Vi posso anche assicurare che ho finito di scrivere tutte e quattro le storie, quindi entro la fine della settimana le metterò tutte e quattro online, vorrei solo avere il tempo di riguardarmele con calma, perché a volte ho l’impressione che manchi qualcosa. Ho aggiunto "Guerra" tra i generi. Prima non volevo farlo per evitare fraintendimenti, ma penso che sia comunque adatto come genere.
Grazie ancora a _ichigo_85 che ha letto in anteprima.
Stagioni di guerra
Inverno
Le tue mattine iniziano col sapore caldo di Arthur sulle
labbra. Poi ti svegli davvero e scopri che non è che un’illusione, che dentro la
tua bocca c’è solo il sapore freddo della fame e della solitudine.
Per Camelot sono tempi difficili, il freddo impedisce alla
terra di sfamare il popolo e la guerra impedisce ai mercanti di arrivare fino a
questo posto quasi dimenticato dalle dee. La debolezza impedisce agli uomini di
cacciare abbastanza e la fame ormai è compagna costante.
Hai preso l’abitudine di appuntarti alcune cose su carta,
quando ne hai e quando puoi permetterti di sprecare un po’ d’inchiostro. Ti
tiene compagnia e pensi che forse potresti fare leggere queste poche righe ad
Arthur, quando tornerà, perché il tuo Principe ci tiene a stare accanto al suo
popolo, anche nei momenti di carestia, come è già successo ai tempi della
maledizione di Gedref. All’epoca gli hai propinato uno stufato di ratto e lui ti
ha costretto a mangiarlo. Ridi al pensiero e pensi che adesso un ratto lo
mangeresti quasi volentieri.
Uscendo di casa incontri Gwen. Anche lei è debole e
smagrita, sta portando un secchio d’acqua. Mormori un incantesimo per alleviarle
il peso, non vuoi essere invadente ed aiutarla anche in un’operazione così
semplice, perché sai che Gwen è forte, ma la tua magia non è che ridotta ad una
scintilla e lei continua a faticare come se tu non avessi fatto nulla. Allora ti
arrendi e ti avvicini a lei, afferri il manico del secchio e le sorridi.
Trasportarlo assieme ti sembra un buon compromesso, anche perché nemmeno tu sei
poi tanto in forze.
D’un tratto sentite le sentinelle agitarsi sulle torri di
guardia e, come ogni volta, non sapete se gioirne od esserne atterriti, anche se
è quest’ultimo sentimento che di solito prevale. Presto la voce si sparge:
arriva un’altra delegazione di cavalieri. Ciò significa che la retroguardia è
ancora vicina, ma loro sono ancora vivi.
Arthur non è mai rientrato con loro. Arthur è un
maledettissimo cavaliere da avanguardia, anche se è un principe e dovrebbe
impegnarsi a restare vivo e comandare il suo esercito anziché farsi ammazzare
stando in avamposto. Ma è Arthur ed è un dannato, eroico, stupidissimo,
valoroso, asino d’avanguardia.
E tu vorresti essere con lui, ma è stato lui stesso ad
impedirtelo. Pensava che saresti stato più utile al castello e meno d’impaccio
sul campo, ma come puoi essere utile mentre sei qui a morire di fame col
pensiero costantemente rivolto a lui e al fatto che salvarlo è la tua ragione di
vita e senza di te potrebbe stupidamente ed eroicamente farsi ammazzare?
Ti avvii verso il castello, tentando davvero di renderti
utile e sperando, o temendo, che i cavalieri arrivati possano dirti qualcosa che
non sai.
Corri per i corridoi di pietra, per quanto il tuo fisico
possa permettertelo, e ti guardi i piedi perché inciampi già abbastanza quando
sei nel pieno delle tue forze, figurarsi quando sei così debole. Così facendo
non ti rendi conto di avere qualcuno sul tuo cammino, fino a quando non gli
finisci addosso.
Stai per scusarti, ma il fiato ti resta bloccato in gola
non appena alzi gli occhi e ti trovi impigliato nelle iridi blu del tuo
Principe.
- Merlin, - è il sussurro che gli esce dalle labbra.
Resti immobile a guardarlo, perché è inequivocabilmente
Arthur eppure non lo è. Ha i capelli troppo lunghi, la barba incolta, l’armatura
– è sangue, quello? - sembra troppo grande per lui, per quanto è magro.
L’espressione del suo viso è stanca, meno giovane. Ma gli occhi sono i suoi. E
non lo hai mai amato come in questo momento.
- Sire, - rispondi in un soffio che si condensa nell’aria
umida e subito le tue mani sono sul suo volto.
Sembra restio, ti guarda con gli occhi spalancati, ma poi
si abbandona al tuo tocco e pensi che lui ti è mancato da morire, ma, a
giudicare da come non riesce ad avvicinarsi troppo, a lui deve essere mancato
del tutto il contatto umano, in questi mesi.
- Venite con me, - dici, afferrandogli un polso, e aspetti
un suo cenno prima di voltarti e trascinarlo verso le sue stanze. Vorresti
trascinarlo, almeno, ma non riesci a correre per la debolezza e lui sta al
passo.
