Love
Hurts
Camminava, camminava ancora, non faceva altro che percorrere
le stesse mattonelle del pavimento da più di una
mezz’ora, ormai era diventato quasi
come un ritornello.
L’angoscia che gli schiacciava come un grosso macigno il
petto era qualcosa di impensabile, si sentiva soffocato da tutte quelle
emozioni che si avviluppavano con pertinenza al suo stomaco.
No. Quello non era panico, era terrore allo stato puro.
Come poteva aprire la porta della Reception e presentarsi
dinnanzi al boia per eccellenza? Chiunque avrebbe preferito un cappio e
suicidarsi pur di non affrontare quel mostro del Presidente del
Comitato
Disciplinare.
Questa volta non erano presenti nemmeno Takeshi e Hayato
che, puntualmente, erano in grado di estirparlo fuori dai guai anche
quando la
situazione era drastica, ed in questo momento era molto, molto drastica
e
preoccupante.
Non sarebbe uscito vivo da quella stanza.
Ed ecco che l’inquietudine riaffiorava nuovamente,
annebbiando ogni singolo pensiero razionale nel suo cervello,
surclassando con
una forza tale le sue speranze da ridurlo quasi nello stesso stato
catatonico
di qualche ora prima.
Eppure, l’immagine di Hibari che si avvicinava al cancello
della Namimori si era incisa nella sua mente come un marchio a fuoco.
Era la prima volta che si ritrovava ad odiare in tal modo
una persona da far nascere in sé anche il peggiore degli
istinti omicida, in
fondo sperava ancora che uno sconosciuto di turno sbucasse oltre
l’angolo e gli
urlasse che fosse tutto uno scherzo, che in realtà lui era
ancora steso
beatamente fra le coperte, al caldo nel suo letto e specialmente al
sicuro.
Troppo bello per essere vero.
La cruda realtà era più dolorosa di quanto si
aspettasse, in
quel momento si sentiva come un agnellino, un piccolo e indifeso
erbivoro che
sfortunatamente era caduto vittima di una trappola non sua,
perché era sempre
così.
Nel posto giusto al momento sbagliato, SEMPRE.
Dopo un altro quarto d’ora di indugi e assilli
arrestò
improvvisamente la sua andatura, lanciando un timida occhiata alla
porta bianca
che si situava a pochi centimetri dal suo corpo, avrebbe dovuto farlo
prima o
poi, anche perché era sicuro che Hibari sarebbe venuto a
cercarlo anche in capo
al mondo pur di fargli scontare la punizione.
Come se fosse colpa sua.
Sospirò, tirò un lungo sospiro che
bastò ad aumentargli
soltanto la preoccupazione, ma ormai, poco importava ciò che
sarebbe successo,
sarebbe morto e avrebbe posto fine alla sua misera vita, dimenticato
dal resto
del mondo.
Tremante, deglutì un paio di volte prima di trovare il
coraggio necessario per aprire la porta che lo separava
dall’Inferno, la sfiorò
appena prima di fare una leggera pressione sul pomello.
La aprì con calma, una lentezza quasi estenuante, le sue
palpebre erano socchiuse come se avesse paura di incrociare perfino la
sistematica giacca scura che solitamente indossava, qualsiasi elemento
che
comportasse la sua presenza dentro
la
Reception.
Varcò la soglia senza preoccuparsi di chiedere neppure il
permesso, era fin troppo agitato per accorgersi di simili sottigliezze
in
momenti del genere ma, nonostante tutto, sperava che avrebbe svolto il
suo
lavoro nel modo più veloce e indolore possibile, ammesso che
fosse mai
rientrato nelle sue grazie.
La visione della figura di Kyoya accomodata in modo
apparentemente pacifico sopra il divano nero fu come ricevere una
pugnalata al
cuore, il gomito era poggiato sul bracciolo e la testa a sua volta era
sorretta
dal palmo della mano mentre il viso era rivolto verso
l’indiziato principale.
Un paio di iridi gelide e distaccate lo squadravano quasi
con disinteresse, come se in realtà l’apparenza di
Tsuna non lo segnasse
minimamente.
