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Autore: unleashedliebe    12/03/2011    12 recensioni
-Sei carina quando sorridi, dovresti farlo più spesso- mi strinse in un abbraccio protettivo.
Non essendo molto alta, sentivo il cuore di Bill battere attraverso la pelle. Batteva forte, come il mio.
-Batte forte- sussurrai sopraffatta dalla situazione.
-E' colpa tua, cretina- rispose scompigliandomi i capelli.
-Mi viene il diabete così- esclamai.
-Ehi! Penso che morire a causa del diabete, non sia così brutto- mi riaccoccolai fra le sue braccia esili.
Dio, eravamo così dolcinati. Ma, mi piaceva. Parecchio.
Abbiamo lasciato Anna (Carotin) con un cellulare in mano, dopo aver ricevuto quel messaggio inaspettato. E ora che farà? Ci saranno tante svolte, e anche Bill si troverà a fare i conti con l'amore, ma non sarà tutto rose e fiori, anzi.
"Immer wenn es wehtut, ist sie ganz allein.
Doch nach dem letzten Mal, hat sie nicht mehr geweint."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '~ Louder love '
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Primo capitolo: Maia
(anna)

Eccomi! Sono tornata con il seguito di "Unter deiner Haut"
Spero di ritrovare tutte le lettrici della storia precedente, anche se cambieranno i personaggi: Anna e Tom ci saranno comunque, però i protagonisti principali saranno Bill e ... (?), ci saranno comunque dei capitoli dedicati alla coppia, ma meno frequenti! Spero continuerete a leggerla comunque! Mh, non so che aggiungere! Vi chiedo di lasciare una recensione, per sapere cosa pensate del primo capitolo postato, così vedo se vale la pena andare avanti oppure no u_u Ho già un po' di capitoli pronti, quindi non dovrei ritardare tanto nel metterli, tutto dipende da voi e dai vostri commenti ;)
Chiudo qui, sperando apprezziate.
Mit Liebe, Anns.

* * * *

Primo capitolo: Maia

Welcome to the jungle

We got fun n' games

We got everything you want

La soave voce di William Bailey - noto anche come Axl Rose - giunse alle mie orecchie risvegliandomi da un'altra nottata di sonno. Scesi dal letto come un automa e imprecai contro me stessa per aver creduto di esser capace di riuscire a sopravvivere all'ennesima serata di divertimento a base di alcool in uno dei vari locali dislocati nella periferia di Amburgo. L'immagine che riflesse il mio specchio fu la prova di quanto mi sopravvalutassi: i capelli color platino ricadevano flosci sulle spalle e la frangetta che, di norma, mi arrivava fino alle sopracciglia, ora era sparata per aria; gli occhi erano di un verde spento e sotto delle occhiaie da far invidia a qualunque essere non vivente, Dracula e Herr Frankenstein compresi. Il colorito era più pallido del solito e, la matita nera era colata perchè ero troppo stanca per toglierla. Osservai critica la mia figura, cercando di capire come porre rimedio a quel disastro: quel giorno avevo in programma una visita all'ufficio di collocamento, a cui avrei affidato centinaia di curriculum da inviare a varie agenzie nella speranza di trovare un lavoro decente e adeguato ai miei studi: avevo da poco finito l'università, conseguendo la laurea in informatica nella facoltà di scienze e tecnologie. Dopo essermi fatta il culo per tre anni per prendere quel maledetto foglio che attestava la mia innata intelligenza, mi ero trovata a lavorare in un stupendo pub con un eccelso stipendio di settecento euro mensili, contando ciò che lasciavo per l'affitto del mio buco - un appartamento su un condominio senza ascensore - e le altre spese, arrivavo a stenti alla fine del mese. Così avevo deciso di spendere metà della mia paga per pagare francobolli e spedire, tramite l'ufficio, il mio curriculum a quasi tutte le agenzie presenti in Germania.

Insomma, la speranza è sempre l'ultima a morire, no?

Avevo avuto un paio di colloqui negli ultimi mesi ma, i datori di lavoro, dopo essermi soffermati sulla mia discreta figura, mi avevano letteralmente sbattuto la porta in faccia, quasi trattendendo un urlo di terrore. Tutto questo perchè? Perchè amavo gli anfibi, i jeans strappati e le magliette extra large, il tutto combinato a eyeliner nero, rossetto corallo e una frangetta che copriva metà viso! Insomma, una persona completamente banale e che passa inosservata.

