Salve
a tutti!
Ebbene si, sono tornata, felice di avere la forza per continuare a
scrivere qualcosa e pubblicarla qui.
Questa storia è nata moltissimo tempo fa, frutto di un sogno
e diverse esperienze.
Fino ad ora, ho scritto ventisei pagine, ma vi propongo solo le prime
dieci, perchè inizialmente mi sarei dovuta fermare solo a
queste, ma poi ho deciso di continuare.
Dal momento che non so se riuscirò a portare a
termine
questa storia, aggiungerò capitoli solo qualora la portassi
avanti, in caso vi lascio con queste dieci pagine che spero bastino :)
Vi pregherei di farmi sapere cosa ne pensate, perchè questa
per
me è un pò una prova del 9, e ho bisogno di un
parere,
anche solo di una minima parola.
Grazie in anticipo a tutte che voi che mi aiuterete :)
E se vi va, passate anche a leggere la long che ho in pubblicazione la
mia amica Giulia a questo link :D http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=563705&i=1
Un
grande bacio,
a prestissimo!
Maria Letizia
Because
my inside is outside
My right side's on the left
side
'Cos I'm writing to reach
you
But I might never reach you
I long to teach you about
you
But that's not you
(Travis
– Writing To Reach You)
<< Jackie ehi,
per
favore, un gin and french>> le esclamò Tyler,
dal fondo del bancone.
La giovane donna con le labbra laccate di rosso scosse il capo
<< La
puzza del tuo alito si sente da qua >>
Quello rise di gusto, allungando le braccia e portandosele dietro il
capo <<
E’ venerdì, possiamo concedercelo, dolcezza
>>
Lei alzò le spalle, versando nel bicchiere un fifty-fifty
di gin e
vermunt
francese.
Appena termino, fece scivolare il bicchiere verso Tyler che lo
aspettava
impaziente.
Jacqueline spostò i capelli rossi di lato, iniziando a
sventolarsi con una mano
a causa del gran caldo.
Nonostante il locale non fosse pieno, l’odore di fumo, alcool
e sudore, avevano
appesantito notevolmente l’aria. Si guardò intorno
e, nonostante quella non
fosse stata una giornata negativa, non potè fare a meno di
sospirare
malinconicamente, abbassando gli occhi per iniziare a chiedersi
perché si era
ridotta in quel modo. Dopotutto, con i risultati che aveva conseguito
con la
sua laurea in storia, avrebbe potuto fare tanto.
Invece, si ritrovava a dover gareggiare con i conti da pagare,
l’affitto da
saldare e il contributo bimestrale per i suoi genitori. Genitori che
erano convinti
lavorasse per un’importante università irlandese e
che guadagnasse almeno il
doppio di quello che in realtà riceveva.
Eppure Jacqueline era una ventiduenne in gamba, tenace, ancora piena di
speranze.
Cresciuta nella fredda Pourtsmouth, ma di origini gallesi , tra mare
agitato e
campagne estese, aveva frequentato la scuola superiore a Londra, per
poi
vincere una borsa di studio per lo sport per il Trinity College di
Dublino.
E seppure l’avesse ottenuta per le sue prestazioni sportive,
la sua più grande
vocazione era la storia e, nonostante la borsa di studio la vincolasse
allo
sport, fece in modo di dedicarsi ad entrambe le cose.
E poi, era una ragazza abbastanza carina.
O almeno questo era quello che le sembrava di aver capito.
La pelle del viso era pallida e un po’ gonfia (forse per
tutte le nottate a
studiare), i capelli rosso rame le arrivavano sulle spalle, ma era suo
gran
desiderio provare a farli crescere, il fisico era slanciato ma
leggermente
muscoloso in alcuni punti a causa dei tanti anni di sport. Gli occhi
erano la
parte di lei di cui andava più fiera: verdi e profondi,
proprio come quelli di
sua madre. La sua vita, alla fin fine, si era ridotta a questo: un
semplice
posto fisso in un locale su Little Britain Street che le dava circa
quattrocentocinquanta
euro al mese e una stanzetta in affitto vicino Lower Abbey.
Praticamente non
aveva niente.
<< Che ne pensi di lavare questi bicchieri Jacq? Ti costa
troppo?
>> sbottò Mildred, la moglie del proprietario
del locale. Sapeva di
essere odiata da quella donna e non si stupì dei suoi modi.
Molto probabilmente perché un paio di volte era andata a
letto con suo marito
per una manciata di
euro.
Sì, a volte Jacqueline era anche una ottima puttana, e a
detta di molti era
anche molto brava.
Ma i soldi le servivano, non poteva farci niente.
O almeno lei credeva così. Forse perché non aveva mai avuto sconti
dalla vita, ed ogni
volta che qualcosa sembrava andare più o meno bene,
inciampava in difficoltà di
più grandi che non sapeva affrontare, essendo sola. Non
aveva una migliore amica,
odiava il modo in cui si rapportavano tra loro le ragazze del ventesimo
secolo,
né tantomeno la desiderava.