Socchiuse, successivamente, con un flebile cigolio l’uscio
della stanza senza staccare i suoi occhi dal pavimento, che sembravano
essersi
incollati.
Non aveva il coraggio di incrociare il suo sguardo, era
troppo da sorreggere e sarebbe morto di infarto prima di raggiungere il
centro
del tappeto.
- Mi chiedevo quanto tempo ancora ci avresti impiegato prima
di entrare, Sawada. – parlò, con il suo solito
tono tranquillo e allo stesso
tempo inquietante.
Ascoltava l’inflessione della sua voce rimbombare contro
tutte
le pareti della stanza, rabbrividendo ad ogni singola parola scandita
da quelle
labbra.
- M-Mi dispiace Hibari-san! – replicò con un fil
di voce,
chinando il capo dinnanzi al ragazzo e, se fosse stato necessario, si
sarebbe
prostrato anche ai suoi piedi lasciando soltanto un utopico ricordo
della sua
quasi inesistente dignità.
Tuttavia, il Prefetto non proferì alcuna parola, lasciando
gongolare la vittima di turno fra le peggiori sofferenze.
Era quasi… divertente.
Tsuna era una preda prevedibile, forse la più innocua e
ingenua che avesse mai incontrato in tutti i suoi sedici anni di vita.
Il volto del moro era paonazzo, e ciò contribuiva ad
aumentare lo scarso interesse del corvino, le spalle erano curve ed
altrettanto
indecifrabile erano i suoi occhi; che fosse terrore? Spavento?
Lo vide trascinarsi con fiacchezza verso il divano opposto,
barcollante, palpitante da non riuscire nemmeno a sedersi compostamente
sulla
pelle del sofà, era più che tangibile
l’aria pesante che contornava il
perimetro della Reception, l’eloquenza e
l’espressività con cui Tsuna era
capace di mostrare le sue emozioni.
Un vero e proprio libro aperto.
Per un breve momento riuscì a sollecitare persino
l’attitudine di Hibari, in fondo, questa era routine di tutti
i giorni e,
seppur il lavoro sporco lo relegava ai suoi sottoposti, con Tsunayoshi
Sawada
la prospettiva assumeva un aspetto differente.
Sawada era costantemente nei guai fino al collo, Sawada era
un parafulmine che attirava ogni sorta di disgrazia, ovunque ci fosse
un problema,
al cinquanta per cento Sawada ne faceva parte.
- Sawada. – Il timbro di voce si era acutizzato, facendolo
sobbalzare. – Ti assumi le tue responsabilità?
–
Una domanda più che retorica, con quale volontà
avrebbe
potuto affidare Lambo fra le braccia del Presidente? Avrebbe avuto
rimorsi di
coscienza a vita.
- I-Io… - deglutì. Un groppo in gola aveva
smorzato
qualsiasi sillaba nascente, le sue mani si torturavano a vicenda e la
tensione
era divenuta qualcosa di così insopportabile che il suo
cervello cercava di
sovrastare con impetuosità la forza di volontà
del moro che gli permetteva
ancora di restare seduto e non darsela a gambe.
Eppure non riusciva a non rimembrare il perché fosse finito
in quella situazione assurda, il perché dovesse essere
sempre così sfortunato.
D’altronde, lo sguardo di Kyoya non prometteva nulla di
piacevole, la pazienza ed Hibari erano due rette parallele e Tsuna
stava
mettendo a dura prova il suo autocontrollo.
- Io… s-si… - rispose, sciogliendo la presa alle
dita e
rivolgendo una fugace occhiata verso il ragazzo, le sopracciglia
perennemente
contratte e quelle labbra che non avevano mai sfiorato neppure
l’ombra di un
sorriso.
Era inquietante, lo aveva sempre definito con questo
aggettivo, scostante, freddo, avvolto da un’aura
così impenetrabile da
allontanare persino un tipo socievole come Yamamoto.
Con un movimento secco incrociò le braccia al petto,
accavallando di conseguenza le gambe e inchiodando con una semplice
occhiata le
iridi nocciola della sua preda.
