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Autore: aoimotion    11/03/2011    9 recensioni
Non c'era niente da cambiare.
Quello era il loro rapporto, e così sarebbe rimasto.
Per sempre.
[8059]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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oneoneone
Non c'era niente da cambiare.
Quello era il loro rapporto, e così sarebbe rimasto.
Per sempre.







"Ehi."
Non si aspettava quella voce, ma avrebbe voluto sentirla. E ora che l'aveva sentita, desiderava scomparire sotto cumuli di neve.
Si voltò, Hayato, con estrema lentezza. Il fumo della sua sigaretta si disperse in caldi fiotti evanescenti, nella gelida aria della sera.
Solo un lampione illuminava la strada, deserta a quell'ora, scenario del loro fugace incontro.
"Che vuoi?" Sibilò, guardandolo appena, con la coda dell'occhio.
Giunse in risposta una cristallina risata. Bella, dolce, luminosa più di quella palla gialla a pochi metri da lui, issata su un palo di vernice bluastra.
Gli vennero i brividi. Li volle attribuire al freddo. Lo fece. Ma non ne fu convinto.
Affatto.
"Volevo vederti."
Una frase del tutto inaspettata seguì a quello scampanellìo argenteo. Lo constatò, con una dolorosa fitta al cuore. Sembrava il latrato di un cane.
Un cane straziato.
"A fare?"
Le parole gli uscivano sempre più dure di quanto avrebbe voluto. Sempre più taglienti, sempre più lapidarie, sempre più sbagliate. Lui era sbagliato, lui e il suo modo di pensare e di agire.
Provò l'irrefrenabile impulso di mordersi la lingua fino a staccarla e a morire per dissanguamento. Non lo fece, perché aveva la sigaretta in bocca. E perché Takeshi era lì, e lo stava fissando.
Sentiva il suo sguardo, colmo di calore, attraversare il suo corpo assiderato da parte a parte. Era così... invitante. E dolce. E accogliente. Avrebbe voluto avvolgersi in esso, e rimanere così per l'eternità.
Ma i suoi muscoli rimanevano fermi e immobili.
La sua gola ardeva, bisognosa di acqua, acqua che non poteva permettersi di comprare. Le sue dita, intirizzite, tremavano dentro i guanti di lana, ricercando senza sosta la loro metà.
Takeshi lo guardò, provando a sorridere.
Voleva sempre sorridere, lui. Sorridere per tutti e due, perché Hayato non ci riusciva.
"Non andare." Sussurrò, muovendo un passo verso di lui, come se avesse potuto dissolversi da un momento all'altro, come fumo, e perdersi per sempre.
Per sempre.
Poté giurare di vedere l'oscurità dell'orizzonte farsi un po' più vicina, prossima a inghiottirlo. E allora mosse un altro passo, e poi un altro, e poi un altro ancora.
La neve, cristallina e pura, attutiva ogni suono. Soltanto il lieve affondare dei suoi piedi, era tutto che poteva essere udito in quella strada. Il mondo intero sembrava svanito, nel nulla. Persino il vento sferzante aveva cessato di ululare, e l'aria si era fatta incredibilmente pesante.
Il gelo penetrava le loro carni, ancor più quelle di Hayato, che non era sufficientemente coperto. Takeshi ci pensò, e soffrì.
"Tieni." Aggiunse, tendendogli la sua sciarpa. "Fa freddo."
Lui lo guardò, animato da un sentimento tanto improvviso quanto violento.
Non voleva che gli si mostrasse pietà. Non voleva che gli si mostrasse misericordia. Non voleva che qualcuno si occupasse di lui.
No... lui voleva stare da solo. Lui doveva stare da solo. Era nella sua natura. Era un lupo, un misantropo, un meschino.
La compagnia non era qualcosa che potesse coesistere con lui.
Dove c'era lei, lui mancava. E dove c'era lui, mancava lei. Si escludevano a vicenda, quasi fosse una legge della natura.
Non avrebbe mai coinvolto nessuno nella sua solitudine. Non qualcuno che amava.
Non qualcuno che amava così tanto.
"Non ne ho bisogno. Sto benissimo così."
La bugia era plateale, evidente, crudelmente evidente. Così evidente da spezzargli il cuore. Come se non valesse neanche la pena di fingere con gusto, di fingere bene. Come se lui non meritasse neanche una bugia gentile.
Hayato tremava, sotto i suoi abiti troppo leggeri. I guanti non bastavano a scaldare l'intero corpo, ma per lui l'importante era preservare le mani.
Sì, le mani. La cosa più preziosa che possedesse. La cosa che gli dava da vivere. Quelle mani, il dono di sua madre.
L'ultimo. O forse il primo. O forse entrambe le cose.
Le sue mani, le sue dita affusolate, i suoi movimenti sereni ed esperti. Il suo tesoro inestimabile.
"Ti prego." Gli sentì mormorare, soffocando quelle parole in una piccola risata. Un'altrettanta plateale bugia.
Giocavano a ingannarsi, Takeshi e Hayato. Il primo, solo per amore del secondo. Il secondo, perché non aveva il coraggio di amare.
