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Autore: Keiko    21/02/2011    0 recensioni
L’ossessione della morte l’aveva avuta sin da quando era bambino, ma era un qualcosa di deviato perché il suo timore era perdere le persone che amava e non era finalizzato esattamente a sé stesso dunque, ma a ciò che lo circondava.
E quando realizzi che la vita si conclude abbandonando tutto ciò che conosci, la magia dell’infanzia si arresta bruscamente. E la sua si era conclusa quando aveva solo nove anni.La morte lo attirava come le falene venivano attirate dalla luce delle lanterne e poco da fare, quella tavoletta era la porta diretta per l’al di là, almeno sulla carta.
[Sequel/Missing Moment di Welcome to the Monroeville]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gerard Way
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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A Sweet Revenge © [29/09/2008]
Disclaimer: I My chemical Romance (Mikey Way, Gerard Way, Frank Anthony Iero, Bob Bryar e Ray Toro nella loro ultima formazione), Jamia Nestor, Alicia Simmons e Lyn-Z (bassista dei Mindless Self Indulgence) sono persone realmente esistenti. I personaggi originali non sono ovviamente persone realmente esistenti, ma semplice frutto della mia immaginazione. La storia è frutto di una narrazione di PURA FANTASIA che mescola la mia visione di fan a eventi storicamente accaduti e rumors spulciati in rete, destinata al diletto e all'intrattenimento di altri fans. Non si persegue alcun intento diffamatorio o finalità lucrativa. Nessuna violazione dei diritti legalmente tutelati in merito alla musica ed alla personalità degli artisti succitati si ritiene dunque intesa.



Note: Spin off di "Welcome to the Monroeville". Da leggere, chiaramente, dopo la lettura della prima parte. La storia ha un taglio narrativo totalmente differente dalla precedente, questo perchè ho ritenuto più adatta una narrazione in terza persona anzichè un fuoco diretto. Anche i contenuti e i toni della storia hanno poco a che vedere con quelli baroccheggianti e decadenti di "Welcome to the Monroeville". Ma d'altra parte... questa è un'altra storia.
Il titolo della fanfiction riprende quello dell'omonima canzone del gruppo.




“Vivere per sempre
Ci vuole coraggio
Datti al giardinaggio dei fiori del male
E’ necessario vivere
Bisogna scrivere
All’infinito tendere”

(da “Baudelaire”, Baustelle)




La prima volta aveva creduto fosse tutto frutto della sua immaginazione.
La seconda, che fosse un caso.
La terza, che fosse inquietante.
La quarta, che la cosa stava iniziando a essere molto meno divertente rispetto all’adrenalina che aveva provato nell’esatto istante in cui la moneta d’argento si era mossa di propria iniziativa lungo le lettere dipinte sulla tavoletta di legno appena acquistata.
“Che scherzo del cazzo.”
Gerard aveva liquidato così la presenza – o spirito o demonio o fata o gnomo o vampiro o l’uomo nero o qualunque altra cosa fosse stata partorita dalla fervida immaginazione umana – che aveva richiamato per pura casualità con la tavoletta di Ouija, staccando bruscamente il dito dalla moneta e richiudendo il tutto nel cassetto del comodino.
L’aveva recuperata in un vecchio negozio di rigattieri in uno dei vicoli periferici di Belleville, uno di quei posti in cui non spenderesti mai un dollaro senza la certezza assoluta di aver comprato la peggior riproduzione di antichità presente sul mercato.
A lui era costata dieci dollari ma per l’utilizzo che riteneva di doverne fare – appurare che semplicemente non si poteva parlare con gli spiriti dei morti attraverso una barretta di legno che poteva essere sostituita con la tavoletta della cioccolata Milka -, era comunque un investimento a fondo perduto più che sufficiente.
Quando però hai un oggetto simile alla distanza del tuo braccio teso dal letto su cui dormi, è difficile che tu possa resistere alla tentazione di aprire il cassetto e dare un’altra sbirciatina.
Solo una, che male può fare?
