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Autore: Fairy Floss    25/02/2011    2 recensioni
C'è Lavinia, che è stata piantata da Raffaele dopo due anni d'amore ed ora vuole vendetta. C'è Penelope, che disapprova, perché è la più saggia e sa che le ripicche non portano mai a nulla di buono e ha deciso di adoperarsi con solerzia per buttar fuori Raffaele dai pensieri di Lavinia in maniera pacifica, dirottando le attenzioni dell'amica verso un nuovo, sfavillante principe azzurro. C'è Clelia, che invece è più pragmatica e riesce a tirar fuori dalle sciagure di Vini una lezione da imparare: è ora di smetterla di perdere tempo dietro a tardo-adolescenti immaturi e cognitivamente menomati, l'amore va cercato fra le braccia dei veri uomini!
E poi c'è Nicola, che forse non è proprio quel cinico misantropo vuol farci credere e c'è Camilla, la sua migliore amica, che ha una cotta segreta ed inconfessabile, ma soprattutto c'è Anacleto Dupuis, il cui nome – signore – è tutto in programma.
Ognuno assorbito dal tentativo di decodificare quel geroglifico indecifrabile che è il cuore.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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w h a t d o y o u c a l l l o v e ? I s I t m o r e t h a n t h e h e a r t ' s
hieroglyphic?

Turning Time Around
Lou Reed

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO UNO
IL BUON GIORNO SI VEDE DAL MATTINO

 

 

 

 


 

 

Lavinia Rinaldi e la sua sveglia erano sempre state in buoni rapporti.
Lavinia apprezzava moltissimo l'apporto insostituibile che Sveglia dava alla sua esistenza, permettendole di trovarsi dove avrebbe dovuto trovarsi, nell'esatto momento in cui avrebbe dovuto farlo.
Lavinia era riconoscente a Sveglia per l'impegno che dimostrava ogni giorno nell'assolvere il suo compito ed era solita ricompensare i suoi sforzi con grandi sorrisi e carezze riconoscenti, che Sveglia apprezzava moltissimo.
Ma quel giorno era diverso, quel giorno Lavinia avrebbe proprio preferito non doversi svegliare.
Era il quindici settembre e lei stava per iniziare il suo ultimo anno di liceo. Quando ci pensava veniva colta da una specie di vertigine, da un angosciante senso di vuoto ed impotenza che la afferrava alla gola e le schiacciava il petto rendendo respirare un'impresa piuttosto ardua.
Ma non era il peso del futuro incombente che le gravava sulle spalle la ragione della sua inquietudine primigenia. Lavinia avrebbe preferito non andare a scuola per una ragione molto più sciocca, di cui – dall'alto della sua ipersviluppata consapevolezza – un poco si vergognava.
Il fatto è, signori, che la nostra trepida damigella non aveva per nulla voglia di imbattersi in quello zotico di Raffaele Ferrari – un metro e ottantasette di pura perfezione, due occhi come il mare, un sorriso che sarebbe stato in grado di far tremare le ginocchia persino alla Gioconda e un paio di disarmanti fossette.
Oh, Lavinia adorava le sue fossette! E se, per sciagura o per burla del fato, lo avesse incontrato per i corridoi della scuola, quello o qualsiasi altro giorno, avrebbe dovuto fingere di non farlo più.
Raffaele l'aveva piantata all'inizio dell'estate e nonostante Lia sostenesse che tre mesi erano un tempo sufficientemente lungo per scordarsi di chiunque e che era ora di smetterla di portare il lutto lei non era ancora riuscita a farsene una ragione. Fra l'altro Lavinia dubitava che Lia e il suo cuore di ghiaccio sapessero davvero cosa volesse dire soffrire per amore.

