La
storia che mi appresterò a raccontare non troverà posto
fra le memorie che sono solitamente portato a pubblicare, ma il bisogno
di
trascriverne il ricordo è in me troppo forte, per quanto essa possa
apparire
incredibile e indicibilmente folle. Il lettore, se mai ve ne sarà
uno, penserà
che abbia perso il senno. Ma vi prego di credermi se vi dico che ogni
singolo
fatto trascritto tra queste pagine ha avuto realmente luogo e che anche
io, se
non l’avessi visto coi miei stessi occhi, stenterei a crederne
l’autenticità.
Tutto ebbe inizio in una fredda mattina di Febbraio. Il mio
amico Sherlock Holmes ed io ci stavamo accingendo a tornare a Baker
Street, dopo
aver portato a compimento un caso che si era rivelatosi a sfondo
passionale.
Sherlock Holmes discorreva vivacemente sulla sua teoria, ormai
rinomata, riguardante le emozioni e della
loro, per così dire, influenza negativa sulla mente umana, ed in
particolar modo
di come i sentimenti ci portino ad agire contro quella rigida morale a
cui
siamo così strettamente attaccati quando siamo ancora consci di noi
stessi e
non succubi di qualcun altro. Spesso, durante la nostra convivenza,
Holmes mi
aveva accusato di essere troppo sentimentale e di lasciarmi trasportare
eccessivamente dalle emozioni. Era vero, su questo non avevo niente da
obbiettare, ma sentirlo dar giudizi gratuiti su qualcosa di
cui, fondamentalmente, conosceva poco o nulla, mi punse sul vivo. Gli
dissi che
non ero d’accordo e che non poteva dar per scontato che fossero
qualcosa di sbagliato
solo perché ne aveva visto solamente il lato negativo.
“Mio caro Watson” Mi rispose, sorridendomi compiaciuto.
“Ancora una volta ha dimostrato di essere un inguaribile
sentimentalista.”
Feci per ribattere, ma la mia attenzione venne colta dalla
presenza di una donna, che avanzava lentamente verso di noi. Aveva
capelli neri
come la pece e occhi come lapislazzuli, che brillavano di una strana
lucentezza.
Le sue vesti mi suggerirono che si trattasse di una zingara, nonostante
fosse
una donna di bell’aspetto e grande accuratezza. Questo fu ciò che io
vidi, ma
Sherlock Holmes doveva aver notato ben oltre. Si fermò davanti ad ella
non
ostentando alcuna espressione, mentre lei sorrideva amabilmente, tenendo
le mani
intrecciate dietro la schiena e facendo dondolare la larga gonna.
“E così lei non crede nelle emozioni.” Esordì a un tratto.
“Non crede di essere affrettato nelle sue conclusioni? Eppure lei è
famoso per
le sue indiscutibili considerazioni.” Sorrideva ancora, passando lo sguardo da me a
Holmes con studiata lentezza.
“Mi spiace deluderla, ma la mia non è assolutamente un
conclusione azzardata. Sono ben conscio e convinto di quel che
affermo, poiché
sono stato spesso spettatore di ciò che i vostri beneamati sentimenti
son la
causa.”
“Lei è in errore, Mr. Holmes. La causa non è il sentimento, ma
l’uomo che ne fa uso errato o che ne abusa.”
“Ciò ci porta comunque alla conclusione che è l’emozione a
provocare un tale cambiamento in un uomo da portarlo a commettere un
crimine.”
“O a diventare un uomo migliore.”
“In tutta onestà lo trovo improbabile.”
“Perché mai?”
“E’ più facile distruggere emotivamente una persona che
renderla felice.”
“Non posso che dissentire.”
“In fede mia, posso assicurarle che sono assolutamente questi
i fatti.”
Ero rimasto in silenzio, senza perdermi una minima parola. La
zingara, di cui ancora non conoscevamo l’identità, continuava a
sorridere, senza
accennare ad alcun movimento che variasse dal muovere il lungo abito
che
indossava e il guardarci divertita.
“Se è così fermo nelle sue convinzioni, non avrà niente da
temere se vorrò metterla alla prova.”
Holmes spostò il peso da una gamba all’altra, sporgendosi
impercettibilmente verso di lei, con sguardo attento. Proponendogli una
sfida
aveva ottenuto la sua più completo interesse.
“In che consiste?”
“Oh niente di particolare. La veda come una piccola lezione
di vita.”
Si mosse in fretta, tanto che io a stento la vidi, lanciando
verso Sherlock Holmes una sostanza misteriosa, che, a contatto col suo
corpo, brillò. Non feci in tempo a reagire che una forte luce mi
abbagliò, provocandomi una momentanea cecità. Quando riuscii a riaprire
gli
occhi, della zingara non vi era più ombra. Mi chinai velocemente su di
Holmes, riverso a terra, chiamando il suo nome. Ma ciò che vidi, quando
spostai il
cappello a tesa larga dal suo viso, mi gelò il sangue in vena.
