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Autore: LaTuM    24/02/2011    5 recensioni
Quando lavoravano insieme, tutto sembrava diventare così semplice…
Non era di certo uno scrittore alla pari di Poe o Doyle, ma aveva una cosa che gli altri non avevano: lui aveva Nikki Heat. E un giorno forse avrebbe avuto anche Kate Beckett.
[spoiler random 3° stagione]
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Castle appartiene all’ABC. Io scrivo, ma non ci guadagno nulla.

The Importance of Being  a Writer

Richard si sedette comodamente sulla poltrona del suo studio. Era una bella serata, il cielo – seppur tinto dai colori della notte – era limpido e sereno. Accanto a lui aveva posato una tazza fumante di caffè, già ben zuccherata, che avrebbe dovuto fargli compagnia e tenerlo sveglio per le ore che aveva deciso avrebbe impiegato a scrivere almeno un capitolo del suo nuovo romanzo. Era partito con le migliori intenzioni, ma il salvaschermo del suo portatile continuava a scorrere, facendogli presente che il quel momento avrebbe dovuto scrivere, non fare altro. Richard invece si era lasciato cogliere dalla nostalgia e si era messo a rileggere Storm Fall. Sicuramente se Patterson l’avesse saputo si sarebbe messo a ridere, prendendolo in giro per il suo gigantesco ego, ma Rick amava rileggere le storie che scriveva. Gli piaceva far rivivere attraverso i suoi stessi occhi, i personaggi che l’avevano accompagnato mentre lui ne descriveva le avventure, le passioni e – come nel caso di Storm Fall – anche la morte.

Che avesse un ego spropositato era il primo ad ammetterlo: amava le belle cose, amava i suoi soldi e i vantaggi che l’essere un importante scrittore comportava. Certo, probabilmente non sarebbe passato alla storia come avevano fatto Poe o Doyle, ma non si reputava uno scrittore poi così pessimo. Non dei migliori, ma finché i suoi libri vendevano, la sua opinione di sé rimaneva piuttosto alta e anche piuttosto intatta.

Lesse le ultime righe del libro complimentandosi con se stesso per l’intensità e la poesia di quelle parole per cui Beckett l’aveva ampiamente deriso. A lui però piacevano.

Certo, essere uno scrittore vuol dire subire il giudizio altrui, ma per Beckett le cose stavano diversamente: temeva il suo giudizio ma, al tempo stesso, poco gli importava di quello che aveva da dire.

Non l’aveva ancora capita. Non riusciva a comprendere cosa le passasse per la testa, perché si comportasse con lui come se lo disprezzasse quando in realtà aveva conoscenze così profonde dei suoi romanzi – persino dei retroscena! – che solamente una fan di vecchia data avrebbe potuto sapere. Non perché fossero dei gran segreti, ma semplicemente perché ad un lettore medio non interessavano. La prima volta che glielo aveva accennato – anche se era stato durante il suo interrogatorio – non aveva riscosso molto successo ma, ogni volta che provava a far cenno del suo sospetto, riceveva in risposta sguardi carichi di commiserazione. Anche lei, come Patterson, lo riteneva un bambino dall’ego smisurato.

Comunque non aveva importanza, Beckett era l’unica donna che – almeno apparentemente, continua a ripetersi – era in grado di resistere al suo fascino, trattandolo come una persona qualunque ma, al tempo stesso, riuscendo a fregarlo quando serve, sfruttando le sue conoscenze o i suoi mezzi quando ha bisogno di qualcosa: che siano essi mandati del tribunale firmati dal giudica Smith o un giro in Ferrari per infiltrarsi in un locale e arrestare un pusher probabilmente coinvolto in un omicidio.

Se non fosse così apparentemente tonto – e probabilmente anche attratto da Beckett – potrebbe anche risentirsi del trattamento che è sempre solito ricevere, ma in fondo gli piace. Gli piace che Kate lo chiami nelle ore più assurde della giornata e invitandolo a presentarsi sulla scena di un crimine o per partecipare ad un’operazione sotto copertura al suo fianco.

Nonostante la stranezza iniziale, alla fine al distretto l’hanno accolto tutti senza problemi, quasi fosse sempre stato uno di loro. Eccetto Beckett che l’ha sempre trattato più duramente degli altri, quasi volesse costantemente ricordargli che quello non era il suo posto. Però ha sempre saputo quanto la sua presenza – nonostante sia non poco fastidiosa – in fin dei conti facesse piacere alla detective. Lei stessa gli aveva detto che lui aveva una capacità unica nell’uccidere la sua  pazienza, eppure aveva fatto in modo di ritrovarselo sempre tra i piedi. Quando era tornato quattro mesi dopo aver salutato quelli del dodicesimo distretto, la sedia – la sua sedia – era ancora vicino alla scrivania di Kate, quasi lei non avesse voluto spostarla, nella speranza che lui tornasse.

Era certo che alla detective piacesse lavorare con lui, quanto lui amava starle tra i piedi e – in effetti – darle anche un aiuto concreto quando si trattava di sbrogliare un caso di omicidio apparentemente a un punto morto. Da soli non erano in grado di arrivarci, ma dandosi il la a vicenda, ogni tassello del puzzle pareva tornare al suo posto e – completando l’uno le frasi dell’altro, come la migliore delle coppie sposate avrebbe fatto – facevano luce anche sui casi apparentemente più contorti. Quando lavoravano insieme, tutto sembrava diventare così semplice…

Castle sapeva perfettamente di essere una presenza discretamente – forse anche parecchio – irritante, ma oramai tutti avevano fatto l’abitudine alle sue stranezze. A fatica, ma era riuscito sicuramente a farsi in qualche modo breccia nella dura corazza che Beckett indossava e che si imponeva di indossare ogni giorno. nonostante Martha continuasse a rimproverarlo e fargli presente che i proiettili non si schivavano con il fascino, era certo che quella era stata la sua unica arma e che gli aveva inoltre permesso di essere ascoltato – e forse anche creduto – da Beckett le due volte in cui la donna lo aveva accusato di omicidio.

