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Autore: aoimotion    08/03/2011    3 recensioni
Spanner non sorrideva spesso. Sembrava sempre così faticoso, per lui, tendere quei muscoli facciali. E non poteva esimersi dal constatare, ragionevolmente curioso e discretamente perplesso, come questa ardua azione fosse invece, per il resto del mondo, una delle più facili da compiere. Qualcosa che addirittura, in certi casi, era davvero complicato reprimere e nascondere, quasi sorgesse dall'orizzonte di due labbra piatte come un sole splendente, e che fosse suo preciso dovere quello di illuminare qualunque cosa si trovasse nel suo raggio d'azione.
Lui, per esempio.
[Shonen-ai lievissimo.]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shoichi Irie, Spanner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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waratte Spanner non sorrideva spesso. Sembrava sempre così faticoso, per lui, tendere quei muscoli facciali. E non poteva esimersi dal constatare, ragionevolmente curioso e discretamente perplesso, come questa ardua azione fosse invece, per il resto del mondo, una delle più facili da compiere. Qualcosa che addirittura, in certi casi, era davvero complicato reprimere e nascondere, quasi sorgesse dall'orizzonte di due labbra piatte come un sole splendente, e che fosse suo preciso dovere quello di illuminare qualunque cosa si trovasse nel suo raggio d'azione.
Lui, per esempio.



Quando Shoichi sorrideva, qualcosa faceva sempre un po' male. Spanner si toccava varie parti del suo petto alla ricerca della sua origine, ma questa non era fissa, e vagava da parte a parte per il costato soffermandosi ora su un punto, ora su un altro.
Era in quei momenti che, più che in qualunque altro, rimpiangeva di non potersi smontare. Se avesse avuto un bullone fuori posto che tintinnava poco soavemente contro le pareti di acciaio, almeno se ne sarebbe potuto accorgere. Aveva senso, che il suo dolore non avesse requie. Aveva senso che continuasse a cambiare il punto in cui si manifestava il malessere, come una vite ballerina che rotola ora per un pendio, ora per un altro, per poi risalire e scontrarsi con i muri di metallo e produrre un suono molto simile a un campanello rotto.
Sfortunatamente, questo non era possibile. E allora Spanner stava lì a guardarlo, mentre Shoichi rideva senza malizia della sua disarmante goffaggine, quasi con le lacrime agli occhi.
“Spanner! Quello non è dentifricio, è colla!” Gli disse, cercando di filtrare le sue parole attraverso le allegre risa “C-come hai fatto a portarla fin qui? Cosa avevi in testa?!”
La domanda poteva essere interessante, ma la risposta non era ben chiara neppure a lui. Non era semplice dare un nome alle cose a cui pensava, soprattutto a quelle che non pensava spesso, ma solo qualche volta. Per caso, oltretutto.
Ed erano proprio i pensieri casuali, i più complessi da esplicare. Quelli che dal nulla nascevano e nel nulla finivano, lasciando a chi li aveva elaborati la sensazione di aver smarrito per strada qualcosa di estremamente importante. 
“Uh. Scusa, ero distratto, quindi…”
“Quindi ti sei portato dietro il tubetto della colla credendolo dentifricio? Anzi, hai resistito alla tentazione di lavarti i denti con un trapano!” La sua risata divenne più acuta e più divertita. Shoichi si piegò in due, tenendosi la pancia, annaspando nell’ilarità, quasi ne soffocasse.
Spanner lo fissò, incerto. Quale sarebbe stata la reazione più appropriata a… quello?
Avvertì un leggero fastidio, ma ancora una volta non seppe localizzarne l’origine. Stavolta, però, fu in grado di determinarne con ragionevole certezza il raggio d’azione: la sua faccia.
Sentiva… tirare da qualche parte. Sì, esatto, tirare. Qualcosa tirava, un po’ ovunque, un po’ qua e un po’ là. Non faceva male, però pizzicava. Bruciava anche, forse un pochino, forse tanto, forse né l’uno né l’altro. Spariva, la sensazione, e poi riappariva da un’altra parte. Poi gli camminava sotto la pelle, girava in tondo, scompariva sotto la cute e riemergeva dentro la sua testa, poi dalla sua testa sentiva partire delle impercettibili scosse, rapidissime e brevissime, e poi, ancora, quella sensazione ricompariva nei posti più disparati.
Sempre, però, sulla sua faccia. Si chiese se non stesse subendo una mutazione genetica, o se non gli stesse per esplodere la testa. Questo avrebbe spiegato molte cose, risparmiandogli inutile fatica e tempo prezioso.
