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Autore: aoimotion    17/03/2011    9 recensioni
Farò in modo che il suo mondo sia come lo desidera, Bel-sempai.
Per questo motivo... per favore, non muoia.

[BelxFran]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Belphagor, Fran, Lussuria, Superbi Squalo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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belxfran
Farò in modo che il suo mondo sia come lo desidera, Bel-sempai.
Per questo motivo... per favore, non muoia.






"Ritirata, ritirata!"
"Squ-chan, non possiamo andare! Belphegor non è ancora tornato!"
"Piantala, Lussuria! Non intendo rimetterci le palle per quel ragazzino schizzofrenico!"
"Non parlare così di Bel, Squ-chan! Lui è-"
Un'esplosione. Si udì un urlo, che si fuse con il fumo e il sangue e il fango del campo di battaglia. Le nuvole nere coprivano la luna, filtrandone l'opaca luce. Chiazze smorte si riversavano sul terreno, come fossero sprazzi di oro liquido che cadevano dal cielo.
La battaglia procedeva male. Malissimo.
Le vittime non si contavano, fra i Varia. Era impossibile distinguerle, oltretutto. Carcasse rovesciate, svuotate, private di organi o arti, giacevano sul terreno. Facce contorte dall'orrore che sembravano fissare Squalo con rimprovero, quasi fosse sua la colpa di averle trascinata in quello scontro senza possibilità di vittoria. Che si era rivelato tale, perlomeno.
Perché all'inizio non lo era stato.
Il secondo in comando sputò per terra, con un moto di irritazione.
Maledetto moccioso.
Lo sentiva, Squalo. Lo sentiva, che prima o poi la sua pazzia li avrebbe condotti alla rovina.
Lo sentiva, eppure non aveva fatto nulla per prevenire quel disastro. Che gran testa di cazzo, che era stato.
E adesso, ne pagavano le conseguenze. Tutti.
Voleva morire? Che si accomodasse, nessuno lo avrebbe fermato. Se pensava che la sua vita valesse così poco, chi erano gli altri per fargli cambiare idea? Perché, oltretutto?
"Diffondi l'ordine di ritirarci, Lussuria. Ce ne andiamo."
"Squalo!" Esclamò lui, incredulo. Persino il vezzeggiativo era venuto a mancare, tanto quelle parole l'avevano sconvolto.
Non ebbe il tempo di realizzare nulla, Lussuria, perché una mano lo sollevo vigorosamente per il colletto.
"Ho detto di dare l'ordine di ritirarci. Sei diventato sordo, per caso?"
"S-Squ-c-"
"MUOVITI!" Imperiò lui, mollandolo di colpo e voltandosi di scatto verso le linee nemiche, quasi perfettamente integre.
Lussuria tossì, tenendosi il collo e guardandolo da dietro le lenti scure. Una furia, che lui aveva già visto altre volte, lo stava possedendo con insolita violenza.
C'era qualcosa di diverso, lui lo percepì chiaramente. Non seppe dire di cosa si trattasse, ma non ebbe dubbi in proposito.
I capelli di Squalo si perdevano nel vento freddo, che aveva cominciato improvvisamente a soffiare.
Le sue sopracciglia si mossero, impercettibilmente, con uno scatto nervoso. Stava arrivando qualcosa, qualcosa di molto pericoloso.
Dovevano andarsene.
"Se ce ne andiamo ora, riusciremo a limitare al minimo le perdite." Dichiarò, senza guardarlo. "E Belphegor è solo un moccioso impazzito."
Quelle parole suonavano dure, ma una nota stonata le rendeva terribilmente sbagliate. Non era il solito Squalo, quello che parlava.
Era un uomo che stava convincendo se stesso che non c'era davvero nulla di produttivo, a preoccuparsi troppo per un compagno.
Compagno? Oh, no. Collega, forse. Con i colleghi non sei obbligato ad andare d'accordo, in fondo.
E lui con Bel non ci era mai andato troppo d'accordo.
"Sei sicuro di poter fare a meno di loro due?"
