Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: BlackClover    11/03/2011    10 recensioni
Una parodia sull'interpretazione divertente che fa l'autrice Yana Toboso sul detto:
"Il diavolo non dorme mai" applicandolo a Sebastian. Ho voluto rivoluzionare un po' quel detto ambientando le vicende, di nuovo, dopo il finale della seconda stagione. Spero di aver reso bene l'idea di convivenza che aleggia fra i due, tramite gli occhi del nostro diavolo bello e dannato. *ride*
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel Diavolo, un sogno.

 



Una fredda luce entrava dalle finestre. Illuminava le coltri, giocava sulle pieghe delle lenzuola camminando lungo il mio corpo fermo e statico, come lo poteva essere un pezzo di marmo. Erano sicuramente le prime ore del mattino ma fuori le tenebre regnavano ancora.
Fissavo il soffitto, volendo potevo tenere i miei occhi aperti in quelle condizioni senza chiuderli per giorni. Ancora vestito aspettavo il crepuscolo. Non avevo mai sentito il bisogno di coricarmi sotto le lenzuola nella mia lunga vita, se non con qualche donna per qualche notte poco casta secoli or sono, ma anche in quel caso, il mattino non solevo farmi trovare. 
Non sentivo freddo, né il bisogno di dormire. Come avrei potuto?
La fame, in risposta al mio pensiero, mi torceva lo stomaco e io bellamente la ignoravo. FAME…

Era ora che ricominciassi a occuparmene. Qualcuno mi risvegliò dalle mie riflessioni e, sbattendo le palpebre, alzai lo sguardo a fissare la porta. La figura di un ragazzo di costituzione esile si stagliava a piedi nudi vicino all’entrata della mia stanza. I capelli sapevo li aveva scuri con degli strani riflessi color smeraldo quando sovente la luce del sole li colpiva, ma la sera quella sfumatura sembrava semplicemente assumere un profondo blu notte. Come seta al tatto gli sfioravano delicatamente la curva delle orecchie e scendevano in ultima amabili sulla nuca con qualche ciuffetto ribelle di tanto in tanto. Questo lo sapevo perché davanti allo specchio li avevo pettinati milioni di volte. Ed erano corti, a parte la frangia studiata per ricadergli sul davanti con l’uso di coprire almeno parzialmente la presenza della benda sull’occhio sinistro che portava abitualmente durante il giorno e smetteva nelle ore in cui doveva andare a dormire. Era sua abitudine però tenere ugualmente chiuso l’occhio in cui risiedeva il nostro contratto. Aveva un’aria contrita in attesa di parlare e mentre lo studiavo con interesse alla ricerca del significato della sua presenza, la piccola bocca severa si aprì e ne uscì un seccato: « Non riesco a dormire ».

E restò lì, come aspettandosi che vi ponessi rimedio, magari con un colpo di bacchetta. Lasciai andare un lungo sospiro:
« Siete un demone, non più un umano. E noi, non conosciamo la pace del sonno rammentate? ».
Mosse velocemente alcuni passi stizziti nella mia direzione borbottando qualcosa tra sé, si fermo a lato del letto puntandomi addosso uno sguardo gelido.
« Sciocchezze, io sono stanco. Voglio dormire. »
Aprii la bocca sapendo di farlo inutilmente, per cercare di farlo ragionare, ma attacco ancora:
« Cosa fai lì steso in quel modo funereo e ancora vestito? Togliti. Questo non è il modo di stare a letto, dovresti saperlo, cosa direbbe la servitù se un giorno ti trovasse così? ». Risi, non troppo preoccupato di farmi sentire da quel moccios... dal mio piccolo e suscettibile intruso.
« …Servitù? Mi sembrava che l’avessimo lasciata alla magione, quando siamo arrivati qui in questo rudere senza nessun’altro al nostro seguito». 
Si bloccò per un istante come se fosse stato punto, per poi fissarmi guardandomi in cagnesco:
« Beh, non ti ho chiesto i dettagli, cambiati. » Dettagli, …né?
Mi arresi scuotendo il capo accontentandolo nel suo capriccio.

