«Stavolta
ho trovato davvero un buon modo per fare soldi, me lo sento!»
«Allora
insegnalo anche a me, Feliks!»
«Papà!»
«Ehi,
quanto tempo era che non vi ritrovavate insieme a casa per
l’ora di cena?
Forza, lavatevi le mani e venite subito a tavola! Lovino ed io abbiamo
dato il
meglio stasera.»
Già.
Quanto era passato dall’ultima volta che la
famiglia era riunita durante un pasto?
Feliks
era rientrato stanco morto da uno dei suoi
soliti lavoretti occasionali, dicendo di avere una delle sue geniali
trovate
tra le mani. Tsk, come no, lo diceva praticamente ogni sacrosanto
giorno.
Dietro
di lui, inaspettatamente, era comparso sulla
soglia Adam Łukasiewicz, il capofamiglia.
«Quella
questione era davvero una sciocchezza. Il giudice Hawkins si era
preoccupato
tanto per un nonnulla.»
Aveva
dei candidi capelli, che portava sempre
pettinati all’indietro e un naso prominente. La pelle lattea
e gli occhi verdi
rispecchiavano i caratteri delle sue origini, che si erano trasmessi ai
due
figli. Rideva bonariamente, con una voce profonda, inebriato dalla
sensazione
di gioia e familiarità che scaturiva da quella tavola
imbandita. Non era certo
il pasto di un re, ma almeno avevano di che mangiare, si ripetevano
sempre.
«È
stata una vera fortuna, così sei potuto rientrare
prima!»
Lilian,
la donna di casa, colei che poco prima li
aveva accolti sulla soglia di casa ed esortati a entrare. Anche lei
allegra,
sedeva a tavola nel modo solito delle donne, con entrambe le gambe da
un lato,
il busto leggermente voltato, pronta ad alzarsi in caso di
necessità. Sempre
gentile e sorridente, dava tutta sé stessa per la propria
famiglia.
Gli
capitava spesso di osservare le sue mani (oh,
era un’abitudine che aveva preso un po’ con
chiunque): erano lunghe e
affusolate, ma rovinate da solchi, tagli ed inequivocabili segni del
lavoro
manuale. Da quel che ricordava, peggioravano di giorno in giorno.
In
quella famiglia tutti lavoravano, persino la
piccola Anne, che aveva solo dodici anni e andava ancora a scuola,
cercava di
guadagnare qualche spicciolo distribuendo giornali o facendo consegne,
anche se
la madre spesso si opponeva.
Come
avrete capito, quelle persone non versavano
certo in una situazione facile. Rincasavano sempre stanchi, a volte
anche
feriti (perché, sì, anche i lavori pericolosi erano
ben accetti, purché onesti)
ma con la consapevolezza di star contribuendo alla felicità
dei propri cari.
Da
quando era lì, non aveva mai visto una sola volta
Lily lamentarsi o sbuffare. Usciva sempre di casa col sorriso sulle
labbra,
magari legandosi i lunghi e mossi capelli castani in una coda, o
infilandosi un
cappotto beige, e ritornare sempre con lo stesso, solito e instancabile
sorriso.
Quell’atmosfera
felice pareva quasi surreale, come
se non appartenesse realmente loro.
«Suonaci
qualcosa, Lovino.»
La
richiesta era giunta del tutto inaspettata,
appena finita la cena, mentre erano ancora a tavola.
Avrebbe
preferito rifiutare, ma, dopo la madre,
anche Anne iniziò a chiederglielo ripetutamente, battendo le
manine. Ve l’ho
già detto che aveva le fossette? Erano deliziose. La
adorava, assomigliava
tanto al suo petulante fratellino, e non sarebbe mai riuscito a dirle
di no.
Così si alzò, un po’ incerto, per
dirigersi al lucido pianoforte nero, che si
trovava a pochi metri da loro, sempre in sala da pranzo.
Chiuse
gli occhi, accarezzando la superficie liscia
e pulita del coperchio della tastiera, assaporando l’odore
del legno e della
vernice, che adorava.
Lì
riaprì, insieme con esso, sistemandosi sullo
sgabello di velluto bordeaux.