Lì, disteso su un
fianco, con indosso gli abiti del mio amico, non vi era il più illustre
detective
dell’Inghilterra. Ben sì una donna.
La presi incollo, incurante dei curiosi, e mi accinsi a
fermare una carrozza per tornare a Baker Street. Appena giunsi ai
nostri
alloggi, fui molto sollevato dal constatare che Mrs. Hudson non fosse in
casa e
mi sbrigai a raggiungere la sua stanza. La sdraiai sul letto e le
controllai il
polso. Il battito era regolare, come anche il respiro. Mi sedetti sul
bordo del
letto, accanto a lei, e rimasi a vegliarla. Non riuscivo ancora a
capacitarmi che
quella donna così affascinante fosse in realtà il mio amico Sherlock
Holmes.
Era inconcepibile! Quale insulsa stregoneria era mai questa? Ma la
domanda che
più mi premeva era:a cosa avrebbe giovato tutto questo? A che scopo
tramutarlo
in donna? L’avrei scoperto presto. Mi alzai ed andai nella
sala, prendendo posto
in poltrona. Quello che era successo mi aveva provocato uno stress non
indifferente e la preoccupazione nei confronti di Holmes cresceva in me
di
minuto in minuto. Il tempo scorreva inesorabile, il mio amico non
pareva
voler alzarsi da quel letto. Arrivai a supporre che il cambiamento gli
avesse
provocato spossatezza e che il corpo stesse cercando di assimilare le
mutazioni
subite. Decisi così, seppur a malincuore, di andar a sfogare le mie ansie
fuori
da li e di approfittarne per comprar qualche abito da donna.
Quando rientrai a Baker Street, nell’appartamento regnava
ancora il silenzio. Posai i pacchi degli acquisti sul divano e mi
diressi nella
stanza di Holmes. Erano oramai passate tre ore dall’accaduto e stavo
iniziando
seriamente a preoccuparmi. Dischiusi piano la porta ed entrai. Credo
che non
scorderò mai lo spettacolo a cui mi trovai davanti. Sherlock Holmes –
perché comunque
sempre di lui si trattava – completamente nudo – pardon,nuda
contemplava il suo nuovo corpo allo specchio.
“Holmes!”
Mi guardò nel riflesso. “Watson” Si voltò velocemente verso
di me, facendo ondeggiare i lunghi capelli. “Non trova che io sia
assolutamente
splendida?” Disse, sorridendo ed allargando le braccia per mostrar misi.
Distolsi immediatamente lo sguardo, arrossendo vistosamente e
vergognandomi come
mai prima di allora.
“Holmes! Abbia un po’ di pudore!”
“Suvvia, mio caro, cosa vuole che sia. E’ soltanto un corpo.
Non mi vorrà far credere di non aver mai visto una donna nuda.” Mi
sbeffeggiò, ironico, come suo solito.
“Vedo che l’ha presa piuttosto bene.” Ribattei duramente. La
vidi con la coda dell’occhio recuperare qualcosa dal letto e mettersela
addosso.
“Non vedo perché non dovrei. La calma è la virtù dei forti e
se mi lasciassi prendere dal panico non riuscirei a trovare la soluzione a tutto questo. I sentimenti, ricorda?”
Non era cambiato affatto. Per quanto il suo aspetto dicesse
il contrario e la sua voce ora fosse cristallina e soave, la sua logica
era
sempre schiacciante, come anche l’ironia e la fermezza.
“Non credo le convenga ancora denigrarli, o almeno non per
ora, visto che è per la sua inossidabile convinzione che adesso ci
troviamo in
questa ridicola situazione.”
“Quante sciocchezze.” Entrò nel mio campo visivo e in un quel
momento mi concessi per la prima volta il lusso di osservarla. Aveva
tratti
morbidi e delicati, addolciti maggiormente dalla cascata di boccoli
scuri che le
ricadevano sulle spalle minute, coperte solo dalla camicia che il mio
amico
indossava quella mattina e che adesso le fungeva da vestito. Le labbra
erano
piene e con una piega divertita, ma ciò che più mi colpirono furono i
suoi
occhi, così attenti e vigili, carichi di un intensità che avevo visto
appartenere
solo ad una persona. Sherlock Holmes.
I suoi occhi, mio caro lettore, erano l’unico segno fisico del mio
compagno
riconoscibile in quella splendida donna.
“Si tratta solo di un piccolo contrattempo.”
“Un piccolo contrattempo? Holmes, ma si ascolta quando
parla?”
“Non c’è bisogno di agitarsi, dottore. Ho tutto
sottocontrollo.”
“E di grazia vorrebbe rendermi partecipe di ciò che ha
intenzione di fare?”
“Andrò alla ricerca di quella donna.” La sua risposta mi
lasciò basito non poco.
“A quale scopo?”
“Lei dimentica, mio caro Watson, che la nostra zingarella, se
vogliamo chiamarla così, ha mancato di dirci un dettaglio importante.”