La domanda giunse alle sue orecchie, come una serpe che strisciava tra le vesti per poi morderti a tradimento. Prima era solo un fruscìo, poi si trasformava in fastidio. E poi, in un dolore lancinante.
"Che cosa hai detto?" Si voltò, fulminato da quelle parole. Incontrò gli occhia di Lussuria, che la luna aveva reso visibili attraversando gli occhiali in controluce.
"Non è solo. Fran è andato con lui."
Era solo uno scherzo, vero?
Solo uno scherzo.
"Starai scherzando? Lussuria, non è divertente. Affatto."
"Pensi davvero che stia scherzando, Squ-chan? Guardami negli occhi!"
"Hai gli occhiali da sole, testa di cazzo!"
"Ah, già! Ma non importa, non sto mentendo. Fran lo ha seguito, quando si è allontanato dal blocco principale."
"E questo quando è successo?"
"Non lo so, Squ-chan, non ho tenuto conto dell'orario e-"
"Approssima, maledizione!" Berciò, cercando di riafferrargli il colletto. Ma stavolta Lussuria fu più pronto, e scansò la sua mano con un rapido gioco di gambe. Non era un esperto di Muay Thai per sentito dire.
"Sarà stato mezz'ora fa, quaranta minuti al massimo!" Rispose lui, mettendosi a distanza di sicurezza.
Squalo serrò la mascella, adirato. Adesso gli imbecilli erano diventati due.
E non era più così semplice fare finta di nulla, e pensare che sì, tutto sommato, qualche uomo ogni tanto si poteva perdere.
Adesso c'era pure Fran, il loro illusionista. Uno dei pochi capaci di ingannare gli occhi dei Vindice. Non si poteva parlare di costi, convenienza, bilancio dei morti, strategie di battaglia, quando la posta in gioco era così alta.
Mocciosi, siete una spina del fianco.
No. Era tutto troppo irritante, perché lui potesse passarci sopra.
Ci aveva provato, a ignorare tutto e tutti. Ma non bastava più, arrivati a quel punto.
Li avrebbe fatti a fettine, entrambi. O non sarebbe stato soddisfatto.
"Lussuria, dai l'ordine di ritirata."
"Squ-chan!"
"Io vado a cercarli." Aggiunse, senza enfasi, allontanandosi in direzione dell'ignoto.
"Cos... Squ-chan, è pericoloso da soli, non andare! Lascia che ti..."
Le parole gli morirono in gola. La schiena di Squalo che si allontanava, sembrava già così inesorabilmente distante che niente, niente avrebbe potuto fermarlo.
Disse solo una cosa, Lussuria. Perché non poteva proprio esimersi dal dirla.
"Se non torni entro un'ora vengo lì e vi picchio! Tutti e tre! Hai capito, Squ-chan?"
Si fermò. La luna lo illuminò, come un riflettore.
Alzò la protesi meccanica in cenno di saluto, poi scomparve nell'oscurità.
Tsé.


*


"Ushishishi... avete paura, non è così? Eh? Ushishishi~"
"Bel-sempai, quei nemici sono già morti." La voce atona di Fran interruppe il delirio del principe, che si stava accanendo con furia folle sui cadaveri senza vita di alcuni soldati. Presumibilmente dell'altro fronte, ma mutilati com'erano, non era possibile identificarli.
"Oh? E tu che cosa ne sai, ranocchio? Vuoi forse contraddirmi?"
Sotto quella frangia bionda e liscissima, Fran sapeva che due occhi lo stavano osservando, sprigionando sprazzi di pazzia che si disperdevano nell'aria come polvere sottile. Solitamente, a tale occhiata seguiva il volo leggiadro di un coltello d'argento, che con precisione chirurgica andava a conficcarsi nel suo cappello a forma di rana.
Ma stavolta, no.
L'argenteria era tutta per i corpi inermi che giacevano sotto il suo piede, issato sopra lo stomaco di uno di loro con fare teatrale.
Forse avrebbe dovuto gioirne, Fran, perché la sua testa non era in pericolo. Ma per qualche motivo, non ne ebbe voglia. Si raggomitolò, sulle ginocchia, e fissò intensamente il suo sempai.