Prima
capitava spesso che Lovino allietasse la
famiglia suonando il piano: era molto bravo, forse per questo avevano
insistito
a non vendere lo strumento, di seconda mano, insieme
all’altra mobilia non
indispensabile. Col tempo, essendo tutti sempre impegnati, non avevano
neanche
più il tempo di mangiare insieme, figuriamoci di suonare, o
ascoltare.
Un
momento perfetto per riprendere, constatò. Forse,
la richiesta della donna dipendeva da altro. Erano giorni, infatti, che
lo
vedeva intento ad annotare e scarabocchiare su dei fogli, e dopo
strimpellare
qualcosa al piano senza farsi notare. Magari quella sera avrebbero
fatto
chiarezza.
«Cosa
ci suoni, ragazzo mio?»
«Due
composizioni personali.»
Senza
aggiungere altro, iniziò.
La
sinfonia partiva con un motivo agghiacciante,
tetro. La mano sinistra suonava con foga gli accordi, mentre la destra
si
spostava lentamente da un’ottava all’altra.
All’improvviso, qualcosa si rompe.
Il ritmo si fa più veloce, drammatico, come una corsa
disperata.
Ah,
lo state immaginando anche voi? Lovino poteva
quasi vederlo.
La
Polonia, flagellata dall’avvento del nazismo, un giovane di
origini ebree che
si muove guardingo tra le macerie, al buio. Una luce viene puntata su
di lui,
sente le urla tedesche, il ringhiare dei cani, scappa. Scappa senza
pensare
troppo alla pioggia di proiettili che gli è diretta, e ce la
fa.
Sollievo.
La melodia diventa più leggera,
l’espressione del pianista, prima cupa e corrucciata, si
distende. Ma continua.
La
scena si sposta, c’è paura, insicurezza.
Un
barcone, gremito di persone, tutti fuggitivi in cerca di salvezza,
è in balia
delle onde. Una tempesta.
Ed
ecco che anche il suono si rianima e si agita. Proprio
come il mare.
Infine,
lo sbarco. Sembra impossibile, ma sono arrivati nella terra della
libertà:
l’America.
Inizia
così un motivetto finalmente più allegro,
movimentato. Simboleggia il periodo in cui, per vivere,
quell’uomo si era
dovuto arrangiare con un sacco di espedienti.
Le
grandi mani di Lovino riuscivano ad eseguire con
naturalezza passaggi difficili, e scorrevano veloci su quel mondo in
bianco e
nero, diviso in ottantotto facce.
Il
tempo diventa sempre più allegro, quasi
cantabile. Per due... tre... quattro volte gli accordi vengono suonati
con
forza, rimbombano, ognuno distante dall’altro.
Adam
lo ripeteva sempre: quattro erano stati i momenti più belli
della sua nuova
vita in America. Il suo matrimonio, la nascita di Feliks, poi quella di
Anne, e
infine l’ingresso di Lovino nella loro famiglia.
Per
un attimo quello sorrise. Davvero significava
qualcosa di bello per loro?
Ritornò
subito serio, per l’ultima parte del brano.
Il
motivetto di prima inizia a spegnersi,
lentamente. Davanti agli occhi del pianista scorrono solo immagini
sfocate,
come in un film di qualità scadente. La
povertà, le difficoltà, la divisione familiare...
La loro vita si era
ridotta semplicemente a quello?
E
così si spegne, una nota dopo l’altra, lasciando
dentro un senso di tristezza e impotenza che attanaglia
l’anima.
Come
voi, anche i due genitori avevano compreso il
significato di quella melodia. Ovviamente era la storia di Adam e della
sua
famiglia. Questi singhiozzava rumorosamente, tenendo la piccola Anne
sulle
ginocchia, che, insieme al fratello, non sembrava quasi essersi accorta
di
nulla, assorta com’era dalla magia del brano. Lilian piangeva
silenziosamente,
commossa. Era una giovane americana, innamoratasi di un immigrato
polacco
squattrinato. Per il loro amore aveva messo in gioco tutto.
Lovino
osservò, con la coda dell’occhio,
l’effetto prodotto
dalla sua opera, ma non lasciò spazio a eventuali domande o
commenti, che
ricominciò subito a suonare.
Questa
volta si concentrò unicamente su sé stesso,
sulle immagini che i ricordi facevano scorrere nella sua mente,
accompagnati
dalla musica, come una colonna sonora.