La curiosità uccise il gatto è vero, ma anche a vivere in un perfetto stato di passività razionale l’intera esistenza era abbastanza patetico. Meglio morire degnamente e imparando qualcosa, piuttosto che di vecchiaia in preda ai deliri della senilità o peggio, su di un letto d’ospedale.
L’ossessione della morte l’aveva avuta sin da quando era bambino, ma era un qualcosa di deviato perché il suo timore era perdere le persone che amava e dunque, non era finalizzato a sé stesso ma a ciò che lo circondava.
E quando realizzi che la vita si conclude abbandonando tutto ciò che conosci, la magia dell’infanzia si arresta bruscamente.
E la sua si era conclusa quando aveva solo nove anni.
La morte lo attirava come le falene venivano attirate dalla luce delle lanterne e poco da fare, quella tavoletta era la porta diretta per l’al di là, almeno sulla carta.
Che poi fosse una di quelle trovate spilla soldi del tutto inutili era un altro paio di maniche ma il primo esito, era stato positivo.
Devastante a livello psicologico – non si aspettava certo che quella fottuta monetina d’argento si muovesse contro la sua volontà parlandogli - ma positivo.
Aveva atteso una settimana circa poi, nel cuore della notte aveva estratto dal suo nascondiglio la tavoletta aprendola sul letto. Per l’occasione aveva deciso di tenere accesa la lampada che aveva sul comodino e anche quella della scrivania, convincendosi che il tutto era per poter leggere attentamente ciò che gli veniva riportato nei messaggi composti dalla presenza.
Non voleva ammettere a sé stesso che aveva una paura assurda nel non potersi guardare attorno e vedere la sicurezza familiare della propria stanza.
Quella volta si presentò di nuovo la stessa cosa.
Non credeva che quel nome fosse veritiero ma aveva deciso che in qualche modo avrebbe potuto proseguire quella conversazione: un nome non era poi importante, no?
“Da quanto tempo sei morto?”
“Troppo perché possa offrirti un qualche parametro di raffronto con la tua realtà.”
Le parole si componevano velocemente sul piano della tavola, al punto che Gerard rischiava persino di perdere alcune lettere se non vi prestava attenzione assoluta.
“Cosa facevi quando eri in vita?”
“Il truffatore per diletto. Tu?”
Uno spirito sincero a metà o totalmente pazzo? Non che si abbia poi molto da perdere quando si è dall’altra parte, no?
“Il cantante.”
“Mi piace la musica. Mi fai sentire qualcosa?”
“E come faccio senza staccare il dito? Aspetta…”
Aveva tentato di afferrare uno dei loro demo dalla mensola ma tutto ciò che era riuscito a fare era rischiare di cadere dal letto trascinandosi appresso anche la mensola, interrompendo così il contatto bruscamente.
E non dovevi farlo, mai.
“Oh, cazzo.”
La prima volta aveva buttato la moneta d’argento in un bicchiere d’acqua in cui il sale ricopriva il fondo per almeno due centimetri ora, aveva il timore che lo spirito si fosse incastrato da qualche parte in camera sua.
Non c’erano specchi, dunque era impossibile che si fosse nascosto lì… ma se fosse rimasto in attesa per perseguitarlo? Era stato un pivello a non pensare di chiudersi in un cerchio di sale durante la seduta, perché lo sapevano anche i muri che esso purifica e tiene lontani gli spiriti.
Si era imposto di scendere dal letto e recuperare una scatola di sale da versare in ogni angolo della propria camera, ma il problema era il percorso che lo divideva dalla cucina: scale per salire al piano terra, corridoio, salotto, cucina. Il tutto da fare rigorosamente al buio per non svegliare sua madre o peggio, Mikey.
Cosa gli avrebbe raccontato?
Che si divertiva nel cuore della notte a giocare al piccolo medium?
Vero che Mikey si divertiva a fare la parte dello scienziato pazzo – non voleva davvero ricordare il pretesto con il quale aveva ripetutamente tentato di infilare una forchetta nel tostapane rischiando di morire fulminato -, ma almeno aveva la decenza di non svegliare tutta la famiglia nel cuore della notte.
Si sentiva la gola decisamente arida e stare dentro la sua stanza gli procurava un certo disagio.
