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Autore: aoimotion    20/02/2011    3 recensioni
La sua risolutezza non era finta. Non stava improvvisando quel discorso mentale, non stava mentendo a se stesso.
Lui era veramente convinto di quello che stava dicendo. Lo pensava tutto, quello che stava dicendo. Ci credeva, ci si aggrappava, ci annaspava dentro, in quello che stava dicendo.
Semplicemente... non l'aveva messo in conto.
Non aveva messo in conto che Spanner, l'eterno impassibile, potesse afferrarlo e stringerselo al petto, come un pupo che non può dormire perché ha paura del buio. Non aveva messo in conto che potesse cullarselo fra le braccia, carezzandogli la testolina rossa e scompigliata. Non aveva messo in conto che potesse essere così caldo e profumato, quel maledetto ingegnere da strapazzo.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shoichi Irie, Spanner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SHOOOOO Quel giorno, Irie Shoichi era molto amareggiato. Così amareggiato che per consolarsi aveva dovuto mandare giù una quanto mai eccessiva quantità di leccalecca, gli stessi di Spanner.

Ma proprio per questo, il suo umore era finito col peggiorare ancora, sempre di più, sempre più in fondo nel baratro, finché non era diventato una bestia rossiccia e intrattabile. E Spanner ne aveva fatto le spese, senza lamentarsi.

"Shoichi, hai finito con quel conduttore?"

Silenzio. Mugolìo indistinto. Borbottìo inconsistente.

"Non ho finito", disse infine, scocciato. Vai via, avrebbe voluto aggiungere. Ma il buon senso glielo impedì.
Tanto, a che sarebbe servito? Era di Spanner che stavamo parlando, mica di una persona normale, che avrebbe potuto risentire di una simile affermazione. Spanner avrebbe scambiato quel «vai via» per un invito a rimanere.
Rimanere? Diciamo pure a mettere radici. Sarebbe diventato una quercia irremovibile prima che lui completasse la rotazione che gli avrebbe consentito di fulminarlo con lo sguardo.

"Ah." fece lui, impassibile. Non accennò a muovere un solo muscolo, né per aggiungere qualcosa, né per tornarsene da dove era venuto.
Rimase lì, semplicemente, come fosse la cosa più naturale del mondo.

"Ti... serve qualcosa?", si costrinse a domandare, voltandosi a denti stretti.
Stando bene attento a non incrociare il suo sguardo.

"Mh. Sto pensando."

Silenzio.

Una piccola vena era apparsa sulla fronte di Shoichi, pulsando di rabbia repressa.

"E non potresti..." tremò per lo sforzo inumano di trattenere l'impeto di violenza che lo stava possedendo "... pensare da un'altra parte?"

Spanner lo guardò, senza mutare espressione. La stecca che teneva fra i denti si spostò da destra verso sinistra, e da sinistra verso destra, e Shoichi sentì il leccalecca frantumarsi contro i suoi denti, producendo un suono talmente irritante che... non poteva essere involontario.
Si rifiutava di pensare che Spanner non stesse cercando di irritarlo. Era semplicemente impossibile, lui era un uomo di scienza e non credeva alle coincidenze.
Quando si parlava di lui, poi... parlare di coincidenze era semplicemente ridicolo.

"Sì, potrei" gli concesse, dopo un periodo di tempo che parve interminabile "ma non vedo perché dovrei farlo."

Chiaro e semplice.
Non avrebbe mosso il suo culo da lì neanche se gli avessero puntato una pistola alla nuca.
Ma non lo faceva apposta, era questo il problema.
Spanner non stava cercando di fare lo stronzo - anche se bisognava ammettere che la parte gli riusciva bene lo stesso - , era perfettamente serio e lucido. Non riusciva a vedere quello che vedeva Shoichi, e non ci sarebbe riuscito neanche con un microscopio elettronico da 500 nanometri di ingrandimento.

Che rabbia. Che strazio. Che cazzo.