Melodia
nostalgica. Ah, Italia, mia bella patria,
perché ti ho dovuta abbandonare?
Al
ricordo della sua terra, si agitò di più. I begli
occhi nocciola erano coperti dalle palpebre, rese pesanti dalla
stanchezza di
fine giornata, e le lunghe ciglia; le labbra sottili schiuse e umide e
i
capelli castani, insieme al suo strano ciuffo, ondeggiavano ad ogni suo
movimento.
Amava
la sua terra. Romano, appena maggiorenne, aveva perso il padre in
guerra, e,
essendo il fratello maggiore, aveva dovuto sobbarcare tutte le
responsabilità
della famiglia sulle proprie, gracili spalle. Ma, in Italia, dopo il
conflitto,
sembrava non esserci futuro.
Amava
la sua terra, è vero, ma amava ancora di più il
fratellino minore e la vecchia
madre. Così, aveva raccattato le sue poche cose in una
valigia di cartone, le
cento lire per il piroscafo, ed era partito insieme al suo migliore
amico, in
cerca di lavoro, dopo uno straziante addio (che avrebbe volentieri
evitato).
E
la musica si fa più intensa, comunica tutta la
tristezza del momento, e il dolore atroce.
Forse
è questa la sua grande forza: la musica può
trasmettere ogni tipo di messaggio o sentimento, persino i pensieri che
non
sono destinati a divenire parole, che può essere comunicato
e compreso da
chiunque (chiunque sia in grado di ascoltare, ovviamente). Per questo
è
considerata un linguaggio universale.
Ma
ecco che il motivo diventa più colorato e vivace,
anche più del brano precedente, e Lovino si lascia scappare
un sorriso. Ah,
erano un vero dono del cielo, i suoi sorrisi: non solo
perché erano più unici
che rari, ma perché erano una vera delizia per il cuore. La
famiglia
polacco-americana glielo ripeteva sempre, e anche lui. Lui...
Antonio era un giovane
spagnolo, più grande di un paio d’anni, che non
era più riuscito a scollarsi di
dosso dalla prima volta che si erano visti. Sorrideva sempre, in
qualsiasi
situazione, anzi, non sapeva proprio quando era il momento di smetterla
ed
essere seri. Un vero idiota, apparentemente. In realtà,
cercava sempre di
tirare su di morale l’italiano, che, dalla morte del padre,
si ostinava ad
oscurare perennemente il proprio volto dalla tristezza. Si preoccupava
per lui
e lo proteggeva in ogni momento.
Quel
motivo allegro e movimentato indicava proprio
gli anni trascorsi insieme, in America, vivendo alla giornata, tra
avventure e
guai. Già. Nonostante tutto, sono stati anni davvero felici.
E
continua così, fin quando non s’inizia ad
avvertire qualcosa di diverso. Sembra tutto uguale, se non per una
piccola
sfumatura... grigia...
“Sei
pazzo?! Qui ci ammazziamo, coglione! È vero che abbiamo
sempre accettato lavori
difficili, ma questo è troppo!”
“Andiamo,
Lovinito, non fare il difficile. Sono giorni che non mangiamo, qualche
dollaro
ci fa sicuramente comodo!”
Alla
fine si era lasciato convincere dal suo stupido sorriso rassicurante e
il suo
caldo abbraccio.
“Ti
proteggerò io!” aveva detto ridendo, mentre lo
stringeva tra le braccia. E così
era stato.
Buio,
atmosfera tesa, cambio di immagini.
Camminavano
su un’asse traballante, sospesa nel vuoto, uno dietro
l’altro. Un
tasto suonato con forza fece sobbalzare gli ascoltatori da
quell’atmosfera tesa.
Dall’alto
era crollata un’asse, precipitando verso il basso, proprio su
di lui. Antonio
l’aveva vista e aveva dato al giovane uno spintone, per farlo
uscire dalla
traiettoria. Erano riusciti a schivarla, ma il maggiore aveva perso
l’equilibrio.
“NO!”
L’aveva afferrato per un polso, cercando di tirarlo su.
Ecco
che il motivo si fa drammatico, delle note
vengono suonate leggere, proprio le calde lacrime argentee che
scorrevano sul
volto di Lovino. Adesso come allora.