Ciel Phantomhive era sempre stato un romantico abitudinario, infondo.

Mi liberai dai bottoni del gilet grigio che avevo ancora addosso poi, sfilando cravatta e camicia, poggiai con cura anche i miei pantaloni appena smessi su una sedia vicino all’armadio della camera.
Futili, tutti questi gesti lo erano. Pian piano, stavo abbandonando tutti i costumi e le abitudini prettamente umane per tornare alle origini. Il giovane padrone invece vi restava febbrilmente attaccato, come se avesse la paura inconscia di dimenticarsi chi fosse. E non era per via della sua nuova natura, in realtà era una paura che non l'aveva mai abbandonato, da quando avevamo suggellato il patto.

Nudo mi voltai per tornare al letto, i suoi occhi si allargarono per lo stupore e come avrebbe fatto una vergine nel fiore della sua inesperienza, voltò repentinamente il viso. Oh, Cielo..
Allora non aveva mai pensato che io non possedessi alcuna vestaglia per dormire?
D’altro canto, non vedendone il bisogno, non l’avevo mai chiesta.

Da lui uscì una voce roca in evidentemente imbarazzo e con il viso arrossato, anche se non lo vedevo le sue orecchie me lo potevano confermare, mi ordinò goffamente di andare a prendere qualcosa per coprirmi dalle sue stanze.
Non potevo vietarmi di trovare divertente questa situazione in cui ero implicato e così com’ero, m’incamminai all’interno delle sue stanze. Come per il nostro provvisorio rifugio di quella notte, anche la cassapanca in frassino con i bordi ormai consumati non era riuscita, come il resto di quel rudere, a sfuggire all'usura del tempo. Contro ogni umana convinzione sfidava la logica reggendosi fieramente in piedi davanti al decadimento. Un po' è quello che aveva sempre fatto il mio giovane e indisponente signorino mentre camminava per le vie di londra ergendosi orgoglioso sul suo bastone da passeggio, contro ogni malalingua che lo credeva morto e sepolto. Il paragone riuscì a strapparmi un sorriso. Mi soffermai a osservare meglio la vestaglia che avevo scelto. Al padrone sarebbe arrivata fin sotto le ginocchia con le dita delle mani che spuntavano appena, sicuramente in origine, era appartenuta al padre quand’era ancora in vita. Scivolò fresca cadendomi impeccabilmente sul corpo. Mi copriva quanto l’umana decenza permetteva, il che bastava. Dio sa quanto un diavolo ne sappia di decenza..

Tornai alla stanza, trovando già qualcuno ben sistemato sul mio letto in modo da darmi le spalle:
« Se hai finito, non stare lì impalato e mettiti a dormire ».
Ammutolii per qualche secondo, limitandomi a fissarlo. Ero sorpreso.
« Dunque, intendete davvero restare qui per controllare che io lo faccia? »
« E’ un ordine, Sebastian » puntualizzò. A quel punto mi arresi, ed esasperato m’infilai sotto le coperte ..sperando che l’avermi affianco semplicemente con gli occhi chiusi, bastasse a soddisfare il suo desiderio.

Cercai di occupare il minor spazio possibile restando vicino alla fine del letto, senza muovere un muscolo. Quello per me non sarebbe stato un problema. Ma lui sembrava aver deciso di rendere la mia notte un inferno. Sbuffava si muoveva e dopo cinque minuti, si girava e sbuffava ancora per poi rigirarsi di nuovo. Ruotando per la centesima volta il cuscino, mi colpì. Come v'era d aspettarsi, non si curò di chiedermi scusa anzi, con la testa sembrava volersi appropriare anche della metà del mio cuscino, forse ritenendolo sospettosamente più confortevole del proprio. POSSA BRUCIARE!
Il mio corpo era pericolosamente in bilico sul bordo, per sostenermi poggiai un gomito sul comodino in stile vittoriano affianco al letto. Se fossi caduto producendo rumore mi avrebbe ripreso, per questo, decisi che tanto valeva rischiare facendolo notare:
« Mio signore, sto per cadere ». Si voltò alzando di poco il busto per verificare. Notando che era vero, ulteriormente innervosito e paonazzo, mi accusò facendomi restare a bocca aperta:
« Questo è perché ti muovi troppo, Idiota! »

QUANDO AVRO’ FINITO CON TE SARAI IRRICONOSCIBILE, NEL TARTARO TROVERANNO I TUOI POVERI RESTI APPESI CHE ATTENDONO ANCORA AGOGNANTI D ESSERE DIVORATI.

