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Autore: Alessia Heartilly    03/03/2011    0 recensioni
L’importante era che Sin era ancora lì, che aspettava che fosse lei a farlo sparire per sempre, con la sua asta da invocatrice che dispensava per lo più guarigioni.
[Storia seconda classificata alla Sesta Sfida di True Colors, Non-esistenza]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Lulu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Final Fantasy X e i suoi personaggi sono proprietà Square-Enix, e vengono qui utilizzati senza nessuno scopo di lucro. Nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

GUARDIAN
I. Il Caduceo

Ginnem era una figlia di Sin. Si chiamavano così, a Besaid, i bambini a cui Sin aveva portato via i genitori. Molti di loro nemmeno li avevano conosciuti, e nessuno, comunque, li ricordava più. Ginnem era arrivata a Besaid in fasce, dopo l'ennesimo attacco, ed era stata consegnata al tempio perché non c'era una famiglia che potesse permettersi di occuparsi anche di lei, ognuno alle prese con le proprie ferite, con i propri fantasmi, con i propri morti.

Ginnem era cresciuta respirando le erbe che bruciavano nei bracieri dei templi, sempre accese sotto alle statue imponenti dei Grandi Invocatori che avevano liberato Spira dalla morte. Era cresciuta con gli insegnamenti, con la disciplina, e quando aveva deciso di essere un'invocatrice nessuno si era stupito. Nessuno sapeva cosa covava dentro di lei, la sera, quando si coricava nel suo lettuccio e pensava che, forse, lei avrebbe potuto spezzare il cerchio. Nessuno immaginava davvero perché volesse spezzarlo, quel cerchio; la osservavano aggirarsi con l'asta da invocatrice, le permettevano di curare ferite gravi e superficiali, la salutavano rispettosi e accettavano l'idea che, se si cresce un tempio che straripa di Yevon, se Sin ti ha portato via i genitori da piccola, è anche normale volere sacrificare la vita per salvare Spira.

Ginnem non desiderava questo, però. Per anni era rimasta nel tempio, aveva osservato invocatori più o meno conosciuti, più o meno capaci, entrare nel chiostro della prova e uscirne sconfitti. O forse erano stati sconfitti dopo, non aveva importanza. L'importante era che Sin era ancora lì, che aspettava che fosse lei a farlo sparire per sempre, con la sua asta da invocatrice che dispensava per lo più guarigioni. Ginnem sperava di spezzare per sempre il cerchio, levare per sempre dai templi i figli di Sin, e dare ai bambini i ricordi dei genitori. Voleva che nessuno dovesse sentirsi come si era sentita talvolta lei, sempre di troppo, a disagio, non voluta, con ferite sempre aperte che sanguinavano dietro ai sorrisi. Per lei non c'erano aste da invocatrici che potessero far magicamente sparire tutto.

Si diceva, quando si coricava la sera, dopo lo studio e la preghiera, che lei era figlia di Sin perché doveva essere lei a ucciderlo. E pensava 'ucciderlo', anche quando il pudore, sulle labbra di sacerdoti e invocatori, dipingeva solo la parola 'sconfiggere'. Covava risentimento? Cercava vendetta? A volte si sentiva solo una bambina, che piangeva genitori sconosciuti, e che non sapeva come scrollarsi quell'indicibile nostalgia di dosso se non diventando invocatrice.

*~*~*~*~*

Quando finalmente giunse per Ginnem il momento di affrontare il chiostro della prova, non aveva ancora scelto un guardiano. Fino ad allora, l'idea del pellegrinaggio era stata solo accarezzata, e il suo unico conforto, nei lunghi giorni di allenamento e studio, erano stati i sorrisi riconoscenti di coloro che aveva guarito, a cui aveva rivolto una gentilezza, e di coloro che le dicevano, sicuri, che lei li avrebbe salvati tutti, e avrebbero per sempre lucidato la sua statua, nel tempio di Besaid, anche quando Sin sarebbe stato solo un ricordo opprimente e lontano.

Rimuginava e rimuginava, ma non riusciva a trovare una soluzione, perché aveva stretto rapporti così superficiali che non sapeva a chi avrebbe potuto affidare la sua vita. Ma un giorno qualcuno la chiamò, con voce sommessa, fuori dalla sua capanna, e quando scostò la tenda per vedere chi era, si trovò di fronte Lulu. Spettinata, con gli occhi rossi, sconvolta, ma con un alone di determinazione che fece scattare in lei una molla insopprimibile di ammirazione. "Ho sentito che partirete per il pellegrinaggio," aveva detto Lulu, con la gola piena di lacrime represse, "vi prego di farmi l'onore di essere vostra guardiana."

