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Autore: Aine Walsh    12/03/2011    1 recensioni
«E’ solo un si o un no» ripetè per l’ennesima volta, dopo un tempo che pareva interminabile, John.
Paul tirò un sospiro.
Un altro sospiro.
«Quindi finisce qui?» domandò.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Harrison, John Lennon , Paul McCartney , Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Last Hard Day's Night

 

29/08/1966

Ore 20.35

Candlestick Park, spogliatoi

 

Si respirava un’aria abbastanza tesa, quella sera, negli spogliatoi del famoso stadio di baseball, adibiti per l’occasione a camerini.

I quattro Beatles stavano in silenzio, nel tentativo di pensare a cosa dire e a come farlo.

Evitavano persino di guardarsi in faccia pur di non perdere la concentrazione.

Non era poi così tanto facile.

 

«E’ solo un si o un no» ripetè per l’ennesima volta, dopo un tempo che pareva interminabile, John.

Paul tirò un sospiro.

Un altro sospiro.

«Quindi finisce qui?» domandò.

«No che non finisce qui – affermò subito George – O meglio, non proprio. Finiscono i tour, ma non la band. Guarda il lato positivo, potremmo dedicarci ad altro».

«Del tipo?» chiese Ringo, che nelle ultime ore era rimasto alquanto taciturno.

Lennon si passò una mano tra i capelli.

«Potremmo andare in vacanza, una vacanza come si deve, potremmo dedicarci alle nostre famiglie, potremmo fare tutto quello che ci passa per la mente, capisci? Anche fare i dementi di notte in mezzo ad una strada, se ci va».

«Come se non l’avessimo già fatto» mormorò sbuffando James.

Il chitarrista fece finta di non sentirlo.

Ringo abbassò il capo più volte, mimando un si.

«D’accordo, mi avete convinto. Avete ragione».

George accennò un sorriso soddisfatto, mentre John, in piedi con la schiena contro uno dei tanti armadietti e con il viso serio e lo sguardo assorto, mormorava «Bene. Paul?».

Fu allora che McCartney si voltò verso i compagni e li fissò uno per un con uno sguardo evidentemente confuso.

«Non lo so».

«Ma devi decidere entro stasera» disse dolcemente Harrison.

«Già».

Calò di nuovo il silenzio.

 

«Suvvia, Paul – riprese parola il più piccolo del gruppo – Non finisce niente. Tu non sei stanco? Da quanto non andiamo in vacanza? Da quanto non abbiamo più un giorno libero?».

«E vogliamo parlare del petardo lanciato sul palco? O del Ku Klux Klan che mi sta alle costole? O peggio, delle minacce di morte?» aggiunse John.

«E non dimentichiamoci delle Filippine…» terminò Starr.

Paul si passò una mano sul viso, dalla fronte in giù, fino al mento.

«E i fans?».

«Sopravvivranno» risposero i tre all’unisono.

«Paul – disse Lennon cercando di essere il più convincente che gli fosse possibile – Devo ricordarti dell’esperimento, se così vogliamo chiamarlo, che abbiamo fatto l’altra sera?».

«Quale dei tanti?».

«Quello in cui fingemmo di cantare, ricordi? Ci limitavamo a muovere le labbra senza emettere alcun suono. E nessuno se ne accorse. A loro non interessa più della nostra musica. A loro interessiamo noi. Forse la musica è stata solo un pretesto. E non è giusto. Scommetto che potremmo anche mandare fuori dei manichini che ci somigliano senza che qualcuno ci faccia caso» concluse John.

 

Quell’avvenimento pesò parecchio ai Beatles.

Seppur al momento fosse un’azione abbastanza divertente da compiere, quando ci ripensarono (il che non avvenne molto tempo dopo) capirono che in realtà fu un fatto totalmente triste e spiacevole.

 

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

I massacranti tour organizzati da Brian, l’essere sempre e costantemente al centro dell’attenzione, con i riflettori di tutto il mondo puntati addosso, i continui “attacchi” delle fans, avevano già fatto maturare in George e John una certa rabbia mista a rancore, ma solo ciò che accadde al concerto tenutosi allo Shea Stadium fece dire loro “basta”.

 

La stanchezza riempiva l’aria.

Era ormai divenuta palpabile.

 

McCartney uno per uno guardò i suoi compagni.

«Impegnamoci, però, a farlo bene quest’ultimo concerto, ok?».

Ringo, John e George sorrisero.

«Ovviamente».

Qualcuno bussò alla porta.

La testa del manager vi fece capolino.

«Ragazzi, è ora di andare» disse con il suo solito tono gentile.

«Arriviamo» risposero questi avviandosi.

Il batterista notò che, però, il bassista si fermò a prendere qualcosa da un borsone, così gli chiese: «Ehi Macca, perché stai portando la macchina fotografica?».

«Perché questa sera è proprio da non perdere» rispose semplicemente il ragazzo mentre avvolgeva con un braccio le spalle dell’amico raggiungendo gli altri.

 

Alan's Corner: Da dove è venuta fuori? E chi lo sa?

Oggi avevo voglia di scrivere e mi è venuta in mente questa cosa...

Che, tra l'altro, è brutta assai...

Chiedo perdono per aver infangato di nuovo questo sito e questa sezione...

Ma, soprattutto, Loro...

Adieu!

  
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