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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    13/03/2011    1 recensioni
[Libro Cuore]
"Tutto contento, mi incamminai lungo il Corso brulicante di gente e carrozze, ah, che bei ricordi mi ritornarono alla mente!
I ricordi dell’infanzia passata in queste strade, a braccetto con mio fratello e la mia buona Silvia, coi compagni di scuola, i miei cari, e mai dimenticati, amici.
E a ogni canto, mi sembrava di rivederli, in ogni sbuffo di capelli rossi, rivedevo il mio buon Crossi, col suo braccio al collo, in ogni sbuffo di calcina, rivedevo il mio piccolo muso di lepre, e poi tutti i miei adorati compagni, fratelli di cui ho sempre serbato gelosamente il ricordo.".
Enrico è cresciuto ed è tornato a Torino per rivedere gli amici che lì sono rimasti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TORINO

Con gran sferragliare, il treno si fermò, facendomi svegliare di soprassalto.

Tutto agitato, guardai fuori dal finestrino e riconobbi con grande commozione, al di là della nebbia del mattino, le sagome sfumate dei palazzi del Corso, in lontananza vidi la stazza massiccia della Mole…

La mia Torino.

La città in cui sono nato.

Vent’anni che mancavo, ma non era cambiata per nulla.

Con una certa urgenza, presi il cappotto e la mia valigia e mi unii alla gente che premeva contro le porte, stringendo con forza il manico del mio bastone da passeggio, impaziente di scendere.

E quando poggiai i miei piedi sul selciato duro della stazione, poco mancò che non mi inginocchiassi per baciare quella santa terra che da bambino accolse i miei primi passi, e mi sfuggì una lacrima silenziosa, una lacrima che non riuscii a reprimere; fuori, c’era un bel sole, caldo e luminoso, quasi volesse accogliere il mio ritorno come il figliol prodigo alla tavola del padre.

Tutto contento, mi incamminai lungo il Corso brulicante di gente e carrozze, ah, che bei ricordi mi ritornarono alla mente…

I ricordi dell’infanzia passata in queste strade, a braccetto con mio fratello e la mia buona Silvia, coi compagni di scuola, i miei cari, e mai dimenticati, amici.

E a ogni canto, mi sembrava di rivederli, in ogni sbuffo di capelli rossi, rivedevo il mio buon Crossi, col suo braccio al collo, in ogni sbuffo di calcina, rivedevo il mio piccolo muso di lepre, e poi tutti i miei adorati compagni, fratelli di cui ho sempre serbato gelosamente il ricordo.

Aveva ben ragione mio padre, quando da bambino mi diceva di non scordarmi mai di loro, quanto volevo rivederli tutti, uno per uno, e baciarli sulla fronte, il cuore quasi mi scoppiava per il desiderio di incontrare di nuovo i loro occhi…

Un ragazzino piccolo e minuto mi si fece incontro e per un momento solo mi si bloccò il respiro, mentre alle mie labbra giungeva spontaneo un nome solo: “Nelli…” sussurrai emozionato, lo stesso grembiale nero…

Ma subito, rammentai che non poteva essere il nostro piccolo gobbino, che tanto spesso Garrone proteggeva e difendeva, anche lui, purtroppo, doveva esser cresciuto come me.

Mi chiesi dove poteva essere, pregai che stesse bene e in buona salute.

A ogni passo, mi feci sempre più attento, quasi maniacale, cercavo di riconoscere in ogni uomo adulto che mi incrociava la strada qualcosa che potesse rammentarmi uno di loro, osservai lungamente gli operai che camminavano sveltamente attorno a me mentre, nel profondo del cuore, rammentavo con una punta dolorosa di malinconia le parole che mi disse Derossi solo pochi giorni prima, ricordai con tristezza il suo sguardo cupo mentre si scusava per farmi andare da solo: “C’è bisogno di me a lavoro, proprio non posso. Ma se vedi qualcuno, ti prego, porta loro il mio abbraccio e questo bacio da parte mia, che si ricordino del loro vecchio compagno Ernesto.” E che occhi lucidi che aveva il mio caro amico, l’unico che ancora fa parte della mia vita.

Ci siamo ritrovati assieme, in un giorno d’autunno, a Milano, a proseguire gli studi, nella stessa aula, e da allora siamo sempre stati inseparabili, l’unico ricordo di quegli anni bellissimi della mia infanzia.

Quanto avrei voluto che fosse venuto anche lui.

