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Autore: Morea    16/03/2011    8 recensioni
Credeva di essere Sally Brown, eppure amava scrivere.
Scoprì di essere Lucy Van Pelt, eppure non amava Schroeder.
Forse era semplicemente Amelia, ma ci mise un po' a capirlo: del resto, Lucy non amava ricevere umidi baci da un bracchetto.
...O forse sì?
§Five:
Sapeva benissimo cosa fare anche in quella situazione: l'aveva appena deciso, dopo sette buste gialle e settanta pagine d'agonia.
Avrebbe trovato l'oceano, così come l'oceano aveva trovato lei.
L'aveva sempre saputo, che bisognava dare un nome alle cose per affrontarle e risolverle. E lei avrebbe battezzato quegli abissi, dritta e penetrante come le linee di luce che illuminavano qualche murena uscita dal suo anfratto per cacciar seppie.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amelia'
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A
melia amava i treni

§Six: Fragole

* Te l'avevo detto!






Quando Amelia bussò alla porta di Fréd, pensò che il treno delle cinque e due fosse già troppo vicino.

C'era qualcosa di magico nell'aria che si respirava oltre quella soglia, qualcosa per cui provare un timore quasi reverenziale pur considerandolo quanto più di familiare si potesse avere al mondo; qualcosa da considerare come proprio, eppure da toccare con i guanti: qualcosa in cui materializzarsi in silenzio, cosa che misteriosamente non escludeva grida di giubilo o pianti disperati. Qualcosa in cui vivere, e al diavolo orari, scadenze e ritardi.

Al diavolo il treno delle cinque e due, si disse in un soffio, mentre Frédéric apriva la porta.

« Sei in ritardo » disse semplicemente lui, almeno provando a non sorridere.

« Abiti qui, è facile arrivare in orario. E poi sono solo le undici e venti. »

« Dovevi essere qui alle dieci, se ricordi. Solo un'ora e venti di... »

« Non un'ora e venti. Ti avevo detto alle dieci e avvertito che sarebbero state le undici. »

« Di venti minuti? » sbuffò lui, chiudendole la porta alle spalle.

« Affatto. » Si fiondò in cucina ad aprire il frigo, sicura di ciò che ci avrebbe trovato. « I primi cinque minuti non mi sono presentata perché non sta bene essere i primi a un qualunque appuntamento. »

« Siamo io e te, Amelia. » Alzò gli occhi al cielo, prendendo posto su uno sgabello della cucina. « I primi tra chi? »

Lei lo ignorò. « Altri dieci minuti per il parcheggio, quelli non potevo certo calcolarli. »

Lui alzò un sopracciglio, muovendosi per scostare la tenda quel tanto che bastava per scorgere la strada. « Non c'è un cane, giù. »

La sentì ridacchiare con il naso, espirando due sbuffi d'aria rapidi e ravvicinati: quel modo che aveva solo lei di esprimere il suo divertimento sommesso, quella maniera bastarda di sottolineare le sue piccole menzogne, quelle che lui riusciva ad individuare non appena apriva bocca, senza che neanche terminasse le frasi. « E gli ultimi cinque? » chiese quasi sovrappensiero, mentre il suo sguardo si posava per caso su un uomo a spasso con il cane - e quindi aveva ragione lei un'altra volta, perché un cane c'era eccome, giù.

« Li ho passati davanti alla porta » rispose lei con naturalezza, mentre addentava una fragola. E non mancavano mai le fragole a casa di Fréd, neanche a febbraio quando costavano un occhio della testa, perché a lei quei frutti rossi piacevano anche acerbi o troppo maturi, marci o perfetti, e vederle dipinta sul viso quella smorfia di soddisfazione così totalizzante valeva ogni singolo euro uscito dal portafoglio.

« Davanti alla porta? »

« Pensavo. » Non disse altro, mentre lottava per eliminare le foglie della sua seconda fragola - ed era buffa, perchè il picciolo le rimaneva sempre conficcato nella polpa, e le toccava mangiare anche quello. 

« Al legno? Alle maniglie? E' febbraio, Amelia, e tu pensi agli stipiti di una porta congelandoti senza entrare? »

Lei tremò per un secondo, quasi ricordandosi del freddo che avrebbe dovuto patire fuori da quell'uscio, poi scrollò le spalle. « Pensavo a te. Pensavo a noi. » Digrignò i denti, lottando con il terzo frutto della serata: non un tremito fuori posto, non un ripensamento a farla sobbalzare, solo un mugugno di liberazione quando riuscì nel suo intento, non senza sporcarsi di rosso le unghie. E lui gliele avrebbe succhiate ad una ad una quelle dita, dopo averle sentito pronunciare quel noi di cui forse non si era nemmeno accorta.

