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Autore: itsbrie    07/03/2011    4 recensioni
Jacqueline e Nicholas sono due ex compagni di liceo che si rincontrano dopo anni di assenze e distanze. Entrambi sono arrivati ad un punto in cui è necessario adoperare una scelta, anche se non è sempre facile.
Jacqueline ha paura, ha trascorso degli anni non sereni e teme di sprecare la sua vita; Nicholas ha un'esistenza brillante e conclusa, ma priva di qualcosa in più. Cosa li porterà a credere il loro incontro? Che cosa succederà se questa notte cambierà le loro vite?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Jackie

Salve a tutti!
Ebbene si, sono tornata, felice di avere la forza per continuare a scrivere qualcosa e pubblicarla qui.
Questa storia è nata moltissimo tempo fa, frutto di un sogno e diverse esperienze.
Fino ad ora, ho scritto ventisei pagine, ma vi propongo solo le prime dieci, perchè inizialmente mi sarei dovuta fermare solo a queste, ma poi ho deciso di continuare.
Dal momento  che non so se riuscirò a portare a termine questa storia, aggiungerò capitoli solo qualora la portassi avanti, in caso vi lascio con queste dieci pagine che spero bastino :)
Vi pregherei di farmi sapere cosa ne pensate, perchè questa per me è un pò una prova del 9, e ho bisogno di un parere, anche solo di una minima parola.
Grazie in anticipo a tutte che voi che mi aiuterete :)
E se vi va, passate anche a leggere la long che ho in pubblicazione la mia amica Giulia a questo link :D  
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=563705&i=1
Un grande bacio,
a prestissimo!
Maria Letizia

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Because my inside is outside 
My right side's on the left side 
'Cos I'm writing to reach you 
But I might never reach you 
I long to teach you about you 
But that's not you

(Travis – Writing To Reach You) 

 

 

<< Jackie ehi, per favore, un gin and french>> le esclamò Tyler, dal fondo del bancone.
La giovane donna con le labbra laccate di rosso scosse il capo << La puzza del tuo alito si sente da qua >>
Quello rise di gusto, allungando le braccia e portandosele dietro il capo << E’ venerdì, possiamo concedercelo, dolcezza >>
Lei alzò le spalle, versando nel bicchiere un fifty-fifty  di gin e vermunt francese.
Appena termino, fece scivolare il bicchiere verso Tyler che lo aspettava impaziente.
Jacqueline spostò i capelli rossi di lato, iniziando a sventolarsi con una mano a causa del gran caldo.
Nonostante il locale non fosse pieno, l’odore di fumo, alcool e sudore, avevano appesantito notevolmente l’aria. Si guardò intorno e, nonostante quella non fosse stata una giornata negativa, non potè fare a meno di sospirare malinconicamente, abbassando gli occhi per iniziare a chiedersi perché si era ridotta in quel modo. Dopotutto, con i risultati che aveva conseguito con la sua laurea in storia, avrebbe potuto fare tanto.
Invece, si ritrovava a dover gareggiare con i conti da pagare, l’affitto da saldare e il contributo bimestrale per i suoi genitori. Genitori che erano convinti lavorasse per un’importante università irlandese e che guadagnasse almeno il doppio di quello che in realtà riceveva.
Eppure Jacqueline era una ventiduenne in gamba, tenace, ancora piena di speranze.
Cresciuta nella fredda Pourtsmouth, ma di origini gallesi , tra mare agitato e campagne estese, aveva frequentato la scuola superiore a Londra, per poi vincere una borsa di studio per lo sport per il Trinity College di Dublino.
E seppure l’avesse ottenuta per le sue prestazioni sportive, la sua più grande vocazione era la storia e, nonostante la borsa di studio la vincolasse allo sport, fece in modo di dedicarsi ad entrambe le cose.
E poi, era una ragazza abbastanza carina.
O almeno questo era quello che le sembrava di aver capito.
La pelle del viso era pallida e un po’ gonfia (forse per tutte le nottate a studiare), i capelli rosso rame le arrivavano sulle spalle, ma era suo gran desiderio provare a farli crescere, il fisico era slanciato ma leggermente muscoloso in alcuni punti a causa dei tanti anni di sport. Gli occhi erano la parte di lei di cui andava più fiera: verdi e profondi, proprio come quelli di sua madre. La sua vita, alla fin fine, si era ridotta a questo: un semplice posto fisso in un locale su Little Britain Street che le dava circa quattrocentocinquanta euro al mese e una stanzetta in affitto vicino Lower Abbey.
Praticamente  non aveva niente.
<< Che ne pensi di lavare questi bicchieri Jacq? Ti costa troppo? >> sbottò Mildred, la moglie del proprietario del locale. Sapeva di essere odiata da quella donna e non si stupì dei suoi modi.
