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Autore: Niki_92    11/03/2011    1 recensioni
Connie ha finito la scuola,la sua storia d'amore è finita, la sua migliore amica la sta abbandonando e tutto questo in un momento segnato da un nuovo inizio, un'inizio che le travolgerà la vita, cambierà il suo modo di vedere, provare, sentire, sta cambiando lei e forse sarà completamente sola in tutto questa...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la mia prima ff ORIGINALE, non ci ho pensato troppo su, ho scritto questo primo capitolo tutto insieme e quindi ve lo ripropongo così com’è stato partorito. Buona lettura e aspetto i vostri pareri con ansia!

 

Capitolo 1 - Vedi. Se rimani in piedi. Anche se tu non ci credi.

 

Era tutto finito. Sepolto sotto un cumulo di macerie, sotto quintali e quintali di fanghiglia e rocce, sassi e polvere. Senza un’apparente via d’uscita eppure il pressappoco invisibile fascio di luce al limitare della prigione lo vedevo anch’io, era lì e non poteva scappare, non poteva scapparmi eppure non riuscivo a raggiungerlo, non completamente, non come avrei dovuto e la pioggia, la pioggia batteva inesorabilmente, come se ogni goccia potesse frantumare granello dopo granello la gabbia che mi ero costruita attorno ma non poteva farcela da sola, occorreva il vento, quel sospiro d’aria che l’avrebbe aiutata a spazzare via tutto. Ecco cosa mancava. Era il vento che mancava. Una boccata d’aria da questa eterna collera che mi calpestava senza sosta.

Era tutto finito.

Tutto.

Finito.

Non c’era più niente per cui valesse la pena lottare, non c’era più niente che al di là di quel tunnel così buio e pauroso mi desse la sicurezza di un lieto fine infinito, più niente che potesse riportarmi a galla.

Se n’era andato, come se quell’estate avesse portato via non solo il caldo soffocante, non solo il dolce sapore delle vacanze estive ma anche tutto che ciò avevo sempre voluto, desiderato, anelato così tanto. Sembrava solo un ricordo eppure le labbra che avevano sfiorato le mie, le mani che mi avevano accarezzata così piano, i capelli che mi avevano fatto il solletico sul viso, ero certa di averli sentiti davvero, perché era stato tutto vero. Tutto vero fino a quel momento, quando tutto si è trasformato in un’enorme, bugiarda e soffocante bugia.

Eppure nonostante il dolore, dovevo capire che non era tutto perso, almeno non per me, perché io c’ero ancora e dovevo rimettere insieme i pezzi, uno ad uno, sistemando ogni crepa e lasciando al tempo la possibilità di fare il suo corso, senza ostacolarlo o forzarlo.

 

Scesi dal tronco d’albero sulla quale mi ero seduta, la spiaggia era così silenziosa di prima mattina, il sole era appena sorto e le nuvole nel cielo formavano una patina leggera dalla quale era difficile scorgere l’azzurro che sarebbe stato visibile di lì a poco. Pensai immediatamente che i vestiti sparsi sul letto e le magliette gettate alla rinfusa nei cassetti e negli armadi aspettavano solo me per essere rinchiusi nuovamente nella mia capiente valigia, il giorno dopo sarei dovuta partire e sarei tornata a casa con un nuovo peso nel cuore.

“Dio Connie finalmente ti ho trovata” mi urlò Amber venendomi incontro.

“Sono solo uscita a fare una passeggiata” le dissi nervosa e scocciata.

“Devi tornare subito in casa, sta succedendo un casino” era agitata e non si fermava un attimo.

“perché che sta succedendo?” le chiesi mentre incominciavamo ad incamminarci verso l’appartamento che avevamo preso in affitto per l’estate, per festeggiare la fine degli esami.

Mi guardò come se avessi dovuto sapere cosa stava succedendo, vedendo però che non accennavo a parlare mi chiarì lei le idee “Carter…” disse solo e poi lasciò cadere la frase nel nulla.

Preoccupata accelerai il passo per arrivare il prima possibile a destinazione.

 

“Sei un’idiota Carter! Capito? Un emerito idiota” sentii Henry urlare a Carter.

“Fatti gli affari tuoi!” gli rispose Carter urlando ancora di più, non si erano accorti della nostra entrata, erano così intenti a discutere che non si sarebbero accorti di nulla.

Erano al centro del piccolo salotto, alle estremità opposte del tavolo e tutti li guardavano come fossero stati ipnotizzati, nessuno cercava di farli ragionare, nessuno osava fiatare, sentivo solo i singhiozzi di Anna arrivare dall’angolo della stanza, quando mi notò, alzò gli occhi su di me per poi riabbassarli nuovamente e scoppiare di nuovo a piangere.

“Ti pare il caso di scoparti Anna dopo nemmeno un giorno che hai lasciato Connie? Mi chiedo se tu sia normale!” strillò in un moto di rabbia improvvisa Henry.

Riuscii solo a continuare a fissare Anna che a quelle parole era sobbalzata e mi aveva guardata di sfuggita, uno sguardo fugace, forse dettato dalla vergogna e dall’imbarazzo che provava.

Sentii la mano di Amber sfiorarmi una spalla ed io la scostai senza badare a quanto potessi sembrare scortese.