“Sarebbe a dire?”
“In cosa consiste la sfida, ovviamente!” Raccolse i capelli
con le mani per tirarli indietro, camminando per la stanza.
“Sfortunatamente per
il momento non sarà possibile iniziare la nostra ricerca, visto che
sarebbe
sconveniente per me mostrarmi al pubblico in questo modo.” Indicò la
camicia.
“A questo ho provveduto io.” Intervenni. “Mentre lei dormiva
sono andato a procurarle degli abiti nuovi.”
“Fantastico!” Venne verso di me, euforica.
“Sinceramente, Watson, lei è veramente un compagno più che fidato e su
cui poter
fare completo affidamento!” Rise. “Può cordialmente portarmi i suoi
acquisti?”
“Certamente.” Le diedi i pacchi ed andai ad aspettarla nel
soggiorno. Dopo quello che mi parve un secolo, anch’ella mi
raggiunse, finendo di
sistemarsi il vestito.
“Mi domando come facciano le signore ad indossare sempre
questi abiti così complicati.” Disse, storcendo la bocca. Sorrisi della
sua
reazione.
“Sono felice di notare che sta già imparando qualcosa.” Lo
sbeffeggiai.
“Molto spiritoso, Watson.” Mi freddò con lo sguardo. “Deve
ammettere però che mi sta davvero bene.”
“La sua modestia è ammirevole.”
“E’ solo una considerazione dei fatti. Sono bellissima e ciò
che indosso mi sta d’incanto.” Girò su se stessa, facendo roteare la
gonna, per
poi avvicinar misi con garbo.
“Per me si tratta semplicemente di narcisismo.”
“Lo chiami come vuole, io resto comunque splendida.”
Sorrise, sporgendosi verso di me. Mi vergogno non poco ad ammettere che
pensai
che avesse ragione. Era decisamente una delle dame più belle che avessi
mai
visto in vita mia.
In quel momento bussarono alla porta e Mrs. Hudson fece
capolino nella stanza.
“Mr. Watson è arrivata…” Si fermò, passando lo sguardo da
Holmes e me. “O mi scusi. Spero di non aver interrotto niente di
importante.”
Mi trovai in imbarazzo di fronte all’idea che la signora
Hudson potesse aver creduto che la donna
che si trovava nella stanza con me fosse in un qual modo legatami
sentimentalmente, dato e considerato che si trattava di Sherlock Holmes.
Ma in
fondo era un pensiero più che legittimo per una persona estranea ai
fatti.
“Lei ha frainteso, Mrs. Hudson, e le assicuro che non ha
interrotto niente.”
“Non deve darmi delle spiegazioni, Dottore.” Sorrise, evidentemente
convinta ancora che ci fosse qualcosa fra noi. “E’ arrivata questa per
lei.” Mi
porse una lettera che mi apprestai a prendere.
“Mi dica, chi è questa adorabile signorina?”
Trasalii leggermente nell’udire quella domanda.
“Lei è…”
“Lasci che sia io a presentarmi.” Intervenne prontamente
Holmes, carpendo la mia insicurezza. “Il mio nome è Sharon e sono una
lontana
cugina del signor Holmes. Mio cugino è stato così gentile da darmi la
possibilità di soggiornare qui finché lui starà via. Sempre che lei sia
d’accordo.” Aveva parlato con calma e con estrema gentilezza, senza
essere
affettata.
“Non dica sciocchezze. Lei è la benvenuta, mia cara.
Quest’appartamento ha decisamente bisogno di un tocco femminile.” Le
sorrise, con
quella complicità tipica delle signore. “Ma mi dica, Dottor Watson, Mr.
Holmes è
partito per un caso?”
“Sì. Starà via per un bel po’.”
“E cosa l’ha trattenuta qui?”
“Come, scusi?”
“Intendevo dire che è strano che lei sia rimasto qui mentre
il signor Holmes è via. Sa” Si rivolse a Sharon. “suo cugino pare non
poter più
fare niente senza il nostro caro Dottore.” Rise leggermente.
“Così si vocifera.” Rispose lei, con poca convinzione.
“Adesso levo il disturbo. Se avete bisogno di qualcosa…”
“Non tarderemo a contattarla. Grazie Mrs. Hudson.” La
congedai e lei uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Aprii la busta
che la
signora mi aveva gentilmente portato e ne lessi il contenuto, cercando
di
ignorare lo sguardo di Holmes su di me.
“Anche lei la pensa allo stesso modo?”
“Non ho intenzione di discuterne con voi adesso. La nostra
nuova amica ci ha cordialmente invitato a raggiungerla.”
