Sono
le 8.00, del primo lunedì del nuovo anno scolastico, e
nonostante l’ora il
caldo mi infastidisce più che mai. Svegliarsi presto, dopo
tre mesi di dolce
far niente, è stancante e lo zaino già pesa un
quintale. Solitamente il primo
giorno di scuola non si fa niente, eppure la mia tracolla è
già colma di libri,
che probabilmente neanche userò.
Il
cortile dell’unico liceo artistico della città
è pieno di ragazzi pronti ad
iniziare un nuovo anno, ma pronti si fa per dire, capiamoci. Ci sono i
soliti
ragazzi dell’anno scorso, c’è chi
è cambiato totalmente, e chi è rimasto uguale,
ci sono pure le solite oche, che già di prima mattina
starnazzano come sempre.
Poi, in diversi angoli, tutti soli e impauriti, come se dovessero
morire tra
poco, ci sono i nuovi arrivati, o i primini,
come siamo abituati a chiamarli noi dalle seconde in su.
Ero
esattamente come loro anch’io, avevo paura di ritrovarmi in
un classe piena di
sconosciuti che mi avrebbero presa in giro, non avevo amici e mi
sentivo sola,
posso capirli e quasi provo pena, nel vederli così, ma alla
fine, come sono
riuscita ad ambientarmi io e a trovarmi anche qualche amico, ce la
faranno
anche loro.
Rebecca,
la mia migliore amica, è troppo occupata a specchiarsi nel
cellulare e
sistemarsi i capelli, per accorgersi che è appena suonata la
campanella. Ma lei
è fatta così, mette l’aspetto esteriore
spesso al primo posto. Intendiamoci
bene, non è superficile, bisogna solo saper prenderla per il
verso giusto. E io
che l’ho presa bene, ho avuto l’occasione di
scoprire che, quando vuole, sa
essere dolce come il miele, e mette da parte
l’acidità e la vanità. Siamo totalmente
diverse, e forse è proprio per questo che non litighiamo
mai, non ne abbiamo nè
l’occasione nè i motivi.
‘Muoviti
Reb se no i posti in fondo ce li sognamo.’
Insieme
ci dirigiamo verso la nostra classe, sempre la solita, secondo piano,
quinta
aula in fondo al corridoio, la 3 A, e non sembra neanche una classe,
più che
altro un rifugio. Le mura sono in continua ristrutturazione da noi, da
ormai
tre anni, con il passare del tempo i disegni si sono sovrapposti fino a
creare
un caos “artistico”, come
siamo soliti
dire noi. Siamo sì disordinati, ma fa parte del nostro
essere, l’ordine non ci
piace, non riusciamo a viverci. I banchi sono anch’essi
distrutti, i bidelli ci
hanno fatto l’abitudine e neanche provano più a
pulirli, sono sempre gli
stessi, a vederli passa anche la voglia di cambiarli.
‘Oh
ragà, si ricomincia.’ Grida Marconi, il pagliaccio
della classe, in poche
parole. E’ qui da cinque anni, la voglia di studiare non
sembra essergli amica,
ma il disegno è la sua vita, e ci sa fare davvero. Gran
parte dei disegni sulle
pareti sono opere sue, a furia di rifare le stesse cose, c’ha
proprio preso la
mano.
‘Cosa
abbiamo alla prima, Gin?’ La secchiona di turno si gira a
guardarmi con aria
superiore, per poi rigirarsi e ignorarmi. Non
le vado proprio giù, questo si è notato, ma ho
fatto una domanda mica l’ho
minacciata.
‘Ali
muoviti che ho preso i posti.’ Mi grida Reb dal fondo della
classe, dove mi
dirigo con la tracolla in spalla e la giacca nella mano sinistra alzata
a mezz’aria.