"Capisco. Benissimo." Shoichi si alzò da terra, i pugni serrati fino a sbiancare le nocche, le spalle percorse da fremiti di rabbia "Vorrà dire che me ne andrò io."
Avanzò verso la porta, ben attento a non incrociare mai il suo sguardo con quello di Spanner.
Era terrorizzato al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere, se l'avesse fatto.
Probabilmente, o avrebbe perso tutta la compostezza di cui era stato capace di armarsi, guardando crollare uno dopo l'altro i muri di sabbia che si era costruito intorno nel tentativo di porre quanta più distanza morare possibile fra lui e Spanner... oppure gli avrebbe mollato un cazzotto così forte, e lui l'avrebbe schivato con così tanta scioltezza - perché l'avrebbe schivato, era sicuro come la morte - , che alla fine si sarebbe ritrovato a picchiarsi da solo per la frustazione.
E lui alla sua faccia ci teneva, nonostante tutto.

"Aspetta, Shoichi."
Due proiettili erano stati improvvisamente sparati a tradimento, prendendolo rispettivamente al cuore e alla testa.
Che stronzo, aprire bocca così, senza uno straccio di preavviso, e fargli venire un accidente.
Il cuore cominciò a sanguinare copiosamente, riaprendo una ferita che era stata rattoppata alla meno peggio con un ago e molto, molto spago.
Il cervello era stato attraversato da parte a parte, dividendosi in due parti, una pronta ad abbandonarsi al pianto più disperato, l'altra pronta ad abbandonarsi al massacro più cruento.

"No." disse infine, mordendosi le labbra per non gridare di peggio.
Fu un diniego così freddo e doloroso che persino Spanner, famoso per la sua imperturbabilità, incurvò appena la bocca in una smorfia di sorpresa.
Shoichi accelerò il passo, e si mosse con rapidità verso la porta, bisognoso di scappare da quella persona. Così cieca. E sorda. E stupida.
Ma no, non avrebbe pianto, lo giurò sul sangue che sgorgava dalla sua ferita sanguinante. Lo avrebbe picchiato, si sarebbe picchiato, avrebbe perso un dente, due, tre, tutti quanti, ma non avrebbe pianto.
Era stufo di fare la donna, fra i due.

La sua risolutezza non era finta. Non stava improvvisando quel discorso mentale, non stava mentendo a se stesso.
Lui era veramente convinto di quello che stava dicendo. Lo pensava tutto, quello che stava dicendo. Ci credeva, ci si aggrappava, ci annaspava dentro, in quello che stava dicendo.
Semplicemente... non l'aveva messo in conto.
Non aveva messo in conto che Spanner, l'eterno impassibile, potesse afferrarlo e stringerselo al petto, come un pupo che non può dormire perché ha paura del buio. Non aveva messo in conto che potesse cullarselo fra le braccia, carezzandogli la testolina rossa e scompigliata. Non aveva messo in conto che potesse essere così caldo e profumato, quel maledetto ingegnere da strapazzo.

"L-lasciami!" gridò, la voce già incrinata da quelle lacrime non sarebbero dovute uscire per nulla al mondo.
Si maledisse, perché era così debole, perché era così... innamorato di quell'ameba gialla. E avrebbe voluto spingerlo via, e magari pestarselo sotto i piedi, e magari ridere sadicamente mentre qualche schizzo di sangue gli bagnava il viso.
Ma non ci sarebbe potuto riuscire, perché Spanner inglobava tutto, ogni emozione cattiva, lasciandolo solo pieno di quell'amore che, come lacrime, non avrebbe mai dovuto abbandonare la sua razionalità.

"Scusami, Shoichi."
Gli ultimi baluardi della sua difesa crollarono come un castello di carte, dopo quelle parole che sembravano il suono di un organo scordato, così tristi e sofferte.
E come la polvere si sperde nell'aria quando vi soffi sopra, così gli ultimi granelli della sua compostezza presero il volo verso lidi sconosciuti e lontani.
E gli argini si ruppero, come un fiume in piena.