Uscimmo immediatamente, indirizzandoci nel luogo
dell’appuntamento. Era in una zona fuori mano, ma Holmes sapeva
perfettamente
dove dirigersi. Ci mettemmo poco tempo a raggiungere il negozio
d’antiquariato
che ci era stato segnalato. A differenza del quartiere in cui era
situato, esso
aveva un’ottima presenza estetica, che incuriosiva a tal punto da
portarti ad
entrare. Il motivo che portò noi a varcare l’ingresso era, però, di ben
altra
natura. Nonostante questo, rimasi sorpreso dalla moltitudine di oggetti
presenti
all’interno e dalla loro rara bellezza. Holmes osservava
tutto, muovendosi senza
alcuna difficoltà anche negli spazi più stretti nonostante
l’ingombrante
vestito. Mi domando ancora adesso come facesse.
“Vedo con piacere che avete accettato il mio invito.”
Ci voltammo verso la fonte della voce e potemmo vedere la
zingara sostare accanto ad un enorme scaffale, con le braccia incrociate
al
petto.
“Sa perfettamente che non avremmo mai mancato
all’appuntamento.” Le rispose Holmes.
“Mr. Holmes.” Sorrise melliflua. “La trovo in splendida
forma.”
“Modestamente lo sono. A differenza di altri.”
La guardai, incredulo. Solo Holmes poteva mettersi a fare
allusioni sull’unica persona che l’aveva già trasformato una volta e
che, se
provocata, poteva farlo ancora. Ma se la cosa la infastidì lei non lo
diede a
vedere ed incassò l’offesa con un sorriso.
“Seguitemi.”
Ci fece strada in una stanza adiacente, dove vi erano
solamente un tavolo e quattro sedie. Ci fece accomodare e lei fece lo
stesso a
sua volta.
“Scommetto, Mr. Holmes, che ciò che le preme sapere è in cosa
consisteva la mia sfida e non come poter tornare nelle sue solite vesti.”
“Suppongo che siano l’uno il derivato dell’altro.”
“In realtà no.” Accavallò elegantemente le gambe, continuando
a guardarci. “Io non le dirò in cosa consiste la prova, questo dovrà
capirlo da
solo, ma le rivelerò come tornare un uomo.”
Holmes corrugò leggermente le sopracciglia e si sporse in
avanti, congiungendo le dita in quel suo gesto a me ormai tanto
familiare e al
contempo così poco femminile.
“Cosa devo fare?”
“Per ironia della sorte l’unica sua salvezza sarà ciò che
lei sbeffeggia di più.” Continuò la zingara divertita. “L’emozione.
Lei, Mr.
Holmes, dovrà baciare l’amore della sua vita se vuole tornare quello di
un
tempo.”
“L’amore della sua vita?” Chiesi incredulo.
“Esattamente.”
Si presentava come un’impresa impossibile. Tentare di
trovare l’unico vero amore di Sherlock Holmes aveva la stessa
possibilità di
riuscita del trovare un ago in un pagliaio. E voi sapete per certo che
non è
un’esagerazione la mia. Holmes, dal canto suo, non si scompose affatto di
fronte
a quella proposta assurda ed altrettanto strana. Ma per lui non era mai
esistita sfida impossibile o che potesse provocargli reazioni
eccessivamente
emotive, per cui non me ne sorpresi più
di tanto.
“Le piace il gioco duro.” Affermò infine.
“Terribilmente.”
Il silenzio calò su di noi, mentre Holmes e l’altra donna
continuavano a scrutarsi e a studiarsi.
“Bene. Direi che il nostro compito qui è finito, Watson”
Disse alzandosi. “E’ stato un piacere, Miss. Harvey.”
Guardai un ultima volta la zingara prima di congedarmi e
vidi che sorrideva. Holmes aveva incomprensibilmente capito la sua
identità. Mi
apprestai a raggiungerlo fuori dall’edificio.
“Come ha fatto a stabilire che il suo cognome è “Harvey”?”
“Isabel Harvey. Nipote di Joshua Harvey, diventato famoso per
i suoi così detti giochi di magia dentro alle banche di tutta
l’Inghilterra e a
sua volta figlio di Maximilian Harvey, grandissimo prestigiatore, che ha
fatto
conoscere la sua arte in tutta Europa. A differenza del figlio, egli era
un uomo
perbene e utilizzava la sua, chiamiamola magia, solo per divertire il
pubblico.
Con la sua morte i suoi segreti vennero tramandati negli anni dai figli
primi
genito col fine unico di continuare ad intrattenere il mondo. Ma solo
un nipote
ha mantenuto la trazione di Maximilian. Gli altri hanno fatto solamente
i loro
interessi.”
“Ma come hai fatto a capire che si trattava di una loro
discendente?”
“Vede Watson, gli Harvey sono l’unica famiglia abitante a
Londra ad utilizzare questo genere di metodi. Per quanto riguarda la
sua
identità nello specifico, la signorina Isabel ha lo stesso singolare
taglio
degli occhi del bisnonno e lo stesso color dei capelli del padre che li
aveva
ereditati da Mrs. Ellen Harvey, consorte di Maximilian, a differenza
degli altri
suoi fratelli, che erano biondo cenere come il padre. Quindi non poteva
che
trattarsi della figlia di Joshua.”