Non aveva un fidanzato perché da quando aveva rotto con Gary
si era convinta
che il genere maschile fosse solo una inutile perdita di tempo.
L’unica persona di cui si fidava era suo fratello Heath e il
suo vicino di casa
gay Robert.
In più si fidava dei cani, in particolare di Buk, lo yorkshire di Robert.
Oltre loro, non c’era assolutamente nessuno nella sua vita e
pur essendo tutta
colpa sua, non poteva fare a meno di dare la colpa agli altri,
così “monotoni e
piatti”.
In ventidueanni di vita, aveva collezionato una serie di disastri che
avrebbero
fatto invidia a chiunque.
Quando tornava dai suoi genitori, d’estate, lavorava nel
supermercato subito
fuori città, dicendo in famiglia che si recava a Londra per
alcune imbasciate ;
prima del bar in cui lavorava, era stata commessa in un negozio di
abbigliamento per neonati, ma l’avevano licenziata
perché scoperta mentre
rullava una canna; oppure aveva lavorato come fattorina per una
pizzeria a
domicilio, ma dopo che si era presentata a lavoro sbronza, aveva avuto
un
incidente mentre consegnava le pizze ed era stata gentilmente invitata
di non
presentarsi al lavoro quando sarebbe guarita.
Ora, anche se lavorava in un posto in cui avrebbe potuto bere e fumare
(almeno
la sera), aveva smesso per rispetto per sé stessa.
Anche se un pacchetto di sigarette nella sua borsa non mancava mai.
Tra l’altro, non avendo turni di mattina, continuava a
studiare, consumando ore
su ore per argomenti che ormai conosceva a memoria. Ad esempio
ultimamente, le
si era accesa una certa passione per la storia dei paesi scandinavi e,
nonostante non fosse poi così vasta, faceva ricerche sulle
personalità storiche
– politiche che avevano influito nel corso degli anni.
Studentessa di mattina, cameriera il pomeriggio, la sera e la notte, a
volte
puttana.
Questo era Jacqueline Butler a ventidue anni.
E sembrava promettere così bene Jacques
But,
la stellina del basket in quel liceo londinese.
Non si riconosceva più neanche lei.
Prima indossava larghe magliette e jeans scuri e stretti, portava i
capelli
lunghi sotto le scapole, le scarpe da ginnastica puzzolenti da morire;
era la
migliore amica dell’intera squadra di basket maschile, e
odiava qualunque cosa
la potesse far sembrare più femminile. Adesso invece
indossava magliette
strette accompagnate da short, da jeans o gonne, con tacchi e stivali.
Le sue labbra erano sempre colorate di rosso, sugli occhi un filo di
matita e
del mascara.
Non poteva credere di essere diventata tutto il contrario di quello che
aveva
desiderato, ma non ci era riuscita, ci aveva provato ed aveva fallito.
Ora doveva solo mettersi in pari con la vita e il tempo che andava
avanti.
<
Non era stata ancora con lui perché odiava di doversi
ridurre con quelli più
piccoli in quanto, fino ad ora, prediligeva trentenni in carriera che
la
cercavano per tutta la città pur di passare una sola notte
con lei.
E per questo, avrebbe tanto voluto non essere mai nata, per la vergogna
che
provava ogni volta che entrava in macchine di sconosciuti ed accettava
di farsi
usare per arrivare alla fine del mese.
Quella sera non prometteva bene per il locale, varcavano la soglia tre
persone
ogni quarantacinque minuti, e la maggior parte di queste, chiedevano
una birra
e salatini e poi andava via.
L’unica lato positivo era Tyler, che chiedeva un drink ogni
dieci minuti.
Il tempo di ingerirne uno e vomitare l’altro.
Si accese una sigaretta dal pacco che Ian aveva lasciato vicino il
lavandino e
iniziò a riflettere se forse, fosse il caso di tornare a
Londra e darsi
veramente da fare per cercare di costruirsi una vita oppure, se le
piacesse
fare la stracciona in uno
schifo di
stanza con l’intonaco cadente e le lampadine scoperte di cavi
elettrici.
Magari questo era solo un modo per auto commiserarsi, così
che un giorno
avrebbe potuto rinfacciare la fatica e i duri sforzi da lei affrontati,
una
volta riscattata.
Ma difficilmente vedeva un’uscita.
La sua vita le sembrava solo un vicolo cieco.
Molte volte piangeva, molte volte correva sotto la pioggia con la
speranza di
cadere ammalata e finire a letto per diverso tempo.
Oppure aveva provato a non dormire per una settimana, e il risultato fu
che ce
l’aveva fatta per quattro giorni, ma poi era finita in
ospedale per tre giorni,
nei quali recuperò le forze e un po’ di ragione.