Come se fosse lui l’intruso.
Aveva preso il bicchiere d’acqua dal comodino portandolo alle labbra: vuoto.
Non l’aveva forse riempito prima di andare a letto?
Si, ricordava di aver discusso con Mikey sull’eventualità di qualche data nella zona di New York giusto per farsi conoscere maggiormente e poi spiccare il volo verso la vetta della musica rock.
Agguantare un sogno era faticoso tanto quanto poteva esserlo costruirlo mattone dopo mattone: se non eri abbastanza rapido poi, rischiavi di perderlo.
L’acqua comunque si era vaporizzata – non voleva davvero credere ai segnali d’allarme che la sua psiche di venticinquenne mandava ripetutamente ai muscoli del suo corpo, tesi come se fosse in procinto di avere una paralisi – e lui aveva sete e in cucina doveva andare per forza se voleva continuare a vivere – e dormire anche – nella sua camera.
Doveva alzare il culo ma aveva una paura fottuta.
Aveva lanciato un’occhiata sulla tavoletta e lì si era accorto che la moneta era ferma, perfettamente immobile, sulla casella del “no”.
E da lì non era mai passata.
Okay, era troppo.
O lui stava uscendo di senno o lì dentro sarebbe comunque impazzito molto presto.
Si era sollevato dal letto e quasi di corsa aveva preso a fare i gradini due a due, risalendo rapidamente al piano superiore imboccando il corridoio, stando attento a non urtare alcun mobile.
Poi era stata la volta del salotto e infine della cucina, dove aveva recuperato in fretta e furia una confezione di sale e una bottiglia d’acqua.
Meglio essere previdenti, insomma.
Aveva però ritrovato la camera da letto illuminata a giorno e lui non aveva acceso proprio nulla nonostante gli sarebbe piaciuto farlo. Il sale poteva pure cospargerselo addosso già che c’era, e anche chiamare un esorcista e farsi purificare quella cazzo di camera.
E chi ci dormiva più ora?
L’altra opzione era riprendere in mano la tavoletta e cercare di parlare di nuovo con quello spirito bontempone – o proprio stronzo – supplicarlo di perdonarlo per essere caduto e fargli sentire il demo.
Se era fortunato lo spirito sloggiava, se era sfigato – e non metteva in dubbio fosse la seconda la risposta vincente – avrebbe dovuto trasferirsi chissà dove o trovare seriamente qualche santone che gli purificasse la camera.
Si era quindi nuovamente seduto sul letto, le gambe ben coperte dalla trapunta su cui capeggiava il simbolo di Batman e aveva rimesso il dito sulla monetina.
“Ehi, ci sei?”
Nulla.
“Sono Lucifero.”
“Questo è un altro scherzo idiota, vero? Voglio parlare con quello di prima.”
“Ero io anche prima.”
“Senti, ti faccio sentire la demo e siamo a posto, okay? Ma piantala di farmi questi scherzetti di cattivo gusto.”
“Il migliore dei truffatori sono io. Stringi un patto con il diavolo?”
“Non è un patto: tu hai occupato abusivamente la mia camera, quindi sloggi in cambio dell’ascolto delle nostre canzoni.”
“E se fanno schifo?”
A uno spirito morto da secoli poteva piacere l’hardcore? Ne dubitava seriamente dunque era uno sfigato che avrebbe avuto per gli anni a venire uno spirito come compagno poi, quando sarebbe morto suicida, questo avrebbe smesso di perseguitarlo.
E nell’al di là, avrebbero poi fatto i conti però.
Aveva quindi pigiato il tasto del cd, facendo partire a volume piuttosto basso il demo di “Early sunsets over the Monroeville”, la prima canzone che aveva suonato con loro Frank.
Avevano inciso il demo in concomitanza con l’album, un cd finito casualmente nella sua stanza dopo una notte passata a provare tutti insieme con il nuovo acquisto.
Era stato esplosivo, unico, fantastico: ciò che desiderava era tutto lì, rinchiuso in quei centosessantatré centimetri di allegria che si erano appropriati di una fetta del suo giardino minacciando di morirvi se non l’avessero accolto nella band.