Da quella donna spirava così tanta insicurezza e così tanta debolezza che Ginnem si sentì incredibilmente affascinata. L'onore era accordato.

*~*~*~*~*

I giorni dell'allenamento furono così gioiosi che anche da non trapassata, pur con tutta la rabbia e il risentimento, Ginnem li ricordava con un sorriso tenero di rimpianto. Lulu aveva sempre quell'aria di sicurezza e determinazione e la faceva sempre sentire così protetta, che non dubitò nemmeno per un momento d'aver scelto il migliore guardiano possibile. La trovava ancora, a volte, spettinata e con gli occhi rossi, ma c'era una luce in quello sguardo che sapeva farla tremare d'invidia.

Quando furono pronte per il chiostro della prova, Lulu si fermò sugli scalini che portavano al labirinto, e chiese a Ginnem se davvero era quello che voleva. E Ginnem immaginò la forza degli Eoni dentro di lei, la forza del dolore che le scorreva nelle vene, e Sin che cadeva, ai suoi piedi, e la gioia di quella liberazione così profonda e significativa per se stessa, per il mondo intero, per tutta quell'umanità falciata e per quella che dormiva terrorizzata, la notte.

"Sì," aveva detto, impugnando forte la propria arma. "Tu lo sei, Lulu?"

Non c'era stata risposta. Ginnem non aveva saputo interpretare il luccichio dello sguardo con cui Lulu era entrata nel chiostro della prova.

*~*~*~*~*

Il pellegrinaggio si era rivelato durissimo, e la presenza di Lulu al suo fianco era stata l'unica cosa che l'aveva consolata, a volte. Come era debole, in confronto alla maga nera che la proteggeva! Come era stata sciocca a pensare che le sue capacità di guaritrice sarebbero bastate! Ginnem aveva l'animo puro, ma il fisico debole, troppo debole. Le battaglie occasionali la fiaccavano nel corpo e nello spirito; il pensiero di quelle anime incapaci di avere riposo dopo una vita nell'affanno di Sin le serravano la gola in una morsa di pianto. Non aveva mai nemmeno celebrato un Rito del Trapasso; osservava i mostri che conoscevano la potenza di Lulu, si sentiva pungere gli occhi, e si sentiva sopraffare dalla pietà, dalla tristezza, dalla speranza di non diventare uno di quei bozzoli di dolore che sbarrava la strada all'invocatrice e alla sua guardiana.

Ma poi sorrideva, sapeva che non sarebbe successo.

Lulu l'avrebbe protetta.

*~*~*~*~*

Scendeva la notte, su Spira, quando l'invocatrice e la sua guardiana giunsero ai margini della Piana della Bonaccia. La stanchezza del viaggio, delle battaglie in quella distesa quasi infinita, le continue magie di guarigione a cui Ginnem aveva dovuto ricorrere stavano avendo la meglio sulle due viaggiatrici. Stanche e affamate, cercavano un riparo per la notte, quando notarono una stradina che scendeva al di sotto del ponte che avrebbero dovuto attraversare.

"Forse c'è una grotta, potremmo provare a passarci la notte," aveva detto Lulu, e come ringalluzzite dall'idea del riposo erano scese a perdifiato per la stradina, sentendosi incredibilmente fortunate quando scoprirono che c'era davvero una grotta.

Erano entrate, e si erano stupite della massa di lunioli che vagava nell'aria. Poco dopo altre battaglie più o meno bizzarre le avevano costrette alla fuga, e avevano deciso di rimandare la visita alla grotta la mattina dopo. Quei lunioli, quei mostri così feroci, non promettevano nulla di buono. Meglio riposarsi, si dissero, e affrontarli domani. Che tesoro celava la grotta?

*~*~*~*~*

L'espressione sul viso di Ginnem era impagabile, e a Lulu era sfuggito un sorriso quasi materno: avevano trovato per puro caso un intercessore, ed erano riuscite ad ottenere il favore di Yojimbo. Erano appena uscite dal naos dell'intercessore, quando un'anima maledetta le aveva attaccate: ed era così feroce e resistente che sembrava che nulla potesse distruggerla. Lulu era inginocchiata, stremata dalla battaglia che consumava tutta la sua forza magica, stremata dallo sforzo di intuire quale magia potesse sconfiggerlo, quando Ginnem commise l'errore che le fu fatale: si preoccupò di difendere la sua guardiana, scordandosi che nel mondo di Spira era il guardiano a dover morire per il suo invocatore.