« A noi? » chiese mordendosi la lingua, cercando di non far trasparire tutta l'ansia di quelle quattro lettere. Provò a rubarle una fragola, beccandosi uno schiaffo sul dorso della mano - da quelle dita che avrebbe volentieri succh... non doveva pensarci.

Lei lo fulminò, ancora stizzita per quel tentato furto. « A noi, sì. Al fatto che qui mi sento come a casa, al fatto che posso contare su di te in qualunque momento, e non te lo dirò un'altra volta, quindi imparati bene a memoria queste parole. » Giocò per un po' con la quarta fragola, prima di rimetterla nel piatto. « Alla nostra amicizia, ecco. E'... bella. » Si alzò per rimettere la frutta avanzata nel frigorifero. « Mi mancheresti, se non ci fossi » sussurrò a un cartone di latte e a qualche etto di burro, come al solito senza trovare il coraggio di guardare l'amico in faccia, per non rendersi troppo vulnerabile ai suoi occhi.

E Frédéric si alzò e la raggiunse, con quel pizzico di strafottenza che riservava solo all'unica persona con la quale non avrebbe mai voluto sfoggiarla. « Anch'io ti amo, maionese. » Passò il braccio sulle spalle di Amelia, finendo per osservare lo stesso punto su cui si era fossilizzata lei. « Oh, ma tu dicevi alla birra? Dovevo immaginarmelo, Lucy! »

« Stronzo. » Si spostò di scatto, pestando i piedi finché non fu uscita dalla cucina. 

Le fu dietro in un balzo. « Dai, scema! » La abbracciò, rischiando di farla inciampare - ergo, di procurarle un buon motivo per fargli male. « Cosa vuoi fare, Lucy? »

« Dormire. » Saltò sul letto, atterrandoci di pancia - come faceva da più di un ventennio, ormai: il letto era cambiato, lei non era cambiata per niente. O forse era cambiata perfino troppo, pensò Fréd, scorgendo forme non esattamente abbozzate, oltre la stoffa dei suoi vestiti.

« Non sei venuta qui per resistere sveglia fino a domattina? Avevo già preparato cinque o sei damigiane di caffè... »

La vide corrugare la fronte per un attimo, per poi rialzarla, risoluta. « Ce la faremo! » urlò alzando un pugno verso il soffitto.

Si lasciò ricadere con la testa fra i cuscini, e lui le fu accanto. « E' meraviglioso, Fréd, non puoi capire » la sentì sussurrare dopo qualche minuto.

« Cosa? » Sorrise, aspettandosi tutto fuorché un...

« Lui. »

E in quel momento odiò i treni, odiò le fragole, odiò perfino lei. Perché era un'egoista, perché era cieca, perché era sua.

Finse di ascoltarla, mentre elogiava il suo autore, finse perfino di fare il tifo per lui, quando si ritrovò a dargli dell'uomo perfetto, perché pareva intelligente, e misterioso, e accattivante.

Si ritrovò a crogiolarsi nel profumo del suo shampoo alle fragole, quando una ciocca gli finì accanto al naso, disordinata ed impertinente come la legittima proprietaria; inspirò troppo forte quell'odore, e lei lo smascherò come un bambino di fronte ad un vassoio di biscotti ormai sbriciolati. Lo guardò interrogativa, e lui non potè che pensare a quelle strisce che tante volte avevano letto insieme, a quelle vignette che li avevano raccontati prima ancora di vederli cresciuti. E la prese in giro di nuovo, perché era l'unica cosa che riusciva a fare. « E' un tipo di profumo che non ho mai sentito nominare... » Inspirò di nuovo. « Bracchetto bagnato? »

Si beccò una gomitata e la vista della sua schiena, dato che lei si voltò sul fianco opposto alla velocità della luce. « Sono fragole, idiota. » Finse di non sapere che quella era la fragranza del suo shampoo e del suo bagnoschiuma da più o meno un decennio. « Lui l'avrebbe capito al volo... » sussurrò sognante.

Pensò che lui non avrebbe mai capito che Amelia odiava le date e le ricorrenze perché sembravano quantificare tutto, che quando taceva era solamente o irrimediabilmente scossa o tremendamente incapace di esprimere i suoi pensieri con le parole che amava così tanto: lui non avrebbe mai scoperto quella sua pagina di fanfictions che la raccontavano per filo e per segno, non avrebbe mai imparato che odiava lo zucchero perché snaturava il vero sapore delle cose, che aborriva la rucola perché sua madre una volta aveva provato a fargliela mangiare con l'inganno, o che si era vergognata del suo seno a tredici anni, nascondendolo con spalle ricurve perché non era ancora pronta per diventare una donna, e che ora pregava per avere almeno una o due taglie in più. E si rivide ad abbracciarla per il suo infortunio al ginocchio, a chiederle scusa per averle rubato il suo pennarello preferito, a regalarle del pongo perché, nonostante fosse una schiappa, amava almeno far finta di modellarlo, quando in realtà andava semplicemente pazza per il suo odore.