E come facevi a dire di no a uno che ti aveva appena detto “Siete la band della mia vita” senza nemmeno conoscerti, se non dopo aver suonato con te una canzone a caso di tutto il repertorio che stavi incidendo?
Eccola lì, la demo di quel giorno fatidico.
“E’ bella. Ti offro la possibilità di diventare famoso con tutti loro.”
“Il prezzo da pagare?”
“Lo lascio decidere a te.”
“Ci voglio pensare.”
“Nessuna fretta: io ho tutta l’eternità davanti.”
Un qualcosa – doveva ancora capire cosa fosse, perché dopo avergli dato due identità differenti e una più improbabile dell’altra non implicava fosse certa la natura di quella presenza – con un sarcasmo notevole.
Adorava le persone con un grande senso dell’ironia.
Le amava alla follia.

Da quel giorno lontano in cui il loro primo album non era nemmeno finito – era il tempo di quei dieci giorni di incisione in cui tutto era stato così veloce da essere come una spirale che li aveva gettati nell’empireo del rock – e il risultato finale un’incognita nel firmamento della musica, erano passati quasi cinque anni ormai.
E con una cadenza regolare riprendeva in mano la tavoletta e parlava con lo spirito. Parlava, non faceva domande sulla durata della sua vita, di quella di chi gli stava attorno o di ciò che gli sarebbe accaduto in futuro: che senso aveva conoscere già quello che avresti dovuto vivere?
Tutto avrebbe assunto una patina grigia, opaca e priva di valore.
Quando era esploso il successo con “The Black Parade” quella presenza invisibile che non si era mai mostrata alla vista, si era complimentata con lui e probabilmente dal luogo dove si trovava aveva persino sorriso.
Di un sorriso che poi Gerard avrebbe imparato a riconoscere e che esercitava su di lui un fascino senza tempo: quello dell’immortalità agognata, desiderata e persino ottenuta.
Erano stato un anno di tour promozionale che li aveva visti rimbalzare da un capo all’altro del globo come palline da pin pong: in pasto ai media, ai fan, alle luci della ribalta.
Niente vita privata, nessun calore umano – se non quello reciproco che potevano avere gli uni dagli altri -, un bagno di folla costante in cui ottenevano un nuovo battesimo di fama a ogni immersione.
Quando quella folla avrebbe poi rivolto lo sguardo verso qualcun altro, quando quei ragazzini fossero cresciuti e anche i propri gusti si fossero modificati, a loro cosa sarebbe restato?
I migliori anni della loro vita osannati e consacrati nel firmamento della musica e poi più nulla. Emozioni forti e violente, bellissime e laceranti, una dualità di esistenze fatte di luci e di ombre in cui le maschere di danzatori erano quelle che indossavano nella maggior parte delle occasioni, e la sincerità era diventata una chimera lontana.
A volte dimenticava persino di essere stato un comune mortale, un uomo qualunque e in parte rivoleva quella vita, ma voleva pure che tutto ciò che aveva creato non morisse con lui ma durasse in eterno.
Molto più a lungo di qualsiasi paradiso o inferno.
Quella era stata la notte in cui aveva fatto la sua scelta giocando la propria vita – e quella dei suoi amici – ai dadi con uno spirito che aveva truffato persino il Diavolo stesso.

“Ho deciso.”
“Ora che hai tutto, hai deciso di avere bisogno di me?”
“Non ho tutto, mi manca una cosa. Quella che ti fa vivere in eterno e con te, tutto ciò che ami e hai creato.”
“E’ l’empireo degli eroi che desideri o quello degli artisti?”
“Voglio il mio empireo, credo sia differente.”
Si muoveva veloce la moneta d’argento ma Gerard ormai conosceva a memoria la disposizione delle lettere sulla tavoletta di legno e non aveva più bisogno di prestare attenzione a dove si spostava con esattezza. Era come parlare telepaticamente.
“Cioè?”
“Voglio un luogo in cui tutto ciò che ho creato possa vivere in eterno. Voglio vivere in eterno in quel luogo con le persone che amo. Voglio che tutti quelli come te abbiano un luogo in cui riposarsi, ogni tanto.”