Insomma, sembrava che neanche le sfighe fisiche stessero dalla sua
parte.
Alzò le spalle, e spense la sigaretta nel posacenere davanti
a se.
<< Salve >> la richiamò poi una
educata voce maschile.
Lei alzò lo sguardo senza realmente interessarsi di chi si
trovasse di fronte <<
Cosa ti do? >> gli disse come se fosse una filastrocca.
L’altro scoppiò a ridere e scosse il capo
divertito.
<< C’è qualcosa che non va?
>> domandò Jacqueline seccata.
Il ragazzo si passò una mano tra i folti
riccioli e si fece pensieroso << Sai che la tua frase
potrebbe venire
facilmente fraintesa? >>
Lei lo guardò accigliata << Sei un pervertito
>> biascicò,
ritornando a lavare i bicchieri.
Quello, dal canto suo, levò l’impermeabile Burberry
che aveva indosso e allungò una mano verso il viso della
giovane, prendendole
il mento << Scherzavo >> mormorò
con un mezzo sorriso.
Ma la ragazza infastidita da quel gesto, si scansò ed
esclamò << Ma stai
fermo! >>
Il giovane continuò a ridere << Una guinness
bella fredda >> le
fece poi, incrociando le braccia.
Jacqueline lo guardò in cagnesco
<<
Potrei anche non dartela dopo quello che hai fatto >>
Ma quello la guardò docilmente, con quegli occhi color
cioccolato profondissimi
<< Dai, per favore, prometto che poi farò il
bravo >>
La rossa sospirò e si voltò per prendere un
bicchiere della Guinness e versarne
un po’.
Quando ebbe finito, si accorse che il giovane la osservava come se la
volesse
studiare attentamente.
Le sembrava di conoscerlo: aveva i tratti di un ragazzo con cui era
amico al
liceo, uno dei suoi compagni di basket. Un certo Nick o Mick.
Ora non se lo ricordava più.
<< Ecco a te
>> gli diede la
birra riluttante e poi, continuò a farsi gli affari propri.
Quello annuì e si portò il bicchiere alla bocca
senza smettere di fissarla.
Si soffermò in particolare agli occhi e alle labbra.
Era così bella che per qualche attimo si
dimenticò di quello che stava
pensando.
Seguiva con attenzione le linee del suo profilo, analizzando ogni
espressione
che i suoi muscoli assumevanp in quegli istanti.
<< Jackie! Hai preso le mie sigarette! >>
esclamò Ian ridendo.
Jacqueline scoppiò a ridere e gli si avvicinò
<< Puoi prenderne una mia
>> gli disse poi, tirandogli una pacca affettuosa sulla
spalla.
Non appena quel giovane la chiamò Jackie, il ricciolo
drizzò la schiena.
Ora sì che l’aveva riconosciuta, la sua compagna
di liceo Jacqueline Butler.
<< Jacqueline.. >> mormorò lui,
avvicinandosi al bancone ancora di
più << Jacqueline
>>ripetè poi, ad alta voce, guardandola con
ancora più interesse.
Non poteva credere che fosse proprio lei, proprio così bella
e soprattutto donna.
Si ricordava ancora di quando si presentava agli allenamenti
con quelle
canotte enorme senza reggiseno perché lei riteneva di essere
piatta; mentre ora
aveva un petto che quasi lo fece rimbambire.
Gli venne in mente di quando, una volta, Fiona Parry le aveva regalato
un
rossetto e lei ci aveva scritto “Go Crocodiles”
nello spogliatoio e poi aver
buttato quello che ne restava nel cestino; mentre ora le sue labbra
erano
attentamente ricoperte di rosso, che davano al suo aspetto, qualcosa di
ancora
più accattivante e seducente. Riconobbe le sue mani, forse
troppo piccole per
lei che giocava a basket e i capelli rossi, che amava veder volteggiare
per il
campo legati in una lunga coda, che ora invece, le arrivavano sulle
spalle.
Non poteva negare di aver avuto un debole per lei quando
entrò in squadra, come
tutti d’altronde, e di come poi, con il passare del tempo,
era diventata
l’equivalente in amicizia di tutti gli altri ragazzi.
Non era più Jacques, che
si faceva
chiamare come un maschio perché odiava essere femmina, anzi,
ora era Jackie, la
ragazza del bancone più bella che quel posto avesse mai
visto.
<< Che vuoi? >> sbottò lei, con
sguardo storto.
<< Non mi riconosci proprio? >> le
domandò, senza mezzi termini.
Jacqueline aggrottò le sopracciglia << Dovrei?
>>
Lui annuì << Forse ti ricorderai del numero
14, la guardia tiratrice dei
Crocodiles>>
La ragazza spalancò la bocca << Ma.. Sei
davvero quel Nick? Mio Dio! Non
ci posso credere! >> esclamò poi, portandosi
le mani sui fianchi <<
Avevo avuto un piccolo dubbio su di te fin da quando sei entrato qui
dentro, ma
non credevo fossi davvero tu! >> continuò,
scoppiando a ridere.