“Shoichi, ho qualcosa sulla faccia?”
Si sentì in dovere di verificare la sua ipotesi. Fortuna che si trovava in presenza di un altro uomo di scienza, pensò. Sicuramente lo avrebbe potuto aiutare a studiare l’oscuro fenomeno, vagliarne le cause con precisione e professionalità e, insieme, trovare una soluzione opportuna.
Insieme, sì. Rigorosamente insieme.
“Sulla faccia?” Shoichi represse la sua ilarità per concentrarsi sul viso dell’amico “Uhm, non vedo niente io.” Constatò infine, con un colpo di tosse che avrebbe dovuto sancire la fine delle sue risate. Dopotutto, Spanner non sembrava divertirsi, anzi. La bocca gli tremava leggermente, quasi fosse arrabbiato o addolorato. Forse aveva esagerato? Spanner si era offeso? O forse lo aveva messo a disagio con un comportamento che a lui riusciva estremamente difficile comprendere e praticamente impossibile riprodurre?
Gli scienziati, gli ingegneri, i dotti, tutti quanti dovevano, in virtù dell'orgoglio di cui erano impregnati a causa della loro nobile occupazione, essere capaci di replicare un determinato fenomeno. Tutti.
Quindi, pensò Shoichi, quella risata apertamente rivolta a lui lo avrebbe potuto infastidire, e neanche poco. Perché gli aveva mostrato un fenomeno inspiegabile, ferendo con estrema probabilità la sua dignità di uomo di scienza.
“Avvicinati.” Gli disse invece, con un gesto della mano ad accompagnare la sua voce. Quelle parole non volevano essere niente più che un invito, ma chissà perché sembrarono più una specie di ordine, di…
Bisogno.
Credendo che quella chiamata fosse legata al tremore che aveva scorto sulle sue labbra, Shoichi si avvicinò quietamente al ragazzo biondo che lo fissava, il cappello da notte calato sulla testa e il pompon che si agitava scompostamente a ogni micro-oscillazione del suo corpo.
La distanza che separava i loro visi, ora, non era più di quindici centimetri. Ma nessuno dei due sembrò preoccuparsene più di tanto.
Shoichi scrutò con attenzione la sua faccia, pensoso, aggrottando le sopracciglia più e più volte, prima di rilassarle sulla piccola e graziosa fronte, cambiando la visuale per almeno tre volte. Ma non vi era assolutamente niente di strano, a parte forse…
“Ti tremano le labbra, Spanner.” Gli disse, sfiorandole con un dito con un certo imbarazzo. In casi normali non avrebbe mai osato fare una cosa del genere, ma in quel frangente se lo permise. Aveva sempre voluto toccare le labbra di Spanner, quelle labbra che sembravano così sottili, labbra che lui immaginava sempre piene di abrasioni e crosticine di pelle rappresa, chissà perché. Come se fossero continuamente esposte all’erosione degli agenti atmosferici. Come se non trovassero mai pace o sollievo. Come se qualcuno non potesse fare a meno di torturarle.
Il contatto, però, lo lasciò piacevolmente sorpreso. Non erano così terribili come se le era immaginate, dopotutto. Forse un po’ ruvide, ma niente che non si potesse sopportare.
Sopportare?
Shoichi si fermò, il polpastrello che ancora lambiva la carne rosata, forse più violastra che rosata. Che cosa era stato quel pensiero? Sopportare? Cosa, la consistenza delle sue labbra? Sopportarle in che senso, con quale senso?
Vista? Tatto? O forse… gusto?
Tutto ciò aveva poco senso, e quel poco era anche inquietante. Scosse la testa rossa, e si allontanò da Spanner. In un modo o nell'altro, l'eccessiva vicinanza al suo coinquilino stimolava sempre una parte della sua corteccia cerebrare che avrebbe fatto meglio a rimanere in letargo per il resto della sua esistenza.
“Ah, sì?” Il ragazzo se le toccò con la punta delle dita, perplesso. Sotto il suo tocco sembrarono calmarsi, ma non appena tolse la mano Shoichi vide che tremolavano ancora. Tremolavano… ma in maniera leggermente diversa.
Prima era solo una linea che si spezzava all’improvviso, simmetricamente. Ora invece era diventata più… una curva. Una curva convessa, per la precisione. Ma era piccina, poco inclinata, appena accennata, e tendeva a scomparire.
E allora Shoichi penso.
