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Autore: KanraChan    13/03/2011    3 recensioni
Ti assumi le responsabilità?
Hai qualcosa da ridire?
Sawada. Questa è la tua punizione per avermi ucciso.
E lui, non aveva capito un bel niente.
Lui era un idiota.
Uno sciocco agnello.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kyoya Hibari, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Love Hurts

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 






Avanti e indietro, avanti e indietro.
Camminava, camminava ancora, non faceva altro che percorrere le stesse mattonelle del pavimento da più di una mezz’ora, ormai era diventato quasi come un ritornello.
L’angoscia che gli schiacciava come un grosso macigno il petto era qualcosa di impensabile, si sentiva soffocato da tutte quelle emozioni che si avviluppavano con pertinenza al suo stomaco.
No. Quello non era panico, era terrore allo stato puro.
Come poteva aprire la porta della Reception e presentarsi dinnanzi al boia per eccellenza? Chiunque avrebbe preferito un cappio e suicidarsi pur di non affrontare quel mostro del Presidente del Comitato Disciplinare.
Questa volta non erano presenti nemmeno Takeshi e Hayato che, puntualmente, erano in grado di estirparlo fuori dai guai anche quando la situazione era drastica, ed in questo momento era molto, molto drastica e preoccupante.
Non sarebbe uscito vivo da quella stanza.
Ed ecco che l’inquietudine riaffiorava nuovamente, annebbiando ogni singolo pensiero razionale nel suo cervello, surclassando con una forza tale le sue speranze da ridurlo quasi nello stesso stato catatonico di qualche ora prima.
Eppure, l’immagine di Hibari che si avvicinava al cancello della Namimori si era incisa nella sua mente come un marchio a fuoco.
Era la prima volta che si ritrovava ad odiare in tal modo una persona da far nascere in sé anche il peggiore degli istinti omicida, in fondo sperava ancora che uno sconosciuto di turno sbucasse oltre l’angolo e gli urlasse che fosse tutto uno scherzo, che in realtà lui era ancora steso beatamente fra le coperte, al caldo nel suo letto e specialmente al sicuro.
Troppo bello per essere vero.
La cruda realtà era più dolorosa di quanto si aspettasse, in quel momento si sentiva come un agnellino, un piccolo e indifeso erbivoro che sfortunatamente era caduto vittima di una trappola non sua, perché era sempre così.
Nel posto giusto al momento sbagliato, SEMPRE.
Dopo un altro quarto d’ora di indugi e assilli arrestò improvvisamente la sua andatura, lanciando un timida occhiata alla porta bianca che si situava a pochi centimetri dal suo corpo, avrebbe dovuto farlo prima o poi, anche perché era sicuro che Hibari sarebbe venuto a cercarlo anche in capo al mondo pur di fargli scontare la punizione.
Come se fosse colpa sua.
Sospirò, tirò un lungo sospiro che bastò ad aumentargli soltanto la preoccupazione, ma ormai, poco importava ciò che sarebbe successo, sarebbe morto e avrebbe posto fine alla sua misera vita, dimenticato dal resto del mondo.
Tremante, deglutì un paio di volte prima di trovare il coraggio necessario per aprire la porta che lo separava dall’Inferno, la sfiorò appena prima di fare una leggera pressione sul pomello.
La aprì con calma, una lentezza quasi estenuante, le sue palpebre erano socchiuse come se avesse paura di incrociare perfino la sistematica giacca scura che solitamente indossava, qualsiasi elemento che comportasse la sua presenza dentro la Reception.
Varcò la soglia senza preoccuparsi di chiedere neppure il permesso, era fin troppo agitato per accorgersi di simili sottigliezze in momenti del genere ma, nonostante tutto, sperava che avrebbe svolto il suo lavoro nel modo più veloce e indolore possibile, ammesso che fosse mai rientrato nelle sue grazie.
La visione della figura di Kyoya accomodata in modo apparentemente pacifico sopra il divano nero fu come ricevere una pugnalata al cuore, il gomito era poggiato sul bracciolo e la testa a sua volta era sorretta dal palmo della mano mentre il viso era rivolto verso l’indiziato principale.
Un paio di iridi gelide e distaccate lo squadravano quasi con disinteresse, come se in realtà l’apparenza di Tsuna non lo segnasse minimamente.
Socchiuse, successivamente, con un flebile cigolio l’uscio della stanza senza staccare i suoi occhi dal pavimento, che sembravano essersi incollati.