Molto probabilmente perché un paio di volte era andata a letto con suo marito per  una manciata di euro.
Sì, a volte Jacqueline era anche una ottima puttana, e a detta di molti era anche molto brava.
Ma i soldi le servivano, non poteva farci niente.
O almeno lei credeva così. Forse perché  non aveva mai avuto sconti dalla vita, ed ogni volta che qualcosa sembrava andare più o meno bene, inciampava in difficoltà di più grandi che non sapeva affrontare, essendo sola. Non aveva una migliore amica, odiava il modo in cui si rapportavano tra loro le ragazze del ventesimo secolo, né tantomeno la desiderava.
Non aveva un fidanzato perché da quando aveva rotto con Gary si era convinta che il genere maschile fosse solo una inutile perdita di tempo.
L’unica persona di cui si fidava era suo fratello Heath e il suo vicino di casa gay Robert.
In più si fidava dei cani, in particolare di Buk,  lo yorkshire di Robert.
Oltre loro, non c’era assolutamente nessuno nella sua vita e pur essendo tutta colpa sua, non poteva fare a meno di dare la colpa agli altri, così “monotoni e piatti”.
In ventidueanni di vita, aveva collezionato una serie di disastri che avrebbero fatto invidia a chiunque.
Quando tornava dai suoi genitori, d’estate, lavorava nel supermercato subito fuori città, dicendo in famiglia che si recava a Londra per alcune imbasciate ; prima del bar in cui lavorava, era stata commessa in un negozio di abbigliamento per neonati, ma l’avevano licenziata perché scoperta mentre rullava una canna; oppure aveva lavorato come fattorina per una pizzeria a domicilio, ma dopo che si era presentata a lavoro sbronza, aveva avuto un incidente mentre consegnava le pizze ed era stata gentilmente invitata di non presentarsi al lavoro quando sarebbe guarita.
Ora, anche se lavorava in un posto in cui avrebbe potuto bere e fumare (almeno la sera), aveva smesso per rispetto per sé stessa.
Anche se un pacchetto di sigarette nella sua borsa non mancava mai.
Tra l’altro, non avendo turni di mattina, continuava a studiare, consumando ore su ore per argomenti che ormai conosceva a memoria. Ad esempio ultimamente, le si era accesa una certa passione per la storia dei paesi scandinavi e, nonostante non fosse poi così vasta, faceva ricerche sulle personalità storiche – politiche che avevano influito nel corso degli anni.
Studentessa di mattina, cameriera il pomeriggio, la sera e la notte, a volte puttana.
Questo era Jacqueline Butler a ventidue anni.
E sembrava promettere così bene Jacques But, la stellina del basket in quel liceo londinese.
Non si riconosceva più neanche lei.
Prima indossava larghe magliette e jeans scuri e stretti, portava i capelli lunghi sotto le scapole, le scarpe da ginnastica puzzolenti da morire; era la migliore amica dell’intera squadra di basket maschile, e odiava qualunque cosa la potesse far sembrare più femminile. Adesso invece indossava magliette strette accompagnate da short, da jeans o gonne, con tacchi e stivali.
Le sue labbra erano sempre colorate di rosso, sugli occhi un filo di matita e del mascara.
Non poteva credere di essere diventata tutto il contrario di quello che aveva desiderato, ma non ci era riuscita, ci aveva provato ed aveva fallito.
Ora doveva solo mettersi in pari con la vita e il tempo che andava avanti.
<> fece al giovane che l’affiancava nel turno delle dodici, Ian, un giovane diciannovenne di belle speranze che pendeva dalle sue labbra.
Non era stata ancora con lui perché odiava di doversi ridurre con quelli più piccoli in quanto, fino ad ora, prediligeva trentenni in carriera che la cercavano per tutta la città pur di passare una sola notte con lei.
E per questo, avrebbe tanto voluto non essere mai nata, per la vergogna che provava ogni volta che entrava in macchine di sconosciuti ed accettava di farsi usare per arrivare alla fine del mese.
Quella sera non prometteva bene per il locale, varcavano la soglia tre persone ogni quarantacinque minuti, e la maggior parte di queste, chiedevano una birra e salatini e poi andava via.
L’unica lato positivo era Tyler, che chiedeva un drink ogni dieci minuti.
Il tempo di ingerirne uno e vomitare l’altro.
Si accese una sigaretta dal pacco che Ian aveva lasciato vicino il lavandino e iniziò a riflettere se forse, fosse il caso di tornare a Londra e darsi veramente da fare per cercare di costruirsi una vita oppure, se le piacesse fare la stracciona in  uno schifo di stanza con l’intonaco cadente e le lampadine scoperte di cavi elettrici.
Magari questo era solo un modo per auto commiserarsi, così che un giorno avrebbe potuto rinfacciare la fatica e i duri sforzi da lei affrontati, una volta riscattata.