Sapeva
che non ce l’avrebbe fatta, Antonio era troppo pesante per il
suo fisico
mingherlino, e nei paraggi non c’era nessuno che potesse
aiutarli. Piangeva,
singhiozzava: continuando così sarebbero precipitati
insieme, ma non l’avrebbe
mai lasciato. Lo guarda. Il viso sereno, l’espressione
sicura, le labbra,
ricurve in un sorriso, si muovevano per pronunciare le loro ultima
parole, che
l’altro non riuscirà mai a cogliere.
Lo
guarda cadere, stupito, non riesce a realizzare subito cosa sta
accadendo.
Poi
capisce. Lo spagnolo, pur di salvarlo, aveva preferito lasciarsi cadere
e
morire da solo.
Un
urlo agghiacciante fende l’aria della notte. Apparteneva a
Lovino.
Perché,
perché l’aveva fatto?!
Tutta
la sua rabbia e frustrazione vengono sfogate
su quei tasti, ormai bagnati dal suo pianto.
Poi
silenzio. Il motivo riparte, ovattato, che non
riesce, non deve coinvolgere. Era così che si sentiva, dopo.
Alienato dal resto del mondo, pensava che
non sarebbe mai più riuscito a riprendersi e ricominciare a
vivere. Non voleva
farlo, non lo trovava giusto nei confronti di colui che aveva
sacrificato la
vita per la sua.
Un
giorno, però, la comunità cattolica del luogo,
che lo aveva accudito per
qualche tempo, lo aveva affidato a una famiglia di immigrati polacchi.
Genitori
e figlio, più piccolo di lui di qualche anno, lavoravano e
non avevano tempo di
badare alla casa. Così, in cambio di vitto e alloggio, aveva
iniziato a
lavorare alle faccende domestiche.
Finalmente
nella melodia si riaccende qualcosa, si
intravedono dei riflessi colorati.
Lo
avevano accolto senza fare domande, bastava sapere che era bisognoso di
aiuto,
nonostante loro stessi versassero in situazioni di
difficoltà, ed erano stati
capaci di trasmettergli quel calore, che Lovino pensava non avere
più il
diritto di provare.
Poi
aveva capito. Antonio si era sacrificato per lui, per la sua vita,
quindi aveva
il dovere di viverla degnamente, con gioia, come amava tanto fare
l’amico.
E
anche il secondo brano si conclude,
malinconicamente, ma con una nuova speranza.
I
quattro lo osservano, senza parole, ancora rapiti
dalla sinfonia.
Lovino
si strofina con forza gli occhi con il dorso
della mano, e riflette tra sé.
“Questi
brani sono incompleti. Saranno aggiornati,
ma probabilmente lo rimarranno per sempre. Chissà... Oh,
musica, mia compagna
fedele, ricordami sempre i miei doveri verso la vita, non farmi mai
perdere la
speranza di rinnovare queste composizioni. Perché in fondo,
nel nostro cuore, tutti
sogniamo ancora... di tornare ad essere come eravamo una
volta.”
E
si ritrova a sorridere ancora.
Forse
finalmente aveva compreso ciò che Antonio
cercava di dirgli, quella sera: era il senso della vita.
“Sorridi,
Lovino. Non piangere.”
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Bene, salve a tutti^^ Questa è la prima fanfic che pubblico su questo sito, e sono abbastanza nervosa.
Che dire, questa one-shot è nata da mio sogno molto recente (la notte scorsa) e non potevo fare a meno di buttare giù qualcosa.
Forse sono stata condizionata dal un anime che ho visto di recente... Nodame Cantabile, lo conoscete? Ve lo consiglio vivamente.
Lovino si ritrova sempre costretto a fare lavori domestici, in un modo o nell'altro... povero*3* All'inizio ero combattuta nel dubbio di inserire o meno dei momenti shonen-ai con Antonio, ma alla fine ho deciso di astenermi (anche se accenni Spamano ci sono ugualmente).
Sarei molto felice se vorreste esprimermi il vostro parere, quindi sarebbe magnifico se mi lasciaste qualche recensione.
Devo ringraziare chi mi sostiene sempre e la mia prof allucinata di musica delle medie, che è riuscita a ficcare nella mia testaccia vuota qualche nozione del linguaggio musicale.
Alla prossima, saluti a tutti. ^^