a Jim. “E tu, non ci pensi mai, ad andartene?”
Jim sollevò le spalle. “E’ così indifeso…” sospirò e posò il capo sulla spalla di McCoy “…e sta male anche lui”.
“Si” disse il dottore.

La mattina dopo Jim si svegliò e la prima cosa che vide fu il viso di McCoy accanto al suo. Spock era sopra di lui e lo premeva contro il materasso. Jim distolse lo sguardo e si alzò dal letto per dirigersi in bagno. Il terzo giorno era iniziato e Spock sembrava essersi calmato. Dormiva più a lungo fra un accoppiamento e l’altro (Jim non sapeva come altro chiamare quelle “cose”) e sembrava diventare ogni volta meno violento e incosciente. C’era da dire che cominciava ad esaurire le forze, ma la stessa cosa valeva anche per loro due, in particolare per Bones. Decise di fare una doccia. Non doveva nemmeno spogliarsi, ormai avevano abbandonato persino l’uso degli accappatoi, quel continuo vestirsi e spogliarsi era diventato inutile e snervante. Approfittò per farsi la barba che non faceva da tre giorni e si infilò sotto la doccia.

Quando uscì trovò Spock che lo fissava. Aveva il viso magro e la pelle e le labbra screpolate. Si avvicinò a Jim e cominciò a passargli le dita tremanti sul viso e sulla gola, fissandolo con quegli occhi neri e profondi, lucidi di febbre e verdi a causa dei capillari rotti.
“Perdonami, Jim, perdonami…” sussurrava.
“Non è colpa tua, Spock…” gli disse Jim e muovendosi piano, gli avvolse le braccia intorno alla vita e gli posò il capo su una spalla, stringendolo forte.
“Sto bruciando…” Spock gli soffiò nell’orecchio.
“Lo so…” disse Jim e lo prese per la mano. Lo portò con sé nella doccia e aprì l’acqua fredda.

Essere fatto contro la paratia gelida, con l’acqua gelata che gli scorreva sul corpo, fu la cosa peggiore di tutte. L’acqua portava via il lubrificante e la frizione era tremenda. Dopo pochi minuti era ghiacciato fin nelle ossa ma Spock sembrava non rendersene conto. Quando lo sollevò, Jim si trovò con la schiena premuta contro la parete metallica ruvida che gli graffiava via la pelle sulle scapole. Il tempo sembrava non passare mai. Quando finalmente lo lasciò andare Jim faticava persino a reggersi sulle gambe, aveva le mani e i piedi resi quasi insensibili dal freddo e dalla stanchezza.

Bones si spaventò quando lo vide uscire dal bagno con le labbra viola e il corpo che tremava violentemente. Gli buttò sopra una coperta e gli scaldò un bicchiere di latte zuccherato.
“Ricordami perché lo stiamo facendo…” gli sussurrò mentre se lo stringeva contro per scaldarlo, sdraiati sul divano.
“Perché lo amiamo…” rispose Jim, battendo i denti e Bones annuì.
“Se ti viene una polmonite, giuro che lo amerò un po’ di meno…”
Jim si sforzò di ridere senza tremare troppo e accolse con gratitudine le labbra calde del dottore sulle sue. Lo accarezzò con lo sguardo, ripassando con affetto tutti i piccoli segni del tempo che glielo rendevano così caro.
“Vai da lui…” disse e Bones lo fece.

Jim stava terminando il suo hamburger sintetico quando il dottore uscì dalla zona notte con un bel sorriso sulle labbra e agitando la tazza vuota e il cucchiaio come fossero trofei.
“Ha terminato la frutta!” esclamò, come un genitore che ha appena visto il suo bimbo mangiare tutta la sua prima pappa. “Gli è rimasta giù e la temperatura è scesa” disse e Jim si sentì subito sollevato. L’incubo stava per finire.
“Per questa sera gli preparo una zuppa” continuò il dottore e infilò la tazza sporca nel replicatore, dove sarebbe stata ridotta di nuovo in atomi. Jim si avvicinò e lo abbracciò da dietro.
“E… il resto?” chiese. Bones gli si accoccolò contro.
“Beh… è stato piuttosto… dolce. Mi ha persino baciato…” Gli occhi di Bones scintillavano di nuovo, nonostante l’aria sciupata.
“Allora sta davvero meglio…” sospirò Jim “Ne sono felice”

Spock lo accarezzava lungo tutto il corpo, passava i polpastrelli sui suoi lividi, sui graffi, e li guardava stupefatto, come se non potesse credere di essere stato lui a provocarli. Lo baciava, sfiorando il suo viso e le labbra, come se temesse di fargli ancora male. Le sue spinte erano lente e attente e le sue mani lo accarezzavano e lo stringevano nel modo giusto, proprio come piaceva a lui.
Bones rimase lì accanto tutto il tempo e alla fine accolse Jim fra le braccia e insieme si addormentarono. Spock si raggomitolò ancora nella sua parte di letto, ma quella sarebbe stata l’ultima volta.

Il mattino seguente Spock continuò a dormire. Jim lo osservava e lo accarezzava con un dito sul bordo esterno di un orecchio.
“Non trovi che sia bellissimo?” chiese e Bones sorrise.
“Trovo che tu sia bellissimo, lui è solo un goblin dalle orecchie a punta” ma intanto guardava l’alieno con gli occhi azzurri pieni di tenerezza e amore e gli accarezzava la pelle vellutata della spalla “Fra poco lo avremo indietro e tutto tornerà come prima”.
Jim sorrise. “Comunque non voglio più sentire parlare di sesso per almeno due mesi…” mormorò e McCoy scosse il capo.
“Io non voglio sentire parlare di sesso mai più!” affermò e Jim rise.
“Vado a fare una doccia… vieni con me?”

“Sotto l’acqua calda è tutta un’altra cosa…” disse Jim mentre si premeva contro il corpo di Bones e non smetteva di baciarlo.
“Hai appena detto che non vuoi sentire parlare di sesso per almeno due mesi” ghignò il dottore. Le sue mani erano posate sul petto muscoloso del capitano.
“Sto solo baciando l’uomo che amo…” disse e poi si fermò per fissare il dottore dritto negli occhi. “Sei stato meraviglioso con Spock… e anche con me. Eri sfinito eppure ti sei occupato di tutto, del cibo, delle cure… Io non ho fatto che addormentarmi sul divano…”
McCoy abbassò gli occhi, a disagio.
“Non ho fatto niente di speciale” brontolò e sollevò di nuovo lo sguardo per fissarlo in quello del capitano “Smetti di pensare e continua a baciarmi. Ora voglio solo che non smetti di baciarmi…”
E Jim lo fece, continuò a baciarlo, felice, grato, innamorato, mentre l’acqua calda continuava a scorrere sui loro corpi.

Fine
   
 
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