Ma difficilmente vedeva un’uscita.
La sua vita le sembrava solo un vicolo cieco.
Molte volte piangeva, molte volte correva sotto la pioggia con la speranza di cadere ammalata e finire a letto per diverso tempo.
Oppure aveva provato a non dormire per una settimana, e il risultato fu che ce l’aveva fatta per quattro giorni, ma poi era finita in ospedale per tre giorni, nei quali recuperò le forze e un po’ di ragione.
Insomma, sembrava che neanche le sfighe fisiche stessero dalla sua parte.
Alzò le spalle, e spense la sigaretta nel posacenere davanti a se.
<< Salve >> la richiamò poi una educata voce maschile.
Lei alzò lo sguardo senza realmente interessarsi di chi si trovasse di fronte << Cosa ti do? >> gli disse come se fosse una filastrocca.
L’altro scoppiò a ridere e scosse il capo divertito.
<< C’è qualcosa che non va? >> domandò Jacqueline seccata.
Il ragazzo si passò una mano tra i  folti riccioli e si fece pensieroso << Sai che la tua frase potrebbe venire facilmente fraintesa? >>
Lei lo guardò accigliata << Sei un pervertito >> biascicò, ritornando a lavare i bicchieri.
Quello, dal canto suo, levò l’impermeabile Burberry che aveva indosso e allungò una mano verso il viso della giovane, prendendole il mento << Scherzavo >> mormorò con un mezzo sorriso.
Ma la ragazza infastidita da quel gesto, si scansò ed esclamò << Ma stai fermo! >>
Il giovane continuò a ridere << Una guinness bella fredda >> le fece poi, incrociando le braccia.
Jacqueline lo guardò in cagnesco  << Potrei anche non dartela dopo quello che hai fatto >>
Ma quello la guardò docilmente, con quegli occhi color cioccolato profondissimi << Dai, per favore, prometto che poi farò il bravo >>
La rossa sospirò e si voltò per prendere un bicchiere della Guinness e versarne un po’.
Quando ebbe finito, si accorse che il giovane la osservava come se la volesse studiare attentamente.
Le sembrava di conoscerlo: aveva i tratti di un ragazzo con cui era amico al liceo, uno dei suoi compagni di basket. Un certo Nick o Mick.
Ora non se lo ricordava più.
<< Ecco a  te >> gli diede la birra riluttante e poi, continuò a farsi gli affari propri.
Quello annuì e si portò il bicchiere alla bocca senza smettere di fissarla.
Si soffermò in particolare agli occhi e alle labbra.
Era così bella che per qualche attimo si dimenticò di quello che stava pensando.
Seguiva con attenzione le linee del suo profilo, analizzando ogni espressione che i suoi muscoli assumevanp in quegli istanti.
<< Jackie! Hai preso le mie sigarette! >> esclamò Ian ridendo.
Jacqueline scoppiò a ridere e gli si avvicinò << Puoi prenderne una mia >> gli disse poi, tirandogli una pacca affettuosa sulla spalla.
Non appena quel giovane la chiamò Jackie, il ricciolo drizzò la schiena.
Ora sì che l’aveva riconosciuta, la sua compagna di liceo Jacqueline Butler.
<< Jacqueline.. >> mormorò lui, avvicinandosi al bancone ancora di più << Jacqueline >>ripetè poi, ad alta voce, guardandola con ancora più interesse.
Non poteva credere che fosse proprio lei, proprio così bella e soprattutto donna.
Si ricordava ancora di quando si presentava agli allenamenti con quelle canotte enorme senza reggiseno perché lei riteneva di essere piatta; mentre ora aveva un petto che quasi lo fece rimbambire.
Gli venne in mente di quando, una volta, Fiona Parry le aveva regalato un rossetto e lei ci aveva scritto “Go Crocodiles” nello spogliatoio e poi aver buttato quello che ne restava nel cestino; mentre ora le sue labbra erano attentamente ricoperte di rosso, che davano al suo aspetto, qualcosa di ancora più accattivante e seducente. Riconobbe le sue mani, forse troppo piccole per lei che giocava a basket e i capelli rossi, che amava veder volteggiare per il campo legati in una lunga coda, che ora invece, le arrivavano sulle spalle.
Non poteva negare di aver avuto un debole per lei quando entrò in squadra, come tutti d’altronde, e di come poi, con il passare del tempo, era diventata l’equivalente in amicizia di tutti gli altri ragazzi.
Non era più Jacques, che si faceva chiamare come un maschio perché odiava essere femmina, anzi, ora era Jackie, la ragazza del bancone più bella che quel posto avesse mai visto.
<< Che vuoi? >> sbottò lei, con sguardo storto.