Non aveva il coraggio di incrociare il suo sguardo, era troppo da sorreggere e sarebbe morto di infarto prima di raggiungere il centro del tappeto.
- Mi chiedevo quanto tempo ancora ci avresti impiegato prima di entrare, Sawada. – parlò, con il suo solito tono tranquillo e allo stesso tempo inquietante.
Ascoltava l’inflessione della sua voce rimbombare contro tutte le pareti della stanza, rabbrividendo ad ogni singola parola scandita da quelle labbra.
- M-Mi dispiace Hibari-san! – replicò con un fil di voce, chinando il capo dinnanzi al ragazzo e, se fosse stato necessario, si sarebbe prostrato anche ai suoi piedi lasciando soltanto un utopico ricordo della sua quasi inesistente dignità.
Tuttavia, il Prefetto non proferì alcuna parola, lasciando gongolare la vittima di turno fra le peggiori sofferenze.
Era quasi… divertente.
Tsuna era una preda prevedibile, forse la più innocua e ingenua che avesse mai incontrato in tutti i suoi sedici anni di vita.
Il volto del moro era paonazzo, e ciò contribuiva ad aumentare lo scarso interesse del corvino, le spalle erano curve ed altrettanto indecifrabile erano i suoi occhi; che fosse terrore? Spavento?
Lo vide trascinarsi con fiacchezza verso il divano opposto, barcollante, palpitante da non riuscire nemmeno a sedersi compostamente sulla pelle del sofà, era più che tangibile l’aria pesante che contornava il perimetro della Reception, l’eloquenza e l’espressività con cui Tsuna era capace di mostrare le sue emozioni.
Un vero e proprio libro aperto.
Per un breve momento riuscì a sollecitare persino l’attitudine di Hibari, in fondo, questa era routine di tutti i giorni e, seppur il lavoro sporco lo relegava ai suoi sottoposti, con Tsunayoshi Sawada la prospettiva assumeva un aspetto differente.
Sawada era costantemente nei guai fino al collo, Sawada era un parafulmine che attirava ogni sorta di disgrazia, ovunque ci fosse un problema, al cinquanta per cento Sawada ne faceva parte.
- Sawada. – Il timbro di voce si era acutizzato, facendolo sobbalzare. – Ti assumi le tue responsabilità? –
Una domanda più che retorica, con quale volontà avrebbe potuto affidare Lambo fra le braccia del Presidente? Avrebbe avuto rimorsi di coscienza a vita.
- I-Io… - deglutì. Un groppo in gola aveva smorzato qualsiasi sillaba nascente, le sue mani si torturavano a vicenda e la tensione era divenuta qualcosa di così insopportabile che il suo cervello cercava di sovrastare con impetuosità la forza di volontà del moro che gli permetteva ancora di restare seduto e non darsela a gambe.
Eppure non riusciva a non rimembrare il perché fosse finito in quella situazione assurda, il perché dovesse essere sempre così sfortunato.
D’altronde, lo sguardo di Kyoya non prometteva nulla di piacevole, la pazienza ed Hibari erano due rette parallele e Tsuna stava mettendo a dura prova il suo autocontrollo.
- Io… s-si… - rispose, sciogliendo la presa alle dita e rivolgendo una fugace occhiata verso il ragazzo, le sopracciglia perennemente contratte e quelle labbra che non avevano mai sfiorato neppure l’ombra di un sorriso.
Era inquietante, lo aveva sempre definito con questo aggettivo, scostante, freddo, avvolto da un’aura così impenetrabile da allontanare persino un tipo socievole come Yamamoto.
Con un movimento secco incrociò le braccia al petto, accavallando di conseguenza le gambe e inchiodando con una semplice occhiata le iridi nocciola della sua preda.
Dischiuse appena le labbra, saggiando con quiete l’umore di Tsuna. – Sai cosa comporta. –
Era sempre stato un tipo di poche parole, incisivo, una di quelle persone che non si dilungavano in discorsi che non comprendessero più di tre vocaboli, e questo contribuiva pienamente a metterlo a disagio.
Il silenzio che aleggiava dentro la stanza gli faceva desiderare di parlare, emettere un qualsiasi suono che lo spezzasse.
Tsuna piegò il capo lateralmente, volgendo la sua occhiata verso le tende che rivestivano le finestre, adombrando appena lo spazio circostante, piccole gocce di sudore avevano iniziato ad imperlare la sua fronte, che fosse il calore estivo oppure la preoccupazione non aveva importanza, si sentiva in balia di un lupo nell’attimo in cui doveva uccidere il suo pranzo.
- S-Si… -
Ormai credeva che il suo vocabolario si fosse completamente resettato, dato che non riusciva a proferire altro che un banale e semplice “Si.”