Dischiuse appena le labbra, saggiando con quiete l’umore di
Tsuna. – Sai cosa comporta. –
Era sempre stato un tipo di poche parole, incisivo, una di
quelle persone che non si dilungavano in discorsi che non
comprendessero più di
tre vocaboli, e questo contribuiva pienamente a metterlo a disagio.
Il silenzio che aleggiava dentro la stanza gli faceva
desiderare di parlare, emettere un qualsiasi suono che lo spezzasse.
Tsuna piegò il capo lateralmente, volgendo la sua occhiata
verso le tende che rivestivano le finestre, adombrando appena lo spazio
circostante, piccole gocce di sudore avevano iniziato ad imperlare la
sua
fronte, che fosse il calore estivo oppure la preoccupazione non aveva
importanza,
si sentiva in balia di un lupo nell’attimo in cui doveva
uccidere il suo
pranzo.
- S-Si… -
Ormai credeva che il suo vocabolario si fosse completamente
resettato, dato che non riusciva a proferire altro che un banale e
semplice “Si.”
Hibari mostrò un sorriso cinico, spaventoso che fece rizzare
la pelle al moro, i suoi occhi inflessibili continuavano a guardarlo
come se
volessero sbranarlo.
Le palpitazioni di Tsuna aumentarono così vorticosamente da
fargli credere che persino Kyoya sarebbe stato in grado di udirle a
quella
distanza; con innaturale disinvoltura lo vide alzarsi dal divano e
raggiungere
una delle finestre che affacciavano sulla piscina scolastica.
- Come già saprai. – cominciò,
soppesando con tono freddo
ogni singola parola. – Nessuno è mai restato
impunito. – terminò, appoggiandosi
con una spalla alla finestra semi-aperta, deliziandosi appena di quella
brezza
leggera che rendeva sopportabile un altro giorno di scuola.
Nessuno era mai restato impunito, e questo Tsuna lo sapeva
benissimo come ogni studente della Namimori, parecchie volte aveva
assistito
personalmente al lavoro del Comitato Disciplinare, molto spesso aveva
rischiato
di restarci secco se non fossero intervenuti Yamamoto e Gokudera.
Ingoiò ancora una volta l’ennesimo boccone amaro e
alzò
appena lo sguardo per notare con estremo sollievo che le sue iridi
scure non lo
stavano osservando, eppure non riusciva ad assumere un comportamento
decente,
come poteva comportarsi normalmente dentro la tana del lupo?
Quei secondi che si trasformavano in minuti e quei minuti
che sembravano convertirsi in ore, più tempo trascorreva
dentro la Reception,
più il desiderio di fuga si faceva largo nei suoi pensieri.
L’ultima cosa con cui avrebbe voluto avere a che fare era
proprio Hibari Kyoya, solo la sua presenza bastava a terrorizzarlo e
più
restava lì ad osservarlo più la paura era
crescente, più il nodo allo stomaco
si attorcigliava ed il suo cuore minacciava di schiantarsi contro il
petto.
Una domanda gli sorgeva spontanea, perché doveva essere
così? Perché doveva essere così
terrificante?
Hibari odiava tutto, odiava la compagnia, odiava le persone,
odiava loro “erbivori”, desiderava solo combattere,
uccidere.
Possibile che oltre non amasse qualcosa? Possibile che
quella corazza non avesse punti deboli?
Per un breve istante si chiese se mai qualcuno sarebbe stato
in grado di creare una falla, un’apertura dentro quel guscio
d’acciaio.
- Sawada. – ancora una volta lo riportò alla
realtà, facendo
cozzare irrimediabilmente le loro iridi.
Tsuna sobbalzò, non perché lo avesse richiamato,
non perché lo
stesse lo guardando, perché la sua testa non accennava a
muoversi ed il corpo
non rispondeva ai comandi del cervello.
Il braccio destro impugnava saldamente uno dei tonfa che
solitamente utilizzava per combattere, il sorrisetto aspro e sadico
aveva
mutato nuovamente il suo sguardo ed il moro, immobile, lo osservava
lasciando
trapelare le sue emozioni.
Tremava, e aveva paura, aveva dannatamente paura.