C’era stata una pausa piuttosto lunga, poi lo spirito aveva ripreso a muovere la moneta ma in modo molto più lento e indeciso.
“Possiamo lavorarci su, ma sarà doloroso e potresti pentirtene.”
“Dimmi quali sono le condizioni e vediamo se sono accettabili, no?”
“Vuoi un luogo creato dalle tue fantasie. Vuoi vivere in eterno con quei quattro, giusto? E vuoi che questo luogo sia raggiungibile da quelli come me. Sbaglio?”
“No.”
“Non è nel mio potere fare così tanto. Dammi la vita di quattro di voi e posso crearti un angolo nel Limbo. Non avrete pace, sarete condannati a vivere sottoforma di fantasmi e Inferno e Paradiso vi saranno preclusi. Di quelle quattro vite, uno solo sarà vincolato in eterno al vostro angolo, gli altri potranno vagare per il mondo. Ma ogni anno, nel giorno di Halloween, ci saranno spiriti per natura, affinità e devozione che torneranno in quel luogo. E così, anche coloro di voi che saranno liberi in un certo senso. E’ una vita di solitudine per i più, te ne rendi conto vero?”
Era il suo regalo di compleanno però, il migliore che potesse fare a Frank: l’immortalità che desiderava e che si era impresso sulla pelle quando aveva poco più di diciotto anni.
“Come si crea questa parte di Limbo?”
“Sei davvero deciso?”
“Tu hai il potere di crearla, vero?”
“Posso farlo. Basta che tu la immagini e io la preparerò per te. Sarà per questo Halloween.”
“Sarà per questo Halloween.”
Sarebbe stato per salvarli tutti, per salvare anche tutti quelli che la sua Black Parade aveva menzionato: quanti erano i disperati come quello spirito? Certo, poteva avergli mentito, ma era difficile che avesse potuto farlo per così tanti anni senza tradirsi mai.
Aveva un sogno, voleva che durasse per sempre.
Amava, e desiderava che quel sentimento restasse cristallizzato nel suo calore più violento.
Era un artista, e come tale desiderava che tutto si imprimesse a fuoco nella mente degli uomini.
Lui era il salvatore dei perdenti e li avrebbe accolti a braccia aperte a Monroeville.
Un sorriso mefistofelico gli aveva increspato le labbra sottili, mentre le dita passavano sulle lettere consunte della tavoletta: d’altra parte erano ormai trascorsi cinque anni da quella prima volta, da quel primo richiamo che si era trasformato in un’amicizia quasi.
O un tacito accordo sin dal quell’istante.
Era vero, forse, che quando entravi in contatto con qualche presenza questa ti soggiogava al punto da renderti folle. Se avesse sognato tutto? Se fosse tutta una sua deviazione mentale e si fosse sbagliato?
Niente Monroeville, niente sogni realizzati ed eterni, niente di niente di ciò che desiderava per tutti loro ma solo la morte.
E nulla più.
“Mi devo fidare, vero?”
“Ormai non puoi tirarti indietro: un patto sancito con un demonio non può essere sciolto nemmeno da morti.”
“Già.”
C’era stato un tempo in cui la Morte gli era parsa migliore della Vita, poi la Vita era parsa migliore del Sogno ma il Sogno prima o poi si sarebbe concluso e avrebbero dovuto fare i conti con la Realtà.
In quel momento la sua musica non avrebbe più salvato nessuno, le sue parole sarebbero state dimenticate e loro non sarebbero stati altro che figurine sbiadite su vecchi poster strappati dalle pareti.
Lui non voleva decadere – né cadere – mai.

Ormai era trascorso un anno da quella notte e si sarebbero ridestati animando Monroeville. Non sapeva se Frank l’avrebbe riconosciuto o se Ray e Bob se la sarebbero presa con lui per quella cosa. Non sapeva dove stavano durante i trecentosessantaquattro giorni rimanenti, ma sapeva che ritornavano sempre lì per il sabba dell’Estate di Jack O’ Lantern.
“Buonserata. Freschino vero?”
