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Autore: Alie    01/03/2011    4 recensioni
“Uno, per favore”
“Tre euro”
Bè, almeno questo è stato gentile, vuol dire che l’educazione forse sa cos’è.
Salve, mi presento: mi chiamo Mery e faccio la giostraia. Cioè, in realtà il giostraio è mio padre, tutta questa baracca comunemente chiamata ‘macchinine a scontro’ è sua infatti.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 I PENSIERI DI UNA POVERA GIOSTRAIA

“Uno, per favore”
“Tre euro”
Bè, almeno questo è stato gentile, vuol dire che l’educazione forse sa cos’è.
Salve, mi presento: mi chiamo Mery e faccio la giostraia. Cioè, in realtà il giostraio è mio padre, tutta questa baracca comunemente chiamata ‘macchinine a scontro’ è sua infatti. Secondo me dovremmo cambiargli il nome in ‘luogo di ritrovo per pirati della strada con o senza patente il cui unico scopo è investire violentemente le altre autovetture, solo perché il loro piccolo cervello è governato dall’imperativo: Uccidere! Uccidere! Uccidere!’. Ma tanto è troppo lungo.
Io sono reclutata per quelle sere in cui c’è più bisogno di lavorare oramai che ho raggiunto (quasi) i miei 16 anni di vita. E stasera è una di quelle: sabato 15 Settembre in una delle città in cui le giostre hanno più successo che mai. Probabilmente questi non hanno proprio nient’altro da fare per il resto dell’anno. In tutti i mille mila posti che ho visitato a ridosso di mio padre in ogni luna park d’Italia non ho mai visto una così alta concentrazione di gentaccia come qui.
“Uno!”
Oh, ecco che si entra nel vivo della serata. Il tono sbrigativo, quell’agitarsi continuo come un’anguilla: ecco il classico ragazzo medio, colui che pretende quello che gli si deve senza perdite di tempo (figurarsi se si spreca in forme di cortesia come quello di poco fa).
“Tre euro, per piacere” rispondo io, come a voler sottolineare la sua maleducazione.
Mi porge una banconota da cinque e io, da perfetta bastarda quale sono, impiego almeno un minuto e mezzo a dargli il resto fatto di due misere monetine. Se ne va senza neanche guardarmi. Uga buga!, gli vorrei fare. Anche se le mie aspettative ormai sono scese fin sotto terra, non smetterò mai di stupirmi ogni volta che arriva il buzzurro di turno. Al giorno d’oggi mi trattano come se fossi una schiava…
Oddio, no! Aspettate, devo interrompere le mie riflessioni e concentrarmi sul gruppo che sta arrivando: sono tre ragazze di sicuro della mia età se non meno, ma vi giuro, sembra che abbiano vent’anni. Hanno scollature, paillettes e quelle dannate borsette denominate PINKO BAG che personalmente non ho mai potuto vedere. Non so se era l’obiettivo dello stilista, ma di solito chi se le compra dimostra di avere il cervello grande come quello di una cozza.
“Tre euro, bimbe” dico in falsetto.
Queste cominciano a ridere credendo che stia scherzando. Mbah! Mi danno altre tre banconote da cinque euro e mi viene voglia di smoccolare. Porca puttana! Ma alla gente fa troppa fatica cercare nel portafoglio 3 stupidi cerchietti di metallo oro-argento?!? Non avrò più soldi per fare i resti se si continua così. SGRUNT! Adesso attacco un cartello con su scritto “Si accettano solo spiccioli”, magari capiscono. Ma naturalmente incorrerei nelle ire paterne e di quelle di mio fratello. Come? Non ve l’ho ancora presentato? Oh, che imperdonabile errore! Provvedo subito.
Si chiama Mirko (sì, scritto con la kappa. Che tristezza!), ha 21 anni ed è un idiota. È colpa sua se penso che dopo la ventina il cervello umano invece di crescere, regredisca. Cavoli, lui ne è la prova vivente! Fa il deejay alla consolle della nostra giostra, dice a papà quali sono i dischi più fighi da comprare e provvede a mettere tutte le canzoni di tendenza a un volume tale da demolire i timpani. Gliel’ho ripetuto mille volte di non esagerare, ma è stato come parlare a un termosifone. Ha pitturato tutte le panchine ai lati della pista per scriverci frasi infelici del tipo “la giostra preferita dalle conigliette di Playboy” o “l’autopista delle grandi firme D&G” o ancora “la panchina dei single”.