«Lavinia, tesoro?»
Lavinia percepì, distante e vaga, una voce di donna che, con una certa insistenza, tentava di sfondare la coltre ovattata che avviluppava le sue provare meningi. «Vini?»
Un insistente bussare s'aggiunse a dar man forte alla voce. «Vini? Sono le otto meno venti»
Le otto meno venti?
Lavinia Rinaldi spalancò gli occhi nel buio e trattenne il fiato, mentre gradualmente iniziava a percepire il mondo che la circondava. Si trovava a letto, con le coperte tirate fin sopra la testa, Sveglia che le strillava indignata nelle orecchie e sua madre fuori dalla porta che probabilmente si stava domandando se era il caso o meno di chiamare i vigili del fuoco, la polizia, i carabinieri e il centodiciotto, perché – stava di certo pensando la donna – era matematicamente impossibile che la sua responsabile e diligentissima figlia fosse in ritardo per il primo giorno di scuola, a meno che una catastrofe di pachidermiche proporzioni non le fosse piovuta accanto al letto.
Le otto meno venti. E lei era ancora a letto.
«Merda» esalò Lavinia, che si abbandonava al turpiloquio solo in rari casi di estrema necessità, mentre la consapevolezza della situazione si faceva strada in tutta la sua enormità dentro di lei: non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare in tempo, era proprio qualcosa di fisicamente impossibile.

Fuori dalla porta la voce non si arrendeva: «Mi hai sentito? Sono le otto meno -
Lavinia rotolò fuori dalla sua stanza saltellando frenetica nel tentativo disperato di infilarsi nello stesso momento un calzino, la felpa e la scarpa sinistra. Intercettò lo sguardo di sollievo e velato scetticismo che sua madre le stava dedicando e si sentì in dovere di rassicurarla. «Ne sono consapevole» garantì in un rantolo, tentando invano di mantenere un certo contegno.
«E non credi che dovresti fare qualcosa in proposito?» domandò Loredana, alzando severa un sopracciglio, senza tuttavia riuscire ad impedire alle sue labbra di assumere una curvatura divertita alla vista della danza rituale in cui la sua sciagurata progenie si stava esibendo. 
«Ci sto lavorando, ci sto lav-» ma le parole si spensero in un gorgoglio sconsolato quando Lavinia, che s'era illusa di essere pressoché pronta per catapultarsi a scuola, realizzò – alle sette e quarantasette del mattino – di avere ancora indosso i pantaloni del pigiama. «Oh, porco-» ringhiò la giovane, ingurgitando l'ultima parte dell'imprecazione e riuscendo, perlomeno, ad evitarsi il biasimo materno.  

Con sorprendente agilità d'anguilla Lavinia riuscì a liberarsi del pigiama, precipitandosi poi al cospetto del proprio armadio, che venne sventrato con impietosa urgenza alla ricerca di un paio di jeans abbastanza largo da poter essere infilato senza bisogno di doversi disfare delle scarpe.
«Esco.» dichiarò agguantando la tracolla azzurra appesa all'ingresso, ed erano le sette e cinquantadue.