Hibari mostrò un sorriso cinico, spaventoso che fece rizzare la pelle al moro, i suoi occhi inflessibili continuavano a guardarlo come se volessero sbranarlo.
Le palpitazioni di Tsuna aumentarono così vorticosamente da fargli credere che persino Kyoya sarebbe stato in grado di udirle a quella distanza; con innaturale disinvoltura lo vide alzarsi dal divano e raggiungere una delle finestre che affacciavano sulla piscina scolastica.
- Come già saprai. – cominciò, soppesando con tono freddo ogni singola parola. – Nessuno è mai restato impunito. – terminò, appoggiandosi con una spalla alla finestra semi-aperta, deliziandosi appena di quella brezza leggera che rendeva sopportabile un altro giorno di scuola.
Nessuno era mai restato impunito, e questo Tsuna lo sapeva benissimo come ogni studente della Namimori, parecchie volte aveva assistito personalmente al lavoro del Comitato Disciplinare, molto spesso aveva rischiato di restarci secco se non fossero intervenuti Yamamoto e Gokudera.
Ingoiò ancora una volta l’ennesimo boccone amaro e alzò appena lo sguardo per notare con estremo sollievo che le sue iridi scure non lo stavano osservando, eppure non riusciva ad assumere un comportamento decente, come poteva comportarsi normalmente dentro la tana del lupo?
Quei secondi che si trasformavano in minuti e quei minuti che sembravano convertirsi in ore, più tempo trascorreva dentro la Reception, più il desiderio di fuga si faceva largo nei suoi pensieri.
L’ultima cosa con cui avrebbe voluto avere a che fare era proprio Hibari Kyoya, solo la sua presenza bastava a terrorizzarlo e più restava lì ad osservarlo più la paura era crescente, più il nodo allo stomaco si attorcigliava ed il suo cuore minacciava di schiantarsi contro il petto.
Una domanda gli sorgeva spontanea, perché doveva essere così? Perché doveva essere così terrificante?
Hibari odiava tutto, odiava la compagnia, odiava le persone, odiava loro “erbivori”, desiderava solo combattere, uccidere.
Possibile che oltre non amasse qualcosa? Possibile che quella corazza non avesse punti deboli?
Per un breve istante si chiese se mai qualcuno sarebbe stato in grado di creare una falla, un’apertura dentro quel guscio d’acciaio.
- Sawada. – ancora una volta lo riportò alla realtà, facendo cozzare irrimediabilmente le loro iridi.
Tsuna sobbalzò, non perché lo avesse richiamato, non perché lo stesse lo guardando, perché la sua testa non accennava a muoversi ed il corpo non rispondeva ai comandi del cervello.
Il braccio destro impugnava saldamente uno dei tonfa che solitamente utilizzava per combattere, il sorrisetto aspro e sadico aveva mutato nuovamente il suo sguardo ed il moro, immobile, lo osservava lasciando trapelare le sue emozioni.
Tremava, e aveva paura, aveva dannatamente paura.
I suoi occhi non si scollavano da quelli del Prefetto ed il cuore stava per esplodere via dal petto e rotolare sul tappeto, lo vedeva avvicinarsi lentamente, passo per passo, il rumore delle sue scarpe sfaldava il suo udito come una lama tagliente e quelle labbra lo rendevano inerme, totalmente soggiogato dalla consapevolezza di morire.
Si bloccò a qualche centimetro di distanza da Tsuna, il tonfa scivolò con uno scatto felino sotto il suo mento costringendolo a piegare all’indietro la nuca mentre la bocca di Kyoya era ancora piegata in quel mefistofelico sorriso.
Tsuna si sentì la gola secca, incapace di inghiottire quel groppo in gola che rischiava quasi di soffocarlo, la schiena premeva contro lo schienale del sofà nero e le sue iridi erano spalancate, quasi come se avesse appena visto un fantasma.
- Riceverai una lezione esemplare… – asserì, premendo la punta dell’arma contro la gola del ragazzo.
Era allibito, fremente e instabile come una foglia, le sue labbra erano separate e per qualche secondo dimenticò persino come respirare, un circuito di emozioni lo stava distruggendo ed era cosciente che non ce l’avrebbe fatta a continuare in questo modo.
Era una tortura, una tortura lenta, dolorosa, che non si sarebbe dimenticato per il resto della sua misera vita se fosse mai sopravvissuto, percepiva il divertimento, l’interesse che provava attraverso il suo sguardo che ancora una volta lo aveva messo alle corde, bloccandogli ogni possibile via di fuga.
Una gamba si era fatta spazio fra le sue mentre l’altra si era appena poggiata al bordo del divano.