Nick, anzi, Nicholas
alzò le spalle e
le sorrise affabile << Invece eccomi qua, in carne ed
ossa >>
La giovane si avvicinò a lui e si salutarono affettuosamente.
Lei gli sorrise rasserenata e gli disse << Meno male che
sei tu e non
qualche pazzo sclerato, mi stavo già spaventando
>>
Il ricciolo scosse il capo << E invece sono venuto io a
salvarti la
vita.. Meglio eh? >>
Rise, ma il suo tono sembrava serio.
Anche prima di sapere chi lei fosse, si era ritrovato inevitabilmente
attratto
da quella ragazza con gli short, la camicetta bianca e gli stivali fino
alle
ginocchia.
Jacqueline deglutì e sorrise appena << Penso
di si >>
<< Sei proprio tu.. La piccola ala sinistra.. Numero 7
>> rammentò
lui con una certa nostalgia.
Lei rise e abbassò lo sguardo <<
All’ultima partita avrei voluto
uccidervi tutti! Come avete osato regalarmi dei fiori? Sapevate che li
odiavo
da morire! >>
Nicholas ridacchiò << E’ stata una
idea di Byron! >>
Jackie scosse il capo << Non li ho buttati nel cesso solo
perché mi
dispiaceva >>
Lui bevve un sorso di birra, poi rispose << Ma quanto
potevi essere
crudele! Però anche adesso un po’ lo sei.. Guarda
come mi hai trattato prima!
>>
<< Ma sei facevi il pervertito mica è colpa
mia! >> si difese la
rossa agitando le mani.
Così. iniziarono a parlare, persi nei loro ricordi e nelle
emozionanti immagini
delle loro adolescenze, trascorse forse troppo in fretta.
Sembrava passata una eternità da allora, da quando si faceva
tardi dagli
allenamenti, e poi si doveva scappare a casa a studiare dieci materie.
Da quando prendere un tre in biologia sembrava la fine del mondo, da
quando le
uscite didattiche fuori Londra erano le uniche cose che accedevano un
po’
quella monotonia scolastica, da quando si cercava qualcuno con cui
andare al
ballo di fine anno o per la ricerca di chimica, per il dialogo di
teatro, per
il progetto “marito e moglie”, per l’ora
di educazione fisica.
Il futuro che stavano vivendo, allora sembrava più roseo,
più vero, pieno di
progetti, speranze che volevano realizzare in qualunque modo.
Perché gli adolescenti sono costanti, convinti delle proprie
idee, pronti a
mangiarsi al mondo.
Ed ora? Ora cosa resta di tutto ciò?
Niente, solo un bel ricordo dei tempi andati.
Nicholas le raccontò di aver intrapreso gli studi di
giurisprudenza in America,
dalla quale era rientrato subito dopo aver conseguito la laurea, e che
ora,
stava portando avanti insieme ai suoi fratelli, lo studio legale di
famiglia.
Definì quella scelta “una via forzata”
che all’inizio gli appariva detestabile
ed inutile, ma che invece, a lungo andare, lo aveva appassionato,
facendo di
lui un ottimo neo – avvocato.
Ora, non sapeva esattamente se voleva continuare
l’attività di famiglia o aprire una
propria,
ma restava comunque il fatto che lui fosse riuscito a realizzarsi
pienamente,
nonostante tutto.
Quando toccò a Jacqueline, raccontare
di
sé, omise parecchi particolari e raccontò della
sua brillante carriera
universitaria e, definendo uno svago il lavoro al locale.
<< Senti, prima ho sentito parlare di una sigaretta, me
ne offri una?
>> avanzò Nick, dopo un po’ che
stavano parlando.
Lei annuì << Va bene, tieni >>
fece poi, porgendogli il pacchetto.
<< No >> la bloccò lui
<< Intendevo fuori di qua >>
Nicholas era terribilmente serio, e la giovane si sentì
attraversare la schiena
da un brivido.
<< Io sto lavorando.. Non posso.. >>
provò a dire, ma Ian, che
aveva seguito tutto seppur in maniera vaga, la interruppe dicendo
<< Vai,
non farti pregare, ormai è tardi e ci sono pochi clienti
faccio tutto io
>>
Lei lo guardò grata, ma disse <
Quello le fece l’occhiolino << Vai
>> mormorò solo.
Nicholas guardò il giovane con un sorriso compiaciuto e gli
porse una banconota
da venti euro << Questi te li meriti >>
Ian voleva non accettare, ma poi pensò a quanto quei soldi
sarebbero stati
utili alle sue economie e li intascò in silenzio.
<< Prendo le mie cose, aspettami fuori >>
disse poi Jacqueline a
Nicholas.
Quest’ultimo annuì e mentre la vide sparire da
dietro il bancone si diresse
verso l’uscita.