Strinsi gli occhi a due fessure mentre una nuova luce sembrava animarli, come solevo fare da anni sotto il suo servizio, trattenni il mio impulso omicida: « Capisco. Farò più attenzione d’ora in poi a non scostarmi quando il mio signore cerca invano un contatto per avere il calore del mio corpo ». 
A quel punto, non lo credevo umanamente possibile ma arrossì scandalosamente, scaccomatto.

« Cos-Cosa vorresti insinuare? Non è affatto così! ». Indicai la sua parte di letto. « Eppure al momento, dietro di voi, c’è un’infinità di spazio dove potreste comodamente stare ».
« Io non me ne sono reso conto. E comunque sia, di certo, non vengo a cercare la tua compagnia!» 
Risi aspramente: «Di fatto, siete nella Mia stanza… »,
« Taci, sono qui perché avevo freddo e non riuscivo a dormire! ».
A quello non avevo difficoltà a credere ma in parte sapevo, che non era neanche totalmente vero. Essere demoni portava oltre alla fame, ad essere insensibili a molte cose, tranne una...

L’unica cosa che ci colpisse nel corso del nostro tempo immutabile.

Lo sentii allontanarsi seccato, in cerca di una nuova posizione comoda. Le mie mani a quel punto scivolarono lungo il suo corpo, passandogli un braccio attorno al fianco e l’altro con gentilezza sotto il capo, lui si girò a fissarmi allarmato:
« E ora che stai facendo, Sebastian?» mi mostrai colpito dalle sue parole: « Non dicevate di avere freddo? Pensavo di fare cosa gradita, visto che sembravate cercare così assiduamente del calore prima » sorrisi garbatamente « ..solo che in questo modo. Eviterei di cadere dal mio letto ».
« Idiota, per quello basterebbe che mi dessi la schiena anche tu » chiusi gli occhi sospirando lentamente:

« Come desiderate ». Mi scostai e mostrai la schiena a mia volta. Il silenzio cadde, ancora dei piccoli rumori dalla sua parte poi di nuovo solo il mondo della notte. Poi la sua schiena incontrò la mia, e lo sentii rilassarsi un po’ contro di me. Fissai lo spiraglio di luce che rivelava le vecchie assi del pavimento per un tempo che sembrò interminabile, niente, per me era impossibile sapere cosa fosse il sonno.

« Non dormi? ». 
Per un attimo, avevo segretamente sperato che al contrario di me fosse riuscito nel suo intento. Evidentemente, mi sbagliavo. Presi qualche secondo prima di rispondergli:
« Anche se mi è stato ordinato, il minimo che posso fare per voi è chiudere gli occhi ». 
Di nuovo silenzio « …Capisco ».
Sentivo che stava per chiedermi qualcos’altro.
« Sebastian..? »
« Sì, mio signore? » 
« I demoni… » per un momento sembrò esitare « provano la solitudine? ».

La domanda mi spiazzò totalmente, trovandomi impreparato:
« E’ una domanda curiosa la vostra. Devo dedurre che in qualche remoto angolo del vostro piccolo e avido cuore, c’è un lato di voi che si preoccupa per me? » pronunciai le ultime parole con una lieve nota di scherno che non gli sfuggì. « Lascia perdere » ribatté bruscamente « ..fingi che non ti abbia chiesto nulla ».