Fin da bambino, lui, aveva avuto una fervida fantasia. Lui era il tipo che avrebbe potuto scorgere un altro universo, quando alzava gli occhi verso il cielo pieno di nuvole. Come se quei batuffoli bianchi avessero, tutti quanti, una forma ben precisa e definita. Vedeva montagne, pesci, animali fantastici, angeli, occhi vispi che lo fissavano, la furia degli dei che esitava ad abbattersi sul suo piccolo mondo, ma sempre pronta a scatenarsi alla minima disobbedienza. Quando le nuvole facevano così, lui si comportava sempre meglio del solito. Non voleva far arrabbiare gli dei che da lassù lo fissavano con disapprovazione. E neppure i pesci, gli unicorni e gli angeli che lo scrutavano incuriositi. E non voleva neppure che le montagne crollassero sopra la sua testa, travolgendolo. Quindi stava buono e tranquillo, smetteva di guardare il cielo e faceva i compiti, aiutava la mamma in cucina, cercava di non litigare con sua sorella e di andare d’accordo con il cane dei vicini, che sembrava sempre guardarlo come se volesse sbranarlo.
Quel tremolìo, però, lui lo vide, più che immaginarlo. Non era la fantasia a suggerirglielo, come allora. Quel tremolìo… sembrava tendere a un sorriso.
Furono gesti naturali, quelli che compié subito dopo. Naturali come quando da bambino associava alle nuvole una forma e un identità, ma più consapevoli e maturi. Non era più di cumuli-nembi, che si stava parlando. Era di Spanner, la cosa più strana e anti-fantastica che esistesse al mondo. Non c'era proprio niente di chimerico, in quel ragazzo dall'espressione vuota e dalla voce incolore. Non c'era, in tutto l'universo - lui lo sapeva, lo sentiva - , qualcosa che potesse eguagliare quella carica di realtà capace di razionalizzare il mondo con un solo sguardo, un lieve cenno del capo e un rapido movimento della mano.
Le sue dita si mossero verso la sua faccia e resero quel tenue accenno un sorriso a tutti gli effetti, anche se molto buffo e gommoso.
Pfoichi?” Sibilò lui, confuso.
“Rimani così, Spanner.” Gli disse, con un leggero rossore sulle guance caste e gentili. “Dovresti… farlo più spesso.”
Lui lo guardò, senza capire. Le sue dita tiravano ancora la pelle, senza però far male. Anzi, sentì come se il fastidio si fosse in qualche modo attenuato, e si chiese come mai, come c’era riuscito. E si domandò perché solo lui sembrava aver trovato la soluzione, e non l’avessero trovata insieme come aveva supposto.
Qualcosa gli stava sfuggendo da sotto il naso, irrimediabilmente impiastricciato di colla.
Cofa?” Biascicò Spanner, sempre più confuso.
Shoichi indietreggiò, lasciando la presa agli angoli della sua bocca. Questa ricadde come un elastico sfilacciato, rimbalzando sui muscoli facciali e tendendosi, leggermente, ancora verso l’alto.
“Ecco, rimani così. Tendi le labbra ancora un po’. Come faccio io.” La sua bocca si aprì il un sorriso gentile e sincero, sorriso che colpì Spanner con la forza di proiettile. Come se in quel sorriso ci fosse stato l'universo, l'universo in cui ogni cosa era soprendentemente chiara e dove qualunque dubbio veniva risolto con una facilità che aveva un che di favolosamente onirico.
E allora ci provò, strenuamente.
Tese le labbra, tese le guance, tese tutto quello che c’era da tendere in quella cavolo di faccia che si ritrovava. Perché non poteva lasciare che quella bellezza che gi stava davanti agli occhi fosse solo sua e basta. La voleva anche lui, quella bellezza. Voleva conquistarla anche lui, quella conoscenza. La bravama, più di ogni altra cosa.

E, miracolosamente, ci riuscì. Afferrò il cosmo tanto agognato e lo impresse sulle sue labbra tremanti.
Lui ci riuscì. Riuscì a fare… quella cosa.
Shoichi sgranò gli occhi, incredulo. E il suo sorriso si aprì ancora di più.
“E’… perfetto.” Mormorò, quasi imbarazzato “Allora anche tu sai sorridere, Spanner.”
Il ragazzo lo fissò, sospeso nel vuoto. Aveva agguantato l'universo... e ora? Cosa avrebbe dovuto fare?
“Mh. Solo qualche volta.” Replicò allora lui, distogliendo lo sguardo, turbato.