Sentii nella tasca del cappotto il peso familiare di un quaderno e non potei fare a meno di sorridere, la mia guida in quel viaggio, il piccolo diario che compilai faticosamente durante il mio ultimo anno di scuola qui, nella mia città, pieno di bei momenti e di immagini: sembrava andato perduto, quasi mi ero scordato di lui, ma mamma ha sempre tenuto tutto e solo da una settimana è tornato in mio possesso, vent’anni lontani siamo rimasti.

E dopo vent’anni, io ero tornato là, nella mia Torino, per ritrovare quel pezzettino perduto del mio cuore.

Per ore, vagai come un’anima dannata, senza mai disperare di vedere almeno uno di loro, non mi fermai mai, se non qualche istante ad accarezzare le pietre del muro della mia scuola, spiando le finestre, vedevo tanti piccoli ragazzi come lo fui io chini sui libri e mi prese il cuor una tale allegrezza che avrei tanto voluto entrare dentro e abbracciare ciascuno di loro.

Ma tirai dritto, pur trattenendo le lacrime.

Si fece pomeriggio e la paura mi aggredì: e se nessuno di loro fosse più in città?

Dovevo ammetterlo, ero in pensiero.

Presi una carrozza e cominciai a fare un giro, “Magari così mi sarà più facile proseguire le ricerche” pensai, e chiesi al conduttore di condurmi soprattutto nei luoghi più affollati di operai, presso i cantieri e le botteghe; anche lì sembrava tutto come ai miei tempi.

C’erano ancora le botteghe di Precossi e Coretti!

Scesi di volata dalla carrozza ed entrai in ognuna delle due, chiesi notizie dei padroni e mi fu detto che erano fuori.

Pazzo di gioia, uscii di corsa, trafelato, erano ancora in città! Dovevo trovarli!

Risalii in carrozza e ricominciai a vagare, cento e cento volte più attento, affacciato al finestrino come un bambino con gli occhi sgranati, che non si lascia sfuggire nulla; e così ero io, col cuore che batteva a mille nel petto.

All’improvviso, a un angolo della strada, notai qualcosa, il mio respiro si fermò e subito feci cenno al conducente di fermarsi e mi slanciai in mezzo alla strada; rischiai di finire sotto un paio di tram e alcuni cavalli ma non mi importava.

Ciò di cui veramente mi interessava era raggiungere quella sagoma massiccia che sembrava bloccata a terra e che mi fissava con sguardo allucinato e stupefatto, chissà che impressione dovevo avergli fatto, così scalmanato, col bastone da passeggio stretto in pugno e tutto spettinato!

Senza dire una parola, mi gettai tra le braccia spalancate di Stardi.

Che stretta poderosa mi riservò il mio amico, quante lacrime piansi mentre, a mezza voce e con qualche balbettio, gli chiedevo notizie di tutti: “Stanno bene, stanno bene” seguitava a ripetermi, senza staccarmi le mani dalle spalle, “Ci incrociamo tutti i giorni, quasi.” mi rispose, mordendosi le labbra per non scoppiare a piangere come me.

Lo presi allegramente sotto braccio, conducendolo sulla carrozza con me, malgrado le occhiate stupefatte del conducente, e pregai Stardi di accompagnarmi dove si trovavano tutti i miei cari compagni; ridendo e scherzando come i due fanciulli che eravamo, percorremmo il Corso, a uno a uno, raccogliemmo vecchi amici, era come una grandissima festa, con che gioia rividi il mio muso di lepre, Nelli e tutti gli altri.

Ma con gran nostro gran dispiacere, quando giungemmo infine al deposito delle strade ferrate, scoprimmo che Garrone era già tornato a casa.

Rabbuiatomi, temendo di non poterlo riabbracciare prima di dover tornare in stazione, riprendemmo la nostra corsa, era bello vedere tutti quegli uomini fatti e finiti con gli occhi splendenti come quelli dei bambini la mattina di Natale, coi balocchi affacciarsi ai finestrini, ricordo ancora che Tonino non lasciò neppure per un attimo la mia mano.

“Eccolo, eccolo!”

Erano stati Precossi e Coretti ad avvistarlo, tutti noi agitammo i berretti in segno gioioso di saluto, fischi e alte grida s’alzarono dalla carrozza, tanto che molte persone si voltarono a fissarci.

Ma che importava in quel momento?

Non attesi un momento di più.

Tirandomi dietro tutti non appena la carrozza si fu fermata, balzai giù e gli corsi incontro, che caldo abbraccio fu il nostro, mi fece tornare per un momento il piccolo Enrico Bottini di 12 anni, che spariva nella stretta dell’anima più buona e pura della nostra classe.

Si, li amo ancora, oggi come ieri.

Amo ancora di più tutti loro.

E li amerò per sempre.

   
 
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