L’uomo aveva fatto roteare davanti a sé il proprio bastone da passeggio, dissipando un poco la coltre nebbiosa che stava salendo dal terreno umido.
“Dovrebbe essere un’estate autunnale, invece pare che quest’anno abbia deciso di arrivare precocemente il nostro caro amico Inverno.”
Sul suo viso si era dipinto il sorriso mefistofelico che aveva imparato a conoscere nei loro incontri. Da un anno, comunque, non si vedevano né incontravano: il Sabba richiamava molti più personaggi illustri di quanti non avrebbe creduto.
“Com’è stato l’anno del Silenzio?”
“Non particolarmente difficile, solo a tratti un po’ noioso.”
“Mio caro Gerard, ti sei pentito della tua scelta forse? Pare che sul tuo viso serpeggi qualcosa che pare… malinconia? O amarezza, forse.”
Il modo in cui pronunciava il suo nome, con quell’accento volutamente francese posto sulla “a”, lo faceva sorridere: era il modo in cui avrebbe sempre desiderato essere chiamato.
“Nulla di simile. Solo mi chiedo se loro siano felici.”
“Posso farti una domanda?”
“E io ne posso fare una in cambio?”
“L’hai già fatto, ma così non concluderemo mai un discorso. Facciamo una passeggiata, manca ancora un poco prima del calar del sole e per quel momento, noi saremo qui a spalancare i cancelli. Come è giusto che sia. Allora faremo così: ad ogni risposta si avrà una domanda, poi una domanda e una risposta in senso inverso.”
“E sia.”
“Molto bene, è strano parlare a tu per tu senza quella fastidiosa tavoletta di mezzo, vero?”
“Anche vedersi… ti immaginavo differente, a dire il vero.”
“Ci immaginano sempre con un aspetto… spettrale? Pff.”
Aveva emesso una risata soffocata, e Gerard l’aveva osservato attentamente: un uomo giovane, dai capelli corvini e gli occhi che parevano due pozze dell’Inferno tanto erano cupi e profondi, gli abiti e le movenze da nobiluomo inglese che gli conferivano un’aria austera e al contempo malevola.
Non potevi però fidarti di un demonio che aveva beffato Paradiso e Inferno… o si?
Be’, in ogni caso lui l’aveva fatto e tutto era andato come aveva desiderato dunque quei dubbi poteva anche accantonarli una volta per tutte.
“Perché tuo fratello non è qui? Tutte le persone che amavi, avevi detto… tuo fratello non rientra tra la cerchia dei tuoi affetti?”
“Avevo detto che con me sarebbero venuti i miei amici. Mikey è sangue del mio sangue, una parte di me. E’ anche questo, non solo un amico. Ed è troppo, perché potesse finire qui.”
O forse era stato il Fato a mettere una mano sulla vita di suo fratello e proibire al filo rosso della sua esistenza di recidersi insieme a tutti gli altri.
Lui aveva voluto gli amici e suo fratello… a suo fratello aveva concesso un atto di amore differente: lui era felice con Alicia, che senso aveva distruggere la loro vita fatta di piccole gioie quotidiane e traguardi raggiunti insieme? Sarebbe stato puro e semplice egoismo, un atto di estrema crudeltà portare Mikey a Monroeville. A tempo debito anche lui e Alicia sarebbero arrivati o forse a loro spettava un Paradiso di cui avevano assaporato i doni già in vita.
“E tu? La tua domanda, Gerard?”
“Perché hai risposto proprio tu, di tutti quelli possibili?”
Il suo interlocutore aveva sorriso, passandogli un braccio attorno alle spalle per poi andare ad arruffargli i capelli con un gesto affettuoso.
Se fossero stati vivi, Gerard avrebbe di certo sentito un brivido gelido percorrergli tutto il corpo ma ora, in quella forma inconsistente che manteneva inalterata la loro immagine, avvertiva solo un vago formicolio, là dove passava il contatto con un altro essere.
“Perché c’è qualcosa che ti lega a lui.”
Aveva battuto un colpo con il bastone sul piedistallo della statua marmorea dedicata a Frank ed Helena.