***

Lavinia ansimò incredula e soddisfatta quando alle otto e due, con ben tre minuti di anticipo sulla campanella, si ritrovò a varcare il grande portone di vetro del liceo Manzoni. Si concesse giusto mezzo secondo per riprendere fiato poi ripartì, gambe in spalla, alla volta della sua nuova classe.
Era quasi giunta a destinazione quando, d'improvviso, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò sfracellata contro una giacca di pelle.
La collisione fu decisamente dolorosa, almeno per Lavinia, poiché la creatura che riempiva la giacca di pelle aveva avuto la brillante idea di decorare l'indumento con una spruzzata di affilatissime borchie, che nell'urto la fanciulla aveva centrato in pieno con la guancia sinistra.
« Ei! » disse la creatura che riempiva la giacca di pelle, seccata, e Lavinia seppe dalla voce che si trattava di un ragazzo.
« Scusa » biascicò irritata massaggiandosi la gota offesa, allontanandosi di un passo per dare un volto al tizio che aveva appena tentato di trasformare la sua faccia in un colabrodo.
Era alto, aveva una cascata disordinata di capelli castani che arrivava a lambirgli le spalle larghe e un'espressione contrariata che si distese in un sorriso impacciato quando i suoi occhi scuri riconobbero Lavinia.
« Ciao » salutò, piuttosto sorpreso.
« Ciao » rispose Lavinia, addolcita a sua volta.
Lei e la creatura che riempiva la giacca di pelle, al secolo Nicola Larini, non erano proprio amici, però lo erano stati in passato, quando entrambi non erano molto più che due sgorbietti con un piede nella pubertà ed l'altro ancora ben piantato in un universo di bambole, macchinine e carte dei Pokemon, ma poi avevano iniziato il liceo e le loro strade si erano divise. Lavinia si dispiaceva un po' per quell'allontanamento ogni volta che lo incontrava, il che non accadeva di rado, considerato che, oltre a frequentare lo stesso lo stesso istituto, lei e Nicola Larini erano anche vicini di casa.
« Ti sei fatta male? » s'informò preoccupato il giovane, notando la mano che Lavinia si premeva con insistenza sulla guancia.
« Nah, ho la pelle dura » lo rassicurò lei con un sorriso. « Com'è che non sei in classe? » domandò fintamente contrariata dopo qualche attimo di silenzio.
« Potrei farti la stessa domanda » la rimproverò severo lui.
« Bé io mi sono svegliata tardi, diciamo... credo nemmeno venti minuti fa, in effetti » rivelò Lavinia aggrottando la fronte, scoprendosi stupita e compiaciuta della propria impresa: certo, i suoi polmoni stavano per implodere, probabilmente si era slogata una caviglia e si era distrutta mezza faccia, ma almeno era arrivata a scuola in tempo.
« Accipicchia » ghignò, sinceramente impressionato, Nicola.
«Bé, mi sa che è meglio se vado.» annunciò Lavinia, che sentiva le forse abbandonarla «Non sarebbe carino arrivare in ritardo dopo la corsa che mi sono fatta »
« Eh no » approvò il giovane con un sorriso. « Allora ci si vede »
« Sì, ci si vede » cinguettò Lavinia accompagnando le parole con un gesto fugace della mano, per poi riprendere la sua marcia verso la classe.

***

« Oh, allora non sei stata rapita da una melanzana transgenica che ti ha rinchiuso nella torre più alta del suo castello in Ciofekistan con l'intenzione di darti in sposa al capo dei ribelli del sud per suggellare un'alleanza politico-militare ai danni dell'impero dei criceti mutanti. » rigurgitò Clelia con un sorriso sollevato, chiudendo con un colpo secco la rivista patinata a cui fino a quel momento aveva dedicato tutta la sua attenzione per concentrarsi sulla creatura arruffata che ansimava come un mantice, accasciata sul suo banco.
« Ti avrò chiamato una cosa come quindici volte, sai? » abbaiò severa Penelope, puntando minacciosa il suo cellulare sotto il naso di Lavinia.
« Hai un aspetto terribile, Vini. Dico più del solito. » fece notare garbata Clelia, mentre percorreva con un'espressione a metà fra il disgustato e il contrariato la figura rantolante di Lavinia, che versava indubbiamente in pessime condizioni, col volto aguzzo che aveva assunto preoccupanti sfumature vermiglie, lo sguardo verdastro infossato sotto il peso di un paio di prepotenti occhiaie e una zazzera informe di riccioli biondi che pareva animata da un'esasperante volontà propria a ricaderle con malagrazia sulle spalle esili. « E fra le l'altro hai la felpa al rovescio »
« Che hai fatto in faccia? » s'informò Penelope, scattando in piedi senza riuscire a dominare i suoi istinti da crocerossina e sporgendosi verso Lavinia per afferrarle il viso con apprensiva ferocia e studiare con attenzione clinica i segni scarlatti che le si erano disegnati sulla guancia.
« Hai fatto un frontale con un porcospino? » interloquì curiosa Clelia.
« Oh, gioia! » miagolò comprensiva Penelope « Dovresti imparare a guardare dove vai, sarebbe sano. »
Lavinia si liberò dalla sua stretta sbuffando « È solo un graffio » assicurò.
«Potresti rimanere sfregiata per sempre.»
«Non credo che succederà, Lia » cinguettò rassicurante Penelope.