Non appena fu fuori, Nicholas avvertì una leggera scossa,
forse dovuta al
freddo di quella serata dublinese. Si guardò intorno e
notò che agli angoli
delle strade, stava iniziando a formarsi del ghiaccio, mentre la
nebbia,
iniziava a ricoprire tutte le strade.
Sfregò le mani e, mentre si perdeva in alcune osservazioni,
un gruppo di
giovani raggiunse il locale chiassosamente, prendendo a calci una
bottiglia
vuota di birra o qualcos’altro.
Jacqueline uscì dal locale avvolta da un cappotto nero e
senza più gli short,
ma dei jeans normali.
Nicholas le sorrise e subito lei gli porse le sigarette
<< Sono l’ideale
con questo freddo >> osservò lui, mentre
accendeva la sua.
<< Già >> rispose lei.
Intanto, quegli altri ragazzi, si erano diretti verso
l’ingresso del locale, ma
uno di loro, si fermò di fronte Jacqueline e subito
esclamò << Perché non
sei dentro? Diamine rossa stasera
sono venuto solo per te! >>
Lei sentì il cuore fermarsi, deglutì e rispose
<< Non so chi tu sia.
Vattene >>
Ma quello le si avvicinò ancora di più,
prendendole il viso tra le mani
<< Vuoi che ti faccia ricordare io? >>
mormorò con l’alito pesante
di alcool.
<< Non mi toccare cane! >> urlò
lei scansandosi.
<< Vieni qua >> la richiamò lui,
tirandola dal polso << Non
fare troppo la puttana, che stasera non ho molta pazienza
>> e detto
questo, premette con forza le sue labbra contro quelle di Jacqueline.
Nicholas che fino ad allora non era intervenuto perché
credeva che la cosa si
risolvesse lì, con un gesto semplice e deciso,
allontanò il giovane da
Jacqueline e poi, gli tirò un pugno in piena faccia.
<< Non osare più avvicinarti a lei
>> ringhiò << Né tu
né i
tuoi amichetti >>
Quello provò a reagire, ma non appena si ritrovò
le mani macchiate di sangue,
lo mandò a quel paese e raggiunse gli altri, che intanto
erano andati via.
<< Come stai? >> chiese subito Nicholas
alla giovane, che sembrava
essere sconvolta.
Lo sguardo di lei era come ghiacciato, i suoi occhi verdi sembravano
esser
diventati bianchi << Bene >>
Ma lui non le credette << Andiamo via di qui
>> le disse solo,
cingendo le sue spalle con un braccio.
Nicholas alloggiava in un albergo ad un quarto d’ora a piedi
dal locale, e
durante il tragitto, Jacqueline rimase in silenzio, incapace di dire
anche solo
una parola.
Quello che era successo era troppo. Specie in quel momento.
L’aveva chiamata puttana, l’aveva baciata, aveva
insinuato che erano stati
insieme.
E lei non poteva negare. Era vero.
Gli occhi le si riempirono di lacrime e vergogna e, desiderò
con tutta sé
stessa di poter scomparire dalla faccia della terra. Ma sapeva fin
troppo bene
che non era possibile.
Non poteva neanche alzare lo sguardo per paura di incontrare gli occhi
di Nick,
che le avrebbero fatto sembrare la cosa
ancora più terribile e vergognosa.
Non riusciva a camminare in linea retta, traballava e, molte volte
rischiava di
inciampare nei suoi stessi piedi. La sua vita non le era mai pesata
così tanto.
Solo adesso sentiva il peso di tutti i suoi fallimenti, di tutte le sue
vergogne, di tutto quello che non era riuscita ad essere.
Ancora una volta, si domandò perché non fosse
riuscita ad essere qualcuno,
perché non fosse stata in grado di mettere la propria vita
sulle spalle e farsi
in quattro per cercare di darle un senso, per provare a non sentirsi
insignificante, vuota e nulla come era sempre stata.
Non era più la beniamina della squadra di basket, non era
più parte di
qualcosa, ma era un puntino nell’universo che si muoveva
egoista dietro di lui,
che la lasciava sempre per ultima a raccogliere i pezzi. Non aveva
più un
ideale, non credeva più in un disegno divino in cui ci fosse
posto per tutti.
No, lei era stata tagliata fuori da qualunque cosa, era stata lasciata
ai
margini della strada a sperare di poter rialzarsi senza che fosse
troppo tardi.
E Jacqueline iniziò a pensare che fosse troppo tardi, che
ormai della sua vita
non avrebbe più potuto fare niente se non aspettare che le
scivolasse
completamente di mano.
Magari sarebbe andata meglio, magari sarebbe successo qualcosa.
Un tempo aveva sognato di poter conquistare Dublino, creare qualche
campagna di
studi storici, magari un salotto di letterati con cui discutere,
aperitivi chic
e abiti da pomeriggio di raso.