<< Non mi riconosci proprio? >> le domandò, senza mezzi termini.
Jacqueline aggrottò le sopracciglia << Dovrei? >>
Lui annuì << Forse ti ricorderai del numero 14, la guardia tiratrice dei Crocodiles>>
La ragazza spalancò la bocca << Ma.. Sei davvero quel Nick? Mio Dio! Non ci posso credere! >> esclamò poi, portandosi le mani sui fianchi << Avevo avuto un piccolo dubbio su di te fin da quando sei entrato qui dentro, ma non credevo fossi davvero tu! >> continuò, scoppiando a ridere.
Nick, anzi, Nicholas alzò le spalle e le sorrise affabile << Invece eccomi qua, in carne ed ossa >>
La giovane si avvicinò a lui e si salutarono affettuosamente.
Lei gli sorrise rasserenata e gli disse << Meno male che sei tu e non qualche pazzo sclerato, mi stavo già spaventando >>
Il ricciolo scosse il capo << E invece sono venuto io a salvarti la vita.. Meglio eh? >>
Rise, ma il suo tono sembrava serio.
Anche prima di sapere chi lei fosse, si era ritrovato inevitabilmente attratto da quella ragazza con gli short, la camicetta bianca e gli stivali fino alle ginocchia.
Jacqueline deglutì e sorrise appena << Penso di si >>
<< Sei proprio tu.. La piccola ala sinistra.. Numero 7 >> rammentò lui con una certa nostalgia.
Lei rise e abbassò lo sguardo << All’ultima partita avrei voluto uccidervi tutti! Come avete osato regalarmi dei fiori? Sapevate che li odiavo da morire! >>
Nicholas ridacchiò << E’ stata una idea di Byron! >>
Jackie scosse il capo << Non li ho buttati nel cesso solo perché mi dispiaceva >>
Lui bevve un sorso di birra, poi rispose << Ma quanto potevi essere crudele! Però anche adesso un po’ lo sei.. Guarda come mi hai trattato prima! >>
<< Ma sei facevi il pervertito mica è colpa mia! >> si difese la rossa agitando le mani.
Così. iniziarono a parlare, persi nei loro ricordi e nelle emozionanti immagini delle loro adolescenze, trascorse forse troppo in fretta.
Sembrava passata una eternità da allora, da quando si faceva tardi dagli allenamenti, e poi si doveva scappare a casa a studiare dieci materie.
Da quando prendere un tre in biologia sembrava la fine del mondo, da quando le uscite didattiche fuori Londra erano le uniche cose che accedevano un po’ quella monotonia scolastica, da quando si cercava qualcuno con cui andare al ballo di fine anno o per la ricerca di chimica, per il dialogo di teatro, per il progetto “marito e moglie”, per l’ora di educazione fisica.
Il futuro che stavano vivendo, allora sembrava più roseo, più vero, pieno di progetti, speranze che volevano realizzare in qualunque modo.
Perché gli adolescenti sono costanti, convinti delle proprie idee, pronti a mangiarsi al mondo.
Ed ora? Ora cosa resta di tutto ciò?
Niente, solo un bel ricordo dei tempi andati.
Nicholas le raccontò di aver intrapreso gli studi di giurisprudenza in America, dalla quale era rientrato subito dopo aver conseguito la laurea, e che ora, stava portando avanti insieme ai suoi fratelli, lo studio legale di famiglia.
Definì quella scelta “una via forzata” che all’inizio gli appariva detestabile ed inutile, ma che invece, a lungo andare, lo aveva appassionato, facendo di lui un ottimo neo – avvocato.
Ora, non sapeva esattamente se voleva continuare  l’attività di famiglia o aprire una propria, ma restava comunque il fatto che lui fosse riuscito a realizzarsi pienamente, nonostante tutto.
Quando toccò a Jacqueline, raccontare  di sé, omise parecchi particolari e raccontò della sua brillante carriera universitaria e, definendo uno svago il lavoro al locale.
<< Senti, prima ho sentito parlare di una sigaretta, me ne offri una? >> avanzò Nick, dopo un po’ che stavano parlando.
Lei annuì << Va bene, tieni >> fece poi, porgendogli il pacchetto.
<< No >> la bloccò lui << Intendevo fuori di qua >>
Nicholas era terribilmente serio, e la giovane si sentì attraversare la schiena da un brivido.
<< Io sto lavorando.. Non posso.. >> provò a dire, ma Ian, che aveva seguito tutto seppur in maniera vaga, la interruppe dicendo << Vai, non farti pregare, ormai è tardi e ci sono pochi clienti faccio tutto io >>
Lei lo guardò grata, ma disse <>
Quello le fece l’occhiolino << Vai >> mormorò solo.
