Lo sappiamo ci vorreste ammazzare. Ma come hanno detto che la pubblicano dopo aver finito le fic
e invece eccole qui con questa!?!
Si ma
abbiamo un motivo valido….ora a noi piacerebbe molto
continuarla sta fic , ma temiamo molto che non vi
piaccia…ç_ç Quindi saremmo molto felice se per favore
commentaste questo prologo che poi non è altro che il primo capitolo….se piaceremo la continueremo (finite le due fic) altrimenti tanti saluti…
Quindi un grazie in partenza a chi sta leggendo queste poche righe e ….un bacione!^^
Se sei triste e vorresti morire, pensa a chi è
triste
e vorrebbe vivere ma sa di dover morire
J. Morrison
Capitolo
uno: cinque anni in tre minuti
-Come
sarebbe a dire che vuoi dire basta?-la voce alterata, forse tremula. Ma dopo cinque anni di fidanzamento, forse era il minimo. Un
vasetto di gelato alla crema appena tirato fuori dal
frigo e un cucchiaio tra le dita magre e lunghe. Troppo poco per lei. Ma per lei tutto lo era…
-Nel senso
basta, Kagome, sono stanco. Io voglio una relazione…-
-E la
nostra non ti sembra una relazione?-un singhiozzo le uscì dalle labbra. Eppure non voleva piangere…
-Kagome
non piangere ..lo sai che non lo sopporto –
-Dovrei
sorridere? Dopo cinque anni che stiamo insieme tu mi lasci dovrei ridere come
se vedessi uno di quegli stupidi film di Natale secondo te!?-Portò
una mano alla bocca . Il cordless nell’altra e il
gomito appoggiato sul tavolo. Una torta in forno e uno
champagne in fresco. Aveva preparato tutto e adesso…
-Certo che
no…Ma tu non mi ami e io invece voglio una relazione a due .
Non a uno.-
-…ma..-
-Mi
dispiace Kagome …ma non credo ci rivedremo.-sembrava quasi triste il suo tono. Non l’aveva mai
sentito così. Quel ragazzo sempre allegro , dai vispi
occhi nocciola. Ambizioso e pacifista, le aveva tenuto
compagnia per cinque anni della sua vita. Da quando portava
una di quelle ridicole divise alla marinaretta che
non facevano altro che mettere in mostra ciccia. Le aveva odiate. Eppure…
-Addio Hojo-kun.-subito dopo il vuoto della cornetta. Allora capì
che era veramente finita. Con calma infinita poso il telefono sul tavolo di
legno chiaro , laccato. Il cucchiaio ancora
nell’altra. Nascose il viso tra le mani accasciandosi. Cinque anni buttati al
vento . Vide il
suo riflesso nel cucchiaio: viso tondo, occhi grandi ,
taglio orientale, capelli scalati. Ecco qui Kagome Higurashi nei suoi vent’anni di vita.
Piccola ragazza di Malibu in un attico nel centro
esatto della grande mela. Sola. Completamente sola.
Questa
sembrò darle una nuova convinzione. Tutto prima o poi
a una fine. Sembra banale , ma le più grandi frasi
d’autore sono banalità a cui nemmeno penseremmo.
E mai come
in quel momento la torta di mele nel forno e il cucchiaio le sembrarono
tanto invitanti.Casa libera ,dispensa
piena. Niente Hojo. Niente nonna Kaede.
Solo loro tre.
Allungò la
mano iniziando a trangugiare cucchiai stracolmi di gelato alla
crema , con le meringhe in fondo. L’aveva sempre adorato.
Il cibo
arrivava alla bocca veloce e si scioglieva sul palato piccolo
, neanche il tempo di ingoiarlo che lei ne chiedeva altro , mentre le
sue papille sembravano ebbre di zuccheri . 150 Calorie per 100 grammi. Una cosa
assurda , diciamo pure che non l’avrebbe mai mangiata
se non avesse avuto dei principi ben proporzionati.
Il
cucchiaio in ferro toccò il fondo cartaceo della
confezione da un chilo di gelato. Finito.
Con un
Tin, il timer del forno annuncio l’inizio della seconda
tornata. Kagome saltò giù dalla sedia come
un’ubriaca. Afferrò la teglia bollente bruciandosi le mani. Non importava.