Riceverai una lezione esemplare. Quella frase vorticava nella sua mente balzando da una parte all’altra del suo cervello, e più tentava di rifletterci sopra, più l’angoscia lo riportava ad affrontare quella situazione.
A rilento, lasciò scivolare la punta dell’arma lungo il collo del giovane, fermandosi sulla giugulare e facendo una pressione maggiore, chinando di qualche centimetro il capo in modo tale da avere il completo controllo del moro.
Un’espressione allarmata, succube, quasi implorante sembrava chiedergli pietà, di abbassare quel tonfa e lasciarlo scappare da quella stanza, quel volto che, invece, lo spronava ad aumentare la padronanza su di lui, che lo faceva fremere d’eccitazione, facendogli perdere la razionalità dei suoi atti.
Più Sawada mostrava la sua paura, più Hibari aveva intenzione di far durare quel supplizio.
Nonostante tutto doveva esserci abituato agli erbivori spaventati, alla loro voce che pregava, supplicava la sua grazia. Ma con loro i divertimento scemava dopo pochi minuti, diventava tutto così apatico e noioso.
Con Tsuna era diverso.
La bramosia con cui ambiva a quel viso scioccato era lacerante, la frenesia che mostrava nel volerlo supplice adesso occupava i suoi pensieri.
Tsuna era un gatto spaventato, un’interessante gatto spaventato.
- Sawada… - sussurrò, avvicinando ancora di più il viso, gustandosi quelle guance arrossate a causa delle forti emozioni. – Hai qualcosa da ridire? – chiese, aumentando la spinta contro il suo collo.
Aprì appena la bocca come per parlare ma non fuoriuscì alcun suono, il fiato corto gli arginava ogni possibilità e la stretta quasi dolorosa provocata dal tonfa lo stava quasi soffocando.
Hibari sorrise con sadismo. – Bene. –
Con un gesto secco e veloce sferzò l’aria con il braccio destro lungo il petto del ragazzo, slabbrandogli i bottoni della camicia e lasciando in completa esposizione il petto glabro. Permise, successivamente, alla sua arma di scivolare dalla sua presa ferrea fino a collidere con un tonfo metallico sul pavimento, in modo tale da avere entrambe le mani libere.
Con poca delicatezza lo spinse per la spalla facendolo sdraiare interamente per tutta la lunghezza del divano, lo osservò per qualche secondo prima di intrappolargli il bacino con le sue gambe, posizionandosi a cavalcioni sopra il suo ventre.
Né paura né angoscia, questa volta era attonito, il suo viso si era tramutato in una maschera di cera che studiava basito l’espressione di Hibari, il sorriso di poco prima era scomparso, ma quella traccia cinica che lo contraddistingueva era rimasta impressa.
Il suo istinto di sopravvivenza decise di farsi vivo, così, posizionò le mani dinnanzi a sé. – H-Hibari-san! … I-Io non… -
Qualsiasi cosa volesse esternare, fu inibita ancora una volta dall’occhiata gelida di Kyoya, inarcò a malapena le sopracciglia colpito dall’”audacia” della sua vittima, si stava opponendo, la preda si stava opponendo al predatore.
Tutto ciò non faceva altro che renderlo sempre più interessante.
Si slacciò la cravatta rossa, sfilandola e gettandola in qualche parte indefinita della stanza, poi si sporse in avanti facendo combaciare i palmi di Tsuna contro il suo petto, piegò la nuca di lato e sfiorò appena la guancia con il naso. Il respiro era accelerato ed il sangue gli pulsava nelle orecchie, avvertiva il respiro caldo di Hibari sfiorargli il collo, le sue labbra che lambivano il lobo del suo orecchio.
Accennò una flebile, quasi inudibile risata divertita che si consumò lentamente. – Io non? –
Premette le labbra contro il suo padiglione auricolare, ricercando il seguito della frase, rendendogli tutto più complesso.
Tsuna spalancò le palpebre, mugolando in maniera soffusa qualcosa di incomprensibile, rincarando la pressione sul suo petto per spingerlo via.
Gli risultava impossibile raccapezzare i frammenti di raziocinio, non riusciva a scovare i tasselli e farli combaciare, la sua mente non aveva intenzione di formulare un pensiero coerente.