« Ti stai creando troppe aspettative... » Era un suono amaro, quello uscito dalla sua bocca, una sentenza diretta e per questo dolorosa: gli parve di vederla stringere il lembo del cuscino, forse improvvisamente cosciente che lui aveva davvero ragione, e gli si strinse talmente tanto il cuore che il coraggio gli venne meno e la voce gli si spense in gola. « Ma del resto, se non verifichi di persona... »

« Lo sapevo, che avresti capito! » Lei gli gettò le braccia al collo, gli saltò addosso come quando aveva nove anni, sorrise talmente tanto che lui se ne innamorò di nuovo. E la trovò ancora più sua, eppure così cieca, e soprattutto così egoista.

Poi la sentì tacere, un po' troppo a lungo; sentì il suo respiro farsi più regolare, la sua stretta allentarsi. E le cinque e due gli parvero così vicine...

Fréd, per la prima volta, ebbe sonno prima dell'una. E si ritrovò abbracciato a lei anche quando si svegliò di soprassalto alle due, intenzionato a puntare quella sveglia di cui lei aveva assolutamente bisogno: la vide con la bocca aperta, i capelli arruffati, la posa scomposta e le coperte miracolosamente finite solo sopra il suo corpo, in un'improbabile disposizione di lenzuola e trapunte, e le cinque e due gli parvero ancora più vicine, tremende, inesorabili.

Amelia odiava dormire a bocca aperta: pretendeva che lui la svegliasse quando la beccava a farlo, e si assicurava sempre di avere una mano in prossimità delle labbra tutte le volte che si coricava, per quanto fosse impensabile che riuscisse a mantenere la solita posizione per una notte intera. Per un momento, gli venne quasi automatico svegliarla anche solo per darle fastidio, sentirla imprecare qualcosa di imprecisato nel dormiveglia, lasciarsi insultare per cinque secondi di puro piacere e vederla riaddormentarsi, chiudendo la bocca e riaprendola inesorabilmente pochi secondi dopo, in preda ad un istinto quasi essenziale.

In quello stesso istante, seppe anche che quelle buste gialle sarebbero arrivate nel suo ufficio prima di lei, per l'ennesima volta.

Cercò di districare il groviglio delle coperte senza svegliarla, la coprì fino al naso e si voltò sull'altro fianco. Non riuscì neanche a sentirsi egoista, quando i sensi gli vennero meno per la seconda volta, quando perfino il pensiero di averla nel suo letto divenne un'eco lontana e modulata da sospiri sempre più rari, quando se la immaginò la mattina dopo su tutte le furie, a dargli la colpa di tutto e a giurargli che non gli avrebbe più rivolto la parola per un mese, salvo poi ripresentarsi sotto casa sua un paio d'ore dopo - e talvolta, chiamarlo in cerca di note anche prima.

Si svegliò alle sei e mezzo grazie a una pedata ben piazzata su uno stinco. Se la trovò di fronte, armata di dentifricio, asciugamano e sguardo assassino. La sentì urlare, la vide pettinarsi da una stanza all'altra rischiando persino di strapparsi i capelli, tanta era la foga con cui maneggiava la spazzola. Beccò una ginocchiata dopo che lei fu salita di nuovo sul letto in cerca di vendetta, e si ritrovò a massaggiare due lividi in via di formazione, prima di vederla sparire senza dire una parola dalla camera e sentirla anche sbattere la porta d'ingresso.

E fu allora che capì cosa diamine intendesse Snoopy, nel dire che il suo cuore forse non era infranto, ma di certo gli facevano male le gambe.

« Mi dispiace » mormorò mezz'ora dopo al parmigiano, o forse al succo di frutta, o magari ai funghi sott'olio.

Il frigorifero restò atrocemente in silenzio.





*

Le frasi in corsivo sono tratte dalle strisce di Charles M. Schulz.
Credo che quando si ama qualcuno sia inevitabile diventare un po' egoisti. Ed è difficile essere
l'amico perfetto, quando tutto quello che si vorrebbe fare è la cosa più difficile ed impensabile del mondo. Non colpevolizzate Fréd: è e resta sempre l'amico più meraviglioso che si possa avere. :)




Mi trovate QUI, se volete.
  
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