Perdersi fra le pieghe delicate del confine fra realtà e ‘la tua testa’ è semplice.
Vai dal primo spacciatore che capita, non c’è da fidarsi comunque, ti dici.
Il fatto è che poi tutto cambia; si capovolge irrimediabilmente. Dom urla, urla come un pazzo: è un urlo che mi trincia e vedo la mia mano scomparire. Guardo il muro; Dom non c’è più.
È facile cadere preda delle tue immaginazioni, con ‘sta roba.
Dom è ancora vivo ?
Io lo sono?
E poi vedo l’ombra di me stesso venirmi incontro. Piano, piano, poi corre, corre minacciosa. Mi guardo attorno ma da me, no, da me non c’è scampo.
Sono a strapiombo.
Sul filo del rasoio, aggrappato alla fine e all’inizio di me stesso, i lati della mia coscienza si deformano. Mi sformo, capite?
Le lacrime evaporano nel momento preciso in cui toccano la mia pelle (del colore della salsa per tacos, la mia pelle, giallastra, mostarda la mia pelle, aiuto).
E poi vedo Chris cullare qualcosa, non un bambino, no:-cosa sei?-
È qui per me? E poi…poi…ancora lui. Ancora quegli occhi e quel singhiozzo, e ancora il sorriso mefistofelico.
E ancora c’è Dom felino che cerca di strapparmi gli occhi.
Poi…il muro.
E lì ti accorgi che la solitudine è divenuta palpabile; che le droghe lo sono.
Ti accorgi che hai le occhiaie e magari hai il volto bagnato.
La casa è lontana, il calore lo è.
‘È troppo grande la città per due che come noi non sperano però si stan cercando. Scusa è tardi e penso a te. ’