La figura di Hibari lo sovrastava pienamente, era caldo, impaziente di prolungare il più possibile quella tortura. Percepiva la sua lingua umida lasciare scie di salvia lungo il lobo, morderlo, giocarci.
Soffocò un gemito mordendosi con forza le labbra mentre il suo corpo rispondeva a quegli impulsi in maniera differente, tuttavia questo dettaglio non sembrò sfuggirgli.
Ancora una volta cercò di spingerlo via, scostando la testa lateralmente e stringendo con forza gli occhi, come se avesse paura di incrociare quelli di Hibari.
- Hibari-san… c-cosa stai… -
Prese il mento del moro fra il pollice e l’indice costringendolo a guardarlo. – Questa Sawada… - soffiò a pochi centimetri dalle sue labbra. – E’ la tua punizione. –
In un attimo fece combaciare le loro labbra, un contatto puro e semplice che con il passare dei secondi perse del tutto la sua castità, fece intrecciare le loro lingue, la saggiava con attenzione, la cercava, la desiderava.
Hibari Kyoya odiava tutto, odiava la compagnia, le persone, ma non riusciva ad odiare Tsunayoshi Sawada, non riusciva ad allontanarlo come voleva.
Tsunayoshi Sawada era la falla, la falla che con un tocco era in grado di sbriciolare quel guscio, reciderlo in maniera dolorosa e lacerante.
Tsunayoshi Sawada lo distruggeva.
Voleva odiarlo, ma non ci riusciva.
Voleva odiarlo, perché lo rendeva debole.
Con Sawada era diverso, perché era l’unico che avrebbe lasciato entrare.
Era l’unico a non accorgersi mai di nulla.
Era l’unico in grado di ferirlo.
Ucciderlo.
Eppure, non riusciva ad odiarlo.
Fece scendere una mano lungo il petto, deliziandosi di quel contatto nei minimi particolari, lo accarezzava notando la gracilità della sua costituzione, ed ancora una volta cercava di odiarlo.
Perché un erbivoro così fragile doveva essere il suo punto debole?
Era un masochista, un misantropo, un lupo che si era innamorato dell’agnello.
Non poteva odiarlo.
Lo baciò ancora, con passione e violenza mentre sentiva le unghie di Tsuna graffiargli la schiena,  scese lungo il collo, assaporando ogni singolo lembo di pelle che le sue labbra erano in grado di catturare, lo sentiva gemere quando toccava punti più sensibili, dove più gli provocava piacere.
Gemiti che pian piano si facevano più udibili.
Per un breve attimo si fermò, studiando il petto del moro che si alzava e si abbassava velocemente, con le dita sfiorò leggermente la base le collo facendo sussultare il corpo del ragazzo, accolse fra le sue labbra un’altra piccola porzione di pelle sensibile, leccandola, inumidendola, gustandola fino a farle assumere una colorazione rossastra.
La morse, affondò i denti dentro la carne morbida facendo correre un rivolo di sangue oltre la sua bocca, un miscuglio di sapori distinguibili.
Il ferreo del sangue, il sapore salato della pelle di Tsuna.
Un marchio distinguibile su cui aveva scaricato il rancore, un marchio che lo avrebbe segnato a vita.
Leccò via lascivamente il sangue che sporcava ancora il suo collo, un gemito più forte fuoriuscì dalle labbra del moro che si aggrappò alla schiena di Hibari mentre una mano scivolava fra la sua chioma corvina.
Era distrutto, si sentiva completamente svuotato, aveva gli occhi socchiusi ed il respiro irregolare, sentiva la bocca di Kyoya baciare il suo petto, scendere verso gli addominali acerbi e poco sviluppati, sentiva la ferita al collo pulsare dolorosamente.
Si sentiva un verme, un idiota, un cronico fallimento come persona.
Uno sciocco agnello.
Ormai non era neppure in grado di controllarsi, sospirava e mugolava rumorosamente senza badare di trattenersi, a cosa sarebbe servito interromperlo?
Lo avrebbe lasciato fare, lo avrebbe soddisfatto, avrebbe accettato la sua “punizione” perché lui doveva essere punito, perché la colpa era sua.
Lambo non faceva parte di questa faccenda, riguardava soltanto lui e Hibari.
Una punizione per averlo ferito.
Una punizione per averlo distrutto.
Una punizione che lui aveva accettato inconsciamente, ma che adesso sapeva di meritarsi.
Perché Tsunayoshi Sawada è soltanto un goffo, imbranato e sciocco, che comprende sempre tutto con estremo ritardo.

