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Autore: Return_to_Nibelheim    07/03/2011    8 recensioni
I membri della famiglia reale vivono all’incirca 1000 anni, secolo più secolo meno. Lei era nata quando la regina ne aveva appena 23. Questo le avrebbe lasciato ben poco tempo da trascorrere come regina della Terra. Poco più di 20 anni. 7300 settimane. 51.100 giorni. 1.226.400 ore. Che sembrano tante ma viste nel complesso di un’esistenza di secoli vengono decisamente ridimensionate.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’angolo di Calcifer, lo spirito del fuoco: L’autrice si conferisce senza che nessuno glielo chieda né ne senta davvero il bisogno una serie di autolimitazioni certosine perché sembra che la precisione estetica di una storia le procuri sollievo psichico e le impedisca di prendere un fucile, salire in cima a un campanile e sparare sulla folla quando nessuna delle sue coppie predilette degli anime batte chiodo, quindi va bene così. Ogni paragrafo comincia con una lettera ben precisa, ogni paragrafo, almeno su Word, è di 5 righe precise tranne gli ultimi tre che per importanza ed esigenze di spazio sono di 10. Parlate con uno psichiatra di queste sue manie, rimarrete piacevolmente sorpresi della diagnosi.

 

 

 

COMPIMENTO DELLA MAGGIORE ETA’

(Biografia in pillole di una principessa del futuro)

 

Cera un tempo in cui a una principessa si chiedeva di raggiungere un incomparabile grado di eccellenza rispetto alla massa. Che fosse un modello di eleganza e virtù, che studiasse e si impegnasse perché fosse d’esempio ai propri sudditi. Un’età lontana in cui una giovane principessa veniva addestrata a diventare una regina che potesse adempiere al proprio ruolo di fulgida guida del proprio regno con capacità e grande competenza.

 

Ora non c’era differenza tra la principessina di Crystal Tokyo e una delle bambole che proliferavano come germi nella sua stanza. Ogni tanto ne compariva inquietantemente una nuova: un regalo di mamma e papà o di vari reali leccapiedi, e le detestava tutte poco cordialmente. Con i boccoli sempre impeccabili, le gonne tutte fronzoli inamidate e un sorriso ebete stampato in faccia, le ricordavano se stessa e quelle giornate interminabili trascorse ad essere carina e adorabile.

 

Ma, aveva concluso al termine di una profonda riflessione la Piccola Lady, non c’era di che meravigliarsi nel fatto che in vita sua non le fosse mai stato chiesto di fare altro che giocare tanto da stordirsi, rimpinzarsi di dolci e dormire fin quando le andasse a genio. I membri della famiglia reale, le era stato detto, vivevano all’incirca 1000 anni. Secolo più secolo meno. Lei era nata quando la regina ne aveva appena 23. Questo le avrebbe lasciato ben poco tempo da trascorrere come regina della Terra.

 

Poco più di 20 anni. 7300 settimane. 51.100 giorni. 1.226.400 ore. Che sembrano tante ma viste nel complesso di un’esistenza di secoli vengono decisamente ridimensionate. La piccola Lady teneva un foglio con queste cifre nascosto sotto al cuscino e se lo studiava ogni sera prima di andare a dormire, quasi a sperare di poter trovare nei numeri una maniera di risolvere la propria condizione. Nessuno le aveva mai insegnato a far di conto, aveva imparato da sola.

 

I libri di studio li aveva scoperti quasi per caso, il giorno in cui smarrendosi nei tortuosi corridoi di palazzo era giunta per sbaglio a una stanza enorme adibita a biblioteca in cui non era mai entrata. Una volta vi aveva visto uscire Mercury con aria talmente guardinga che aveva temuto contenesse qualcosa di sconveniente. A lei non veniva mostrata altra letteratura che i racconti di fiabe, e proprio quelli avevano cominciato a farla riflettere sulla propria condizione.

 

Molte principesse delle favole erano proprio come lei: bimbe incredibilmente sciocche cresciute da genitori irresponsabili nella beata ignoranza di un mondo tutto giochi e divertimento: nessuna meraviglia che in poche pagine venissero sempre e immancabilmente turlupinate dalla servetta arrivista di turno o da perfetti estranei, convinte a baciare bestie viscide o spinte gioiosamente tra le braccia del primo belloccio che arrivasse da loro al galoppo.