Ma la città aveva vinto.
Così come in una festa piena di persone: nessuno si accorge
di quando te ne
vai.
E così era la sua vita.
Nessuna si sarebbe accorto del suo arrivo.
Nessuno si sarebbe accorto della sua partenza.
Nicholas avrebbe tanto voluto fare, dire qualcosa, ma tutto gli
sembrava
profondamente sbagliato, in quel momento.
Dopotutto rivedeva Jacqueline dopo anni, non poteva mica prendersi il
lusso di
fare come quando avevano sedici anni.
Ormai erano cresciuti, e non c’era più tempo di
giocare.
Perse il senso di ogni cosa quando, per sbaglio, incrociò
gli occhi ingolfati
di lacrime di lei.
Si morse il labbro e poi, le avvicinò, facendo scivolare le
mani sui suoi
fianchi.
Restò in silenzio.
Non poteva guardarla in quel modo, si disse, non poteva pensare a
quanto
potesse essere bella quella ventenne che camminava al suo fianco.
Trattenne il fiato più volte mentre pensava quelle cose, e,
come un ragazzino
capì che voleva baciarla.
Cavolo se voleva.
Quelle labbra rosse, piccole, delicate, in fondo innocenti.
Lui sapeva chi fosse in realtà Jacqueline, lo sapeva
perché avevano passato
parte della loro vita insieme, certo, non troppo, come compagni di
squadra, ma
pur sempre insieme.
E infondo ne era sempre stato attratto, anche quando sembrava
più maschio che
femmina.
<< Siamo arrivati >> le disse in un soffio.
Lei annuì, guardandosi intorno: erano nella zona
più raffinata e costosa della
città.
Nulla di cui stupirsi.
Nicholas entrò
di corsa, prese la chiave
della stanza dalla portineria e trascinò Jackie fino a sopra.
<< Fai come fossi a casa tua >> fece il
giovane levandosi
l’impermeabile.
<< .. grazie >> mormorò lei con
un sorriso stentato.
Il ricciolo le si avvicinò, le si avvicinò
così tanto da respirare tra i suoi
capelli.
Lei rabbrividì e di scatto, si girò verso di lui
<< Io non sono chi tu
credi che io sia >>
Il giovane rise, alzando le sopracciglia << Certo che lo
so chi sei
>>
Jackie scosse il capo << Non ho
mai lavorato a Londra, non sono una ricercatrice
universitaria >>
Nicholas la guardò accigliata << Tutto qui?
>>
Ma lei sospirò << E non lavoro al bar
perché mi svaga.. Ma perché ne ho
bisogno >>
Improvvisamente il giovane tacque.
Non rispose, si diresse verso il balcone per spalancarlo, nonostante il
freddo.
<< Io non sono una ricercatrice, vivo in una stanza in
affitto che è più
sporca di una baracca in mezzo alla campagna. Spesso ho
difficoltà ad arrivare
alla fine del mese, guadagno quattrocentocinquanta euro al mese e a
volte anche
solo trecento. Per pagare la bolletta della luce devo fare due
straordinari al mese
>> delle lacrime iniziarono a rigarle il viso
<< E sai cos’altro?
Nick, io sono una puttana, una misera puttana! Perché vado a
letto con i miei
clienti per mantenere la mia famiglia! Capisci? Sono una puttana!
>> urlò
straziata.
Scoppiò a piangere in maniera così disperata che
i singhiozzi le impedivano di
respirare.
Nicholas provò qualcosa di indescrivibile vedendola
piangere, desiderò con
tutto sé stesso di poter mettere fine alla sua sofferenza,
essere lui al suo
posto.
Subito l’abbracciò forte, baciandole ripetutamente
il capo, con tutta la
tenerezza e la dolcezza che poteva. Le carezzò la schiena e
le sussurrò che
andava tutto bene.
Jacqueline smise di piangere e alzò finalmente, lo sguardo
verso il giovane
<< Scusami, io non volevo.. Ora.. Sarà meglio
che vada.. Ti ho già creato
abbastanza problemi >> mormorò, sciogliendo a
malincuore l’abbraccio.
Perché anche lei aveva provato le stesse sensazione del
giovane, quella vecchia
fiamma che si era riaccesa non appena i loro sguardi si incrociarono
due ora
fa.
E si erano sentiti esattamente come se avessero sedici anni, sedici
anni ed in
preda alla loro prima cotta. Ed
era
bastato guardarsi dopo quattro anni.
Quattro anni in cui le loro strade si erano divise, in cui avevano
vissuti in
posti diversi, in cui erano stati con persone diverse, avevano fatto
cose
diverse.
Erano cambiati, cresciuti, peggiorati, migliorati.
Non avrebbero mai pensato di trovarsi così, disperati di
qualcuno, disperati di
sapere che in fondo non fossero soli nel mondo.
In qualche modo, ci sarebbe stato un riscontro per chiunque.