Chiudi la porta alle vostre spalle e torni a guardarlo,
cercando meglio il tuo Principe sotto quella barba bionda. Gli prendi il volto
tra le mani e gli dai un bacio leggero (Dei, le sue labbra!). Sembra
riscuoterlo e ti affonda il viso nel collo – non sei abituato alle setole sulla
sua mascella - circondandoti la vita con le braccia. Resti lì a stringerlo e
farti stringere per un tempo inquantificabile, ascolti il suo respiro, ti bei
del profumo della sua pelle e fa male, fa male perché sai che ti è mancato, che
sta soffrendo e che se ne andrà di nuovo, e lì dove andrà non ci sarai tu ad
abbracciarlo quando soffre.
- Venite, vi faccio la barba, - dici sorridendogli e lo fai
sedere. Mentre lo radi e gli tagli i capelli gli racconti di Camelot. Niente di
quello che gli dici è scritto sui pezzetti di carta che collezioni nella tua
stanza, perché non ha bisogno di sapere quanto sia difficile per il suo popolo.
Ometti tante di quelle cose che ti sembra persino di inventarti quello che
narri, ma lo fai sorridere e il resto non importa.
Quando finisci è un po’ più Arthur e ne sei fiero, quasi
fosse merito tuo. È lo stesso magro da morire, e te ne accorgi quando ti stringe
e ti bacia, privo dell’armatura. Sei sempre stato tu quello mingherlino con le
costole in evidenza, ma ora le vostre costole quasi si toccano e non è bello. È
meraviglioso, però, perché è lui, perché ce l’hai di nuovo fra le braccia e
perché brucia lo stesso, anche se tutt’intorno è il gelo.
Rispondi al bacio, gli imprigioni le ciocche tra le dita,
gli passi le labbra sul collo, sulle spalle coperte dalla maglia, su ogni
centimetro di lui che riesci a raggiungere. Lo spogli e le differenze sul suo
corpo sono ancora più evidenti. Ci sono tante cicatrici che prima non c’erano,
noti con disappunto, e le tracci ad una ad una con le dita. Alcune sono già
chiuse, altre sono più recenti ed Arthur ancora sibila quando le tocchi. Ti
chini a baciargliene una particolarmente lunga sul petto, come se potesse
compensare al fatto che non c’eri quando se l’è procurata.
A poco a poco i movimenti delle vostre mani si fanno più
frenetici ed è evidente che non basta.
- Ti prego, Arthur, ho bisogno di sentirti, - sussurri
aggrappandoti alle sue spalle.
- No, - risponde ansimando e sollevi lo sguardo stupito, -
Sei troppo debole, - conclude secco.
- Non mi importa, ho bisogno di te, - insisti guardandolo
negli occhi e ondeggiando i fianchi, incontro al suo e al tuo bisogno.
Quando ti allontana ti ferisce.
- Ho visto i miei uomini morire di fronte ai miei occhi,
Merlin, ho dovuto saccheggiare villaggi pur di sfamarli, ho visto così tanto
sangue che, - si interrompe e porta una mano chiusa a pugno sulla fronte, - Non
voglio far soffrire anche te.
Gli accarezzi il viso.
- Pensi che io sia stato bene a pensarti là fuori sotto il
ferro nemico? Ogni santo giorno a chiedermi se fossi vivo, se saresti
sopravvissuto abbastanza da tornare dal tuo popolo, da me, a chiedermi se
io sarei sopravvissuto abbastanza da rivederti? Ho bisogno di te, Arthur,
soffrirei di più se non ti avessi adesso.
Sospira e ti avvicina a sé. Ti stringe e ti bacia, ti bacia
e ti bacia ancora fino a stordirti. Ti solleva la maglia e appena sente sotto le
dita le tue coste in evidenza si raggela un attimo, però non si ferma e ti
spoglia.
- Sei così fragile, - sussurra con gli occhi fissi sul tuo
petto.
Lotti contro l’impulso di coprirti, perché un po’ ti
vergogni per essere un così brutto spettacolo, ma è Arthur e ti guarda come se
fossi l’unica cosa meravigliosa del suo mondo e tu ti fidi di lui.
- Anche tu lo sembri, ma non lo sei. E non lo sono nemmeno
io, - rispondi sulle sue labbra.
Ti fa voltare e tu poggi le mani al muro di pietra. È
freddo, ma non lo senti, mentre Arthur ti sfiora le vertebre con la lingua, ad
una ad una, e ti prepara. Poi affonda in te e per te non esiste nient’altro se
non le sue spinte, i vostri gemiti, il suo corpo contro il tuo, lui dentro di te. E fa male,
dei, se fa male, ma ti fa anche sentire vivo ed è vivo anche lui. È sempre
un po’ di più il tuo Arthur, il piacere si fonde con il dolore e ancora una
volta non c’è nient’altro al di fuori di voi.
Fine.
Thanks finali: a chi ha aggiunto la storia tra le
preferite/ricordate/seguite, a chi ha letto e a chi ha recensito *si inchina*
alcune parole mi hanno quasi commossa, era una cosa che non mi era mai capitata,
quindi i ringraziamenti sono doppi.