"«Scusami»?!" Gridò, mentre le lacrime scorrevano lungo le sue guance, scendendo lungo il collo e scomparendo nelle pieghe della maglietta "E io dovrei... dovrei..." Gli strinse le braccia che lo cingevano, per fargli male. Ma la tuta era spessa, e solo Shoichi sentì un profondo dolore alle dita.
Solo in quel momento trovò la forza per allontanarsi da lui.
Solo quando aveva lasciato trasparire la sua sofferenza, era riuscito a staccarsi da lui.
Solo quando aveva ammesso a se stesso, ancora una volta, di amarlo, poté guardarlo negli occhi, senza riserve.
Quando lo fece, incontrò due occhi il cui azzurro non aveva mai brillato come in quel momento.
Erano così... belli, che ne ebbe quasi paura.

Spanner non permise che quel contatto venisse interrotto, perché era il primo ad averne bisogno. Fece un passo in avanti, cercando di nuovo il suo esile corpo, e allargò gli arti superiori per attirarlo a sé, più stretto di prima.

"Scusami." Lo ripeté, come una cantilena rotta dal dolore, come una nota stonata. "Scusami, se non ho risposto subito."
Lo voleva. Lo desiderava. Voleva Shoichi fra le sue braccia, voleva stringerlo e coccolarlo, voleva scostargli i capelli dalla fronte e baciargliela, voleva... fare molte altre cose, a cui però la sua mente non riuscì ad assegnare né un nome né un'immagine.
Si chiese perché volesse tutto questo, se fosse normale, se fosse giusto, se fosse bello. Gli mancava la conoscenza, gli mancava l'esperienza, e per uno scienziato questo era inaccettabile. Doveva verificare tutto, subito, senza perdere altro tempo. Altrimenti il desiderio lo avrebbe soffocato.

"Va' via!" gridò, mentre la rabbia prendeva il posto del dolore e viceversa, in uno scambio di ruoli continuo e vorticoso, così che lui non sapesse mai se voleva dargli un bacio sulle labbra o spaccargli la faccia. O tutte e due le cose insieme.
In entrambi i casi, però... c'era sicuramente una cosa che ardeva di sentire. Due paroline, solo due paroline, e avrebbe potuto riacquistare la pace. E magari... accedere al paradiso, finalmente.

"Shoichi... non dire così", mormorò Spanner tendendo una mano, implorante. Cosa era quell'arsura che sentiva nella gola? Era forse il momento di avere sete? O forse, era qualcos'altro? E che cosa?
Troppe domande, nessuna risposta. La situazione era insostenibile. Doveva porre fine ai suoi dubbi, all'istante.
E il cervello, suo alleato fin dagli albori, non poté che mandargli una scossa elettrica eloquentissima.
Così eloquente che perfino lui, per una volta, non ebbe dubbi su come agire.
Il leccalecca gli cadde dalla bocca, con un tonfo sordo, e si frantumò in mille cristalli scarlatti.

"Spanner, sei un-" Shoichi non poté terminare la sua frase, perché il suo amico gliela divorò tutta, e con lei la bocca, e con la bocca la lingua, e con la lingua la saliva, e con la saliva la sua anima.

Il ragazzo sgranò gli occhi, mentre sentiva la sua lingua toccare la propria. E lentamente sentì la rabbia scomparire, il dolore prendere il volo, e la nebbia che fino a qualche istante prima gli aveva avvolto la mente venire sostituita da una dolcissima nuvola rosa, inebriante. Zucchero filato? Non fu in grado di dirlo, e poi... era davvero così importante?

Le braccia che avevano cercato prima di tenerlo lontano, poi di ferirlo, e infine di difendersi dai suoi assalti erano ricadute placide ai lati del suo corpo tremante, e lentamente stavano risalendo lungo il corpo di Spanner, per abbarbicarsi a quella tuta verde che emanava odore di sudore e lavoro, e che in quel momento profumava come una rosa selvatica bagnata dalla rugiada del primo mattino.

Ma non fece in tempo, e Spanner si staccò improvvisamente da quel bacio, mentre un rivolo di saliva gli colava dagli angoli della bocca.
"Sp-" biaschicò, senza sapere neppure lui cosa dire.
Cosa era appena successo? Si erano baciati? Loro due?!
E lentamente Shoichi divenne crisantemo, fragola, ciliegia, in un climax di rosso senza fine.