“Una spiegazione inattaccabile.”
“Certamente! Aveva qualche dubbio?”
Fermammo una carrozza e Holmes diede l’indicazioni al
conducente.
“Spero che non le dispiaccia fare una sosta prima di tornare
a Baker Street. Ho bisogno di mandare un telegramma.”
“A che proposito?”
“Lo scoprirà presto.”
Dopo aver assoldato questo compito, ci dirigemmo ai nostri
alloggi. A causa delle sue nuove sembianze, Holmes non poté declinare
l’invito a
prender parte alla cena della signora Hudson, che aveva preparato per
due. Ammetto
che mi provocò un discreto disagio pasteggiare insieme. Come mi
soffermavo a
guardarla provavo una strana agitazione. Un’emozione senza dubbio
sconveniente, anche
se, aimè, non mi era del tutto nuova nei suoi confronti. Da quando
avevo avuto
modo di conoscerlo in maniera più approfondita, i miei sentimenti nei
suo
confronti si erano fatti via via più confusi, provocandomi una non poca
preoccupazione al riguardo.
A cena conclusa, Holmes prese posto nella sua poltrona e vi
incominciò a riflettere. Io mi accomodai accanto a lei, ma ben presto la
stanchezza iniziò a vincermi e mi alzai, invitando anche Holmes ad
andare a
riposarsi.
“Non si preoccupi, mio. Non ho intenzione di star
sveglio. Questo nuovo corpo non è abituato al movimento come il vecchio
ed ora
sono molto stanco. Ma ho bisogno di restar qui ancora per un poco a
riflettere.
Lei vada pure tranquillo.” Quando spostò lo sguardo da me al camino
acceso, notai
una nota di tristezza e preoccupazione sul suo volto. In quel momento
capii
perché Miss. Harvey aveva deciso di tramutarlo in donna. Diventando una
signora, Holmes
stava iniziando ad entrare in stretto contatto con le sue emozioni e a
non
riuscire a nasconderle.
Mi coricai, ma per quanto mi sforzassi, dormire pareva
impossibile. Gli avvenimenti appena trascorsi non facevano altro che
tornarmi
alla mente e non riuscivo a non domandarmi come avremmo fatto a farlo
tornare
nelle sue sembianze normali. Dopo molto tempo, cedetti al sonno. Non so
da
quanto tempo ero caduto nelle braccia di Morfeo quando sentii il
materasso
cedere leggermente sotto il peso di qualcun altro. Mi svegliai di
soprassalto, come solo un ex soldato è in grado di fare, e sussultai
ancora
quando trovai Holmes in ginocchioni sul materasso a poca distanza da me.
“Mi scusi Dottore. Non era mia intenzione svegliarla.” Si
scusò prontamente.
“Holmes! Cosa ci fa qui? Si sente bene?”
“Sì… No, in realtà no. Sono rimasto in piedi fin’ora perché
aspettavo la risposta al mio telegramma, ma sono rimasto alquanto
deluso, visto
che non ne è arrivata alcuna.” Si morse il labbro inferiore. “Tutto ciò
che mi è
arrivato è solamente una grande emicrania.” Passò stancamente una mano
sulla
fronte.
“E perché è venuto da me? Dovrebbe riposare.”
“In verità non lo so. Avevo solo bisogno di vederla. Sa”
Distolse lo sguardo. “mi domando come farei se non avessi lei.” Rimasi
piacevolmente sorpreso da quelle parole. Mai in vita mia avevo sentito
Sherlock
Holmes essere più sincero. Era vero che non era pienamente in lui, ma la
mente
era comunque la sua e se aveva detto quelle parole era perché le
pensava
realmente.
“Watson… Posso chiederle di rimanere a dormire con lei
stanotte? So che può sembrare sconveniente, ma infondo cosa potrebbe mai
accadere? Siamo pur sempre io e lei.” Provai uno strano brivido e sperai
vivamente che il buio intorno a noi avesse coperto il mio improvviso
rossore
nell’udire quella proposta. Annuii, poco convinto, e Holmes si sdraiò
accanto a
me. La coprii e notai solo allora che indossava nuovamente solo la sua
camicia.
Mi sentii profondamente a disagio. Chiusi gli occhi e non li riaprii
finché non
sentii il suo respiro farsi pesante e regolare. Dormiva beatamente
sdraiata su un
fianco, una mano davanti al viso e l’altra che aggrappava la coperta.
Non
riuscii a non pensare che fosse stupenda.
La mattina seguente, quando mi svegliai, ero solo. Mi preparai
velocemente e scesi nel soggiorno, dove trovai Holmes intenta a guardare
fuori
dalla finestra.
“Buongiorno.”
Si voltò verso di me. “Buongiorno.”
“Vedo che questa volta non ha avuto problemi a indossare
l’abito.” Notai.
“Le assicuro che questo è molto più semplice da
vestire. Tra l’altro devo farle i miei
complimenti. Ha davvero buon gusto.” Prese un lembo dell’abito per
guardarlo
meglio. “E’ veramente meraviglioso.”