Nicholas guardò il giovane con un sorriso compiaciuto e gli porse una banconota da venti euro << Questi te li meriti >>
Ian voleva non accettare, ma poi pensò a quanto quei soldi sarebbero stati utili alle sue economie e li intascò in silenzio.
<< Prendo le mie cose, aspettami fuori >> disse poi Jacqueline a Nicholas.
Quest’ultimo annuì e mentre la vide sparire da dietro il bancone si diresse verso l’uscita.
Non appena fu fuori, Nicholas avvertì una leggera scossa, forse dovuta al freddo di quella serata dublinese. Si guardò intorno e notò che agli angoli delle strade, stava iniziando a formarsi del ghiaccio, mentre la nebbia, iniziava a ricoprire tutte le strade.
Sfregò le mani e, mentre si perdeva in alcune osservazioni, un gruppo di giovani raggiunse il locale chiassosamente, prendendo a calci una bottiglia vuota di birra o qualcos’altro.
Jacqueline uscì dal locale avvolta da un cappotto nero e senza più gli short, ma dei jeans normali.
Nicholas le sorrise e subito lei gli porse le sigarette << Sono l’ideale con questo freddo >> osservò lui, mentre accendeva la sua.
<< Già >> rispose lei.
Intanto, quegli altri ragazzi, si erano diretti verso l’ingresso del locale, ma uno di loro, si fermò di fronte Jacqueline e subito esclamò << Perché non sei dentro? Diamine rossa stasera sono venuto solo per te! >>
Lei sentì il cuore fermarsi, deglutì e rispose << Non so chi tu sia. Vattene >>
Ma quello le si avvicinò ancora di più, prendendole il viso tra le mani << Vuoi che ti faccia ricordare io? >> mormorò con l’alito pesante di alcool.
<< Non mi toccare cane! >> urlò lei scansandosi.
<< Vieni qua >> la richiamò lui, tirandola dal polso << Non fare troppo la puttana, che stasera non ho molta pazienza >> e detto questo, premette con forza le sue labbra contro quelle di Jacqueline.
Nicholas che fino ad allora non era intervenuto perché credeva che la cosa si risolvesse lì, con un gesto semplice e deciso, allontanò il giovane da Jacqueline e poi, gli tirò un pugno in piena faccia.
<< Non osare più avvicinarti a lei >> ringhiò << Né tu né i tuoi amichetti >>
Quello provò a reagire, ma non appena si ritrovò le mani macchiate di sangue, lo mandò a quel paese e raggiunse gli altri, che intanto erano andati via.
<< Come stai? >> chiese subito Nicholas alla giovane, che sembrava essere sconvolta.
Lo sguardo di lei era come ghiacciato, i suoi occhi verdi sembravano esser diventati bianchi << Bene >>
Ma lui non le credette << Andiamo via di qui >> le disse solo, cingendo le sue spalle con un braccio.
Nicholas alloggiava in un albergo ad un quarto d’ora a piedi dal locale, e durante il tragitto, Jacqueline rimase in silenzio, incapace di dire anche solo una parola.
Quello che era successo era troppo. Specie in quel momento.
L’aveva chiamata puttana, l’aveva baciata, aveva insinuato che erano stati insieme.
E lei non poteva negare. Era vero.
Gli occhi le si riempirono di lacrime e vergogna e, desiderò con tutta sé stessa di poter scomparire dalla faccia della terra. Ma sapeva fin troppo bene che non era possibile.
Non poteva neanche alzare lo sguardo per paura di incontrare gli occhi di Nick, che le avrebbero fatto sembrare la cosa  ancora più terribile e vergognosa.
Non riusciva a camminare in linea retta, traballava e, molte volte rischiava di inciampare nei suoi stessi piedi. La sua vita non le era mai pesata così tanto.
Solo adesso sentiva il peso di tutti i suoi fallimenti, di tutte le sue vergogne, di tutto quello che non era riuscita ad essere.
Ancora una volta, si domandò perché non fosse riuscita ad essere qualcuno, perché non fosse stata in grado di mettere la propria vita sulle spalle e farsi in quattro per cercare di darle un senso, per provare a non sentirsi insignificante, vuota e nulla come era sempre stata.
Non era più la beniamina della squadra di basket, non era più parte di qualcosa, ma era un puntino nell’universo che si muoveva egoista dietro di lui, che la lasciava sempre per ultima a raccogliere i pezzi. Non aveva più un ideale, non credeva più in un disegno divino in cui ci fosse posto per tutti.
No, lei era stata tagliata fuori da qualunque cosa, era stata lasciata ai margini della strada a sperare di poter rialzarsi senza che fosse troppo tardi.
E Jacqueline iniziò a pensare che fosse troppo tardi, che ormai della sua vita non avrebbe più potuto fare niente se non aspettare che le scivolasse completamente di mano.