“Henry basta…” sussurrò Amber e gli si avvicinò facendolo voltare, io fissavo ancora Anna che non aveva ancora avuto il coraggio di guardarmi negli occhi. Quando riuscii a guardare Henry notai il suo viso rosso dalla rabbia e sentii gli occhi bruciare a causa delle lacrime che volevano uscire ma mi sforzai per non sembrare debole ancora una volta agli occhi di Carter.

Henry fece qualche passo verso di me, tendendo le mani come a volermi proteggere, io ne feci uno indietro, scuotendo la testa e facendogli capire che non volevo che si avvicinasse, non volevo il suo abbraccio che mi avrebbe dato così tanto conforto da farmi sentire libera di piangere e disperarmi, non volevo il migliore amico in quel momento, non volevo nessuno, nemmeno me stessa.

Attraversai la stanza, passando accanto a Carter senza guardarlo e andai nella mia stanza, quella dove avevo dormito con Carter fino a due giorni prima, presi tutto ciò che trovavo in giro e lo infilai di corsa nella mia valigia, attenta a non dimenticare niente e tornai nel salotto dove nessuno si era mosso. Tutti erano rimasti dov’erano e mi guardavano come se ciò che stavo facendo non avesse avuto senso. Mi avvicinai a Amber le sorrisi nascondendo le lacrime e senza dire una parola uscii dalla porta.

“Dove diavolo vai Connie?” era Henry, mi aveva raggiunta e mi teneva per il braccio.

“Dove vuoi che vada? A casa!” gli sussurrai. La voce era stridula e sapevo che gli occhi erano arrossati, li sentivo gonfi e bruciavano, mi sforzai di sorridere ancora una volta.

“Perché?” risi della sua domanda, possibile che non riuscisse a capire?

“Cosa resto a fare? Senti domani ti fai dare un passaggio da Amber?” gli dissi. Eravamo andati con la mia macchina e quindi il ritorno per lui sarebbe stato un problema.

“C-certo” mi disse solo e lasciò andare il mio braccio. Nei suoi occhi leggevo la delusione, forse per quella vacanza che doveva finire in un modo migliore o semplicemente perché mi vedeva soffrire.

“Ciao” gli dissi lasciandogli un bacio sulla guancia e voltandomi per andarmene.

“Ciao” lo sentii sussurrare in un modo appena udibile.

Salii in macchina dopo aver letteralmente gettato la valigia sui sedili posteriori e accesi il motori, mi affrettai ad allontanarmi da quella casa, senza voler realmente pensare a cosa era appena successo. Dopo qualche chilometro vidi sul lato della strada una piazzola, accostai e diedi libero sfogo al pianto che mi stava soffocando.

Era davvero tutto finito.

Stavolta quelle parole mi si scaraventarono contro senza alcuna remora, erano diventate vere, non erano più il mantra che mi ripetevo da un paio di giorni senza volerci credere realmente, erano la pura verità, una verità che mi faceva schifo, che mi tratteneva sul fondo e non mi lasciava via di fuga.

Carter mi aveva lasciata non per quella stupida litigata avuta un paio di giorni prima, Carter mi aveva lasciata perché voleva farlo, perché non mi voleva più e non mi avrebbe più voluta e la bugia che tutti si prendevano l’affanno di rifilarmi, quella per cui io e lui eravamo fatti per stare insieme e che avremmo trovato il modo per sistemare le cose, non era niente di più, solo una stupida e maledetta bugia, di quelle che si dicono per circostanza e nient’altro e avrei dovuto ascoltare Henry che forse in quel momento si stava torcendo le mani prendendosi la colpa di tutto e che forse stava pensando al fatto che avrebbe dovuto insistere di più quando ha cercando di convincermi che Carter non era una buona compagnia e sarei dovuta essere più buona con lui, senza accusarlo ogni volta, senza accollargli colpe che non aveva.

Sentii improvvisamente il telefono squilla, lo cercai nervosa nella borsa e quando lo trovai il telefono aveva già smesso di squillare. Era Henry, probabilmente era preoccupato. Lo richiamai per tranquillizzarlo e dirgli e che stavo bene.

“Pronto Connie dove sei?” mi chiese immediatamente.

“Sono per strada” la mia risposta era fredda.

“fermati alla prima piazzola che incontri sto arrivando, capito?” la sua voce era autoritaria e ferma.

“ok” non ebbi il coraggio di controbattere e dopo aver risposto chiusi immediatamente la chiamata.

 

Henry non tardò molto ad arrivare, e quando scese dalla macchina di Amber capii subito che era molto arrabbiato, aprì immediatamente lo sportello dal lato in cui ero seduta e mi guardò con un’aria che sapeva un po’ di delusione, si, sentivo il suo sguardo deluso trafiggermi e per un paio di minuti non ebbi il coraggio di alzare gli occhi e guardarlo.

“Connie…” disse solo, lasciando la frase in sospeso prendendo poi un lungo respiro.

“manca solo un giorno, perché non resti?” mi disse con aria supplichevole e dolce, lo sguardo deluso, quasi arrabbiato, era scomparso.

“non ho alcun motivo per restare” sussurrai poco convinta.

Henry mi conosceva bene, quel mio momentaneo tentennamento l’aveva incoraggiato a provare ancora una volta a convincermi. Mi tolse i capelli da davanti il viso e con sole due dita mi fece alzare il mento per potere guardarmi negli occhi.

“ed io non sono un motivo valido Connie?” sospirò come se stesse prendendo il coraggio per dirmi qualcos’altro.

   
 
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