La sua asta aveva scoccato l'ultima magia bianca della sua vita: aveva sentito quel flusso benefico correrle dentro, attraversarla fino a liberarsi dalle sue dita alla sua asta alla sua guardiana, unica amica in una vita di solitudine. Sentì la magia scorrerle fuori nello stesso momento in cui l'artiglio del mostro d'odio che aveva di fronte le affondò nello stomaco, togliendole qualsiasi forza per curarsi, per pregare che l'Eone accorresse in suo aiuto; e cadde a terra, osservando Lulu che la osservava e non sapeva cosa fare, se fuggire, o rimanere e condannare entrambe.

Alla fine Ginnem annuì, perché era quello che si aspettava da lei - che si sacrificasse. E lo fece.

Riuscì a vedere, poco prima che un nuovo artiglio le annebbiasse gli occhi, la gonna scura di Lulu che arrancava fuori, verso la vita, verso la luce.

*~*~*~*~*

Il rumore dapprima la confuse. Non era abituata alla presenza dei vivi; i mostri e i lunioli erano stati la sua unica compagnia, in quei mesi. Quelle voci umane la spaventavano, la innervosivano, e sentiva un alone di familiarità che le chiudeva lo stomaco in un'emozione sconosciuta.

Poi la rivide: era la stessa gonna che aveva visto arrancare via, la stessa gonna che avrebbe dovuto rimanere a terra mentre lei fuggiva, la stessa gonna che l'aveva, a volte, guidata per i misteri di Spira.

Il suo stomaco si riaprì, e lei si sentì in un momento irradiata di rabbia, così forte e incontrollabile che il suo corpo si ricompose e sembrò quasi reale anche ai suoi stessi occhi. Lei era abituata a vedersi come un turbine di lunioli, illuminata di pace, incapace di lasciare quel mondo perchè non c'era Trapasso, per lei, e insieme qualcosa la teneva legata lì, come una scia di rimpianto, di nostalgia, una colpa che la incatenava alla terra.

Quando Lulu le si parò davanti, con quell'espressione quasi meravigliata, quasi triste sul volto, si abbandonò a quello che la agitava, accantonando tutto ciò che di umano resisteva in lei. Era ancora debole nel corpo e nell'anima, e quando la sua rabbia materializzò Yojimbo, al suo fianco, solo un pensiero la percorreva tutta.

Non avresti dovuto permettermi di essere debole.

"Perdonatemi. Ero troppo giovane."

Non avresti dovuto permettermi di essere debole.

"Non c'è più nulla di umano, in voi?" E la sua voce sembrò trapassarle l'anima, toccare un po' quelle corde che l'avevano fatta sorridere e ridere, nei giorni felici di Besaid, ma che ora non poteva più sopportare di sentire, anche solo di avere.

Non avresti dovuto permettermi di essere debole.

"Permettetemi di assolvere il mio dovere. Il mio ultimo dovere come vostra guardiana."

E la lasciò fare, perché era la sua guardiana, e perché era debole e quella era l'unica protezione che conosceva. La sua rabbia resistette, cercò di combattere, ma alla fine lei era così stanca che si sentì semplicemente cedere.

Poi tutto si fece nebuloso, e non riuscì a capire, e si ritrovò di nuovo sconfitta, in ginocchio, con la tensione della magia che la percorreva, con gli ordini urlati a Yojimbo nella profondità della sua mente senza voce, con il fremito della rabbia che snocciolava debolezze mai accettate. Era Lulu che voleva punire, o solo se stessa? Non era forse servita a qualcosa, la sua inutile vita, se adesso Lulu sapeva affrontare, e proteggere, e lenire, e curare?

Lulu era stata la sua unica amica - eppure la sua debolezza avrebbe voluto stroncarla.

Nella nebbia che la avvolse nel momento del Trapasso, vide tutto con più chiarezza - erano state solo due bambine, troppo giovani per quel viaggio, troppo deboli, troppo distanti e diverse. E poi Lulu raccolse la sua asta, così simile a un caduceo, così in grado di guarire ogni ferita, e la consegnò a Yuna, mentre guardava lei, che svaniva a poco a poco nell'Oltremondo. I suoi occhi parlavano di tristezza, di rimpianto, di debolezza vinta.

Non fallirai, stavolta, pensava Ginnem, con l'anima che si riempiva poco alla volta dell'incanto di quel mondo di morti, hai compiuto il tuo dovere.

*****
Nota dell'autrice: storia scritta per il concorso di True Colors, dedicato alla Non-esistenza, in cui mi sono classificata al secondo posto *_* Grazie a Idreim e DefenderX per il betaggio e i consigli.
Come sempre, trovate tutte le risposte ai commenti sul mio blog Wide Awake.

   
 
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