Ora, in tutta sincerità a me sembrano cazzate mastodontiche. Sono convinta che se Dolce e Gabbana passassero un giorno da qui e vedessero cos’ha scritto Mirko, nel giro di due minuti ci farebbero chiudere baracca. Garantito. Per non parlare poi delle conigliette di Playboy! A parte il fatto che da piccola pensavo si trattassero solo di grandi coniglioni di peluche fatti apposta per i bambini e che mi ci è voluto un po’ per capire che invece si trattavano di ragazze…ehm, più o meno nude. Comunque questa è stata davvero la tamarrata più grossa che mio fratello abbia fatto fin’ora. Ma i ragazzi, a quanto pare, apprezzano. Tra lui e mio padre si alternano il posto al microfono per urlare cose senza senso. “Forza, ragazzi! Ci sssssiamoooo” o “Vai vai vai vai che comincia la festa!” o “Che gran figata!”
A volte mi sembrano scemi. Ma non me ne preoccupo mai troppo. Vanno così d’accordo che sembrano della stessa età. Io sono la pecora nera, invece; l’unica a pensare che la nostra giostra non sia nulla di così straordinario. In fondo, in un parco giochi ce ne saranno almeno altre 2 identiche…non capisco tutto questo grande entusiasmo da dove nasca. Ma la voce della verità(spesso mi piace chiamarmi così^^) è sempre messa a tacere, ecco perché mi ritrovo qui alla cassa.
“Oh, me ne dai uno?”
NO!!!!, gli vorrei urlare in faccia. Giusto per divertimento, solo per vedere l’espressione da pesce lesso tramutarsi in una di pseudo-sorpresa. Ma come al solito, gli rispondo svogliata: “Tre euro”
Oh, almeno questo me li ha dati precisi. Deo gratia! Sento quasi le campane suonare a festa…e dire che era uno dei peggior tamarri che avessi mai visto in vita mia. Cappellino sopra i capelli impomatati, felpa a stelle, jeans con due ali stampate sulle chiappe e scarpe argentate.
Stranamente, questo stile va molto di moda. Se getto un’occhiata ai lati della pista noto che bene o male sono vestiti tutti così. Le poche eccezioni sono rappresentate dai fighetti (termine giovanile per indicare i ragazzi vestiti bene, con golfino, camicetta, mocassini e pantaloni di marca).
Le ragazze invece…oh, ci potrei scrivere un saggio sul loro modo di combinarsi! Prima di tutto c’è da porsi un quesito: da quando i luna park sono diventati la succursale delle discoteche? Sinceramente non lo so. Per quel che mi ricordi io, è sempre stato così. Di conseguenza, vedo ragazze con minigonne inguinali, scollature vertiginose, tacchi a spillo di dieci centimetri, truccate come pornostar se non peggio. Come cavolo fanno a girare così? Con quelle scarpe sulla ghiaia che c’è qui intorno, poi… Di fatti ogni tanto ne vedo volare una a terra.
Io me la rido come una matta dalla mia postazione senza farmi vedere, mentre la tipa in questione si rialza traballante e con la faccia rosso porpora. Ben gli sta! Mai sentito parlare di scarpe a tennis? Io sto sempre con quelle e la mia tuta preferita, specie nelle serate di duro lavoro.
“Cioè, stasera so’ proprio in botta!”
“Sei ma il solito biscaro, altro che seghe!”
“Oh, bada com’è bona quella laggiù!”
“Che tette!!!”
Ehm…scusate? Mi spiace interrompere la vostra amabile conversazione, ma potreste gentilmente pagare? Questo branco di scimmioni (o gruppo di ragazzi, a voler essere buoni) mi sta già facendo girare le palle. Si sono posizionati qui davanti alla cassa a discutere, ignorandomi completamente.
Quando urlo “TRE EURO L’UNO!” allora si riprendono. Si cacciano le mani in tasca e ne estraggono una moltitudine di spiccioli che mi accatastano sul bancone. Noto che ci sono anche due bottoni e uno scontrino. Li devo prendere come omaggio? Con un’ironica occhiata di sufficienza do’ loro i rispettivi biglietti e li osservo appostarsi vicino alla pista. Quest’autoscontro sta diventando una cosa indecente: dovunque mi volto e mi giro vedo solo gente appollaiata ai lati o seduta sulle panchine (sedere sullo schienale e piedi al posto del sedere). Sembra un covo di avvoltoi o, volendo essere più poetici, il luogo dell’adunata per virgulti in cui soddisfare la giovanil libidine. Bè, quei due vicino alle casse lo stanno facendo di sicuro! Sono così attaccati che dubito abbiano respirato negli ultimi cinque minuti.