Da tempo gli omicidi facevano parte della sua vita, anche se sempre in modo abbastanza distaccato. Ovviamente aveva intervistato molti detenuti presunti colpevoli (aveva imparato che la polizia spesso aveva qualche problema nella corretta identificazione del colpevole) ma l’indagine investigativa era sempre un qualcosa su cui aveva fantasticato e mai toccato con mano. Forse era per quello che amava tanto descriverla nei suoi romanzi. L’interazione tra i personaggi non era cosa facile e – per quanto fosse estremamente affezionato ad ogni singolo nome scaturito dalla sua fantasia sino al suo computer – risolvere l’omicidio era molto più intrigante che scrivere pagine su pagine di vita dei suoi personaggi. Non che non gli piacesse, lo faceva divertendosi anche molto, ma l’omicidio aveva un fascino tutto suo.

Sapeva però che non poteva offrire ai suoi lettori soltanto l’indagine o avrebbe finito per annoiarli, quindi ogni tanto – quando la sua scaletta glielo suggeriva, o talvolta imponeva – apriva un file Word e lasciava che le parole venissero da sé, inserendo nella vita dei personaggi piccoli particolari che lui e lui soltanto sarebbe stato in grado di ricollegare ad alcuni suoi episodi di vita vissuta. Poteva essere stato l’incontro con un tassista particolarmente amichevole o scorbutico, un errore nell’ordinazione del caffè… piccoli particolari che  per quanto i suoi personaggi fossero distanti da lui - fascino escluso – in ogni suo romanzo c’era un Richard Castle nascosto tra mille descrizioni, azioni, frasi o abitudini altrui.

Quando scriveva di Storm non aveva mai avuto problemi, ma ora che aveva tra le mani Nikki Heat doveva dosare con attenzione ogni parola. Poi sapeva che si sarebbe lasciato andare, ma esporsi così palesemente, mettersi a nudo tra le pagine di un libro creando un suo alterego che avesse in sé ogni lato del suo carattere, in qualche modo lo spaventava. Non era stato difficile all’inizio, anzi. L’aveva preso come un gioco, certo di poterlo usare con Beckett per divertirsi a lasciarla basita. Le cose però gli erano sfuggite di mano, così come il loro rapporto.

E ora, che doveva scrivere un ‘capitolo pausa’ – come Gina era solita definire i suoi intermezzi dalle indagini – la scaletta gli faceva quasi paura. Tra Rook e Heat le cose si erano complicate, così come tra lui e Beckett. Una parola malamente usata avrebbe potuto compromettere quell’equilibrio squilibrato a cui il suo rapporto con la detective era arrivato.

 

Ha sempre amato il suo lavoro, ma ci sono delle volte che lo odia. E odia se stesso perché cosciente di essersi fregato con le sue stesse mani.

 

Pensava che un salvaschermo minaccioso in qualche modo l’avrebbe aiutato a darsi una mossa, ma erano più le volte che si addormentava davanti alle parole che scorrevano sulle schermo che quelle che gli dava retta.

 

Richard prese la tazza di caffè oramai fredda e mosse il cursore del mouse.

Il solito foglio bianco di Word in attesa di essere riempito era ancora lì ad aspettarlo nonostante lui avesse fatto di tutto per evitarlo.

L’uomo chiuse gli occhi, bevve un sorso di caffè.

Immaginò la notte buia calare sulla città, immaginò le luci e le stelle che nessun newyorkese può più vedere.

Iniziare un capitolo cercando di estrapolare parole a caso dall’immagine che gli si era formata nella mente poteva apparire poco sensato agli occhi altrui, ma uno scrittore sa come tirare fuori un mondo da una semplice parola, da un suono o da un riflesso. E aprendo gli occhi di scatto, Richard svegliò il computer dal sonno artificiale in cui era caduto. Facendo scorrere veloce i polpastrelli sulla tastiera, la prima frase prese vita.

 

Oramai le stelle di New York erano un ricordo sepolto nel passato.

 

Richard osservo il cursore lampeggiare dopo il punto e si convinse che come incipit poteva andare. Aveva davanti a sé un foglio bianco da riempire. Non più di quindici pagine a capitolo! gli raccomandava sempre Gina, e lui era bravo a rispettare gli accordi. Certe volte faceva fatica a superare solo la metà!

Però gli scarabocchi confusi della sua scaletta gli fecero notare che forse, in quel caso, quindi pagine potevano anche non essere sufficienti.

Sarebbe stato un capitolo dedicato a Rook e Nikki. Agli alterego cartacei suo e di Beckett.

Non sapeva – o forse non voleva davvero saperlo – cosa sarebbe successo in quelle pagine. Qualunque cosa fosse, gli avrebbe comunque permesso di avere la detective tutta per sé.

 

Meglio su carta che niente.

Ma in fondo, essere pagati per sognare fa parte della vita di uno scrittore.

 

Non avrà Beckett, ma Nikki è sua.

 

E per adesso a lui va bene anche così.

 

Note dell’autrice:

Yay! Ho scritto la mia prima storia su Castle, finalmente!

Sì, è un po’ strana, ma io per prima mi sono ritrovata così O__O nel momento in cui ho preso in mano per la prima volta questo personaggio però… beh, alla fine mi piace, anche se aspetto il momento in cui avrò l’ispirazione per scrivere fatti e non opinabili stream of consciousness.

   
 
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