Forse per Jacqueline non ci sarebbe mai stato, ma in quel momento non
lo sapeva
più, perché in quel momento stava.. Bene.
Nonostante tutto, nonostante gli avesse confessato di essere quello che
era.
Non si era illusa, non l’aveva illuso d’essere
migliore, e a lui sembrava non
interessare.
Mosse qualche passo verso la porta della camera, ma Nicholas la
bloccò dal
polso, attirandola a sé con un gesto veloce.
<< Tu non andrai da nessuna parte >>le
disse << Perché adesso
io voglio te, e non puoi andartene >>
La rossa sbarrò gli occhi << Ma io devo
>>
Nicholas rise << Tu non vuoi >>
soffiò lui sulle sue labbra
<< Quindi starai qui con me, stanotte, e sarai la mia puttana personale >>
Jacqueline si sentì morire non appena Nick
sottolineò quel mia con
così tanta enfasi << Stai sicuro che ti
piacerà ma tu
non..>>
Non fece in tempo a finire la frase che il giovane prese il suo viso
tra le
mani ed iniziò a baciarla con necessità,
trasporto, passione, fisicità.
Perché aveva bisogno di stare con lei, almeno quella notte.
Perché poi sarebbe ripartito il giorno dopo per
l’Italia e sarebbe ritornato
dopo ottomesi.
E poi sarebbe di certo tornato a Dublino.
Perché non gliel’aveva detto, ma si era trasferito
lì da due giorni.
E aveva bisogno di averla con sé quella notte,
perché era la numero sette,
Jacque, Jackie, dalle labbra rosse
e
dal viso splendido.
Jacqueline passò una mano tra i suoi ricci e rispose al suo
bacio con tutta la
disperazione e il bisogno che avvertiva in quel momento.
Nick le cacciò di dosso il cappotto e cinse la sua vita con
entrambe le mani,
carezzandole la pelle sotto la camicia che, subito dopo,
sbottonò velocemente.
Jackie rise interrompendo il bacio per qualche attimo.
Giusto per riprendere il fiato.
Nicholas passò le labbra sul suo collo e sussurrò
<< Sei già stanca
>>
La rossa gli levò il cardigan e lo baciò
sull’angolo della bocca << Siamo
ancora all’inizio >>
Il giovane rise e riprese a baciarla, stavolta con più forza.
Sentiva l’adrenalina scorrergli nel sangue, mentre con le
mani, passava su
tutto il corpo di Jacqueline.
La portò vicino al letto, sul quale si distese e
lasciò la ragazza si mettesse
sopra di lui.
Jackie si ritrovò piuttosto in imbarazzo, era lì,
su un letto mentre baciava come
una pazza un suo compagno di liceo che non vedeva da anni.
E lei era sempre stata la maschiaccia della situazione, quella che di
certe
cose non sa nulla.
Ora invece era come.. L’esperta.
Iniziò a lasciare dei baci dipinti di rosso sul
suo petto scoperto.
Poi uno sul labbro superiore.
Nick, sentendo il rossetto si pulì con una mano, con un
gesto provocatorio.
Lei ricambiò il suo sguardo sfida, e passò una
mano sul corpo, fino al bottone
dei jeans, che sbottonò subito. Il giovane poi, la
privò dei jeans, poi della
biancheria, e lo stesso fece Jackie.
Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato, che ci fossero solo loro
due, in
quel momento, sull’intero pianeta. Loro, con i rimorsi, le
angosce, le paure e
i dubbi.
Jacqueline accarezzò il suo petto, mentre lui sfiorava tutto
il suo corpo con
bramosia.
Continuavano a baciarsi, posseduti dal pensiero della
fisicità,
dell’appartenersi adesso.
Niente poteva contare in quel momento.
E forse per la prima volta, non ci sarebbero state feste piene di
persone,
perché se uno dei due fosse andato via, si sarebbe notato.
Era incredibile come Jacqueline, per la prima volta, non si sentisse in
colpa
per quello che aveva fatto.
Non le aspettava un compenso alla fine di tutto ciò, ma solo
mettersi in pari
con sé stessa.
Mentre Nicholas si sentiva totalmente appagato e.. Forse un
po’ felice.
Si, felice, e pensò che non c’era niente di male
in questo.
<< Sei stata brava >> mormorò
lui, facendola rabbrividire.
Lei rise baciandogli il lobo << Non mi provocare
più, perché ti darei
risposte cattive >>
Nicholas in risposta, le baciò le labbra << E
non possiamo rovinare
questa rimpatriata, vero?
>>
Jacqueline scosse il capo, e si risedette di fianco a lui.
Sospirò.
Cosa le sarebbe rimasto alla fine di quella serata? E Nicholas?
Cos’era? Chi era, da adesso, per lei?
Okay, erano stati insieme, avevano soddisfatto i loro bisogni, ed ora?