“Ciao bella, me ne dai uno?”
Di cosa, Mister Simpatia? Di scapaccioni nel muso? Prego, accomodati. Non aspettavo altro. Con un sorriso più falso del suo accetto i soldi e gli porgo il biglietto per i suoi tre minuti da sballo sulla nostra giostra. Il fighetto latin lover dovevo ancora trovarlo, stasera. Ma ormai, dopo aver girato tutta Italia sono ben allenata. Non ci casco neanche se mi fanno il sorriso smagliante o l’occhio languido. Qui non si fanno sconti a nessuno!
Ma perché non ci mettono un robot o una macchinetta al mio posto? Faremmo molto prima e io mi risparmierei questa incredibile scocciatura delle pubbliche relazioni coi nostri clienti. E invece no: qui confinata a sopportare fino all’inverosimile. Tuttavia ho imparato a divertirmi anche così. Mi accontento di poco io, che credete?
Ad esempio, una cosa che mi fa sempre ridere fino alle lacrime è vedere la gente che balla ai lati. Più che altro sballonzola, perché la maggior parte non ne è minimamente capace. I maschi sono i migliori in quest’attività; credo che perfino dei cyborg riuscirebbero ad essere più sciolti di loro. E pensare che si credono tanto fighi…ah, l’ingenuità!
Le femmine se la cavano un pochino meglio, se non sono in bilico su quei trampoli che loro chiamano tacchi a spillo. Quest’anno poi gli ci dice anche bene: quello scemo di Mirko ha avuto la geniale idea per l’innovazione che “cambierà il nostro futuro e ci farà diventare famosi!”. Testuali parole sue.
Tale idea meravigliosa proveniente dai suoi (due) neuroni consiste in una piccola pedana al centro della pista, con un palo in mezzo dove le ragazze possono andare a ballare. O meglio, a dimenare i loro cosi. Ma siccome in casa non avevamo un palo che garbo avesse e comprarne uno nuovo non c’era il tempo, ecco che ci hanno messo il cesto da basket che IO usavo per i miei tiri. In effetti un palo ce l’ha ma il risultato è davvero deprimente, poiché il cesto rimane lì abbandonato…e io ho perso il mio passatempo preferito. In compenso mi godo tutti gli pseudo-balli e strusciamenti delle pseudo-cubiste. Bè, sono soddisfazioni!
Mi sta venendo un sonno mastodontico. Le 11.30 si avvicinano e io comincio a perdere colpi. Sono pur sempre qui dalle 8, e che diamine!
Ma non mi è permesso sbagliare i conti, altrimenti i truzzoidi mi sfotteranno e mio padre si incazzerà come un rinoceronte con me. Questa stupida musica rintronante mi ha anche fatto venire il mal di testa; mio fratello invece è ancora lì con le cuffie e il microfono a far girare dischi. Ma che voglia ne ha?!?
“Tre euro, per favore”
Questo me ne ha dati dieci. Mio dio, ora sclero. Allora, il resto…cinque..no! Dieci meno tre quanto fa? Sette, e che cavolo! W la matematica. Ok, se n’è andato.
Scivolo appoggiata alla poltrona. Non ne posso più!!! Oddio, oddio, aspetta! Questa merita d’essere vista. Mi ritiro subito su, pronta e scattante.
Ragazza, capelli lunghi biondi raccolti in una coda, ma la cosa eclatante è l’IPOD NELLE ORECCHIE! Occhei, adesso le ho viste proprio tutte.
Comprendo l’amore dei giovani per la buona musica (attenzione, ho detto buona. Non quel pattume che ascolta mio fratello) poiché io stessa ne sono una grande appassionata. Ma le cuffie nelle orecchie! QUI! Dove abbiamo un impianto audio meglio che di un concerto a San Siro! È privo di qualsiasi senso.
La tipa non accenna a togliersi le cuffie neanche quando deve pagare e mi guarda con occhi interrogativi. Cosa vuoi che ti dica, bimba? Leggi il cartello alla mia sinistra, c’è scritto che il costo è di tre euro. Niente. Alzo allora tre dita della mano e finalmente mi paga Cos’altro le ci voleva per capire, i segnali di fumo?! A volte stento proprio a comprenderla, la gente.