« Sì, noi la proviamo...» dissi in un soffio. 
Dalla sua parte nessuna risposta e io ripresi a fissare il buio.
« Come fai a sopportarla? »

« Dovreste saperlo meglio di me… » dissi ironizzando lasciando cadere il discorso, poi ripresi. « Non vi è rimedio. Ci si convive e basta. La si porta dentro con gli anni e i secoli. E’ una maledizione che temo perseguiti tutto il creato. Per una sorta di consolazione ho notato che spesso gli uomini usano amarsi e ferirsi tra loro, ma alla fine è una cosa da cui non si può scappare. Sarebbe come voler fuggire da se stessi ».

Infatti Ciel Phantomhive, di certo lo comprendeva più di chiunque altro.
« E per quel che riguarda voi demoni? ». Sapendo che d ora in avanti questo, avrebbe compreso anche lui.
« Alcuni di noi la recepiscono semplicemente come Noia. Cercano nuovi modi per venire a contatto con voi sempre più originali e contemporaneamente saziare la propria fame giocando con le vittime, creando in loro un irrimediabile legame di dipendenza ».

« Io sono dipendente da te ».
« Sì, è così » sarebbe stato sciocco rispondergli diversamente negando l’evidenza. 
« Ma ora sono anche un demone.. »
« Esattamente ».
Il vento ululava fuori dal piccolo rudere, scuotendo le chiome degli alberi.
« Quindi nonostante sei obbligato a rimanere al mio fianco, ti senti ...solo? ».
Le pareti della vecchia villetta di campagna scricchiolarono minacciosamente mentre rimanevo in silenzio, pensando a cosa rispondere.

« Ovviamente è solo curiosità, non è così importante infondo.. Non sei costretto a rispondermi ». Sorrisi per il tono indifferente che assunse la sua voce volendo apparire vaga, per dissimulare il suo interesse.
« In effetti, si può dire che servirla alla magione con quei tre scansafatiche in giro non ci si annoia di certo. Ma la fame di voi resta, non mi abbandona mai. E’ una cara compagna».

A quelle parole lo sentii voltarsi nella mia direzione:
« Sciocchezze, non ti ho mai costretto al digiuno, lo sai ».
« Infatti, è una mia scelta » dissi in tono morbido, lui non capì. « Perché? »
« ... » « Perché Sebastian? » le parole sembrarono volermi morire in gola e la sua curiosità crebbe.
« Sebastian, è un- » prendendolo alla sprovvista in due brevi movimenti, mi misi a carponi su di lui coprendo velocemente la sua bocca con una mano. « Questo non occorre mio signore, ho intenzione di rispondervi ».
Lui studiandomi attentamente spostò la mano che tenevo sulla sua bocca con discrezione e io lo lasciai fare. « Ti ascolto » disse sbrigativo, scorsi l’intelligenza che in quello sguardo amavo e quindi risposi onestamente.

« Non voglio tradirvi » di nuovo il silenzio venne rotto da delle nubi che preannunciavano un temporale «Tradirmi in che modo? ».
« Braccando un’altra anima, che non sia la vostra ». Stavolta fu lui a ridere « Immagino che a questo punto, dovrei sentirmi lusingato… » gli sorrisi « Infatti. »
« Suvvia Sebastian, di certo non me la prenderei se mi tradissi con un’altra anima che non è la mia. Penso per te sarebbe comunque questione di poco, prima di tornare a servirmi ».

« Non è così ». 
Il divertimento sparì dal suo viso, tornando serio. «Non riesco più a nutrirmi di un’anima qualunque, non saprebbe di niente. Sarebbe l’equivalente per voi umani di cibarvi di spazzatura».
« L’essere umano in condizioni precarie arriverebbe a mangiare spazzatura» rispose a tono freddo. « Non lo metto in dubbio, arrivereste tranquillamente a mangiarvi tra di voi, basta osservarvi». Dissi senza nascondere l’ironia della cosa. « So bene quanto in questo non sembriamo tanto diversi da voi » ribatte gelidamente « Ma non tutti ne sarebbero capaci ».