I suoi occhi non si scollavano da quelli del Prefetto ed il
cuore stava per esplodere via dal petto e rotolare sul tappeto, lo
vedeva
avvicinarsi lentamente, passo per passo, il rumore delle sue scarpe
sfaldava il
suo udito come una lama tagliente e quelle labbra lo rendevano inerme,
totalmente soggiogato dalla consapevolezza di morire.
Si bloccò a qualche centimetro di distanza da Tsuna, il
tonfa scivolò con uno scatto felino sotto il suo mento
costringendolo a piegare
all’indietro la nuca mentre la bocca di Kyoya era ancora
piegata in quel
mefistofelico sorriso.
Tsuna si sentì la gola secca, incapace di inghiottire quel
groppo in gola che rischiava quasi di soffocarlo, la schiena premeva
contro lo
schienale del sofà nero e le sue iridi erano spalancate,
quasi come se avesse
appena visto un fantasma.
- Riceverai una lezione esemplare… –
asserì, premendo la
punta dell’arma contro la gola del ragazzo.
Era allibito, fremente e instabile come una foglia, le sue
labbra erano separate e per qualche secondo dimenticò
persino come respirare,
un circuito di emozioni lo stava distruggendo ed era cosciente che non
ce l’avrebbe
fatta a continuare in questo modo.
Era una tortura, una tortura lenta, dolorosa, che non si
sarebbe dimenticato per il resto della sua misera vita se fosse mai
sopravvissuto, percepiva il divertimento, l’interesse che
provava attraverso il
suo sguardo che ancora una volta lo aveva messo alle corde,
bloccandogli ogni
possibile via di fuga.
Una gamba si era fatta spazio fra le sue mentre l’altra si
era appena poggiata al bordo del divano.
Riceverai
una lezione esemplare. Quella frase
vorticava nella sua
mente balzando da una parte all’altra del suo cervello, e
più tentava di
rifletterci sopra, più l’angoscia lo riportava ad
affrontare quella situazione.
A rilento, lasciò scivolare la punta dell’arma
lungo il
collo del giovane, fermandosi sulla giugulare e facendo una pressione
maggiore,
chinando di qualche centimetro il capo in modo tale da avere il
completo
controllo del moro.
Un’espressione allarmata, succube, quasi implorante sembrava
chiedergli pietà, di abbassare quel tonfa e lasciarlo
scappare da quella
stanza, quel volto che, invece, lo spronava ad aumentare la padronanza
su di
lui, che lo faceva fremere d’eccitazione, facendogli perdere
la razionalità dei
suoi atti.
Più Sawada mostrava la sua paura, più Hibari
aveva intenzione
di far durare quel supplizio.
Nonostante tutto doveva esserci abituato agli erbivori
spaventati, alla loro voce che pregava, supplicava la sua grazia. Ma
con loro i
divertimento scemava dopo pochi minuti, diventava tutto così
apatico e noioso.
Con Tsuna era diverso.
La bramosia con cui ambiva a quel viso scioccato era
lacerante, la frenesia che mostrava nel volerlo supplice adesso
occupava i suoi
pensieri.
Tsuna era un gatto spaventato, un’interessante gatto
spaventato.
- Sawada… - sussurrò, avvicinando ancora di
più il viso,
gustandosi quelle guance arrossate a causa delle forti emozioni.
– Hai qualcosa
da ridire? – chiese, aumentando la spinta contro il suo collo.
Aprì appena la bocca come per parlare ma non
fuoriuscì alcun
suono, il fiato corto gli arginava ogni possibilità e la
stretta quasi dolorosa
provocata dal tonfa lo stava quasi soffocando.
Hibari sorrise con sadismo. – Bene. –
Con un gesto secco e veloce sferzò l’aria con il
braccio
destro lungo il petto del ragazzo, slabbrandogli i bottoni della
camicia e
lasciando in completa esposizione il petto glabro. Permise,
successivamente,
alla sua arma di scivolare dalla sua presa ferrea fino a collidere con
un tonfo
metallico sul pavimento, in modo tale da avere entrambe le mani libere.
Con poca delicatezza lo spinse per la spalla facendolo
sdraiare interamente per tutta la lunghezza del divano, lo
osservò per qualche
secondo prima di intrappolargli il bacino con le sue gambe,
posizionandosi a
cavalcioni sopra il suo ventre.
