Titolo: Bonheur Note: Mi
annoiavo ed ero depressa. QUINDI. Eccovi qui il risultato. Questa
fanfic è nata prendendo come spunto quel MAD molto angst Disclaimer: Umineko
non è mio perché io non avrei avuto il coraggio
di scrivere quello che ha scritto Ryukishi in ep8. ;___;
Personaggi: Battler,
Beatrice.
Pairing: BattlerxBeatrice.
Rating: Verde.
Genere: Angst,
fluff, missing moment.
Avvertimenti: One-shot.che
mi rattrista assai ogni volta che lo vedo... quello con
Battler e Beato
da piccoli che si incontrano. ;__;
Bonheur
Il
cielo fuori dall'amplia finestra era terso, il sole che illuminava
l'enorme
giardino davanti ai suoi occhi innocenti e pieni stupore. Una tristezza
malcelata affiorava sul suo volto pallido, mascherata in parte dalla
momentanea
sorpresa davanti a quello spettacolo – perché lei,
rinchiusa in quella gabbia,
provava ogni giorno a far tesoro d'ogni cosa; se si fosse arresa a
quella
monotonia che minacciava di colpirla in qualsiasi momento, sarebbe
stata la fine
per lei, incapace di sfuggire dal quel mondo che l'aveva viziata e
privata al
contempo di molti piaceri. Era una gabbia dorata la sua, rinchiusa in
quel
piccolo angolo di mondo perfetto solo all'apparenza.
La
bambina sorrise aggrappandosi alla finestra, i vetri sempre ben puliti
– le
domestiche instancabili pulivano ogni giorno tutto, timorose di suo
nonno.
E
mentre scrutava le fronde degli alberi in lontananza, un luccichio
rapì il suo
sguardo: il recinto, le sbarre di quella sua gabbia dorata, che la
costringevano
in quel posto e la tenevano al sicuro dai lupi riflessero per qualche
istante
la luce di quel caldo sole autunnale.
Il
nonno le aveva detto di non lasciare mai quel giardino, che era solo
per il suo
bene se aveva fatto costruire tutto ciò. Eppure,
più cresceva, più iniziava a
sentire che tutte le parole a cui aveva ciecamente creduto fino al quel
momento
erano velate dalla menzogna; iniziò a chiedersi chi fosse
lei veramente e se
quel recinto fosse stato messo veramente per allontanare
i lupi,
piuttosto che per tener lei dentro.
(Era
un uccellino in gabbia.)
Ignorava
molte cose, eppure sentiva in sé che c'era qualcosa di estremamente
sbagliato nella sua vita.
Perché
il nonno l'andava a trovare da solo, così spesso?
Perché
non le aveva mai presentato la sua famiglia?
…
Chi era lei?
Per
quante domande ponesse, nessuna trovava accoglimento.
Il
nonno le ignorava, cambiando continuamente argomento o fuggendo con la
scusa
che fosse finito il tea. Si sentiva abbandonata, ignara d'ogni aspetto
importante della sua esistenza.
Quel
pomeriggio uscì dalla villetta e, seduta da sola al gazebo
al centro del
giardino – un altro abito elaborato indosso –
fissò il cielo di nuovo, gli
occhi blu persi nella vasta volta e in mille pensieri che solo una
bambina
della sua età poteva essere in grado di concepire.
Un
giorno qualcuno l'avrebbe portata via da lì. Lei non poteva
scappare da sola,
ignara del mondo all'infuori di quella gabbia. Sarebbe arrivato il suo
principe. Ogni principessa aveva il suo principe azzurro pronto a
liberarla
dalla sua prigionia... e anche lei ne aveva sicuramente uno. Uno forte
ed
impavido, che avrebbe sciolto quelle catene che la legavano a quella
lussuosa
villa e che l'avrebbe portata lontano, via da quell'isola. Avrebbe
atteso il
suo miracolo... perché se lo meritava, pensò. Non
aveva mai fatto alcun torto a
nessuno e le spettava un po' di vera felicità.
…
Un giorno toccherà anche a lei provare quel sentimento a cui
molti aspirano.
(Prima
o poi qualcuno avrebbe aperto quella gabbia per lei.)
E
mentre il cielo davanti ai suoi occhi restava immutato, limpido e
tranquillo
come il mare senza onde che aveva visto tante volte illustrato nei
libri, un
rumore che non sarebbe dovuto esistere la risvegliò dal suo
torpore, facendola
voltare di scatto.
C'era
un ragazzino che la guardava, in piedi dietro di lei, un'espressione
stupita
sul volto un po' sporco di terriccio. Stava fermo, respirando
affannosamente,
il petto – che recava il simbolo dell'aquila mono-alata
– s'alzava e abbassava
ritmicamente.
Anche
lei, a sua volta, lo fissò, rapita da quello sguardo tanto
dolce e stanco,
quegli occhi profondi che per qualche istante le diedero l'impressione
di star
annegando, avvolta dalle buie correnti.
Aveva
un'espressione che prima d'allora non aveva mai visto in nessuno,
costretta fra
quelle quattro mura. Sorrideva leggermente fra un respiro e l'altro,
senza
preoccuparsi di nasconderlo.
Perché
sorrideva nel vederla?
Il
ragazzino le si avvicinò lentamente, un passo dopo l'altro e
una mano alzata
appena verso di lei.
“S-sei
venuto per me...?”, gli domandò debolmente,
voltandosi totalmente verso di lui.
I piedi che penzolavano dalla panchina sotto al gazebo, la bambina
s'ammutolì,
aspettando la risposta dell'altro che continuava a guardarla e
sorridere.
Le
parve di conoscere quel sorriso.
(Un
ricordo dal passato o una semplice fantasia.)
“Vieni”,
il sorriso sempre più largo. “Ti
porterò via di qui.”
E quando strinse quella mano le catene che la legavano si ruppero.
Il
lungo vestito ondeggiava sospinto dal vento mentre Battler la stringeva
in una
abbraccio, il mantello di lui che li avvolgeva entrambi. La strinse a
sé con
forza, baciandole la fronte. E Beatrice sorrise fra le lacrime,
guardandolo
dritto negli occhi.
“Sei
tornato, Battleeer.”