Non si
curò neanche di arrivare a un cucchiaio, anzi, con le
mani iniziò subito a scavare nella sfoglia calda e soffice
,accasciata sul pavimento in terracotta .
Kagome Higurashi 20 anni. Figlia primogenita di Hiroaki Higurashi, imprenditore
di Malibu, e Victoria Princh,
ex fotomodella, ora incinta del secondogenito, probabilmente Souta Higurashi. Lui giapponese,
lei nippo-americana. Cosa ora fosse
lei ora era più difficile da dire.
Aveva vissuto
a Malibu per una vita, nella grande
villa dei Genitori, troppo presi dalla loro vita sociale per occuparsi di lei. Quindi era entrata in gioco nonna Kaede.
La sola che la considerasse . Per gli altri era uno
spettro.
Aveva
avuto un infanzia felice, presa com’era dal gioco e
poi arrivata a tredici anni era cambiata. Non solo per il fatto dello sviluppo.
Il seno che cresceva e quel regolare uscire di liquidi non
era che l’ultimo dei suoi pensieri, bensì una nuova consapevolezza terrore delle donne di tutte
le età.
In una
bella mattinata estiva, lei e Sango, la sua migliore
amica dalle elementari, in prevista dell’arrivo del cugino di
lei, prima fiamma della mora, decidono di andare da “Shake it” per comprare dei costumi nuovi. Lei entra nel camerino
e prova un sobrio due pezzi azzurro. Allora come una mazzata nel collo la sua considerazione: era grassa.
Gettò la
teglia con rabbia verso il cestino dell’immondizia, mentre gocce salate le
rigavano il viso. Emise un singhiozzo arrivando al frigo.
L’odore della
mortadella e delle salsicce comprate il giorno prima le inebriarono i sensi . Così cominciò a svuotare il frigo.
Le cosce rotondette, il sedere alla Jennifer
Lopez , e un inizio di
pancetta che non le piaceva per niente. In quel momento uscì Sango dal camerino, così snella nel suo modico metro e
cinquanta e i 38 chili addosso. Lei invece ne pesava 46, in
un metro e cinquanta scarso d’altezza. Mai come in quella volta si senti
tanto grassa.
Seguendo un consiglio di sua madre, che si spostava tra centri estetici
e parrucchiere, intraprese una dieta. Una fetta di carne una fetta di
pane , un bicchiere d’acqua. Addio dolci, addio
patatine, addio pizzette e soprattutto addio muffins
al cioccolato. Quelli che sua nonna era tanto brava a fare.
Iniziò a
correre la mattina .
Arrivata a
quattordici anni Kagome Higurashi
nel suo smagliante metro e sessanta , pesava 40 chili.
Cosce giuste e toniche, seno florido, viso rotondo dai tratti dolci, fianchi
morbidi ma non spropositati e una fila di ragazzi lunga quanto il Nilo che volevano uscire con lei.
Le era
bastato? Assolutamente no .
Si
chiamava Kikyo Matsusuke.
Fu lei a darle il prezioso consiglio: diminuisci ciò che mangi e sarai più
magra. Nel suo metro e settanta d’altezza il seno sodo e i capelli lunghi corvini ,anche lei faceva la sua figura.
Vide
scendere ciò che mangiava ai pasti fin quando arrivò a
un “No Grazie”. Si era sentita potente. Neanche Cesare o Napoleone sarebbero stati qualcosa al confronto. Sentiva il mondo nelle sue mani
e un controllo perfetto su di se.
Così vide
nuovamente i suo chili scendere. Le uscite con Kikyo aumentavano, i frullati al cacao
con Sango scendevano. Era così. Se sentiva il
bisogno di mangiare, una bella sigaretta e una corsa e chi ci pensava più!
Poi
conobbe Hojo.
Oh quel
ragazzo era davvero un tesoro. Le portava le gallette ,
le arance e i dolci preparati in casa. Lei buttava tutto via
arrivata al primo cestino, non vista. Per quanto quelle premure la lusingassero niente ci doveva essere tra lei e la sua linea.
Ma poi iniziarono
i bisbigli...
