NdA:
Come si conclude Inception?
Questa è la mia risposta.
Per tutte le teorie: http://www.bestmovie.it/news/inception-sogno-o-realta-parte-1/53330/
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Stai aspettando un treno.
Sai dove speri che questo
treno ti porti, ma non puoi averne la certezza.
Ma non ha importanza.
Dimmi perché.
Perché saremo insieme.
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Abbassò lentamente le palpebre,
mentre la lama gelida del coltello penetrava la stoffa dei suoi vestiti, lo
strato spesso e umido della sua pelle e della sua carne.
E raggiungeva il cuore.
Pensò a Mal.
Non poté non farlo, nemmeno ora
che era riuscito a lasciarla andare.
Pensò a lei, perché era vero.
Perché ormai era tutto ciò in cui credeva.
Non avrebbe cercato la salvezza,
non avrebbe tentato di risalire i livelli della propria coscienza per emergere
dal limbo. E nemmeno, abbandonandosi al senso di colpa, sarebbe rimasto una
vita intera insieme a lei. All’ombra della sua vera moglie.
Semplicemente, avrebbe fatto di
tutto, avrebbe lottato con l’intera sua anima per riemergere sì, ma pian piano,
affrontando ogni angolo del suo subconscio, prendendo a calci e pugni
quell’assassina immaginazione che lo portava a credere di non poter vivere,
accarezzando con mano ferma i concetti radicali che lo avrebbero
sostenuto fino alla vecchiaia.
Gli attimi diventarono ore.
Le ore diventarono mesi.
E i mesi diventarono anni.
Mal era sparita. Saito era
sparito. Philippa e James erano spariti.
Restava soltanto un profondo e
tormentato se stesso, di fronte ad un senso di colpa che gli ricordava dove
voleva arrivare, dove doveva arrivare.
I palazzi cadevano attorno a
lui, e più avanzava, più ne incontrava di nuovi. E allora li popolava di
ricordi e i ricordi si facevano avanti e lo sfidavano. E ogni volta li
sconfiggeva, ogni volta premeva perché il suo senso di colpa lo guidasse lungo
la strada.
Aspetto un treno, si
ripeteva, so dove spero che andrà. E ne ho la certezza.
Il treno allora si
materializzava di fronte a lui: se ne lasciava investire. E non moriva. Non
moriva, ma apriva gli occhi su nuove città, nuovi sterminati universi, nuovi
ricordi che lo sopraffacevano.
Cinquant’anni si stesero ai suoi
piedi con l’enormità del loro cammino.
Cinquant’anni Dom Cobb rimase
nel limbo.
Per cancellare tutto il mondo
che aveva costruito insieme a sua moglie.
Il mondo che aveva
distrutto Mal.
~
Finché un giorno riaprì gli
occhi.
Un anima centenaria,
catapultata in un corpo ancora giovane.
Un anima che non riusciva a
vivere.
Si disse che l’avrebbe fatto per
i suoi figli, perché James e Philippa avevano bisogno di un padre. Avevano
bisogno di lui.
Quando entrò in casa, nella sua
vecchia casa, li vide in giardino.
Gli davano le spalle, i loro
splendidi capelli biondi scendevano morbidi sulle piccole schiene. Giocavano,
come molto tempo prima.
Voleva vedere i loro visi.
Voleva che lo riconoscessero;
che gli corressero incontro. Che gli dicessero Papà, ci sei mancato! Che
gli dessero la certezza di essere vivo.
Di essere lì, insieme a loro. Di
essere finalmente libero.
Miles chiamò i loro nomi.
E James e Philippa si voltarono.
Finalmente, si voltarono.
Le loro espressioni erano di
ingenua sorpresa, di immenso stupore.
Poi, la felicità.
Dom Cobb ebbe la certezza di
essere tornato a casa proprio in quell’istante.
Non li riconobbe.
Non li riconobbe perché erano
cambiati. Perché un piccolo neo sul viso di Philippa si era fatto più grande,
perché i suoi capelli avevano assunto una sfumatura scura che non ricordava.
Non li riconobbe, perché James
era diventato di poco più alto, perché il suo viso perfettamente tondo aveva
assunto una forma più spigolosa e matura.
Non li riconobbe perché Philippa
lo osservò a lungo, prima di gettarsi fra le sue braccia.
Perché nei suoi occhi lesse
quelle parole.
Ci avevi abbandonati.
Il totem di Mal continuò a
girare, a girare.
Sembrò quasi che lo avrebbe
fatto all’infinito, per un tempo inconcepibile.
Poi, Dom Cobb tornò in cucina. E
la vide.
La trottola si era
fermata.
Per sempre.