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Autore: Liy    19/02/2011    2 recensioni
(Prima o poi qualcuno avrebbe aperto quella gabbia per lei.)
“S-sei venuto per me...?”
[Spoiler ep3-6][BatoBea]
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Battler Ushiromiya, Beatrice Ushiromiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Bonheur
Personaggi: Battler, Beatrice.
Pairing: BattlerxBeatrice.
Rating: Verde.
Genere: Angst, fluff, missing moment.
Avvertimenti: One-shot.

Note: Mi annoiavo ed ero depressa. QUINDI. Eccovi qui il risultato. Questa fanfic è nata prendendo come spunto quel MAD molto angst che mi rattrista assai ogni volta che lo vedo... quello con Battler e Beato da piccoli che si incontrano. ;__;

Disclaimer: Umineko non è mio perché io non avrei avuto il coraggio di scrivere quello che ha scritto Ryukishi in ep8. ;___;




Bonheur

 

Il cielo fuori dall'amplia finestra era terso, il sole che illuminava l'enorme giardino davanti ai suoi occhi innocenti e pieni stupore. Una tristezza malcelata affiorava sul suo volto pallido, mascherata in parte dalla momentanea sorpresa davanti a quello spettacolo – perché lei, rinchiusa in quella gabbia, provava ogni giorno a far tesoro d'ogni cosa; se si fosse arresa a quella monotonia che minacciava di colpirla in qualsiasi momento, sarebbe stata la fine per lei, incapace di sfuggire dal quel mondo che l'aveva viziata e privata al contempo di molti piaceri. Era una gabbia dorata la sua, rinchiusa in quel piccolo angolo di mondo perfetto solo all'apparenza.

La bambina sorrise aggrappandosi alla finestra, i vetri sempre ben puliti – le domestiche instancabili pulivano ogni giorno tutto, timorose di suo nonno.

E mentre scrutava le fronde degli alberi in lontananza, un luccichio rapì il suo sguardo: il recinto, le sbarre di quella sua gabbia dorata, che la costringevano in quel posto e la tenevano al sicuro dai lupi riflessero per qualche istante la luce di quel caldo sole autunnale.

Il nonno le aveva detto di non lasciare mai quel giardino, che era solo per il suo bene se aveva fatto costruire tutto ciò. Eppure, più cresceva, più iniziava a sentire che tutte le parole a cui aveva ciecamente creduto fino al quel momento erano velate dalla menzogna; iniziò a chiedersi chi fosse lei veramente e se quel recinto fosse stato messo veramente per allontanare i lupi, piuttosto che per tener lei dentro.

(Era un uccellino in gabbia.)

Ignorava molte cose, eppure sentiva in sé che c'era qualcosa di estremamente sbagliato nella sua vita.

Perché il nonno l'andava a trovare da solo, così spesso?

Perché non le aveva mai presentato la sua famiglia?

… Chi era lei?

Per quante domande ponesse, nessuna trovava accoglimento.

Il nonno le ignorava, cambiando continuamente argomento o fuggendo con la scusa che fosse finito il tea. Si sentiva abbandonata, ignara d'ogni aspetto importante della sua esistenza.

Quel pomeriggio uscì dalla villetta e, seduta da sola al gazebo al centro del giardino – un altro abito elaborato indosso – fissò il cielo di nuovo, gli occhi blu persi nella vasta volta e in mille pensieri che solo una bambina della sua età poteva essere in grado di concepire.

Un giorno qualcuno l'avrebbe portata via da lì. Lei non poteva scappare da sola, ignara del mondo all'infuori di quella gabbia. Sarebbe arrivato il suo principe. Ogni principessa aveva il suo principe azzurro pronto a liberarla dalla sua prigionia... e anche lei ne aveva sicuramente uno. Uno forte ed impavido, che avrebbe sciolto quelle catene che la legavano a quella lussuosa villa e che l'avrebbe portata lontano, via da quell'isola. Avrebbe atteso il suo miracolo... perché se lo meritava, pensò. Non aveva mai fatto alcun torto a nessuno e le spettava un po' di vera felicità.

… Un giorno toccherà anche a lei provare quel sentimento a cui molti aspirano.

(Prima o poi qualcuno avrebbe aperto quella gabbia per lei.)

E mentre il cielo davanti ai suoi occhi restava immutato, limpido e tranquillo come il mare senza onde che aveva visto tante volte illustrato nei libri, un rumore che non sarebbe dovuto esistere la risvegliò dal suo torpore, facendola voltare di scatto.

C'era un ragazzino che la guardava, in piedi dietro di lei, un'espressione stupita sul volto un po' sporco di terriccio. Stava fermo, respirando affannosamente, il petto – che recava il simbolo dell'aquila mono-alata – s'alzava e abbassava ritmicamente.

Anche lei, a sua volta, lo fissò, rapita da quello sguardo tanto dolce e stanco, quegli occhi profondi che per qualche istante le diedero l'impressione di star annegando, avvolta dalle buie correnti.

Aveva un'espressione che prima d'allora non aveva mai visto in nessuno, costretta fra quelle quattro mura. Sorrideva leggermente fra un respiro e l'altro, senza preoccuparsi di nasconderlo.

Perché sorrideva nel vederla?

Il ragazzino le si avvicinò lentamente, un passo dopo l'altro e una mano alzata appena verso di lei.

“S-sei venuto per me...?”, gli domandò debolmente, voltandosi totalmente verso di lui. I piedi che penzolavano dalla panchina sotto al gazebo, la bambina s'ammutolì, aspettando la risposta dell'altro che continuava a guardarla e sorridere.

Le parve di conoscere quel sorriso.

(Un ricordo dal passato o una semplice fantasia.)

“Vieni”, il sorriso sempre più largo. “Ti porterò via di qui.”
E quando strinse quella mano le catene che la legavano si ruppero.

Il lungo vestito ondeggiava sospinto dal vento mentre Battler la stringeva in una abbraccio, il mantello di lui che li avvolgeva entrambi. La strinse a sé con forza, baciandole la fronte. E Beatrice sorrise fra le lacrime, guardandolo dritto negli occhi.

“Sei tornato, Battleeer.”

 

   
 
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