“E le sta d’incanto.” Non so spiegare il perché lo
dissi, ma, nonostante io arrossii vistosamente, Holmes parve non darvi
alcun peso
e si limitò, per così dire, a sorridere compiaciuta. Trasalii leggermente
di
fronte a quel sorriso gratuito e risi fra me, quando pensai che se
Holmes fosse
nato donna avrebbe desiderato e ricercato costantemente l’attenzione di
tutti
gli uomini su di se. Ma esso divenne un riso amaro nel momento in cui
realizzai
che, in quelle circostanze, probabilmente non ci saremmo mai conosciuti.
“Qualcosa non va, amico mio?”
Domandò, preoccupata, riscuotendomi dai miei pensieri.
“No, è tutto apposto. Lei invece direi che è euforico.” Cercai
di sviare il discorso da me. “Ha ricevuto buone nuove?”
“Oh sì! Ho ricevuto la risposta che stavo aspettando.”
“E?”
“E adesso si parte!” Mi sorpassò con passo
svelto, dirigendosi verso la porta.
“Partire? Per dove?”
“Tranquillo Watson, non andremo molto lontano. Dobbiamo
raggiungere Irene a Cranfield.”
“Irene? Non starai parlando di Miss. Adler, vero?”
“Certo che sì. Conosci qualche altra Irene per caso?”
“Ma perché dobbiamo raggiungerla? A che scopo?”
“Mi pare abbastanza ovvio. Irene è l’unica con cui abbia
avuto un legame affettivo particolare.
Ed ogni cosa non deve andare intentata.” Indossò il cappotto che le
avevo
comprato il giorno avanti. “Le ho mandato un messaggio stamane, appena
avuta la
risposta, per avvertirla della situazione e del nostro arrivo.” Abbandonò
la
stanza con passo svelto lasciandomi solo. Quella notizia mi turbò oltre
ogni
misura, provocandomi una terribile fitta al petto, che non riuscivo a
giustificare in modo coerente e morale. La sentii chiamarmi da fondo le
scale e
mi apprestai a raggiungerla. Ci dirigemmo alla stazione e prendemmo il
primo
treno utile che ci avrebbe condotto a Cranfield. Durante il tragitto
parlammo
spiacevolmente poco, ma non scorderò mai il momento in cui
Holmes, guardando
fuori dal finestrino, si mise a sorridere senza apparente ragione.
Quando le
chiesi il motivo della sua reazione, mi rispose che aveva visto un
albero in
fiore e che l’aveva trovata una scena molto poetica visto che era
ancora
inverno. Non potei non sorriderle a mia volta. Mano a mano che il tempo
scorreva, sempre meno riconoscevo del mio compagno in quella donna.
Tutto ciò
che faceva parte del carattere di Sherlock sembrava andar scomparendo
per dar
posto alle emozioni di Sharon. Ammetto che ciò mi provocava una certa
melanconia. Per quanto fosse piacevole la sua compagnia, non era come
stare in
presenza di Sherlock Holmes. Mi mancavano le sue risposte pungenti e il
suo
trascinarmi per la città per risolvere i casi. Ma soprattutto – e non
mi
importa cosa possiate pensarne al riguardo – mi mancava lui. Ed io lo
rivolevo
indietro. Con o senza sentimentalismi non era importante. Bastava che
tornasse
da me.
Giungemmo alla stazione di Cranfield quando il sole indicava
alto nel cielo l’ora di punta. Ci avviammo lungo il sentiero che ci
avrebbe
condotto dove alloggiava Miss. Adler con passo svelto e deciso. Ci
trovavamo a
metà strada quando Holmes si fermò.
“Qualcosa non va?” Le chiesi.
“Guardi.” Rispose, andando appresso al bordo del sentiero e
piegandosi sulle ginocchia. “Pare che qua la primavera abbia fretta di
arrivare.”
Mi avvicinai e vidi che fra l’erba vi troneggiava un fiore.
Mi chinai a mia volta e lo raccolsi.
“Che cosa fa?” Chiese lei, guardandomi preoccupata. Ne girai
lo stelo fra le dita un paio di volte, per poi accingermi ad
intrecciarlo fra i
capelli di lei, proprio sopra l’orecchio destro.
“Qui vi sta decisamente meglio.” Mi alzai e ricominciai a
camminare senza attender risposta. Avevo provato un’intraprendenza che
non
pensavo che avrei avuto nei suoi confronti, ma mai mi pentii di quel
gesto, all’apparenza così semplice e innocuo. Holmes mi raggiunse a
breve e mi
parve che cercasse di nascondere un sorriso. Camminammo ancora a lungo
prima di
riuscire a scorgere la piccola casetta che stavamo cercando. Era un
piccolo cottage
davvero grazioso, circondato da un giardino molto ben curato. Bussammo
alla
porta e la voce di Irene Adler ci giunse dall’interno. Venne ad aprirci
regalandoci uno dei suoi migliori sorrisi e ci fece accomodare. Guardò
Holmes
con aria divertita, complimentandosi per i bellissimi capelli.
