Quel maggiordomo, nutrimento.
Fame.
Gli alberi sussurrano al buio, trascino a stento gli arti doloranti non ho tempo di ascoltarli. Questa volta non era stato semplice procurarmi un’anima e lo scontro uno contro sei si era fatto problematico. Non ero più in forze come un tempo ma questo era superfluo, lo era sempre. Uscito dalle tenebre che mi avvolgevano con la foresta circostante la fiamma di una lampada mi salutò; balenava al vento appesa davanti all’entrata di una logora porta in legno, come una mera illusione nella notte. Dai vetri anneriti dalla polvere la musica di un giradischi suonava a ripetizione opere che conoscevo a memoria, e che a forza di ascoltare avevo finito per apprezzare.
Appoggiai pesantemente una spalla al muro vicino alla finestra, non riuscivo a distinguere nessun movimento all’interno del cadente rudere dove non sembrava celarsi anima viva. Mi sporsi non desideroso di farmi scorgere subito: un fuoco era acceso nel camino, ma il tentativo di controllare mi tradì aprendo nuovamente la ferita.
«..aah …gh» stringendo i denti, buttai uno sguardo alla camicia e una macchia rossa si allargò rapidamente « ...dannazione » di certo non avrebbe perso l’occasione per rimproverarmi il non sapermi presentare in modo decoroso…avrei dovuto fingere e sorridere come se la cosa non mi recasse alcun problema, neppure se fosse lui stesso ad’aprirmi la ferita di nuovo, solo per il gusto di cogliermi in viso una smorfia di dolore.
Degli spostamenti verso la finestra
mi dissero che aveva
avvertito l’odore del sangue. Ignorando le ferite mi scostai
velocemente per
bussare alla porta con dei brevi colpi ripetuti « Giovane
padrone, sono
tornato ».
La figura minuta rapidamente apri la
porta facendosi trovare
di nuovo, come per incanto, seduta comodamente
sull’unica poltrona che mi ero dedicato personalmente, nei
giorni precedenti, a
ripulire per lui da anni di deposito di polvere. Non mi
fissò, ne si pronunciò,
aspettò come ipnotizzato dal fuoco che io chiudessi la porta alle mie
spalle « Dove
sei stato finora? ».
Cercando di non tradire la sofferenza sorrisi e m’inchinai
come da consuetudine
« Sono stato a caccia per voi, come mi
avete ordinato ».
Un colpo di bastone da passeggio
suono severo sulle assi del
pavimento « ... Troppo, ci hai impiegato troppo
tempo ». Non alzai il capo a
fissarlo, l’aria era resa pesante dall'aura che irradiava
mentre abbandonò il
suo posto sulla poltrona e mi veniva minacciosamente incontro, usai un
tono
formale e monocorde per apparire innocuo e passivo davanti al suo
sguardo che
sembrava volermi sondare il cranio
« ...dei contrattempi lungo
la strada, mio signore. Si sono
resi conto che non l’avevo ancora divorata ».
Insinuò la sua mano sinistra fra i
miei capelli, mentre l’altra
reggeva saldamente il bastone, mi costrinse a tenere il capo
dolorosamente all’indietro
facendomi sfuggire un gemito fino a portare i miei occhi a incontrare i
suoi «... E
non l’hai fatto, vero?»
Deglutii a fatica, i
begl’occhi un tempo eterei erano
divenuti due rossi abissi di collera, che non conoscevano e non sapevano
dare pace
nonostante conservasse tutt'ora uno spaventoso sangue freddo.
Di cosa si cibasse veramente non ero
ancora riuscito a
determinarlo con certezza, mi strattono brevemente nella presa
della sua
mano sinistra per riportarmi all’attenzione e
riuscì nel suo intento, una risposta
gutturale mi usci dalla gola.
« ... No, l’ho con
me »
« Dammela. »
Allentò la presa per permettermi di avvicinarmi, presi fra le mani il suo viso, era di una bellezza disarmante. Un fiore ultraterreno che sembrava stesse sempre per sbocciare con delle labbra delicate e severe per cui uno uomo o una donna sarebbero stati disposti a morire. Condannato ad avere l’animo di un uomo adulto relegato per sempre nel corpo di un fanciullo. L’Onnipotente aveva fatto un gran lavoro con lui. Ma tanta bellezza racchiusa in quegli occhi in cui risiedeva un tempo in entrambi l’azzurro di un cupo cielo invernale, insieme a quei corti capelli che al tatto parevano seta e nella sua figura disgraziatamente amabile, era stata una stoltezza. Perché non era passato inosservato. Nemmeno a chi, come me, amava rovinosamente corromperla come tutte le sue opere. Ma a quanto pare Dio aveva voluto pagassi affondo per il mio peccato, il contratto che gli avevo imposto in cambio della sua anima irradiava il tenebroso colore di una foresta perduta nel suo occhio destro, ora che era divenuto anche lui un eterno ed errante figlio del buio ero costretto a seguirlo e a sottostare ai suoi ordini fino alla fine dei tempi.
« Yes, my Lord... »
Posai discreto le mie labbra dischiudendole
sulle sue, erano morbide e fredde. Non era una situazione intima come poteva apparire, per lui
era un gesto come un altro. Era così che avevamo
scoperto la prima
volta che un’anima si poteva condividere… ma la sua
ingordigia come l’aveva
sempre avuta per i dolci in vita, faceva si che praticamente non
riuscissi a sostentarmi
nella divisione se non in minima parte.
Aspirò dalle mie labbra
tutto quello che il suo cuore
riusciva a contenere, l’anima usci fuori quasi del tutto
passando alla sua
bocca e io caddi in ginocchio stremato e respirando affannosamente.
Mi fissò
dall’alto sfoggiando un sorriso di scherno, facendomi
cadere a monconi sul pavimento colpendomi al petto con il lucido manico
del suo
bastone da passeggio.
« ... Non farmi aspettare
più così tanto ».
Morsi le labbra
fino a sbiancarle la ferità si era aperta di nuovo cosa che
sembrò gradire,
allargando ulteriormente il suo sorriso di fanciullo. La rabbia invase
il mio corpo e divampò nei miei
occhi bruciante restringendo le pupille a due fessure.
Il mio signore ricambiò calorosamente lo sguardo,
apparendomi come un demone che sembrava riuscire a nutrirsi solo nel
dolore...