Rimasero immersi nel silenzio per un po’, finché Shoichi non lo ruppe con un colpetto di tosse.
“Ehm, allora io vado…”
“Sì.”
“Poi vieni, giusto? In laboratorio, dico…”
“Sì, mi lavo i denti e ti raggiungo.”
“Ok, allora io vado…”
“Questo l’hai già detto, Shoichi.”
“Ah, ehm, allora… t-ti aspetto di là, va bene?”
“Va bene, a dopo.”
“Sì. A dopo. Non… metterci troppo, mi raccomando.”
“Lo so, la scadenza per quel lavoro è domani. Dammi due minuti e ti raggiungo.”
“D’accordo, vado.”
“Sì.”
Silenzio. Shoichi si voltò verso la porta del bagno, grattandosi la testa visibilmente perplesso. Stava per raggiungerne la soglia, quando un pensiero gli attraversò la mente.
“Spanner! Dammi il tubetto di colla!” Gridò.
E fu a quel punto che lo vide. Il sorriso di Spanner riflesso nello specchio verso cui si era intanto girato.
Sì. Anche Spanner era capace di sorridere, dopotutto. Lo era per davvero.
Non scomparve, quel sorriso, neanche quando l’amico si voltò verso di lui.
“Hai ragione, stavo per dimenticarmene. Tieni.” Glielo porse, con calma. Poi lo salutò con la mano, il pompon dietro che si muoveva avanti e indietro in maniera molto buffa. E il sorriso perdurò, quietamente impresso su quelle labbra.
“Gra-grazie…” Mormorò, fissandolo più del dovuto.
“Mh? Ho qualcosa sul viso?”
Quando si rese conto che si stava ripetendo la stessa situazione di prima, si lasciò scappare una risatina sommessa, che coprì con il dorso della mano.
“No, no. Non c’è niente, Spanner.” Rispose, guardandolo da dietro le lenti e sbirciando dentro quegli occhietti azzurri, così piccoli in confronto ai suoi.
Il biondo ragazzo lo guardò, sospettoso. Poi fece spallucce, decidendo di accantonare la questione, e si rivoltò verso lo specchio, afferrando lo spazzolino di Shoichi e il vero dentifricio.
“E-ehi!” Sbottò lui “Quello è il mio spazzolino!”
“Così pare.”
“Spanner!”
“Mh? Non posso usarlo?”
“Non è questo il punto, insomma!”
“Su, non c’è tempo da perdere. Dobbiamo finire quel lavoro, lo sai.” E cominciò a spargere il dentifricio sulla superficie pelosa, con molta noncuranza.
“Ma! Ma!”
“Mh?” E con altrettanta noncuranza, se lo ficcò in bocca con un colpo secco.
Difficile dire che non l’avesse fatto apposta.
“Waa!” Urlò lui comprendoni gli occhi, colmo di vergogna “C-cosa hai fatto, Spanner?!”
Fo ufanvo iv tuvo sfpaffolino, Foifi… glugluglu” E cominciò ad agitarlo dentro la sua cavità orale, ostentando serenità da tutti i pori.
E, contemporaneamente, sorridendo.
Shoichi gridò ancora parole di dissenso, ma si rese conto che ormai servivano a ben poco. Sospirando, si apprestò a lasciare finalmente il bagno, mentre la sua testa si riempiva di pensieri infruttuosi e compromettenti.
Ma fra questi, ce n’era uno che sì, tutto sommato, non era poi così infruttuoso, e neppure così compromettente.
Non si voltò, Shoichi. Se l’avesse fatto, con estrema probabilità avrebbero finito per bisticciare di nuovo, e Spanner gli avrebbe riversato la schiuma del dentifricio in faccia. L’avrebbe fatto, ne era perfettamente capace.
Si limitò a sbirciare, con la coda dell’occhio, la figura che agitava compostamente il suo spazzolino verde fra un dente e l’altro.
Inclinò appena le labbra, quando lo guardò di sottecchi. E l’immagine di lui che goffamente tentava di compiere quel movimento, per emulare il suo, gli ritornò alla mente come un vento tiepido e gentile.
Waratte, Spanner.
Perché ne ho un estremo bisogno.








Note dell'autrice: questa idea mi è venuta all'1 e mezza di notte, e non voleva essere così lunga, per la miseria. E neppure così orrenda, ma pazienza, tanto ci avete fatto il callo ormai. u_u
Scusatemi, sono un pericolo pubblico. Mi eclisso T__T
Grazie, per essere arrivati fin qui. <3
   
 
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