“Non sei spiritosa, Irene.”
“Non volevo esserlo.” Rise leggermente. “Esattamente cos’è
che vuoi da me, Sherlock?”
“Tu certo sai meglio di me che fra noi c’è sempre stato un
rapporto molto particolare. Quindi, mi domandavo, se te la sentissi di
tentare a
farmi tornare normale. Sempre che la cosa non ti infastidisca.”
“Infastidirmi? Ma per favore! Ho fatto ben altro che baciare
una donna in vita mia.”
Holmes ed io ci guardammo alzando rispettivamente un
sopracciglio, mentre Miss. Adler si schiariva la voce, forse resasi conto
di aver
parlato troppo.
“Bene allora… Facciamolo!” Miss Adler si avvicinò a Holmes
e, prendendo il suo viso fra le mani, poggiò le sue labbra sulle sue.
Devo
ammettere che dovetti costringermi a distogliere lo sguardo poiché
trovavo
quella visione vergognosamente provocante. Ma allo stesso tempo provai
un
fastidio logorante nell’assistere alla scena.
Niente accadde. Si separarono, ma Sherlock era sempre nei
panni di Sharon. Questo primo tentativo era fallito miseramente e, dal
suo
sguardo, capii che Holmes vi aveva creduto seriamente alla possibilità
che Irene
fosse quella giusta e che adesso si trovava alla deriva.
“A quanto pare non siamo fatti per stare insieme.” Disse con
quel tono ironico che tanto lo contraddistingueva.
“No.” Rispose Miss. Adler sorridendo appena. “Sai mentre
aspettavo il vostro arrivo mi sono ritrovata a riflettere su una cosa.
Tu mi
hai scritto che la zingara ha detto che devi baciare il tuo vero
amore, giusto?”
Holmes corrugò la fronte. “Sì, è così.”
“Quindi non ha mai parlato apertamente di una donna…” Posò
lo sguardo su di me ed io mi sentii morire. Non poteva essere. Non
potevo
essere io la persona di cui Miss. Harvey parlava. Sherlock Holmes non
poteva
essere innamorato di me. Ma io lo ero di lui?
Holmes si voltò a guardarmi, per poi correre fuori dal
cottage. Io rimasi immobile, il cuore che mi scoppiava nel petto.
“Deve perdonarlo. Non è abituato a non avere i sentimenti
sotto il suo più completo controllo.”
“Non c’è bisogno che si scusi. Posso capire.”
“La ringrazio da parte di entrambi per il suo aiuto e il suo
tempo. Ora, se vuole scusarmi.”
Uscii il più veloce che potevo, ma di Holmes non ve ne era
traccia. Stavo per mettermi a cercarla quando qualcosa sul sentiero
attirò la
mia attenzione. Il fiore che le avevo messo fra i capelli giaceva in
terra, completamente distrutto.
Non dovetti cercare molto. Holmes era rimasto ad attendermi
infondo alla strada e, quando mi vide, si diresse verso la stazione senza
dire
una parola. Ancora una volta il viaggio si prospettava molto
silenzioso, ma, con
non mia poca sorpresa, fu Holmes a rompere quel silenzio così carico di
tensione.
“Lo sa, Watson. Ho passato la vita a tenere le emozioni
lontano da me. Ed ora che ho questo corpo è così dannatamente
difficile…”
Parlava guardando fuori dal finestrino, senza mai accennare a volgersi
verso di
me. “Mi domando come faccia lei a vivere costantemente con questa
confusione, con questo peso che sembra minacciare di volermi soffocare
da un
momento all’altro. La trovo una cosa assolutamente insostenibile.”
“E’ un fatto di abitudine, suppongo.” Risposi, cercando di
strapparle un sorriso. Ma fallii miseramente.
“Lei crede che questo sia accaduto per darmi una
possibilità?”
“Non capisco di cosa stia parlando.”
Si voltò verso di me. Lo sguardo intenso, corrucciato e
lucido.
“Di darmi la possibilità di restare così. Di poter restare
con lei senza problema alcuno.”
Quelle parole mi avevano colpito al petto come un pugnale.
Sgranai leggermente gli occhi per la sorpresa. Mai e poi mai mi sarei
aspettato
una confessione del genere, detta con una tale leggerezza per giunta.
Non riuscivo
a pensare concretamente, a capire. Non capivo se mi ero semplicemente
preso una
cotta per la signorina che mi trovavo davanti o se provavo qualcosa di
più
profondo, ma per l’uomo che era oramai diventato parte integrante della
mia
vita, senza che neanche me ne fossi reso conto. Ero terribilmente
sottopressione, mentre sentivo il suo sguardo pesare su di me e il mio
cuore
battere velocemente contro la cassa toracica.
“Se lei me lo chiedesse, io rimarrei così per sempre.”