Magari sarebbe andata meglio, magari sarebbe successo qualcosa.
Un tempo aveva sognato di poter conquistare Dublino, creare qualche campagna di studi storici, magari un salotto di letterati con cui discutere, aperitivi chic e abiti da pomeriggio di raso.
Ma la città aveva vinto.
Così come in una festa piena di persone: nessuno si accorge di quando te ne vai.
E così era la sua vita.
Nessuna si sarebbe accorto del suo arrivo.
Nessuno si sarebbe accorto della sua partenza.
Nicholas avrebbe tanto voluto fare, dire qualcosa, ma tutto gli sembrava profondamente sbagliato, in quel momento.
Dopotutto rivedeva Jacqueline dopo anni, non poteva mica prendersi il lusso di fare come quando avevano sedici anni.
Ormai erano cresciuti, e non c’era più tempo di giocare.
Perse il senso di ogni cosa quando, per sbaglio, incrociò gli occhi ingolfati di lacrime di lei.
Si morse il labbro e poi, le avvicinò, facendo scivolare le mani sui suoi fianchi.
Restò in silenzio.
Non poteva guardarla in quel modo, si disse, non poteva pensare a quanto potesse essere bella quella ventenne che camminava al suo fianco.
Trattenne il fiato più volte mentre pensava quelle cose, e, come un ragazzino capì che voleva baciarla.
Cavolo se voleva.
Quelle labbra rosse, piccole, delicate, in fondo innocenti.
Lui sapeva chi fosse in realtà Jacqueline, lo sapeva perché avevano passato parte della loro vita insieme, certo, non troppo, come compagni di squadra, ma pur sempre insieme.
E infondo ne era sempre stato attratto, anche quando sembrava più maschio che femmina.
<< Siamo arrivati >> le disse in un soffio.
Lei annuì, guardandosi intorno: erano nella zona più raffinata e costosa della città.
Nulla di cui stupirsi.
Nicholas  entrò di corsa, prese la chiave della stanza dalla portineria e trascinò Jackie fino a sopra.
<< Fai come fossi a casa tua >> fece il giovane levandosi l’impermeabile.
<< .. grazie >> mormorò lei con un sorriso stentato.
Il ricciolo le si avvicinò, le si avvicinò così tanto da respirare tra i suoi capelli.
Lei rabbrividì e di scatto, si girò verso di lui << Io non sono chi tu credi che io sia >>
Il giovane rise, alzando le sopracciglia << Certo che lo so chi sei >>
Jackie scosse il capo << Non ho  mai lavorato a Londra, non sono una ricercatrice universitaria >>
Nicholas la guardò accigliata << Tutto qui? >>
Ma lei sospirò << E non lavoro al bar perché mi svaga.. Ma perché ne ho bisogno >>
Improvvisamente il giovane tacque.
Non rispose, si diresse verso il balcone per spalancarlo, nonostante il freddo.
<< Io non sono una ricercatrice, vivo in una stanza in affitto che è più sporca di una baracca in mezzo alla campagna. Spesso ho difficoltà ad arrivare alla fine del mese, guadagno quattrocentocinquanta euro al mese e a volte anche solo trecento. Per pagare la bolletta della luce devo fare due straordinari al mese >> delle lacrime iniziarono a rigarle il viso << E sai cos’altro? Nick, io sono una puttana, una misera puttana! Perché vado a letto con i miei clienti per mantenere la mia famiglia! Capisci? Sono una puttana! >> urlò straziata.
Scoppiò a piangere in maniera così disperata che i singhiozzi le impedivano di respirare.
Nicholas provò qualcosa di indescrivibile vedendola piangere, desiderò con tutto sé stesso di poter mettere fine alla sua sofferenza, essere lui al suo posto.
Subito l’abbracciò forte, baciandole ripetutamente il capo, con tutta la tenerezza e la dolcezza che poteva. Le carezzò la schiena e le sussurrò che andava tutto bene.
Jacqueline smise di piangere e alzò finalmente, lo sguardo verso il giovane << Scusami, io non volevo.. Ora.. Sarà meglio che vada.. Ti ho già creato abbastanza problemi >> mormorò, sciogliendo a malincuore l’abbraccio.
Perché anche lei aveva provato le stesse sensazione del giovane, quella vecchia fiamma che si era riaccesa non appena i loro sguardi si incrociarono due ora fa.
E si erano sentiti esattamente come se avessero sedici anni, sedici anni ed in preda alla loro prima cotta.  Ed era bastato guardarsi dopo quattro anni.
Quattro anni in cui le loro strade si erano divise, in cui avevano vissuti in posti diversi, in cui erano stati con persone diverse, avevano fatto cose diverse.
Erano cambiati, cresciuti, peggiorati, migliorati.
Non avrebbero mai pensato di trovarsi così, disperati di qualcuno, disperati di sapere che in fondo non fossero soli nel mondo.