Cioè, quasi. Nei miei ventidue anni di vita vantavo il più alto numero di tinte della storia, amavo sperimentare! C'è stato il periodo in cui impazzivo per il nero, poi quello per il blu elettrico, successivamente rosso fuoco, anche fucsia, non dimentico il castano. Alla fine prevalse il biondo platino, il mio colore naturale, tipico germanico! Dopo le varie tinture fui costretta a tagliare i capelli, le punte ormai erano diventate steppa. Mea culpa!

Come un automa, mi recai nel minuscolo box doccia sperando nell'effetto miracoloso dell'acqua gelata che non diventava mai calda perchè le tubature erano rotte e nessuno aveva le palle per cambiarle. Rabbrividì cercando di non bestemmiare in aramaico, se restavo là sotto più di cinque minuti sarei diventata una stalagmite, e non ci tenevo. Uscita, avevo l'aspetto di un pulcino spelacchiato, avvolsi i capelli in un asciugamano e mi fiondai nell'armadio cercando dei vestiti che mi donavano un aspetto normale. Ma in fondo cos'è la normalità? Per me indossare abiti che vanno dal nero al grigio scuro, per altri mettere orrendi vestiti polka dot. Alla fine non persi tempo e mi vestì come al solito, lasciai gli occhi nudi ma applicai uno strado di rossetto sulle labbra.

Uscì di casa e scesi per i tre piani di scale che mi conducevano all'orribile androne odorante di muffa e polvere.

Arricciai il naso vistosamente, non era la casa dei miei sogni, per nulla. Quando mi trasferì ad Amburgo, per lo studio, fui costretta a trovare un lavoro perchè i miei genitori decisero di tagliarmi i fondi, oltre che diminuire i contatti: ero la figlia strana, la pecora nera. I primi mesi furono i più duri, conciliare lavoro e università non era semplice, poi ci feci l'abitudine. Quell'appartamento era tutto ciò che potevo permettermi, per ora.

Nonostante per natura fossi una persona cinica e pessimista, volevo concedermi di sperare, sperando di non rimanere delusa per l'ennesima volta.

Nel parcheggio trovai Apathie ad attendermi. No, non era una persona: era la mia fedele macchina, una cinquecento sudata e risudata, di un bellissimo blu metallizzato. Certo, il mio sogno rimaneva comunque l'Audi Q7 ma probabilmente mi ci volevano dieci vite per permettermela.

Mi infilai nella vettura e accesi l'aria condizionata, era agosto e si moriva dal caldo, non volevo arrivare tutta sudata e gocciolante.

Inserì nella radio un cd dei Rammstein, tanto per caricarmi un po', e premetti sull'acceleratore.

Canticchiando a bassa voce le note di "Du hast" arrivai al luogo prestabilito, entrai e mi recai dall'impiegato dall'aria annoiata. Appena si accorse di una nuova presenza nella stanza, alzò lo sguardo su di me e mi squadrò sciettico per un attimo, poi ritornò alla sua aria annoiata indicandomi l'ufficio accanto.

Mi ritrovai così davanti a un uomo di mezza età che mi spiegò dove avrebbe spedito i miei curriculum e mi congedò in fretta e furia, senza alzare lo sguardo dal computer. Che cosa incoraggiante, pensai. Ritornai nella mia quattro ruote e guardai l'ora sul cruscotto: solamente le undici, avevo concluso prima di quanto avessi immaginato. Le opzioni erano due: andare a casa per cucinare qualcosina oppure autoinvitarsi a pranzo da qualcuno.

Senza pensarci un attimo mi diressi da Andrea, essere umano più simile a quella cosa chiamata amica che avessi.

Lei era il mio opposto, tipico. La ragazza perfetta che sta con quella stramba, un luogo comune ormai. Massa di capelli corvini, occhi castani il tutto accompagnato da un fisico statuario, nel suo metro e settantasette mi superava di dieci buoni centimetri.

