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Autore: Alessia Heartilly    03/03/2011    1 recensioni
Il suo ricordo era una luce vaga, lenta e pigra, che lo accarezzava sul baratro del nulla.
(1° classificata al concorso "Nell'ombra" di True Colors)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seymour
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: lo dico proprio per scrupolo XD Ci sono grossi spoiler nel caso non aveste mai finito Final fantasy X.

FEEL MY PAIN
scritta per il 4° concorso "Nell'ombra" di True Colors

Il suo ricordo era una luce vaga, lenta e pigra, che lo accarezzava sul baratro del nulla.

Ci aveva messo così tanto ad accettarla - anni. Ci aveva messo tanto perché anche solo l'idea di quella morte oramai decisa, anticipata soltanto perché lui potesse essere sereno, gli aveva devastato l'anima d'orrore ed era stato un bambino solo, dopo tutto quello. Quanti anni aveva passato a Baji, con l'unica compagnia di pensieri cupi e di morte a scandire il tempo che passava. Non ricordava quando aveva iniziato a pensare che sua madre fosse stata egoista, e che suo padre fosse un vigliacco. Lo aveva pensato, però. E quando era tornato era stato solo a quello che aveva pensato, che sua madre era egoista e suo padre vigliacco, con l'idea che un uomo come Maestro Jyscal, padre incapace, non poteva guidare Spira verso la redenzione. Serviva di più. Serviva lui, così giovane e così oscuro, che sapeva bene cosa servisse a quel continente martoriato.

Ci rimuginava ogni giorno su quel piano maledetto e perfetto, continuando a recarsi a Baji, dove sua madre giaceva imprigionata nella statua dell'intercessore, per sentire se dall'animo di lei arrivasse qualche segnale. Ma non arrivava nulla. E sua madre non si faceva mai vedere da lui, che la cercava sempre come il memento di quello che lì aveva realizzato di dover fare: Spira doveva essere redenta attraverso la distruzione più totale e completa. E lui era destinato a compiere quella devastazione.

E aveva bisogno di potere - un potere che era a un passo da lui, che suo padre aveva ottenuto pur essendone indegno, senza rendersi conto dei bisogni e dei desideri di un popolo che giaceva da un millennio sotto il giogo di Sin.

Aveva bisogno di potere e solo in Anima, l'eone di sua madre, poteva trovare la forza che gli era necessaria. Era una forza fisica, tremendamente reale, la forza inarrestabile dell'Eone Supremo in grado di distruggere la corazza di Sin. Era la forza che aveva conquistato a Zanarkand, quando era tornato a parlare con Lady Yunalesca durante il bonacciale di Lord Braska, e si era fatto chiarire tutto quello che stava dietro al mistero di Sin. Tutto quello che Yevon celava dietro precetti e dietro sacrifici infiniti di invocatori e guardiani. Tutto quello intorno a cui l'intera vita di Spira ruotava senza sosta da mille anni: la morte.

Ci aveva pensato tanto, da bambino, chiuso nel tempio di Baji, eletto a sua dimora durante il suo esilio. Sua madre era stata disposta a diventare il suo Eone Supremo per un atto d'amore estremo nei suoi confronti, o per sfuggire alla malattia che la consumava da dentro? Da quando aveva scoperto che le restava poco da vivere, sua madre era diventata ossessionata dall'idea che lui continuasse a vivere lì, senza di lei, con un padre che a Guadosalam cercava di far accettare il figlio di un'umana al suo popolo. L'idea che suo figlio potesse continuare ad essere considerato un abominio da tenere lontano dalla terra pura dei morti l'aveva consumata quanto la malattia. E alla fine la decisione, unica, straziante, ancora stillante dolore a così tanti anni di distanza: si sarebbe votata a una morte infinita, la morte non-morte degli intercessori, per divenire l'Eone di suo figlio e distruggere Sin. E lui non l'aveva accettata in una ripicca forse infantile, nata dalla mente devastata di un bambino che voleva sua madre accanto, perchè essere esiliato e quasi ripudiato dal proprio padre era difficile da accettare. Negli anni di solitudine, era arrivato a pensare che quello di sua madre non era un sacrificio eroico: era l'egoismo di chi, trovatosi di fronte alla morte, decide la via più semplice. Sua madre aveva rinunciato alla sua vita non per lui, ma per poter godere, dopo, dell'eternità riservata agli intercessori e ai non-trapassati.