Aggiunse con voce ferma e decisa, nonostante le sue labbra tremassero.
Quelle
parole mi fecero trasalire ancora e il solo pensiero di non vedere mai
più
Sherlock Holmes mi provocò un incredibile senso di nausea. Questo mi
aiutò a
capire.
“Quello che voglio adesso è riavere indietro il mio amico.”
Certo fraintese le mie parole ed io non feci niente per
impedirlo. Abbassò lo sguardo, per poi tornare a guardare fuori. Non
parlammo
più per il resto del tragitto.
Quando giungemmo a Baker Street, Mrs. Hudson ci accolse
calorosamente e Holmes, da bravo attore che era, le rispose cordialmente
e col
sorriso sulle labbra. Mi domando ancora adesso come fece. Io parlai
poco e mi
affrettai a raggiungere l’appartamento. Appena varcai la soglia mi
sentii sul
punto di cedere. L’immagine di Holmes che a stento tratteneva le
lacrime non
faceva che tornarmi nitida nella mente. E ciò mi distruggeva. Sentii la
porta
chiudersi lieve alle mie spalle e la serratura scattare. A quel suono
mi voltai
e vidi Holmes con la schiena poggiata alla porta e lo sguardo basso.
“Ti sono molto grato, amico mio. Non so come avrei fatto
senza di te. E non mi riferisco solamente agli avvenimenti di questi
ultimi due
giorni.” Si staccò dalla superficie di legno ed avanzò lentamente verso
di me.
“Quindi, prima di tornare normale, voglio fare un’ultima cosa per te.” Si
fermò in
mezzo alla stanza, solo qualche passo che ci divideva, e lasciò scivolare
l’abito
lungo le spalle, seguito dalla biancheria. Rimasi immobile, arrossendo.
“Holmes-”
“No. Niente Holmes.”
Si avvicinò ancora, annullando ogni distanza. Poggiò le mani sulle mie
spalle e
dopo un attimo, che a me parve l’eternità, incominciò a spogliarmi. Avrei
voluto
fermarla, ma non vi riuscivo. Perché, per quanto la ritenessi una cosa
sbagliata, io la volevo. Volevo che
accadesse. Mi ritrovai nudo senza neanche accorgemene e lei mi prese
per le
mani e mi condusse nella sua stanza, camminando a ritroso. Come vi
entrammo, lasciò la presa e continuò ad avanzare verso il letto senza
staccare
gli occhi dai miei. Si sdraiò ed io la seguii, lasciandomi alle spalle
la ragione
e tutto ciò che poteva tenermi lontano da quel corpo. La feci
mia, mentre
sentivo le sue unghie scalfirmi la pelle, i suoi sospiri riecheggiarmi
nelle
orecchie. Assaggiai il sapore della sua pelle e la baciai ovunque mi
era
possibile, evitando di sfiorare le sue labbra con le mie. Infine rimasi
a
guardarla, sovrastandola appena. Il respiro di entrambi era irregolare
ed i
nostri petti si muovevano all’unisono, mentre i suoi occhi cercavano
costantemente i miei. Posò una mano dietro al mio collo e mi attirò
verso di
lei per poter parlare nel mio orecchio.
“Potrebbe essere così per sempre.” Sussurrò.
“Non è ciò che voglio.” Risposi, rialzandomi appena. “Perché
io ti amo,Sherlock. E ti rivoglio così
com’eri. Come sei sempre stato.”
Rimanemmo a guardarci in silenzio, fino a che si sporse verso
di me ed io feci altrettanto, per posare, lieve, le labbra sulle
sue, tenendo gli
occhi chiusi. Attraverso le palpebre potei vedere la medesima luce che
lo aveva
avvolto il giorno innanzi e sotto di me sentii il suo corpo cambiare.
Quando
riaprii gli occhi incontrai i suoi, unica cosa immutata in lui in tutto
quel
tempo. Portò una mano a sfiorarsi il viso e sorrise nel constatare che
era
tornato il vecchio Sherlock Holmes. Sorrisi anch’io, col cuore colmo di
gioia
nel poter rivedere l’uomo di cui ero stato sempre inconsciamente
innamorato.
Con un colpo di reni Holmes ribaltò la situazione e, baciandomi con
foga, si
prese quell’egemonia che non lo avrebbe più lasciato negli anni futuri.
Da quel giorno, non lo sentii più parlare di sentimenti
e, nonostante esso fosse ormai ovvio, mai gli sentii dire di amarmi.
Neanche
quando, per metter a tacere le dicerie, decisi di sposare Miss. Morstan. Ma questa è un’altra storia.
Delucidazioni:
Ammetto che sono un
po’ preoccupata dal vostro giudizio…
Ma qualunque
sarà il verdetto a me
andrà bene =]
Mi sono affezionata molto a questa storia e
spero che sia stata
di vostro gradimento almeno un poco.
che mi ha seguito in
tutta la gestazione della storia.
Perciò: grazie.