 

Era una fine che decisamente non desiderava fare, ma a parte quello che comunque apparteneva alla sfera di un mondo fantastico cui sapeva di non appartenere c’era una curiosità divorante per il mondo al di là delle mura di palazzo, dal quale le era tassativamente proibito uscire in virtù di non meglio identificati ma ugualmente spaventevoli pericoli che si sarebbero potuti verificare in luogo e data non pervenuti. Nel dubbio meglio lasciarla tappata in casa.

 

Non poteva certo parlare di queste cose coi suoi genitori. Lei era il loro piccolo adorabile trastullo: bastava una piroetta leggiadra o uno sbattere di ciglia neanche troppo adorabile per far sciogliere entrambi in sospiri estatici di devozione, il che andava bene per ottenere qualche concessione tipo il permesso di evitare di giocare con bambini particolarmente antipatici o lo spegnere le luci a un’ora più tarda per permetterle di studiare qualcosa sottobanco, ma per il resto era piuttosto irritante.

 

Tempo per studiare la Piccola Lady non ne aveva molto: doveva tener conto di tutta una serie di fattori tra cui il fatto che non riuscisse a star sola nella sua stanza per più di 10 minuti senza che a qualcuno, nella fattispecie a sua madre, venisse la voglia di rimpinzarla di dolci come un tacchino. Allora le toccava eclissare in fretta e furia i libri che trafugava di nascosto sperando che la regina non si domandasse come mai Luna P avesse assunto una forma tanto spigolosa.

 

Ostacoli ce n’erano stati parecchi altri: la difficoltà di nascondere tomi particolarmente importanti sotto i vestiti, la necessità di avventurarsi per il palazzo a orari poco consoni inventando scuse imbarazzanti su una vescica ridotta come un colabrodo: c’erano giorni poi in cui un punto particolarmente ostico le impediva di avanzare speditamente quanto avrebbe voluto e questo non aveva mancato di demoralizzarla. Più volte era stata sul punto di mollare ma la voglia di imparare alla fine aveva avuto la meglio.

 

*

 

Doveva aver preso dai suoi genitori (a meno che non si volesse ipotizzare che Mercury avesse preso in qualche modo parte al suo concepimento) questa predisposizione allo studio, ma da chi? Suo padre restava l’ipotesi più accreditata anche se non l’aveva mai visto con in mano qualcosa di più impegnativo del quotidiano. A confronto con sua madre però, che non sapeva scrivere nemmeno kanji semplicissimi, restava un genio. Quindi, aveva deciso, se si fosse reso necessario si sarebbe confidata con lui.

 

Era dura fingere di non sapere niente quando così non era: era forte la voglia non tanto di condividere il sapere di cui ormai si sentiva unica detentrice quanto quello di porre fine alle sciocchezze indecenti che ci si sentiva in dovere di pronunciare in sua presenza. Si trattasse delle affermazioni di Venus sui bambini saltati fuori dai cavoli o di quelle di sua madre sulla pioggia fossero cristalli liquefatti, era troppo da sopportare per una ragazzina che si avvicinava, anche se fisicamente non lo dimostrava, all’adolescenza.

 

La vera tragedia di tutta questa situazione era questo corpo che per qualche misteriosa ragione non si decideva a voler crescere. Per quanto passassero gli anni la Piccola Lady restava per l’appunto troppo piccola perché a qualcuno potesse venire in mente l’idea che si potesse smettere di darle il latte della merenda nel biberon o di cercare di infilarle un orrendo pannolino la sera prima di andare a dormire, per evitare incidenti. 

 

La maledizione di non prendere nemmeno un centimetro anno dopo anno e di restare lo stesso adorabile faccino, che paradossalmente rappresenta il sogno di ogni genitore. Una figlia che non aveva intenzione di crescere, fisicamente e intellettualmente. La gente in sua presenza si esprimeva in maniera troppo sciocca. I bambini facevano giochi troppo stupidi ma non poteva certo pretendere compagnie più adulte. Persino una ribellione adolescenziale assumeva la forma di un broncetto infantile.

 

Arrivò il giorno in cui la piccola Lady fece cadere la proverbiale copertura. Fu quando a seguito di continue cattiverie da parte di un ragazzino sadico lei gli mollò un pugno in faccia: allora Serenity invece di sgridarla la prese da parte per il classico discorsetto sui bambini che fanno così con chi gli piace, e quando si arrivò alle api e ai fiori fu la piccola Lady a sfoggiare tutto quel che aveva appreso sul meccanismo della nascita e dei rapporti interpersonali tra sessi diversi. Non è mai bello vedere una regina in lacrime.