Era stato allora che la morte era divenuta, nella sua mente, soltanto un passaggio verso una vita più vera. Tornato a Guadosalam, la sua convinzione si era ingigantita, quando aveva osservato gli affanni dei vivi, in quel contrasto così pesante, quasi soffocante, con la pace dei morti. Allora aveva pensato che sua madre aveva capito il suo destino: aveva pensato che toccava a lui redimere Spira, spezzando per sempre il cerchio di Sin. Non ci sarebbe mai stata una redenzione totale finché il suolo veniva calpestato da umani, creature che sapevano macchiarsi di peccato anche inconsapevolmente. Il cerchio poteva spezzarsi solo quando qualunque creatura sarebbe stata cancellata da Spira.

Era tornato a Baji, allora, dove aveva fatto portare sua madre, divenuta pietra, e spesso aveva visitato il tempio rimuginando il suo piano così innocentemente diabolico. Spesso, aveva visitato il tempio perché il legame che lo univa con il suo Eone Supremo stava ancora lì, immobile nella sua mente, e si impossessava dei suoi pensieri, della sua concentrazione, del suo respiro, come un pungolo infinito alla sua indifferenza. Era come se sua madre fosse perennemente in lui, ancora viva, anche se per lui rappresentava soltanto il potere infinito dell'Eone Supremo da scagliare in battaglia.

Era andato a Zanarkand, alla fine, in un pellegrinaggio senza guardiani. Aveva varcato la soglia del duomo, oltrepassato il chiostro della prova ed era arrivato davanti a Lady Yunalesca, identica nella morte al giorno in cui aveva rapito la vita dal corpo di sua madre. Le aveva parlato, allora, dell'Eone che aveva creato anni prima, e che giaceva nella statua dell'intercessore, a Baji, pronto per distruggere Sin con la luce dell'amore che la donna diventata Anima aveva avuto per suo figlio.

L'Eone che lui aveva accettato solo quasi vent'anni dopo.

Era stato allora che i misteri di Yevon, il ciclo infinito di Sin, la coltre di morte che avvolgeva Spira gli si erano dispiegati davanti agli occhi. Il popolo che viveva nell'ignoranza della vera natura di Sin non avrebbe potuto capire il moto di gioia del suo cuore. Era ancora possibile, allora, redimere Spira fino alla purezza incontaminata che lui voleva creare - che lui era destinato a creare. Il sacrificio di sua madre, il sacrificio della propria vita, del corpo e dell'anima, che veniva inumanamente chiesto solo agli invocatori e ai loro guardiani, la speranza che teneva in piedi i pellegrinaggi e riempiva il Monte Gagazet di mostri nati dalle anime degli invocatori morti senza trapasso...tutto quello tendeva a quel preciso istante, in cui lui, ascoltando Lady Yunalesca, aveva avuto la certezza che la purezza in grado di sconfiggere Sin era proprio quella di Sin.

E lui avrebbe redento Spira - avrebbe purificato Spira, donandole una nuova vita nella morte, incarnandosi nel nuovo Sin. Doveva solo diventare l'Eone Supremo di un'invocatrice attenta ai protocolli e rispettosa dei precetti, che adorava il popolo di Spira al punto da sacrificare senza indugio la sua vita. Bastava aspettare.

Ricordava che quel giorno aveva attraversato il Bosco di Macalania e quando era stato attaccato, aveva desiderato soltanto sentire l'odore del sangue delle creature che gridavano la loro morte finale. Aveva invocato, sentendo la sensazione stranissima e avvolgente di sua madre che tornava, spalancando le porte sull'abisso della sua morte infinita e senza tregua, e aveva mostrato alle anime divenute bozzoli d'odio che il suo dolore di bambino, la sua determinazione di giovane uomo, e la purezza dei suoi intenti avevano una potenza invincibile e inarrestabile.