Si rincorrevano, menzogna dopo menzogna, senza sosta, in qualunque tempo e in qualunque luogo, qualunque fosse l'argomento, qualunque fosse il motivo.
Takeshi non amava mentire. Non gli riusciva, perché traspirava verità da ogni poro della sua pelle. Il suo sorriso prendeva le mosse da quella spontaneità  sincera che lo aveva sempre contraddistinto negli anni. Quella spontaneità colpevole di aver reso la vita di Hayato un inferno da cui non sapeva come uscire.
E si sentiva in colpa, profondamente in colpa.
"No."
Le parole di Hayato furono come un colpo di pistola. Sparate con una calma e una durezza così profonde, così crudeli, che gli fecero gelare il sangue nelle vene. Erano IL rifiuto, per eccellenza. Non stava dicendo di no solo alla sciarpa.
Stava dicendo di no a lui. A tutte le parole che sarebbero venue dopo di lui. A tutti i gesti che sarebbero venuti dopo di lui.
A ogni cosa. Lui aveva già chiuso la porta. In faccia. Sbattendola. Con violenza. Con evidenza. Con sofferenza. Senza ritorno. Senza ripensamenti. Senza spiragli. Una porta che non aveva serratura. Una porta blindata, che non poteva essere sfondata. Una porta che l'illusione apriva per lui, ma che restava inesorabilmente, irreversibilmente CHIUSA.
Crollò, Yamamoto Takeshi, sulla soffice e candida neve.
Le ginocchia non avevano retto. E presto neanche il suo cuore.
Perché? Perché ci provava? Perché non si arrendeva? Perché soffriva e basta? Perché non riusciva a penetrare quel muro? Perché? Perché?!
Hayato lo guardò, con un'espressione indecifrabile. Non si poteva leggere nulla, su quelle pagine colme di inchiostro sparso senza ordine né rigore. Quelle parole che annegavano in una pozza nera, illeggibili, incapibili, indefinibili.
Quelle pagine, così pregne, così zuppe, così bagnate, da star male.
E il freddo penetrava le loro carni, stancamente, senza nessuna fretta.
Una parola.
Una parola affiorò alle sue labbra. Una parola, bisbigliata, sussurrata con esitazione, piano. Timida. Titubante.
Nessuno avrebbe potuto udirla. Nessuno.
Lui sì.
La disperazione gli amplificava ogni suono. Avrebbe potuto sentire qualunque cosa, finché fosse stata pronunciata con un minimo di respiro. Non importava quanto basso potesse essere il suo tono. Finché rimaneva un suono, lui avrebbe potuto sentirlo.
Peccato, solo, che i pensieri di Hayato non fossero rumorosi. Avrebbe tanto voluto ascoltarli, avrebbe tanto voluto udire quelle urla strazianti di cui la sua testa doveva essere piena, di cui ogni giorno, ogni maledettissimo giorno, lui doveva pagare il fio.
Condividerle. Renderle più leggere. Bastava poco, bastava niente. Lui avrebbe alleviato ogni sofferenza.
Sorridendo per entrambi, come aveva sempre fatto.
"Mi dispiace."
Due sbuffi di aria, che si condensarono in pacifiche nuvole bianche, che salirono al cielo, dipingendo chiare macchie sul manto nero che li sovrastava.
No. Non se le era immaginate. Ne era certo. Hayato le aveva pronunciate, quelle due parole. Sì, lo aveva fatto. Lo aveva fatto.
Lo aveva fatto.
Ed eccolo. Il buco. La fessura. Lo spiraglio. Il raggio di sole. Quel qualcosa, qualunque cosa, che potesse penetrare quella porta blindata.
Era un'illusione? Un miraggio? Lui non lo sapeva. Aveva visto quel muro di latta illuminarsi, di una luce tenue e dolorosa. Ma l'aveva vista. L'aveva vista.
L'aveva vista.
Non ne poteva dubitare. Quella era la mano tesa, che si appoggia alla supericie grigia, tentando di passarvi attraverso. Era la richiesta di aiuto sussurrata dall'altra parte di una parete.
Era il no che diventava forse. Un forse vago, indefinito, privo di coerenza, privo di basi, privo di sostegni, privo di certezze, privo di qualunque cosa.
Però c'era. C'era. C'era. C'era.
Il no che diventava forse. Il forse che diventava la sua speranza.
No, non c'era proprio niente da cambiare.
Quello era il loro rapporto, e così sarebbe rimasto.
Per sempre.






Note dell'autrice: io non so che cosa dire. Questa è la mia prima 8059, e un parere mi farebbe solo un gran bene. Temo di aver reso Yamamoto OOC, e mi dispiace. Scusatemi, se vi ho traviato Takeshi ç_ç non volevo, lo giuro.
Ho fatto del mio meglio, spero di non avervi disgustato. Grazie, davvero, per aver letto. :)
Precisazione: in teoria, ma solo in teoria, questo è un universo alternativo. Dove Gokudera si guadagna da vivere suonando in qualche localazzo schifato di periferia. E Yamamoto vuole salvarlo dalla sua miserabile condizione. E lui non vuole e bla bla bla bla bla... ci siamo capiti. u__u


   
 
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