“Amicizia, solo questo. Potevi andare da lui, perché venire a cercare me?”
“Perché il legame biunivoco tra due persone non lo puoi spezzare. E anche noi, abbiamo i nostri segreti, dopo tutto. Se Frank fosse morto senza nessuna forzatura, sarebbe diventato un vecchio bavoso dal corpo ricoperto di disegni orrendi. Con la tua mano, è rimasto ciò che era: il ragazzino che ti ha salvato dall’oscurità. E’ diventato ciò che avrebbe sempre desiderato essere.”
“Cosa c’entra questo?”
“Oh, molto più di quanto tu possa credere. Ma sei troppo giovane per capire il significato dell’esistenza di un Custode. Quando sei come te, quando vivi perché sei legato al tuo luogo, è impossibile poi comprendere le dinamiche di coloro che viaggiano.”
“Sei sempre stato un truffatore, perché dovrei crederti?”
“Non sarebbe molto saggio cessare di farlo ora, dato che sono l’unico in grado di darti qualche risposta e farti un po’ di compagnia.”
Era strano di come, in realtà, proprio lui l’avesse cercato e gli avesse concesso la realizzazione del sogno più grande.
“Stanno per arrivare, ritorniamo ai cancelli.”
“E… mi riconosceranno?”
“Qualcuno si, altri no… dipende da quanto tu sia stato importante per loro in vita.”
“Monroeville esiste? Vive o è soltanto qui, nel Regno dei Morti?”
“I piani durante la notte di Ognissanti si fondono gli uni con gli altri e discernere realtà e finzione è impossibile.”
Gerard aveva trattenuto il respiro così, come può farlo un bambino a cui abbiano rivelato l’esistenza del regno delle fate.
Si erano incamminati di nuovo verso il cancello di Moroeville e Gerard aveva dato un’ultima occhiata al parco costellato di statue. Di nuovo si sarebbero addormentati sui prati di trifoglio e poi si sarebbero svegliati chissà dove.
Al tramonto i cancelli si erano aperti lasciando comparire un fiume di spettri all’interno della villa.
Gerard si muoveva come un giullare, il mecenate della festa che sinuoso offriva baciamano alle donne e sorrisi sghembi agli uomini.
Tutti sembravano lontani ma in qualche modo, in pace.
Sereni, mentre a lui era rimasto ancora il tormento: differente da quello di un tempo, ma sempre un’inquietudine sopita e mai cancellata del tutto che si ripresentava più violenta che mai.
Voleva vedere Frank, chiedergli come stava, se era felice, se Monroeville gli piaceva, che era stata tutta opera sua e… la mano gelida non era nulla a confronto degli occhi scuri che lo fissavano con dolcezza.
Una dolcezza sporca, contaminata da un qualcosa che conosceva bene perché a insozzare la purezza di quello sguardo innocente – e quello sguardo, era nato per sua disposizione – era stato un amore travolgente.
“Helena…”
“Monsieur Gerard, Monroeville è così deliziosa e allegra questa notte. Monsieur Jack sostiene che voi siate il più eccellente dei padroni di casa e devo dargliene merito. All’ultimo sabba nulla era così… studiato?”
Helena non era Helena o meglio, era una piccola donna ora. Di quella bellezza disarmante che aveva fatto capitolare Frank era rimasta la forma ma l’anima, quella gli pareva mutata.
Dannatamente adulta, cresciuta in un anno soltanto.
Helena era una donna, non più una ragazzina e lo fissava con gli occhi della fiera predatrice e non del cucciolo spaurito.
“Madame Helena, siete senza accompagnatore stanotte?”
Aveva riso, portandosi la mano alla bocca.
“Frank sta parlando con alcuni amici e… oh, eccolo qui.”
Gerard aveva paura di vedere ciò che gli stava davanti: del suo Frank vi era tutto, ma lo sguardo, quello no.
Non era lui, era solo un involucro vuoto: e la felicità di avergli concesso ogni sogno e averlo reso concreto, dov’era?
“Frank…”
“Si, ci conosciamo?”
“Oh, Frank, è Monsieur Gerard! Il nostro mecenate.”