Né paura né angoscia, questa volta era attonito,
il suo viso
si era tramutato in una maschera di cera che studiava basito
l’espressione di
Hibari, il sorriso di poco prima era scomparso, ma quella traccia
cinica che lo
contraddistingueva era rimasta impressa.
Il suo istinto di sopravvivenza decise di farsi vivo, così,
posizionò le mani dinnanzi a sé. –
H-Hibari-san! … I-Io non… -
Qualsiasi cosa volesse esternare, fu inibita ancora una
volta dall’occhiata gelida di Kyoya, inarcò a
malapena le sopracciglia colpito
dall’”audacia” della sua vittima, si
stava opponendo, la preda si stava
opponendo al predatore.
Tutto ciò non faceva altro che renderlo sempre
più interessante.
Si slacciò la cravatta rossa, sfilandola e gettandola in
qualche parte indefinita della stanza, poi si sporse in avanti facendo
combaciare i palmi di Tsuna contro il suo petto, piegò la
nuca di lato e sfiorò
appena la guancia con il naso. Il respiro era accelerato ed il sangue
gli
pulsava nelle orecchie, avvertiva il respiro caldo di Hibari sfiorargli
il
collo, le sue labbra che lambivano il lobo del suo orecchio.
Accennò una flebile, quasi inudibile risata divertita che si
consumò lentamente. – Io non? –
Premette le labbra contro il suo padiglione auricolare,
ricercando il seguito della frase, rendendogli tutto più
complesso.
Tsuna spalancò le palpebre, mugolando in maniera soffusa
qualcosa
di incomprensibile, rincarando la pressione sul suo petto per spingerlo
via.
Gli risultava impossibile raccapezzare i frammenti di
raziocinio, non riusciva a scovare i tasselli e farli combaciare, la
sua mente
non aveva intenzione di formulare un pensiero coerente.
La figura di Hibari lo sovrastava pienamente, era caldo,
impaziente di prolungare il più possibile quella tortura.
Percepiva la sua
lingua umida lasciare scie di salvia lungo il lobo, morderlo, giocarci.
Soffocò un gemito mordendosi con forza le labbra mentre il
suo
corpo rispondeva a quegli impulsi in maniera differente, tuttavia
questo
dettaglio non sembrò sfuggirgli.
Ancora una volta cercò di spingerlo via, scostando la testa
lateralmente e stringendo con forza gli occhi, come se avesse paura di
incrociare quelli di Hibari.
- Hibari-san… c-cosa stai… -
Prese il mento del moro fra il pollice e l’indice
costringendolo a guardarlo. – Questa Sawada… -
soffiò a pochi centimetri dalle
sue labbra. – E’ la tua punizione. –
In un attimo fece combaciare le loro labbra, un contatto
puro e semplice che con il passare dei secondi perse del tutto la sua
castità,
fece intrecciare le loro lingue, la saggiava con attenzione, la
cercava, la
desiderava.
Hibari Kyoya odiava tutto, odiava la compagnia, le persone,
ma non riusciva ad odiare Tsunayoshi Sawada, non riusciva ad
allontanarlo come
voleva.
Tsunayoshi Sawada era la falla, la falla che con un tocco
era in grado di sbriciolare quel guscio, reciderlo in maniera dolorosa
e
lacerante.
Tsunayoshi Sawada lo distruggeva.
Voleva odiarlo, ma non ci riusciva.
Voleva odiarlo, perché lo rendeva debole.
Con Sawada era diverso, perché era l’unico che
avrebbe
lasciato entrare.
Era l’unico a non accorgersi mai di nulla.
Era l’unico in grado di ferirlo.
Ucciderlo.
Eppure, non riusciva ad odiarlo.
Fece scendere una mano lungo il petto, deliziandosi di quel
contatto nei minimi particolari, lo accarezzava notando la
gracilità della sua
costituzione, ed ancora una volta cercava di odiarlo.
Perché un erbivoro così fragile doveva essere il
suo punto
debole?