Ti assumi le responsabilità? Ti assumi le tue responsabilità per avermi ucciso?
Sai cosa comporta. Sai davvero cosa comporta quello che hai fatto?
Hai qualcosa da ridire? Hai qualcosa da ridire quando hai preso tutto quello che avevo e l’hai portato via con te?
Sawada. Questa è la tua punizione per avermi ucciso.

E lui, non aveva capito un bel niente.
Lui era un idiota.
Affondò la mano fra i ciuffi di capelli scuri come la notte, stringendoli fra le dita, constatando che in realtà erano morbidi, lisci.
- H-Hibari-san… Mi dispiace… - sussurrò, mentre il Prefetto si slacciava la cintura dei pantaloni.
Gli occhi erano chiusi e la bocca cercava di catturare quanta più aria possibile, sapeva che in quel momento lo stava osservando, forse con odio? Tristezza?
Non ne aveva idea.
- Lo so. – lo aveva sentito rispondere prima che continuasse a svolgere il suo lavoro.
Perché in fondo non riusciva ad odiarlo.
Perché in fondo Tsunayoshi Sawada era la sua falla.
Perché in fondo Tsunayoshi Sawada aveva preso il suo cuore e l’aveva gettato via.

 

    

 

 

 

 

 

 




Se siete arrivati a leggere queste note è già una buona notizia. (Vuol dire che non era poi così pessima questa Fan Fiction.)
E’ la prima {1827} e anche la mia prima storia su Katekyo Hitman Reborn! Quindi se ho reso OOC i personaggi chiedo umilmente perdono. (_ _)
Accetto volentieri critiche purché siano costruttive, e anche commenti per sapere quanto è grande il pasticcio che ho fatto u_u
Golden Brown.

 

   
 
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