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Autore: DazedAndConfused    04/03/2011    8 recensioni
-Ragazzo, mi daresti una mano con la cerniera?-
John distolse lo sguardo dalle pareti rivestite in legno e si diresse verso la voce che l’aveva chiamato, allentandosi un po’ la cravatta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Lennon
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Your skin and bones turn into something

beautiful.

 

 

 

-Ragazzo, mi daresti una mano con la cerniera?-

John distolse lo sguardo dalle pareti rivestite in legno e si diresse verso la voce che l’aveva chiamato, allentandosi un po’ la cravatta.

Scostò con la mano quelle poche ciocche ramate che erano sfuggite dalle dita della ragazza, e indugiò sulla cerniera; non appena questa fu abbassata del tutto, scoprì una schiena bianca, quasi di marmo, non fosse stato per la miriade di lentiggini che la costellava.

John si trovò a pensare che quello fosse uno degli spettacoli più belli a cui avesse mai assistito: le lingue di fuoco che le fluttuavano morbide intorno al viso contrastavano con la stoffa scura, e l’opera era completata dalle efelidi che, come stelle, parevano splendere in un cielo irrealmente chiaro, quasi lattiginoso.

Tracciarle un arabesco immaginario sulla pelle fu un gesto puramente meccanico, così come il tremare della ragazza sotto il suo tocco.

Quest’ultima si voltò a fissarlo prepotentemente, gli occhi scuri con un velo interrogativo, il naso arricciato che sottolineava ancor di più le lentiggini.

-Cos’è, devo prenderla come un’avance?-

La sua voce, seppure un po' rotta dall’imbarazzo, risuonò comunque autoritaria per tutto l’appartamento, ancora vuoto per via del recente trasferimento.

Al contrario, John non riusciva a spiccicare parola; gli pareva di aver perso l’uso della lingua, così stette un po’ lì, a sostenere lo sguardo perentorio della giovane, fin quando i suoi occhi nocciola non ressero più e dovettero concentrarsi sulle venature delle pareti, onde evitare l’arrossimento delle guance che era prossimo ad arrivare.

Il fruscio del vestito scivolato in terra lo fece ricredere e gli mostrò il corpo della giovane, in tutto il suo splendore.

Non se lo fece ripetere due volte.

 

 

Ogni volta in cui le loro labbra si separavano, John si riprometteva mentalmente di chiederle il nome, e ogni santissima volta doveva rimandare i suoi intenti, dato che la bocca della ragazza continuava a cercare insaziabile la sua.

Le sfiorò con le dita ogni singola vertebra, forse con la mera speranza di poterle lasciarle un segno di cui si sarebbe potuta ricordare il giorno dopo, forse per accertarsi che non fosse frutto della sua fantasia o di un viaggio finito male.

Ma il profumo… Poteva, un profumo simile, essere soltanto un’invenzione della sua mente?

Eppure lui lo poteva sentire mentre si faceva prepotentemente strada tra le sue fibre, sino a giungere ai polmoni, lo poteva sentire vibrare di fragole, notte e vento.

 

E fu così che quella notte John andò a letto con una ragazza di cui non conosceva il nome.

Non che fosse una novità ma, per la prima volta, gli dispiaceva non poterlo sapere, ed era totalmente consapevole del fatto che la mattina seguente si sarebbe mangiato le mani per non averglielo chiesto.

 

 

Il raggio di luce che filtrava dalla persiana lo colpì dritto in faccia, facendogli arricciare il naso prima e tirare una mezza bestemmia dopo.

John aprì a fatica gli occhi, sbattendo più volte le palpebre, e la prima cosa che vide fu il suo inseparabile cappello, che si trascinava appresso dalle riprese di A Hard Day’s Night, sul comodino.

La seconda cosa che i suoi occhi misero a fuoco fu il suo riflesso nello specchio, il riflesso di un ragazzo che aveva passato una notte piuttosto movimentata e che ora si apprestava ad alzarsi da quel letto sfatto e vuoto.

Vuoto.

-Cazzo, la ragazza!- imprecò, alzandosi con foga e cercandola nel bagno; ritornò nella piccola camera con il capo chino, cercando di fare mente locale su quello che gli aveva raccontato la sera prima, mentre stavano bevendo vino sul tappeto.

Ricordava poche parole, forse lei gli aveva detto che sarebbe dovuta andare a lavoro, ma poi era saltata fuori con quella storia che il legno delle pareti era pregiato e lui l’aveva provocata dicendo che era soltanto segatura, e così avevano finito con il discutere animatamente e abbandonare l’argomento precedente.

John se ne andò in cucina in cerca di un po’ di caffè, ma in quella casa pareva non abitarci nessuno, così decise di optare per una capatina al bar all’angolo, anche se questo significava doversi lasciare alle spalle quell’appartamento e la sua proprietaria.

Con lo sguardo cercò velocemente la giacca, che giaceva in un angolo, dato che non c’era nemmeno una sedia su cui appoggiarla, quando vide qualcosa di chiaro sul tavolino, che da lontano aveva tutta l’aria di essere un foglietto.

Lo prese in mano e lesse le parole scritte con una bella calligrafia rotondeggiante:

 

L’uccello è volato via.

 

Istintivamente lo sguardo gli cadde sui pantaloni, ma poi si sbatté la mano in fronte e rise forte, prima di accorgersi della lettera che c’era alla fine, una N piuttosto grande.

Si cacciò il messaggio in tasca e, mordendosi un po’ il labbro, cercò il blocco notes che portava sempre con sé.

Strappò un foglietto, vi scrisse qualcosa molto velocemente e ci poggiò sopra un bicchiere per tenerlo fermo; poi, quando fu sulla soglia dell’appartamento, stette a rimirarlo un altro po’ per l’ultima volta e, profusosi in un inchino, si chiuse la porta bianca alle spalle.

 

 

 

 

La porta si aprì cigolando, dandole così modo di scalciare le scarpe verso un punto indefinito; entrò con passo lieve e gettò le chiavi sul tavolo, per poi dirigersi verso la camera da letto.

Si bloccò a metà strada, camminando a ritroso verso il cucinino: il foglietto che aveva lasciato la mattina non era mica giallognolo?

 

È legno norvegese, vero?

 

La ragazza guardò fuori dalla finestra e, percorrendo il profilo del porto con lo sguardo, sospirò.

-Segatura, vecchio mio. È solo segatura.-

Sorrise e strinse il foglietto a sé, mentre a qualche chilometro di distanza un ragazzo stava contando le sue stesse stelle, ripensando a quelle che aveva potuto toccare con mano la notte prima.

 

 

 

 

 

 

Liberamente ispirata a Norwegian Wood.

 

 

 

 

 

Isn’t it good?

Buondì to evribadi; sarò breve e indolore (spero).

Volevo solamente ringraziare Thief_ per avermi sostenuto: so che questo scritto non è un granché ma lei mi ha convinto a pubblicarlo u.u

Per questo vorrei ringraziarla di cuore, perché mi sopporta ogni giorno ed è sempre buona e cara avec moi <33

Bene, ora lo spazio tendresse è finito.

Perdonatemi ancora per ‘sta cosa e, se avete un po’ di pietà, recensite pure ^^

Peace&Love,

 

Dazed;

   
 
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