Lavinia scosse il capo con sufficienza, mentre si preparava ad assistere alla replica di Clelia, che non amava essere contraddetta e d'improvviso fu folgorata da una consapevolezza devastante.
« Un attimo » intimò boccheggiando, mentre il suo sguardo vagava frenetico per la classe « Dov'è il mio banco?»
Penelope lanciò a Clelia un'occhiata trepidante prima di prendere la parola. «Sei arrivata tardi...»
« Che vuol dire che sono arrivata tardi? » ruggì Vini aggrottando la fronte.
«Vuol dire che ti abbiamo aspettata fuori per venti minuti, carina. E vuol dire che non rispondevi al cellulare e vuol dire che quando finalmente ci siamo messe l'anima pace e ti abbiamo dato per dispersa e siamo entrate in classe tutti i posti migliori erano andati.» Clelia fece una pausa per dare il tempo all'altra di assimilare le informazioni che le aveva appena fornito. « Seriamente Vini. Non puoi arrivare tardi il primo giorno di scuola. Ci sono troppe cose in ballo.»
«Non sono arrivata tardi, deve ancora entrare il professore»
Clelia roteò gli occhi celesti, esasperata. «Chissenefrega del professore!»
«No, dai. Non scherziamo. Dov'è il mio banco, l'avete nascosto? »
« L'unico rimasto è questo qui dietro » rivelò Penelope con un cenno incerto della mano.
« Non è vero » esalò atona Lavinia.
«La negazione è la prima fase. Poi c'è la rabbia, la depressione, ma alla fine arriva sempre l'accettazione. » la incoraggiò sorridente Clelia.
«Siete due traditrici, due vigliacche traditrici! Siamo state sempre state vicine di banco e ora solo perché voi non avete avuto abbastanza spina dorsale per reclamare i posti che ci spettano dovrei passare il mio ultimo anno di liceo gomito a gomito con... con... » Lavinia lanciò un occhiata fugace alla tracolla grigia e sfilacciata che era spalmata sul banco accanto a quello che avrebbe dovuto occupare, e si rese conto di non sapere a chi appartenesse. «di chi diavolo è quel sacco dell'immondizia? »
«Il est mien, mademoiselle» gorgogliò una voce alla spalle di Lavinia, che si voltò di scatto e si ritrovò di fronte al ghigno del leggendario Anacleto Dupuis.
Da vicino non era poi tutto questo granché: eccessivamente magro, eccessivamente pallido, con un naso eccessivamente pronunciato e, considerati i fatti, anche eccessivamente stupido, dato che si trovava a dover ripetere per la seconda volta il quinto anno. Probabilmente gran parte del successo che riscuoteva col gentil sesso era dovuto al fascino esotico posticcio da cui era circondato in quanto mezzo francese.
«Oh, dai. Siamo serie,» ruggì in un sibilo voltandosi di nuovo verso Clelia e Penelope «non posso stare vicina a Jean Cloude»
« E perché no?» miagolò indolente Lia, voltandosi per fissare senza alcun pudore il fondoschiena di Anacleto Dupuis dirigersi verso la sua sedia. «È carino»
«Vogliamo fare scambio?» propose Lavinia speranzosa.
«Non si può, non impareresti la lezione»
«Quale lezione?»
«Che non si arriva in ritardo il primo giorno di scuola» la canzonò perentoria Clelia.
«Dal profondo del cuore io ti detesto, Lia.» pigolò con rassegnato rancore. «Ha un nome ridicolo» non riuscì a trattenersi dal brontolare, quando il suo sguardo imbronciato inciampò nel ghigno serafico che Anacleto Dupuis, accasciato svogliatamente sulla sua sedia, nel banco dietro a quello di Lia, le stava rivolgendo. 
«Non essere scortese, Vini» l'apostrofò Penelope.
« Ma è un nome ridicolo» si giustificò lei.
«Guarda che riesco a sentirti, Bionda.» rivelò a sorpresa la voce di Anacleto Dupuis, che pronunciò la frase storpiando ogni parola col suo consueto accento francese posticcio, facendo vibrare l'aria ad ogni erre che gli sgusciava sinuosa fra le labbra.
« E avete sentito come parla? Ha la erre moscia, moscissima! Rischio di scoppiargli a ridere ogni volta che mi dice qualcosa!» si lamentò Lavinia abbassando il tono e sporgendosi verso Penelope e Clelia, col volto contratto in una smorfia disperata che avrebbe avuto il compito di suscitare la loro pietà e spingere una di loro a cederle il posto.
«Farò in modo di non parlarti, allora» sorrise cortese Anacleto, che oramai si era inserito a pieno titolo nella conversazione, dimostrando di possedere un udito da superuomo.
«È una conversazione privata, permetti?» gracchiò in risposta Lavinia, fulminandolo con la più terribile delle sue occhiatacce.