<< Ti sei pentita? >> gli chiese lui,
institivamente.
Lei tossicchiò << Intendi di.. questo? >
Nicholas annuì.
<< Io non mi pento mai >>
affermò lei con sicurezza.
Lui sorrise, baciandole il capo << Mi fa piacere
>>
<< Magari oggi ci penseremo bene.. >> disse
la rossa sbadigliando.
<< Jacques.. Io.. Devo dirti una cosa >>
disse Nick gravemente.
Lei gli sorrise, incoraggiante, ma aveva paura di quello che stava per
dirle.
Qualunque cosa fosse.
Perché conosceva lo sguardo che aveva Nicholas in
quell’istante e non
prometteva nulla di buono.
Il giovane prese un gran respiro ed iniziò a dire
<< Sai, neanche io ti
ho detto tutto.. Io ho aperto uno studio a Dublino, esattamente due
giorni fa
sono arrivato e,
mentre sistemo casa,
sto stando qui >> si fermò e si
girò verso di lei << Vedi, io non
sapevo cosa ci sarebbe successo, e.. Oggi, alle due e quindici ho un
aereo per
Milano, dove mi devo trattenere per.. Un po’ di tempo
>>
Abbassò lo sguardo, colpevole.
Si sentì un verme.
L’aveva usata, l’aveva portata a letto ed era stato
così fottutamente bene mai
avrebbe dovuto dirle quelle cose, ma doveva, per sé stesso,
per.. Tutto.
Forse anche per lei.
Jacqueline aveva bisogno di schiarirsi le idee, di capire chi fosse,
chi
volesse essere, cosa volesse fare, dove volesse andare.
Se restare, partire.
Lui non sapeva cosa avrebbe fatto, ma ora come ora non sarebbe mai
voluto
andare via.
Perché aveva avuto bisogno di lei e l’aveva
sfruttata, ma aveva capito che la
voleva, e non solo per una notte. Perché era solo,
nonostante dalla vita avesse
avuto tutto.
I soldi, un lavoro, una casa in città, al mare, in campagna..
E Jacqueline? Lei cosa aveva avuto?
Aveva avuto lui, e tanti altri uomini, ma solo per una notte, solo per
poco.
Poi, si sarebbe dovuta alzare dai loro letti, in silenzio, per poi di
nuovo,
tornare a vivere la sua vita, con disgusto, lentezza.
Senza niente.
Jacqueline nel sentire quelle parole, non si stupì affatto,
anzi.
Rise, rise di gusto.
<< Sarà bella Milano, goditela
>> il suo tono era amaro, risentito.
Non che si aspettasse qualcosa di serio da quella nottata, ma aveva
avuto
qualcosa di diverso, aveva vissuto qualcosa di vero, più
grande, più bello.
Ma infondo, avrebbe dovuto saperlo, che per lei, niente era
destinato a
durare.
Tutto era solo effimero e passeggero.
E lei era stanca, stanca di aspettare qualcosa, o qualcuno che
potessero
rendere la sua vita migliore.
Si alzò dal letto, avvolta dal lenzuolo e guardò
Nicholas intensamente <<
Spero tu possa avere la fortuna che meriti, magari mandami un cartolina
>>
Il ricciolo si alzò dal letto, infilandosi il boxer
<< Jacques ti prego
non andare.. >> le sussurrò avvicinandosi a
lei e carezzandole i capelli.
La giovane deglutì, chiudendo gli occhi <<
Smettila, me ne devo andare
>>ribattè fermamente.
Nicholas le baciò l’incavo del collo, la costrinse
a voltarsi e la baciò
ancora.
<< Ti prego.. Io tornerò presto, te lo
prometto.. >> tentò di dire,
ma lei non lo voleva ascoltare.
Doveva andarsene, perché se fosse rimasta ancora quella
serata sarebbe stata
per lei molto di più di quello che doveva significare.
E non poteva aspettare chi non poteva tornare.
Non poteva più vivere di illusioni, quelle erano per i
deboli, e lei non lo
era.
E restare, cedere a quel giovane avrebbe significato esserlo.
Non voleva vivere di vane speranze “tornerà,
tornerà presto”, perché forse non
l’avrebbe più rivisto.
Perché forse davvero lui, poteva significare qualcosa in
più.
E non era giusto.
Così, senza rispondergli, si rivestì in fretta.
Non lo guardò neppure una volta, neppure quando per prendere
la sua borsa, lo
sfiorò.
Non appena infilò il cappotto, disse << Spero
di rivederti presto
>> gli disse solo.
Lui la raggiunse, restando in silenzio.
<< Tornerò per te >>
Jacqueline si voltò e lo baciò teneramente, per
l’ultima volta.
<< Ci vediamo >> concluse lei, allungando
una mano verso il pomello
della porta.
<< A presto >> mormorò Nicholas.
Lei gli sorrise debolmente e poi, sparì dalla sua vita.