Kagome
deglutì a forza , scolandosi un intero barattolo di
latte. La metà fini sul pavimento. Subito Buyo , il suo micio, le andò a
fare compagnia. Aprì un cassetto con tanta forza da farlo uscire fuori : li un maxi pacchetto di mars, duplo , twix e buonty aspettavano solo lei. Si ingozzo
con furia , finche non senti lo stomaco talmente pieno , che ,sentiva ,sarebbe
scoppiato da un momento a un altro. Afferrò la bottiglia d’acqua dirigendosi in bagno spedita. Terza e ultima fase: il rigetto.
Si Riempì
d‘acqua finche non la bocca dello stomaco aprirsi. Si piegò in due sul Water.
La solita scena, la sua solita vita .
Kagome Higurashi 20 anni, anoressica da quando ne
aveva quattordici, bulimica da quando ne aveva
quindici. Vide pezzi di torta uscire fuori, mentre i succhi gastrici sembravano
nuotarle in bocca con la saliva con quel retrogusto zuccheroso. I conati erano
forti, contrazioni della bocca dello stomaco ,allenato
a non tenere i cibi per non più di un determinato lasso di tempo.
Oramai il
suo fisico aveva imparato e trovava nutrimento in quel che restava, anche se
poco. Si ficcò le fatidiche due dita in gola finche non vide
venir fuori solo succhi gastrici e saliva. Sorrise. Ciclo finito, ora non
restava altro che andare in rosticceria.
Guardò
l’orologio. Due minuti ...
Una
contrazione. Questa volta non dallo stomaco. Porto una mano alla camicetta
bianca in seta sporca di gotto .
Un’altra
contrazione. Cadde a terra con un urlo lancinante.
Di nuovo.
Strisciò
fino sotto l’arco della porta, il telefono era ancora li
sopra il tavolo, troppo lontano da raggiungere.
Ancora.
-Aaaah!
Buyo…-
Il micio
paffuto alzò il viso rotondo. La padrona riversa a terra, mentre stringeva la
camicetta. Vide l’acqua strabordare dal lavandino lasciato aperto , inondando il pavimento. Con un miagolio impaurito e un
salto saltò sul tavolo , facendo scivolar la cornetta
,via dal tavolo, vicino la donna.
Kagome
osservò il rettangolo quadrato con occhi appannati, benedicendo Hojo quando aveva deciso di regalarle quel gatto. Allungò
le dita della mano tremolante. In pochi secondi dopo aveva digitato il numero
del pronto soccorso.
-Pronto?-la
voce incolore della centralinista dell’ospedale , non
le era mai parsa tanto bella.
Nuova
contrazione , nuovo dolore.
-A..aiuto..-non
riuscì a dire altro.
Un libo scuro l’avvolse. Dov’era Kagome
Higurashi ,era forse morta? Si
sentiva stranamente leggera.
TUm Tum
Un rumore
nell’immenso eco. Lei nuda eterea tra tutto. Si sentiva stranamente felice.
TUm Tum
Niente
bilance, niente prodotti dietetici. Addio creme per il viso,
addio ormoni per il ciclo.
TUm TUm
-..Non
morire dannazione…
Chi le
diceva di non morire? Era forse quella la sua fine? Morta per uno stupido
cuore?Forse sarebbe stato meglio…
TUm Tum
-Non devi
morire Kagome!-
Aprì gli
immensi occhi nocciola e vide Dio. Il paradiso e le piante d’orate . Adamo ed Eva che la salutavano
addentando mele dall’aspetto succoso e filosofi che facevano interessanti
partite a scacchi. Si sentiva fuori posto tra tanti geni. Lei che aveva
appena finito le superiori.
Tum TUM
-Cazzo , respira!-
Fu come
riemergere da un’apnea durata secoli. Si sentiva bagnata e lo era. Capelli
fradici e il solito viso pallido tra il corvino intenso dei capelli . Non vedeva chiaramente, una luce
abbagliante le era puntata negli occhi.
Fu
l’ultima cosa che vide.
Due tristi occhi ambra che la guardavano sollevati. Poi tornò nel suo mondo ovattato
dagli anestetici.
Buona
notte Kagome Higurashi…
Continua..