Frank gli aveva porto una mano e freddamente, l’aveva salutato.
Convenevoli.
Era stato solo un inutile fantoccio nella sua esistenza dunque, nulla più che uno di un milione d’altre persone conosciute che non avevano lasciato alcun segno.
“Vado a vedere se Jack non ha circuito qualche damigella priva di cavaliere, scusatemi.”
In fretta, lontano da una donna innamorata e un uomo distrutto.
Lontano, in cerca di risposte.
L’aveva trovato seduto sul bordo della fontana di Monroeville, davanti all’ampia scalinata che conduceva all’ingresso della villa.
“Perché?”
“Perché lui amava qualcuno, laggiù. E quel qualcuno invoca il suo nome ogni notte, piangendo. Siamo tormentati da questi richiami, Gerard. Sono ciò che ci fa rimpiangere la vita.”
Aveva aperto e chiuso la bocca un paio di volte, incapace di proferire parole.
Dunque aveva commesso un simile errore?
“Ed Helena?”
“Ha conosciuto l’amore dopo la morte ma non l’hai creata tu, lei esiste da tempo. Esiste e Frank gli ha dato coscienza e un motivo per sorridere.”
“E a Frank, chi darà un motivo per essere felice?”
“L’aveva e tu gliel’hai tolto.”
“Io…”
“Non serve accusarsi degli errori. Il tuo compito ora è di vegliare su Monroeville e il suo parco. Trecentossessantaquattro giorni per meditare li hai ma per oggi, assapora ogni istante del sabba. E’ tuo, è mio, è nostro.”
Sull’ampia scalinata, due figure si stagliavano contro il buio e Gerard li aveva riconosciuti perfettamente: Helena avvolta nel suo fastoso abito bordeaux e Frank, stretto in un abito dal taglio elegante di vecchia fattura.
C’era qualcosa che gli faceva dannatamente male.
Egoismo? Un errore di valutazione? O semplice stupidità umana?
“Non serve a nulla piangere, Gerard. A modo loro, sono felici.”
Il pollice ossuto dell’uomo gli aveva lavato via dalla guancia una lacrima amara, lo sguardo rivolto a quelle due ombre che si tenevano per mano contemplando il giardino dei morti e la loro maestosa lapide.

Nessuno li ricordava mai, i Custodi.
Certo, aveva mentito a Gerard, ma era stato per un disegno ben studiato perché doveva dimenticare Frank e guardare solo a Monroeville.
Ciò che c’era lì, era stato suo desiderio da quando quel ragazzino era nato e dunque da molto tempo prima, da quando qualcuno andava fiero di una nascita tanto nefasta.
Aveva udito quel richiamo così insistente da interessarsi a lui per poi scoprire che c’era qualcuno di molto vicino, che faceva al caso proprio.
Occorreva un amore grande perché esso potesse essere sancito con la morte e persino superarla.
Non c’erano premi in palio, solo il suo divertimento e una grande curiosità nei confronti di quegli umani anzi, di quegli spettri troppo umani.
Ma dall’oltretomba non si tornava mai indietro davvero.
Gerard gli faceva tenerezza: un’anima dannata la sua, perennemente. Persino in Paradiso, avrebbe continuato a tormentarsi.
Ma i suicidi, gli omicidi, i folli, non vanno mai in Paradiso, tutt’al più passano tra le mani di qualche spettro burlone: o di qualche spettro abbastanza potente da far rabbrividire persino il demonio.
“Mr. Jack?”
“Jack O’ Lantern, per servirla.”
Si era sfilato la tuba, prodigandosi in un fastoso inchino.
“Avete visto il mio pupillo per caso?”
“Mr. Gerard?”
“Sta cantando nel salone principale. Se continua così, finirà con il trasformare la villa in un enorme lago a causa delle lacrime dei presenti.”
“Sa quali corde suonare, come sempre.”
La donna dai lunghi capelli biondi aveva sorriso trascinandolo di nuovo all’interno dell’edificio, la voce di Gerard che prorompeva tutt’attorno in modo violento e disperato.
Struggente e degno di lui, non c’era che dire.
   
 
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