"Quindi, Bel-sempai, secondo lei quelle persone sono ancora vive?" Chiese, toccandone la pelle fredda con la punta dell'indice.
La logica portava a supporre che fosse questo il nocciolo della questione.
Ma entrambi sapevano che non era affatto così, perché la follia non ha bisogno di un pretesto. Si nutre del momento, amplificandone il suono attraverso il tempo, allugandone la tonalità fino a ottenere lo stridìo di una risata demoniaca, il cigolio di una porta i cui cardini stanno per cedere, la goccia di sangue che cola, cola, cola dalla punta della lama eterea e pura come la superficie della luna piena.
E' questa, la poesia che Belphegor ama tanto.
"Non ho mai detto questo. Ushishishi, quanto sei stupido. Stupido!" Un coltello - un altro - si incastrò in mezzo agli occhi della vittima, provocandone la fuoriuscita. E poi era rosso, rosso, rosso, sempre più rosso.
Ma qualcosa disturbava quel torrente purpureo. Erano le macchie bianche del cristallino, che macchiavano il liquido scarlatto con la loro impudica presenza.
Belphegor sentì una scossa attraversargli il corpo, e fu il grido della follia a riecchieggiare nel silenzio della morte.
Una coltellata.
Un'altra.
Un'altra ancora.
"Ushishishi! Ahahah! Sangue, sangue, SANGUE!" Rideva lui, fuorì di sé. Fran lo osservava, senza proferire alcuna parola.
Non che ci fosse poi molto, da dire. Solo sangue, sangue, sangue, sudore, sangue, terra, sangue, bianco, sangue. E qualche sprazzo di blu, forse, quando alzava gli occhi al cielo che contornava la pallida luna. Il resto, era solo una distesa nera che si protendeva all'infinito, inghiottendo tutto.
Avrebbe potuto inghiottire pure la follia di Bel, forse. Ma non lo fece, e lui non se ne dispiacque troppo. Dopotutto, era la sua follia, e lui si identificava in essa, perché era la cosa che meglio lo sapeva descrivere, che meglio sapeva parlare di lui. Il suo linguaggio preferito, la sua musa ispiratrice.
Belphegor e la follia erano una cosa sola. Scinderle era impossibile.
"Bel-sempai, la smetta per favore. Si sta macchiando la giaccia."
Era vero. La divisa del principe era già stata sporcata dal sudore, dal fango e dal sangue dei nemici. Ma quello che lo stava bagnando adesso era molto più viscido e immondo, e molto più viscido e immondo era il modo con cui si stava procurando quelle nuove macchie.
Senza preoccuparsene minimamente.
"E chi se ne importa?" Chiese lui, sibilando la domanda attraverso i denti perfetti. La mano che stava torturando quella carne sconosciuta si fermò, appagata. Stanca, non poteva esserlo di certo. "Ora sono morti." Dichiarò, estraendo la lama sottile e lanciandola lontano, come un oggetto di cui non aveva più alcun bisogno.
Che suono curioso, che emise il coltello. Rimbalzò su una roccia sporgente, producendo un tintinnio soave che non aveva nulla della violenza con sui era stato usato un momento prima da Bel.
Il perché, lui lo sapeva. Ma se ne meravigliava sempre un poco, ogni volta che lo riscopriva.
Erano quelle mani. Erano quelle mani, capaci di portare la perdizione ovunque, a rendere quei coltellini delle armi così pericolose. E in generale, quelle mani potevano manipolare ogni cosa, e rendere malvagio anche l'oggetto più inoffensivo.
Poi, quando quel contatto si interrompeva, era come se il sortilegio si spezzasse. E niente era più malvagio, se non lo stesso Bel, che osservava il mondo nascosto dietro una cascata bionda che patinava ogni cosa, per il suo grottesco gusto di principe.
Che nobile arrogante, il principe Bel.
Bel. Aggiungi una 'l' in più, e ottieni una campana. Una campana d'argento.
Che suona quando il suo nemico giace esangue ai suoi piedi, con la vita che preme per fuggire dalla sua bocca dischiusa in un singulto di estremo dolore.
Bel. Bel. Suona, campanella, suona.