Più tardi, alla sua residenza, seduto a cena con quel padre così disprezzato e odiato, si era sentito di nuovo in quel duomo pieno di ricordi, di morti inutili, di lunioli che si riaccendevano in un palpito breve e doloroso, e aveva capito che la vita su Spira valeva poco, pochissimo. Era molto più importante la morte, con tutti i misteri che si portava appresso, diventando così seducente ai suoi occhi. Guardava suo padre e si chiedeva se lui, pur conoscendo la spirale eterna a cui era condannata la popolazione che lo ammirava, riuscisse ancora a sperare che un giorno qualcuno avrebbe sconfitto Sin abbastanza da non farlo tornare mai più. Guardava suo padre e sentiva un sorrisetto accarezzargli le labbra, perché gli anni dell'esilio gli avevano costruito intorno una fortezza inespugnabile e Jyscal non poteva leggergli nell'anima. Non poteva vedere l'abisso vuoto e spento di cui si nutriva, non poteva vedere il buco nero che inghiottiva potere e ne voleva sempre più.

Jyscal, ironicamente, non avrebbe mai saputo che sua moglie, un'umana sposata un po' per amore e un po' per il desiderio di avvicinare i Guado al mondo, sarebbe potuta essere un nuovo Sin.

E Jyscal non avrebbe mai saputo che il prossimo Sin sarebbe stato suo figlio, perché quella notte gli avrebbe affondato un coltello nel petto, lo avrebbe osservato morire, avrebbe ignorato le sue ultime, stupide e inutili parole e lo avrebbe trapassato, inviandolo nella vastità sterminata dell'Oltremondo, da dove non sarebbe potuto uscire e da dove non avrebbe rivelato più alcun segreto.

*~*~*~*~*

Scendendo dalla nave accanto a Maestro Mika, e osservando la folla che li attendeva a Luka e che lo accoglieva come nuovo - e degno - maestro di Yevon, si chiese se non fosse il caso di recitare la parte del figlio devoto addolorato dalla morte del padre. Ma i suoi occhi si posarono su una giovane donna che emanava il profumo stantio dell'invocazione: il suo naso di Guado l'aveva riconosciuta. Quella ragazza era come lui: una mezza umana e una mezza Albhed, tradita dal suo occhio verde smeraldo come lui lo era dalla sua bianca pelle umana. Sorrise, la ragazza sussultò.

Era la donna del suo destino. Lo sentì nel fremito di Anima nella sua mente, che gli scivolava nelle vene e che gli permase addosso, come un velo di malvagità innocente, quando ordinò alle sue guardie di liberare i mostri nello stadio a fine partita. Lui avrebbe liberato il dolore vacuo imprigionato dalle catene del suo Eone - così potente, così invincibile, così inarrestabile.

*~*~*~*~*

Era come una costrizione infinita quella che gli lacerava la testa. Zanarkand era apparsa agli occhi di Lady Yuna e dei suoi guardiani, stupendoli della sua magnificenza meccanica che non dormiva mai. Lì, Sir Zaon aveva raggiunto Lady Yunalesca, rivelandole in un abbraccio che la loro città era perduta e che un mostro sorgeva dalle acque, invocando in continuazione e distruggendo ogni traccia di macchina al suo passaggio. L'umanità si sentiva empia, gli invocatori cantavano l'inno dell'intercessore, e altri chiudevano gli occhi, imprigionati nel Gagazet a sognare la loro città perduta.

Aveva accolto l'imbarazzo e il rossore della sua futura sposa come il segno definitivo che persino nei templi la popolazione era troppo stupida per accettare la verità: che Sin era invincibile, la morte inarrestabile e che solo la fine della vita terrena apriva le porte all'eternità senza pene della vita di un corpo fatto solo di lunioli. La morte era un dono concesso all'umanità, perché la sua natura fallace e caduca non fosse più un ostacolo alla felicità. Che cosa regalava, Spira, ai suoi abitanti? Terrore, paura, la necessità di spostarsi da un luogo all'altro per sfuggire a Sin, l'affanno e il dolore, la brama di potere, la smania di vivere. La morte invece, eterna, insopprimibile, meravigliosa, non conosceva distinzioni. Era un dono elargito all'umanità perché trovasse pace. Sua madre l'aveva capito, anni prima, rendendosi un Eone eterno e tormentato. Lui l'aveva capito.

Ma ora Anima gli pungolava la mente, come se solo allora lo spirito di sua madre si fosse risvegliato e cercasse invano di regalargli una speranza. Forse anche sua madre era stata una sciocca: donandosi a Lady Yunalesca, non gli aveva forse detto che solo così l'avrebbero accettato? Che sciocca era stata. Che ingenua. Ma andava bene così, perché gli aveva regalato un potere inestimabile ed era quello che contava, quello che gli permetteva d'essere dov'era, quello che aveva stupito e affascinato la folla.