Era un masochista, un misantropo, un lupo che si era
innamorato dell’agnello.
Non poteva odiarlo.
Lo baciò ancora, con passione e violenza mentre sentiva le
unghie di Tsuna graffiargli la schiena,
scese lungo il collo, assaporando ogni singolo lembo di
pelle che le sue
labbra erano in grado di catturare, lo sentiva gemere quando toccava
punti più
sensibili, dove più gli provocava piacere.
Gemiti che pian piano si facevano più udibili.
Per un breve attimo si fermò, studiando il petto del moro
che si alzava e si abbassava velocemente, con le dita sfiorò
leggermente la
base le collo facendo sussultare il corpo del ragazzo, accolse fra le
sue
labbra un’altra piccola porzione di pelle sensibile,
leccandola, inumidendola,
gustandola fino a farle assumere una colorazione rossastra.
La morse, affondò i denti dentro la carne morbida facendo
correre un rivolo di sangue oltre la sua bocca, un miscuglio di sapori
distinguibili.
Il ferreo del sangue, il sapore salato della pelle di Tsuna.
Un marchio distinguibile su cui aveva scaricato il rancore,
un marchio che lo avrebbe segnato a vita.
Leccò via lascivamente il sangue che sporcava ancora il suo
collo, un gemito più forte fuoriuscì dalle labbra
del moro che si aggrappò alla
schiena di Hibari mentre una mano scivolava fra la sua chioma corvina.
Era distrutto, si sentiva completamente svuotato, aveva gli
occhi socchiusi ed il respiro irregolare, sentiva la bocca di Kyoya
baciare il
suo petto, scendere verso gli addominali acerbi e poco sviluppati,
sentiva la
ferita al collo pulsare dolorosamente.
Si sentiva un verme, un idiota, un cronico fallimento come
persona.
Uno sciocco agnello.
Ormai non era neppure in grado di controllarsi, sospirava e mugolava
rumorosamente senza badare di trattenersi, a cosa sarebbe servito
interromperlo?
Lo avrebbe lasciato fare, lo avrebbe soddisfatto, avrebbe
accettato la sua “punizione” perché lui
doveva essere punito, perché la colpa
era sua.
Lambo non faceva parte di questa faccenda, riguardava
soltanto lui e Hibari.
Una punizione per averlo ferito.
Una punizione per averlo distrutto.
Una punizione che lui aveva accettato inconsciamente, ma che
adesso sapeva di meritarsi.
Perché Tsunayoshi Sawada è soltanto un goffo,
imbranato e
sciocco, che comprende sempre tutto con estremo ritardo.
Ti
assumi le responsabilità? Ti assumi le tue
responsabilità per avermi ucciso?
Sai
cosa comporta. Sai davvero cosa comporta quello che hai fatto?
Hai
qualcosa da ridire? Hai qualcosa da ridire quando hai preso tutto
quello che
avevo e l’hai portato via con te?
Sawada.
Questa è la tua punizione per avermi ucciso.
E lui, non aveva capito un bel niente.
Lui era un idiota.
Affondò la mano fra i ciuffi di capelli scuri come la notte,
stringendoli fra le dita, constatando che in realtà erano
morbidi, lisci.
- H-Hibari-san… Mi dispiace… -
sussurrò, mentre il Prefetto
si slacciava la cintura dei pantaloni.
Gli occhi erano chiusi e la bocca cercava di catturare
quanta più aria possibile, sapeva che in quel momento lo
stava osservando,
forse con odio? Tristezza?
Non ne aveva idea.
- Lo so. – lo aveva sentito rispondere prima che continuasse
a svolgere il suo lavoro.
Perché in fondo non riusciva ad odiarlo.
Perché in fondo Tsunayoshi Sawada era la sua falla.
Perché in fondo Tsunayoshi Sawada aveva preso il suo cuore e
l’aveva gettato via.
E’
la prima {1827} e anche la mia prima storia su Katekyo Hitman Reborn!
Quindi se
ho reso OOC i personaggi chiedo umilmente perdono. (_ _)
Accetto
volentieri critiche purché siano costruttive, e anche
commenti per sapere
quanto è grande il pasticcio che ho fatto u_u