In qualche modo, ci sarebbe stato un riscontro per chiunque.
Forse per Jacqueline non ci sarebbe mai stato, ma in quel momento non lo sapeva più, perché in quel momento stava.. Bene.
Nonostante tutto, nonostante gli avesse confessato di essere quello che era.
Non si era illusa, non l’aveva illuso d’essere migliore, e a lui sembrava non interessare.
Mosse qualche passo verso la porta della camera, ma Nicholas la bloccò dal polso, attirandola a sé con un gesto veloce.
<< Tu non andrai da nessuna parte >>le disse << Perché adesso io voglio te, e non puoi andartene >>
La rossa sbarrò gli occhi << Ma io devo >>
Nicholas rise << Tu non vuoi >> soffiò lui sulle sue labbra << Quindi starai qui con me, stanotte, e sarai la mia puttana personale >>
Jacqueline si sentì morire non appena Nick sottolineò quel mia con così tanta enfasi << Stai sicuro che ti piacerà ma tu non..>>
Non fece in tempo a finire la frase che il giovane prese il suo viso tra le mani ed iniziò a baciarla con necessità, trasporto, passione, fisicità.
Perché aveva bisogno di stare con lei, almeno quella notte.
Perché poi sarebbe ripartito il giorno dopo per l’Italia e sarebbe ritornato dopo ottomesi.
E poi sarebbe di certo tornato a Dublino.
Perché non gliel’aveva detto, ma si era trasferito lì da due giorni.
E aveva bisogno di averla con sé quella notte, perché era la numero sette, Jacque, Jackie, dalle labbra rosse e dal viso splendido.
Jacqueline passò una mano tra i suoi ricci e rispose al suo bacio con tutta la disperazione e il bisogno che avvertiva in quel momento.
Nick le cacciò di dosso il cappotto e cinse la sua vita con entrambe le mani, carezzandole la pelle sotto la camicia che, subito dopo, sbottonò velocemente.
Jackie rise interrompendo il bacio per qualche attimo.
Giusto per riprendere il fiato.
Nicholas passò le labbra sul suo collo e sussurrò << Sei già stanca >>
La rossa gli levò il cardigan e lo baciò sull’angolo della bocca << Siamo ancora all’inizio >>
Il giovane rise e riprese a baciarla, stavolta con più forza.
Sentiva l’adrenalina scorrergli nel sangue, mentre con le mani, passava su tutto il corpo di Jacqueline.
La portò vicino al letto, sul quale si distese e lasciò la ragazza si mettesse sopra di lui.
Jackie si ritrovò piuttosto in imbarazzo, era lì, su un letto mentre baciava come una pazza un suo compagno di liceo che non vedeva da anni.
E lei era sempre stata la maschiaccia della situazione, quella che di certe cose non sa nulla.
Ora invece era come.. L’esperta.
Iniziò a lasciare dei baci dipinti di rosso sul suo petto scoperto.
Poi uno sul labbro superiore.
Nick, sentendo il rossetto si pulì con una mano, con un gesto provocatorio.
Lei ricambiò il suo sguardo sfida, e passò una mano sul corpo, fino al bottone dei jeans, che sbottonò subito. Il giovane poi, la privò dei jeans, poi della biancheria, e lo stesso fece Jackie.
Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato, che ci fossero solo loro due, in quel momento, sull’intero pianeta. Loro, con i rimorsi, le angosce, le paure e i dubbi.
Jacqueline accarezzò il suo petto, mentre lui sfiorava tutto il suo corpo con bramosia.
Continuavano a baciarsi, posseduti dal pensiero della fisicità, dell’appartenersi adesso.
Niente poteva contare in quel momento.
E forse per la prima volta, non ci sarebbero state feste piene di persone, perché se uno dei due fosse andato via, si sarebbe notato.


Era incredibile come Jacqueline, per la prima volta, non si sentisse in colpa per quello che aveva fatto.
Non le aspettava un compenso alla fine di tutto ciò, ma solo mettersi in pari con sé stessa.
Mentre Nicholas si sentiva totalmente appagato e.. Forse un po’ felice.
Si, felice, e pensò che non c’era niente di male in questo.
<< Sei stata brava >> mormorò lui, facendola rabbrividire.
Lei rise baciandogli il lobo << Non mi provocare più, perché ti darei risposte cattive >>
Nicholas in risposta, le baciò le labbra << E non possiamo rovinare questa rimpatriata, vero? >>
Jacqueline scosse il capo, e si risedette di fianco a lui.
Sospirò.
Cosa le sarebbe rimasto alla fine di quella serata? E Nicholas?
Cos’era? Chi era, da adesso, per lei?
Okay, erano stati insieme, avevano soddisfatto i loro bisogni, ed ora?