« Esattamente come esistono demoni che si stancano di cibarsi della feccia della società.. » proseguii « ..sareste stato disposto a cibarvi dell’anima del
Barone Kelvin, se ve ne avessi dato l’occasione? ».

L’incubo nei suoi occhi ritornò più vivido che mai. Riemerse spaventosamente dai suoi ricordi. Un folle che solo per arrivare a lui, ancora quando era in tenera età, dopo mille interventi per curarsi dalla sua bruttezza aveva finito col perdere il senno. Lo rincontrò in sedia a rotelle, con il viso sfigurato ricoperto da bende di ospedale, abusava ripetutamente dei bambini rapiti considerandoli il motivo della sua rovina. Li sacrificava poi in spettacoli raccapriccianti che avevano il solo scopo di divertirlo. Aveva organizzato tutto insieme ad’altri cospiratori, la notte in cui il padrone sarebbe dovuto essere sacrificato, ma era rimasto legato al letto dopo aver perso le gambe nell’ultimo intervento per tentare di rimodellare il suo corpo. Ed era scampato alla rovinosa carneficina a cui avevo adempito sotto l’ordine del padrone la notte stessa che fui invocato e avemmo re detto ilcontratto. Comprendendo l’orrore che sorridente gli si presentava amichevolmente davanti invitandolo di nuovo a ripetere il rituale, il padrone gli sparò una pallottola in mezzo agli occhi e poi svuoto il caricatore sul suo corpo. Oppresso da un’emozione violenta mi ordinò di ammazzare i suoi sostenitori e bruciare tutto. Quel palazzo raccapricciante, i loro resti, i bambini, ogni cosa.

Il suo corpo ora tremava violentemente, ma non per il freddo. Con rabbia mi afferrò un lembo della camicia da notte.

« Il Barone kelvin è morto.»anche la voce tremava e poco dopo urlo.« ..MORTO! » L’orrore e la follia per tutto quello che era avvenuto ancora lo consumavano insieme al rancore. I suoi occhi saettarono sul mio viso in cerca di quella conferma «L’ho ucciso io. CON QUESTE MIE MANI! ».

« Sì, lo avete fatto ». 
Annuii dolcemente, scostando gentilmente quelle mani fredde e tenendole fra le mie. Vi posai sopra le labbra in un bacio casto mentre erano ancora così unite. Dopo un po’ tornò a respirare normalmente e si poggio con il capo ad’una mia spalla. « ..non ho usato l’esempio migliore, sono desolato. Non sospettavo che l’argomento vi toccasse ancora così tanto ».
« aah, fa silenzio. Il più delle volte parli solo perché hai la bocca, Sebastian ».

Sorrisi, se aveva ancora fiato per criticarmi, significava che si stava già riprendendo.
« A volte, penso sia così ». 
Le folte ciglia scure si abbassarono sui suoi occhi facendoli apparire notevolmente più stanchi, ma non per causa del sonno. Semplicemente, stanchi di tutto. Sì, maggiordomo compreso.

« Non ho intenzione di portare avanti questo discorso, ..sono stanco ora. » Annuii e mi accinsi ad’aiutarlo nuovamente a stendersi.
« Allora si riposi giovane padrone. Veglierò sui suoi sogni »
« Preferirei di no. » ribatté sarcasticamente « La tua presenza è fin troppo assidua pure in quelli. »

Sogghignò, mentre il sonno scendeva velocemente sulla sua voce.

Quella confessione così innocente mi lasciò ammutolito di nuovo. Sdraiandomi al suo fianco, mi chiesi se si riferisse ad’incubi o altro. Quando gli cinsi la vita con un braccio stavolta da lui non ebbi alcuna protesta, non capendo perché in cuor mio la cosa mi facesse piacere. Sperai di venire influenzato dalla sua vicinanza. Desiderai ardentemente di riuscire ad’addormentarmi e poco tempo dopo, mi sorpresi a sognare.

Cosa ne sa un Diavolo dell’amore, in fondo?

~ Un demone che trascina continuamente la sua stessa essenza oscillando,

...tra illusione e incubo.
   
 
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