Era stato Anima, l'Eone mostruoso del dolore, a sedurre Spira.

Il pungolo gentile e incessante di sua madre si interruppe solo quando i guardiani di Lady Yuna irruppero nella sala. Con la mollezza che gli era sempre appartenuta, aveva chiesto silenzio: la preghiera dell'invocatore, la preghiera che schiudeva il mistero della morte perché penetrasse quello della vita, non poteva essere disturbata così rudemente. Ma quello stupido abitante di Zanarkand, sciocco sogno inesistente, non lo capiva, non l'avrebbe mai capito. Chi non viveva non poteva comprendere il potere della morte, la sua presenza invisibile ed eterna, il suo incessante accarezzare l'umanità con la sua falce affilata.

Quello che successe dopo gli sembrò così veloce e inutile, un ostacolo da eliminare. Lady Yuna era, evidentemente, troppo innocente per essere la donna del suo destino, l'invocatrice che l'avrebbe reso l'ultimo Sin di Spira. Né lei, né i suoi guardiani potevano capire che la morte di Jyscal non era nulla che andasse punito. Jyscal era solo una pedina scomoda, e lui l'aveva eliminata perché era quello il suo destino. Ma poi il pungolo divenne sempre più forte, le sue guardie caddero, vinte, ai suoi piedi, le forze sembravano abbandonarlo e più tardi si sarebbe vergognato di quel momento in cui la vita gli si era attaccata alle viscere e aveva tentato disperatamente di vincere i suoi avversari.

Aveva invocato, con uno scintillio malvagio negli occhi, il suo unico Eone, pensando che era strano aver ottenuto un Eone Supremo senza averne accolti altri, dentro di sé. Aveva invocato e il legame sacro che avrebbe potuto uccidere Sin era sembrato bruciargli le sinapsi, perché Anima veniva soggiogato dalle catene, il dolore si faceva bestia, conficcato per metà nel regno dei vivi e per metà in quello oscuro dei non morti, e nel suo cervello sua madre piangeva per quello che aveva fatto al suo bambino, con la malattia che si divorava il suo corpo, con il suo sacrificio inutile - inutile come quello di migliaia di guardiani, invocatori e miliziani in quei mille anni di Sin.

Urlò, allora, che i suoi nemici avrebbero sentito il suo dolore - il suo dolore di bambino solo, di uomo redento, e di assassino innocente - sulla pelle e nell'anima.

Ma quando Anima cadde sotto ai loro colpi e l'ultimo fendente uccise anche lui, leader dei Guado e Maestro di Yevon, capì che anche quello era il suo destino - diventare Sin prendendo familiarità con la morte.

E quando riaprì gli occhi sulla vastità immensa e scura della morte, non badò al fatto che sua madre non c'era più, nella sua testa, e che in quel momento era davvero solo: sentì solo l'urlo, liberatorio e agghiacciante, dell'umanità che si redimeva nell'ombra.

*****
Note dell'autrice: ok, è totalmente diversa da come doveva essere negli intenti, e non so se è una buona cosa XD
Comunque, qualche noticina: le informazioni riguardanti Seymour e sua madre le ho trovate sulla Wikipedia inglese (a questa pagina), che le indicava come traduzioni dall'Ultimania (guida ufficiale edita solo in Giappone). In particolare, la malattia della madre di Seymour, l'esilio a Baji, le dinamiche del suo diventare Anima e della sua accettazione sono indicate in quella pagina (che consiglio di visitare per avere un'idea del background di questo personaggio).
Per il resto: in inglese, in FFX, gli invocatori vengono indicati come "Lord" e "Lady", e Yuna chiama Auron "Sir". Ho usato queste formule perché credo che il rispetto di cui godono invocatori e guardiani su Spira non sia stato ben espresso nella traduzioni italiana del gioco.
Ringrazio crimsontriforce perché questa storia è nata grazie al suo contest su True Colors, e Idreim perché l'ha betata *_*
Al solito, commenti e risposte a domande, dubbi e critiche sul mio blog Wide Awake.

   
 
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