‘Ragazzi
su sedetevi, è suonata.’ La De Santi entra in
classe accompagnata dal solito
rumore dei tacchi da 12 che incontrano dolcemente
il pavimento in legno. La strega, soprannome
che le abbiamo gentilmente affibiato, è la nostra prof di
Storia dell’Arte. E’
una donna sui quarant’anni, magrolina e bassa, di certo non
di bell’aspetto, ma
è una che sa imporsi. Ha i capelli neri lunghi perennemente
raccolti in una
coda di cavallo perfettamente sistemata, il viso segnato dalle rughe
è un po’
rotondetto e una piccola ciocca di capelli che sfugge dalla stretta
della coda
ricade su di esso. I suoi occhi sono grandi e marroni, quasi neri, che
sembrano
guardarti costantemente, anche quando magari sono rivolti verso
qualcun’altro,
le labbra invece sono piccole e sottili colorate dal rossetto rosso,
che non
manca quasi mai.
La
classe, come sempre succede quando lei entra, in men che non si dica
è
perfettamente ordinata, tutti sono seduti ai loro posti e non vola
neanche una
mosca.
Le
due ore di Storia dell’Arte passano lentamente, la noia
è talmente tanta che
quasi mi addormento, e non sono l’unica, al suono della
campanella il disordine
invade di nuovo l’aula, e la prof con fare scocciato esce.
Il
professore di Matematica entra e si siede alla cattedra con il suo
solito fare
sbrigativo, si mette a fare strani gesti con la mano verso la porta
ancora
aperta, da dove subito dopo entra un ragazzo. ‘Beh, fate un
po’ di silenzio
maleducati.’ Ci sgrida, mentre sbatte la mano contro la
cattedra per attirare
la nostra attenzione. ‘Lui è Davide, il vostro
nuovo compagno. Davide, loro
sono le belve con cui dovrai passare i prossimi due anni.’
Dice riferendosi
infine a lui, che sorride e con un gesto della mano saluta tutti, per
poi
andarsi a sedere nel banco libero, proprio davanti al mio e quello di
Rebecca,
vicino a Viviana, l’oca starnazzante di turno, che non fa
altro che fissarlo, e
sembra quasi che voglia mangiarselo con gli occhi.
‘Oi
Secchi, non te lo devi mica mangiare.’ Le sussurra la mia
compagna di banco
tagliente, scoppiando poi a ridere, e io insieme a lei.
Da
quando eravamo alle elementari, Viviana Secchi è sempre
stata una ragazzina
viziata e insopportabile. I capelli biondi tinti e gli occhi azzurri le
danno d’aria
da oca, e posso affermare che non sempre l’apparenza inganna,
lei e il suo
gruppetto di amiche sono le più insopportabili figlie di
papà che ci siano in
questa scuola, e non esagero, dovete credermi. Mi sono spesso chiesta
come
facciano ad essere le più popolari della scuola, ma con il
carattere
superficiale che si ritrovano è comprensibile, son brave
solo a farsi vedere.
‘Che
c’è Rossi, sei invidiosa?’ risponde lei
a tono, con la sua solita vocina
irritante.
‘Se
c’è da essere invidiosi di te, siam proprio messi
male.’ Dico io questa volta
per farla tacere una volta per tutte, e la cosa funziona,
perchè si gira e
ricomincia a fissare il nuovo arrivato con la bava che scende, tra un
po’.
La
lezione procede come sempre, io in matematica sono una frana, quindi
passo l’ora
a disegnare soggetti inesistenti o incomprensibili, qualche volta il
professore
mi riprende, ma ormai anche lui è a conoscenza del mio buon rapporto con la Matematica.
All’intervallo
io e Reb andiamo alle macchinette a prendere da mangiare, e mentre
camminiamo
per il corridoio noto Davide già invaso dalle vocine
insignificanti di tutte le
amichette della regina
delle oche (
Sì, mi sto riferendo a Viviana ).
Lui
non ne sembra di certo dispiaciuto, e questo mi fa capire che
è esattamente
uguale a tutti i componenti del gruppo degli esaltati della scuola.
Perso anche questo.