 

*

 

Mamma e papà l’avevano presa piuttosto bene una volta calmatisi dallo shock di avere una figlia che sessualmente parlando ne sapeva più di loro che l’avevano concepita. Ma non era certo colpa sua se quei libri erano quelli con più figure. E poi chi ce li aveva messi in libreria, e perché? Il tutto si era risolto con parecchio imbarazzo, interrogativi inevasi e la promessa da parte di papà di consigliarle lui d’ora innanzi le letture adatte. – Bastava chiedere – aveva aggiunto. In effetti pareva logico.

 

A volte però chiedere non è che servisse a molto. Non serviva chiedere al papà come mai non le riuscisse di crescere perché non avrebbe ottenuto altro che una carezza e la promessa che sarebbe di certo accaduto. Non sarebbe servito chiedere a Pu il motivo per cui non c’era alcun simbolo sulla sua fronte perché le avrebbe detto che sarebbe di certo comparso. E non serviva chiedere alla mamma di vedere il Cristallo d’Argento perché la risposta era sempre un fermo rifiuto. Per questo non le restò che prendere.

 

Giunta nel passato si era accorta con non poco turbamento che l’eroica guerriera dei racconti di papà era una piagnucolona pasticciona e sciocca in cui era difficile riporre fiducia. Proprio come lei, a cui a casa non veniva affidata nemmeno la custodia di un mazzo di fiori. A questo punto, aveva pensato, la mamma potrei salvarmela io. Dubitava della sanità mentale di Pu che l’aveva spedita lì ma data la prolungata solitudine, supponeva, era già tanto che non fosse finita a ballare nuda nei prati ficcandosi ghiande su per il naso.

 

Guerriere Sailor ne spuntavano un po’ ovunque, giorno dopo giorno: era solo questione di tempo che lo diventasse anche lei, quindi accolse l’avvenimento con molto meno entusiasmo di chi la circondava, con una punta di fastidio perfino. Mamma e papà invece erano stati sull’orlo di lacrime d’orgoglio per tutto il tempo in cui, a poche ore dal suo ritorno, si erano affaccendati a farle il bagaglio per rispedirla al mittente a tempo di record. Niente di più facile che volessero togliersela di torno per avere un po’ d’intimità, razza di debosciati.

 

Il fatto di essere una guerriera era ok ma c’era un problema di fondo, il suo sporco e inconfessabile segreto: odiava il rosa e la sua tenuta da combattimento lo comprendeva sempre, in ogni sfumatura, dalla testa ai piedi. Per non parlare dei colpi magici, che tra cuori di zucchero, glitter multicolore e campanacci a forma di cuore rendevano la sua utilità in battaglia pressoché inesistente. Era una bambola di quelle per maschi con la mossa di karate incorporata. Premi il tastino, colpo magico, azione!

 

Oltre a questo doveva farsi degli amici che nel suo presente sarebbero morti da mille anni, il che è come farsi amico la lanugine di polvere sotto al letto. Come l’avrebbe aiutata tutto questo a prendere il posto di sua madre? Non che le augurasse una dipartita, ma a questo punto credeva che nemmeno lei pensasse a una simile eventualità. Con loro a farsi un discreto deretano nel passato il trentesimo secolo era tanto pacifico che a volte quasi ce la si augurava una battaglia. Poteva fare qualcosa a riguardo?

 

Ricordava gli insegnamenti di Pu sul divieto assoluto di interferire nel futuro intervenendo sul passato (principio che pareva un po’ fuori luogo dal momento che ormai si definiva una vera e propria pendolare dello spazio tempo), quindi con Mamo-chan i discorsi si tennero sempre sul vago: come lei avrebbe educato una supposta figlia al suo ruolo di principessa, gli errori che non avrebbe eventualmente commesso come genitore, con una sempre molto ipotetica dovizia di particolari.

 

E poi giunse il momento di tornare definitivamente a casa. Aveva grandi aspettative sull’avvenimento: non che fosse convinta di trovare i suoi ad accoglierla con una corona e uno scettro in mano e l’invito a regnare al posto loro con verità e giustizia ma pensava che quelle ore trascorse a educare (ipoteticamente) Mamo-chan sul suo futuro ruolo di padre fosse servito a qualcosa, invece non era cambiato nulla. Forse si era distratto, aveva concluso la Piccola Lady, in effetti col passare del tempo si era fatta sempre più bella.