Era la brava ragazza, lei. Lavorava in un negozio di piercing e tatuaggi, pur non avendo mai messo ago sul corpo, aveva usato il mio come cavia: era l'artefice della scritta "Eisenfrau" sulla mia spalla. L'avevo fatto per il mio ventesimo compleanno, prendendo ispirazione da una canzone dei Rammstein, Eisenmann.

I miei dovevano ancora scoprirlo, evitavo le magliette in maniche corte in loro presenza, per fortuna li vedevo raramente!

Arrivai così da Andy, suonai alla porta e mi si parò davanti una ragazza vestita con un enorme pigiama verde e i capelli per aria.

Non mi ci volle molto per capire che l'avevo svegliata. La mia teoria non fu smentita dall'occhiataccia che mi lanciò.

-Buongiorno Andrea!- mostrai il sorriso più convinte che potessi fare, farla arrabbiare non era un bene per nessuno.

-Buongiorno un corno Maia! Che cazzo, stavo dormendo!- mugugnò.

-Scusami, ero da queste parti! Sono di ritorno dall'agenzia- mi giustificai.

-Fanculo approfittatrice. Cosa vuoi per pranzo?- inutile, capiva subito le mie intenzioni.

-Ehi, chi ti dice sia qui per pranzare?- alzò un sopracciglio scettica, -Okay, pasta al pomodoro va bene?-

Scosse la testa e mi fece entrare, abitava in un appartamento anche lei, il suo era molto più bello del mio: non aveva frequentato l'università quindi aveva accumulato meno spese e, perciò, più soldi.

Sparì in camera e tornò un quarto d'ora dopo, vestita di tutto punto con addosso un orripilante vestito bluette. Storsi il naso, io avrò messo si e no cinque abiti in tutta la mia vita, finchè non riuscì a impormi contro mio madre. Ciò avvenne quando andai in prima elementare.

Mi fece la linguaccia e accese lo stereo, inserì uno dei suoi cd e si mise a canticchiare. Repressi un mugugno di disappunto.

-Qualcosa contro la musica che ascolto, eh?- mi guardò fintamente minacciosa.

Alzai le mani al cielo, in senso di resa. Avevo provato invano a convertirla al culto dei Rammstein, Guns n' Roses e Metallica, senza risultato.

Lei continuava ad ascoltare quei quattro tizi, dai tre anni che la conoscevo solo quelli passavano per radio con lei.

-Oh, scherzi? Figuriamoci. I Rammstein se li mangiano in un boccone quei.. 'spetta, come si chiamano?-

-Piantala! Sei prevenuta, T-O-K-I-O H-O-T-E-L, non mi sembra così difficile il nome. Sono fantastici!- disse saltellando.

Sembrava una ragazza di quattordici anni in preda a una crisi ormonale, ma lei di anni ne aveva quasi ventitrè!

-Ma non puoi ascoltare qualcos'altro? Sempre la solita roba! Sono banali!- esclamai.

Vidi la sua faccia passare dal rosato al rosso; -Non sono banali! Hai sentito il nuovo album? Unfertig? E' una cosa stupenda! Forse il più bello, sono dei poeti e degli dei della musica!- oh Gott, aveva detto dei della musica. Mi trattenni dal strozzarla, dire che i Tokio Hotel erano gli dei della musica era come dire che il Papa andasse vestito sadomaso ai concerti metal, no vi prego!

Buttai rumorosamente fuori l'aria, sapevo che non avrebbe cambiato idea. Era tanto l'avessi convinta a liberare un po' la sua camera permettendo ai visitatori di vedere il colore delle pareti, dapprima coperto da poster di quei tizi li. Una grande vittoria, comunque.

Contai fino a dieci e le feci una linguaccia, non volevo rischiare di dover rinunciare a un pranzetto cucinato da lei!

Mi stanziai a casa sua per tutto il pomeriggi, spalmata sul suo comodo divano a guardare un bellissimo film horror, sperando che il mio telefono iniziasse a squillare grazie a qualche datore di lavoro che s'era accorto di non poter mandare avanti la propria azienda senza una Maia Ferlich nel ramo dell'informatica.

Consumai il cellulare a forza di guardarlo, inutilmente perchè quella giornata non suonò mai.

* * * *  

Bis bald.

   
 
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