<< Ti sei pentita? >> gli chiese lui, institivamente.
Lei tossicchiò << Intendi di.. questo? >
Nicholas annuì.
<< Io non mi pento mai >> affermò lei con sicurezza.
Lui sorrise, baciandole il capo << Mi fa piacere >>
<< Magari oggi ci penseremo bene.. >> disse la rossa sbadigliando.
<< Jacques.. Io.. Devo dirti una cosa >> disse Nick gravemente.
Lei gli sorrise, incoraggiante, ma aveva paura di quello che stava per dirle.
Qualunque cosa fosse.
Perché conosceva lo sguardo che aveva Nicholas in quell’istante e non prometteva nulla di buono.
Il giovane prese un gran respiro ed iniziò a dire << Sai, neanche io ti ho detto tutto.. Io ho aperto uno studio a Dublino, esattamente due giorni fa sono arrivato  e, mentre sistemo casa, sto stando qui >> si fermò e si girò verso di lei << Vedi, io non sapevo cosa ci sarebbe successo, e.. Oggi, alle due e quindici ho un aereo per Milano, dove mi devo trattenere per.. Un po’ di tempo >>
Abbassò lo sguardo, colpevole.
Si sentì un verme.
L’aveva usata, l’aveva portata a letto ed era stato così fottutamente bene mai avrebbe dovuto dirle quelle cose, ma doveva, per sé stesso, per.. Tutto.
Forse anche per lei.
Jacqueline aveva bisogno di schiarirsi le idee, di capire chi fosse, chi volesse essere, cosa volesse fare, dove volesse andare.
Se restare, partire.
Lui non sapeva cosa avrebbe fatto, ma ora come ora non sarebbe mai voluto andare via.
Perché aveva avuto bisogno di lei e l’aveva sfruttata, ma aveva capito che la voleva, e non solo per una notte. Perché era solo, nonostante dalla vita avesse avuto tutto.
I soldi, un lavoro, una casa in città, al mare, in campagna..
E Jacqueline? Lei cosa aveva avuto?
Aveva avuto lui, e tanti altri uomini, ma solo per una notte, solo per poco.
Poi, si sarebbe dovuta alzare dai loro letti, in silenzio, per poi di nuovo, tornare a vivere la sua vita, con disgusto, lentezza.
Senza niente.
Jacqueline nel sentire quelle parole, non si stupì affatto, anzi.
Rise, rise di gusto.
<< Sarà bella Milano, goditela >> il suo tono era amaro, risentito.
Non che si aspettasse qualcosa di serio da quella nottata, ma aveva avuto qualcosa di diverso, aveva vissuto qualcosa di vero, più grande, più bello.
Ma infondo, avrebbe dovuto saperlo, che per lei, niente era destinato a durare.
Tutto era solo effimero e passeggero.
E lei era stanca, stanca di aspettare qualcosa, o qualcuno che potessero rendere la sua vita migliore.
Si alzò dal letto, avvolta dal lenzuolo e guardò Nicholas intensamente << Spero tu possa avere la fortuna che meriti, magari mandami un cartolina >>
Il ricciolo si alzò dal letto, infilandosi il boxer << Jacques ti prego non andare.. >> le sussurrò avvicinandosi a lei e carezzandole i capelli.
La giovane deglutì, chiudendo gli occhi << Smettila, me ne devo andare >>ribattè fermamente.
Nicholas le baciò l’incavo del collo, la costrinse a voltarsi e la baciò ancora.
<< Ti prego.. Io tornerò presto, te lo prometto.. >> tentò di dire, ma lei non lo voleva ascoltare.
Doveva andarsene, perché se fosse rimasta ancora quella serata sarebbe stata per lei molto di più di quello che doveva significare.
E non poteva aspettare chi non poteva tornare.
Non poteva più vivere di illusioni, quelle erano per i deboli, e lei non lo era.
E restare, cedere a quel giovane avrebbe significato esserlo.
Non voleva vivere di vane speranze “tornerà, tornerà presto”, perché forse non l’avrebbe più rivisto.
Perché forse davvero lui, poteva significare qualcosa in più.
E non era giusto.
Così, senza rispondergli, si rivestì in fretta.
Non lo guardò neppure una volta, neppure quando per prendere la sua borsa, lo sfiorò.
Non appena infilò il cappotto, disse << Spero di rivederti presto >> gli disse solo.
Lui la raggiunse, restando in silenzio.
<< Tornerò per te >>
Jacqueline si voltò e lo baciò teneramente, per l’ultima volta.
<< Ci vediamo >> concluse lei, allungando una mano verso il pomello della porta.
<< A presto >> mormorò Nicholas.
Lei gli sorrise debolmente e poi, sparì dalla sua vita.
Per ora.

 

   
 
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