 

*

 

Era strano. Svegliarsi alla mattina senza il profumino delizioso della cucina di mamma Ikuko. Sedersi a tavola senza rischiare di strozzarsi nel tentativo di finire in fretta tutto quello che aveva nel piatto per poi litigarsi l’ultima fetta di dolce con Usagi. Inchini, baciamano e leziosi sventolamenti di ventagli al posto di corse a perdifiato nel parco. Il tempo passava pigro e ozioso, senza stracciare Usagi e Minako al Crown, o bere un frullato con Hotaru, o a scherzare con Momo e Kyosuke. L’unica nota positiva è che al suo ritorno, giunta in camera sua, le sue bambole erano sparite tutte: suo padre aveva preso male la cosa, non sarebbe stato facile trovare un regalo diverso per la sua bambina. Sua madre invece aveva commentato serafica: - Non vedevo l’ora di sbarazzarmene. Erano odiose. – e poi silenzio stampa. La piccola Lady (ma avrebbe faticato a riabituarsi al suo titolo, quel Chibiusa che le era inizialmente uscito così odioso faceva parte di lei) non aveva mai saputo che fine avessero fatto. Non ne aveva sentito la mancanza.

 

Trascorse del tempo, chissà quanto, difficile star dietro al passare degli anni in un’esistenza millenaria. La principessa provava davanti allo specchio lo splendido abito nuovo che avrebbe indossato a una fantomatica festa in suo onore: il suo compleanno era lontano e per quel che ne sapeva non c’era nessuna ricorrenza sul calendario, ma una festa era una festa. Sua madre era tutto un cicalare, con la sarta, con lei, con il re che seduto in un angolo osservava la scena con un misto di imbarazzo e malcelato orgoglio: passava con una rapidità schizofrenica dall’entusiasmo alla depressione per il fatto che lei e la sua bambina ormai in altezza si uguagliavano. Quando con gli occhi velati di lacrime le aveva preso il viso tra le mani affermando con voce spezzata che sarebbe stata una magnifica regina la principessa le aveva rivolto uno sguardo perplesso. – Mamma, ma di che parli? - A quel punto, invece di risponderle, la regina si era rivolta al consorte. – Tesoro – aveva chiesto - Non le hai detto della cerimonia di incoronazione?

 

A dir poco basita poco mancò che Lady Serenity (da tempo si era abbandonato quel Piccola che le era odioso) crollasse a terra di peso. Venne presa al volo, pallida e tremante, da entrambi i genitori: lei balbettava passando lo sguardo smarrito dall’uno all’altra che no, non capivano, non era pronta, non aveva mai ricevuto un’istruzione in merito. Un classico, l’aveva voluto tanto e ora che era il momento avrebbe voluto solo buttarsi giù dalla finestra del Palazzo e scappare o morire o entrambe le cose. Era colpa loro, li aveva accusati, non l’avevano mai preparata, non era così che si educava una principessa a succedere al trono. Allora la regina le aveva sorriso passandole affettuosamente una mano tra i capelli. - Avremmo tanto voluto educarti come desideravi, ma ci sei capitata tra capo e collo che avevi già tutto il coraggio, l’intelligenza e la bontà d’animo che ti serviva per essere una splendida regina: così abbiamo pensato che non avremmo dovuto fare null’altro di quanto ci venisse spontaneo, e aspettare che crescessi.

 

 

*

Compimento della maggiore età

(Biografia in pillole di una principessa del futuro)

FINE

*

 

 

Il cantuccio di Sophie: Sono una persona che Chibiusa l’adora e nemmeno poco, quindi sono una specie di rarità del fandom, almeno tra il gruppo delle mie amiche che fanno a gara a chi la detesta di più. Trovo che sia un personaggio che ha molto da dare al mondo della fan fiction e non è detto che non le dedichi qualche altro pezzo, se l’ispirazione mi farà il favore di arrivare e di fulminarmi sulla via del Word. Era un’idea che mi è ronzata in testa per due giorni non ho potuto non metterla per iscritto, di getto. Voleva essere una cosa semiseria e spontanea, spero di esserci riuscita. Avrete notato che il rosa abbonda. Adoro gli acrostici e trovo che i paragrafi uguali creino anche visivamente un effetto molto bello. Come al solito le libertà letterarie si sprecano, e dopo “Tsukino sakai…” eccetera avevo bisogno di una coppia reale che anche se di contorno si confermano come bella e affiatata. Anche io detesto il rosa ma non esco mai di casa senza indossare qualcosa di quel dolore. Gli scienziati si interrogano su questo mistero. Ringrazio come sempre chi si fermerà a leggere questa storia e, se ha voglia, a lasciare un commentino.

   
 
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