"Questo era... un bacio, giusto?" chiese Spanner, leccando via la saliva con noncuranza.
Sembrava aver riacquistato la sua proverbiale calma inespressiva, ma Shoichi poté notare una luce che brillava, in un piccolo angolo dei suoi occhi azzurri.
Quello sguardo... gli fece battere il cuore.

"C-credo di sì..." balbettò grattandosi la testa e distogliendo lo sguardo, guardare il pavimento, poi riguardare Spanner, sentir esplodere il cuore nel petto, riguardare il pavimento, riguardare Spanner e innamorarsi ogni volta, di nuovo.
E lo zucchero la faceva da padrone, nella sua circolazione.

"Mh", mugolò lui, assumendo una posa pensante "Non so perché, ma ora mi sento meglio" dichiarò grattandosi il mento, perplesso.

"Non sai perché?" chiese Shoichi, stordito ma quietamente incredulo. Stava scherzando?
Ma figurarsi, quello sguardo era così serio che era impossibile sbagliarsi.
Ecco perché con Spanner non potevano esistere le coincidenze.

"Tu lo sai?" Spanner scattò verso di lui, spalancando gli occhi. Possibile che Shoichi sapesse qualcosa che a lui continuava a sfuggire dalle mani, proprio quando era un passo dall'afferrarla e farla sua?

"Ehm, io suppongo..." sottolineò quel «suppongo» perché non era sicuro di star dando la risposta che l'amico si aspettava "... che sia l'amore." Quando pronunciò l'ultima parola, il suo viso ritornò a fondersi con i suoi capelli, e gli occhi smeraldo scomparvero dietro il riflesso delle lenti.

Era ritornato il solito, vecchio, docile Irie Shoichi.
Spanner spalancò un poco più gli occhi, folgorato da un'intuizione miracolosa. O forse, niente più che un ricordo.
"A proposito di questo... anche io ti amo, Shoichi." Disse, senza pensarci troppo, buttandola lì come quando comunichi che tempo fa fuori o quanti minuti ci hai impiegato per riparare il tostapane della vicina che in cambio ti porta sempre un cesto pieno di frutta di stagione.

Shoichi si paralizzò, perché quelle parole, in bocca a lui, avevano un potere terrificante.
Ma riuscì a riprendersi, in qualche modo, pensando che non poteva rimanerci così quando Spanner sembrava tutto fuorché emozionato o commosso. Aveva persino spostato lo sguardo sul suo leccalecca frantumato sul pavimento, non poteva perdere la testa mentre lui sembrava così fresco e rilassato.

"Anche io" disse, con virile convinzione "Ma rimani comunque un idiota, Spanner."
Però era il suo idiota, e dopotutto poteva anche far finta di niente.
Dopotutto.

"Io?", chiese lui, indicandosi con il dito senza capire.

Shoichi annuì, e sospirò.
Ripensò al giorno prima, quando in qualche modo aveva deciso di dichiarare il suo amore a Spanner. Ma questi l'aveva ascoltato senza dire una parola, né prima né durante né dopo, come se le parole non avessero mai raggiunto il suo cervello. Tant'è che poi aveva cambiato argomento come se nulla fosse, provocando in Shoichi una crisi di dolore degna della più patologica delle dissenterie.
Scosse il capo, perché sapeva di aver avuto un po' di colpa anche lui.
Perché innamorarsi di un individuo come Spanner era questo e altro, e simili reazioni in lui erano semplicemente la normalità.

"Proprio tu."
Ed era proprio per questo che se n'era lentamente, inesorabilmente, dolcemente innamorato.
Un sorriso apparve sul suo viso ancora rosso, così luminoso che persino Spanner dovette, giusto un poco, colorarsi di rosa.
E pur tuttavia, continuò a non capire né perché l'aver baciato Shoichi gli avesse tolto un peso dal cuore, né perché fosse un idiota.

Ma prima o poi, di certo, l'avrebbe capito.
Dopotutto, era uno scienziato lui. Gli sarebbe servita solo un'altro po' di... esperienza.
   
 
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