Gesù, quelle ragazze sulla pedana mi fanno venire il voltastomaco. Spesso e volentieri mi vergogno io per loro! Qualcuno, per favore, può spiegare loro che si stanno coprendo di ridicolo? Anche se la maggior parte dei giovincelli non sembra pensarla come me. Le guardano tutti con la bava alla bocca, come tanti bietoloni dotati di un solo neurone sperso nella desolazione della scatola cranica.
Accidenti, stasera c’era pure un bel film in televisione!
“Mirko, ma quanto manca a chiusura?” dico sgomenta.
Ehi, buonanotte al secchio. Con tutto il caos che c’è e con quelle stupide cuffie nelle orecchie, figuratevi se mi ha sentito. Al colmo della disperazione gli scrivo un biglietto formato gigante e glielo passo. Lo vedo leggerlo con le sopracciglia aggrottate. Coraggio, fratellino, ho usato un linguaggio elementare. Puoi farcela!
Alla fine mi guarda e fa: “Boh? Resta qui finchè non viene papà”
Merda! Come minimo il mio vecchio si farà vivo solo tra una mezz’oretta-tre quarti d’ora. Però adesso non reggo proprio più!
Sfruttando i due secondi di silenzio tra una canzone e l’altra riesco ad urlare nelle orecchie di mio fratello che vado un attimo in bagno e che deve sostituirmi lui alla cassa. Non voglio sentire storie. Se c’è una cosa che si può dire di me è che quando ho un bisogno fisiologico lo devo soddisfare subito.
Mi allontano dall’autoscontro quasi correndo, anche se la musica mi rimbomba ancora nelle orecchie. Quando esco dalla meravigliosa quiete del bagno, vedo un gruppo di ragazzi litigare, a quanto capisco, per la damigella dei loro sogni. Date le parole “Stronzo!”, “Era la mi’ fia!” e “Cazzo, figa!” non ci vuole certo una laurea.
Ah, è bello avere degli amici! Io non ne ho mai avuti davvero. È un po’ difficile legare con qualcuno se fai una vita nomade come la mia. Nelle scuole ci sto come minimo due settimane, poi devo subito cambiare. Come riuscirò a farmi una cultura se non ho un corso di studi continuo e regolare?? La mia fine sarà quella di ereditare la nostra giostra? Oh, no. Col cazzo! A continuare le tradizioni di famiglia ci penserà mio fratello. Io voglio andare all’università e trovarmi un lavoro onesto e stabile. Odio spostarmi di continuo in su e in giù per l’Italia! E su questo non transigo.
Zigzagando tra la folla di beoti ecco che incontro mio padre. Oh, non sono mai stata così contenta di vederlo!
“Mery, che ci fai qui? Chi c’è alla cassa?”
“Ci ho lasciato Mirko, papà. Ero andata un secondo in bagno” rispondo paziente. Quest’uomo è di un apprensivo che porta via!
“Senti, papy, Mirko ha detto che potevo staccare quando arrivavi tu. Posso andare a casa?”
“Oh, si…suppongo di si. Prendi le chiavi”
Gliele strappo letteralmente di mano e corro via, stavolta sul serio. Ho sonno, ho mal di testa, ho sete e sono irritabile. Questo lavoro mi sta facendo diventare pazza! Un giorno o l’altro finirò a dormire a testa in giù come i pipistrelli.
Non pensate che non noti le occhiatacce di sbieco che le ragazze mi lanciano vedendo come sono conciata. In effetti, sembro la piccola fiammiferaia a un concorso di bellezza, ma me ne frego. Non me n’è mai importato un’acca di certe cose.
“Oddio, no! Ho perso il mio orecchino! Era quello con la perla, costato 90 euro!” sento dire a un certo punto.
Vedo un gruppetto di cinque ragazze subito affannarsi a cercare per terra come segugi. Si, bimbe, l’avete bell’e ritrovato un minuscolo orecchino in mezzo a questa ghiaia!
“Sicura che non c’è più? Magari è in borsa”
“Si, sono sicura! Cavoli, era costato 90 euro!”
Cristo santissimo, sono queste le cose che mi faranno spendere in futuro tutti i miei risparmi con uno psicanalista. Chiunque dotato di un minimo di cervello desidererebbe trasformare tutto ciò in un brutto sogno mai accaduto. Però prima dovranno riuscire a farmi impazzire completamente. E non è detto che ciò accada perché un giorno scapperò via da tutto questo e avrò una vita che sia mia.
Ve lo giuro!
 
 
 
  
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