«Ma che facce allegre, che abbiamo qui! Vi sono mancato?» Gilberto Ganda, detestatissimo professore di italiano, fece il suo trionfale ingresso in aula. «Perdonate il ritardo, ma sono stato assalito da un'orda di primini indemoniati che non riuscivano a trovare la loro classe e m'è toccato accompagnarli.»
«Che anima pia» cinguettò ammirata Clelia.
«Malvolti ci risparmi la sua acredine di donna vissuta» la rimbeccò Ganda facendo planare sulla cattedra la sua ventiquattrore «E tu, Rinaldi, vattene a sedere, che dobbiamo fare l'appello.»
«A sedermi?» ripeté Lavinia, storcendo il naso.
«A sederti, Rinaldi» convenne Ganda, armandosi di registro «L'estate ti ha fatto male, vedo»
«Ma...»
«Ma?»
«Ecco -» tentò di protestare Lavinia, ma poi la sua parte infantile, che si sarebbe volentieri buttata a terra gridando e scalciando come un'ossessa pur di evitare di dover occupare il posto vicino a quello si Dupuis, fu vinta, come sempre, da quella saggia e matura, e la giovane sorrise compiacente al professore. «No, nulla. Notavo solo che la sua cravatta oggi è adorabile»
Gilberto Ganda sorrise soddisfatto: «Oh, allora c'è ancora qualcuno con un minimo di buon gusto, fra voi, giovani delinquenti! Grazie, Rinaldi, grazie!»
«Si figuri» trillò Lavinia, senza curarsi minimamente di mascherare la sua spudorata piaggeria.
Bene, pensò mesta raggiungendo il suo posto, accanto al ghigno di Dupuis, se il buon giorno si vede dal mattino questo sarà davvero un anno fantastico.
«Lecchina» le sibilò all'orecchio Anacleto, mentre si sedeva di fianco a lui.
Lavinia ingoiò l'insulto che avrebbe tanto volentieri voluto rivolgergli in risposta, strinse i denti ed ignorandolo deliberatamente allargò ancora di più il suo sorriso.

 

 

***

 

NOTE
Salve! Bé, innanzi tutto se siete arrivati fino a qua senza abbandonare la lettura schifati vi ringrazio! Sono un po' emozionata, perché è la prima storia che posto, è la prima cosa che scrivo che faccio leggere a qualcuno – ammesso che qualcuno la legga u_ù – che non sia la mia adorata cugina Cris, che però mi vuole troppo bene e quindi non è obbiettiva nei suoi giudizi XD Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate voi, emeriti sconosciuti, di questa mia storiella. Come vi è sembrata? Farei meglio a darmi all'ippica? XD Sì, credo di sì u_u
Va bé, parliamo di altre cose. La storia deve ancora essere scritta tutta e io sono piuttosto lenta, quindi non vi assicuro, per quanto ve ne possa fregare u.u – un aggiornamento costante, ma, impegni di studio permettendo, farò del mio meglio!
Basta, per ora è tutto. Ci si becca in giro! XD
Baci ♥ 

   
 
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