Suona la campana e canta, canta e grida il tuo dolore, canta e grida e ridi, ridi come mai in vita tua, sempre un po' più di prima.
Sghignazza, principe Bel. Il tuo nemico ti fissa con terrore, ma tu non ti fermi. E ti diverti, come mai in vita tua, sempre un po' più di prima.
E mentre tutto questo accade, e mentre giochi con la vita, la tua compresa, e mentre quella lama perfetta affonda nelle viscere, anche le tue, perché no? ... lui ti guarda.
Sempre.
Il suo sguardo è monocromo, la sua voce è atona, i movimenti sono solo l'essenziale.
Ma lui ti segue sempre.
"Come si sente, Bel-sempai?" Chiese Fran, alzandosi in piedi, senza muovere un singolo passo.
"Ushishishi." Fu la risposta, più che sufficiente per i suoi standard. Era abituato a capirlo con poco, in fondo. Quella risata era fin troppo esplicativa, a ben pensarci.
Belphegor si stiracchiò, flettendo i muscoli verso il cielo con fare pigro e svogliato. Era ritornato il solito, accidioso Bel. Non c'era più traccia di quella follia, quella furia assetata che lo aveva dominato fino a qualche istante prima. Solo la mera soddisfazione di aver eliminato i suoi nemici, con la classe che si conveniva a un nobile della sua fattura. Poteva dire il suo lavoro concluso, e tornare alla base. Magari con un arto per trofeo, per dimostrare la sua abilità anche ai compagni.
Compagni? Oh, no. Spettatori della sua maestria, era il termine più appropriato. Lui mostrava al mondo la sua fine, regale eleganza, e il suddetto mondo lo fissava, con tanto d'occhi, prima di esplodere in grida colme di ammirazione e adorazione.
Grida che lui accettava con un'altrettanto regale risata, prima di liquidare seccamente con un gesto della mano - un lancio di coltelli - , adducendo alla noia presto sopraggiunta a causa del loro vociare.
Era tutto così magnificamente perfetto. E lui era il sovrano di tale perfezione.
Un altro Ushishishi affiorò alle sue labbra, quasi istintivamente. "Ehi, ranocchio."
"Bel-sempai?"
Incedette verso di lui, fermandosi a pochi passi dal suo volto inespressivo. Gli puntò un coltello contro, mirando alla testa di rana.
Sì, era decisamente ritornato il solito Bel-sempai.
"Ora che ci penso... perché sei venuto anche tu?"
"Così, perché mi andava." Rispose Fran, grattandosi una guancia con noncuranza.
Zac.
"Fa male, Bel-sempai."
"Ushishishi. Sei proprio uno sciocco, Fran."
"E lei è sempre violento, Bel-sempai."
"Bah, quanto sei noioso." Il principe aveva alzato un altro coltellino, pronto a lanciarglielo addosso, ma gli era passata la voglia di giocare. Così, lo ripose dentro la sua giacca, o ovunque li tenesse nascosti, e si voltò verso est. Era in quella direzione che si trovava il fronte dei Varia, almeno per come lo aveva lasciato lui.
Ma tanto, lui era un principe. Se non fosse arrivato alla base, la base sarebbe arrivata da lui, in un modo o nell'altro.
"Dove sta andando, Bel-sempai?"
"Ad annunciare il mio trionfo. Vuoi venire con me?"
"Uh." Annuendo, Fran gli trotterellò dietro per inerzia, scrutando il vuoto con occhi assenti.
Zac.
"Bel... sempai?"
Rotto.
Il fragile equilibrio, rotto.
E il sangue riprese a sgorgare, da una ferita mai aperta e mai chiusa.
Belphegor si paralizzò, pietrificando ogni singola fibra del suo corpo.
I suoi occhi corsero alla gamba destra, immediati e confusi.
Il suo coltello era lì, che gli stava trafiggendo il polpaccio. Che si stava macchiando di sangue.
Del suo sangue.
"Cosa...?" Disse, ma nella sua voce la follia aveva già ricominciato a suonare.
La melodia rotta, la melodia stanca, la melodia macabra e inquietante. Il ritornello della morte, della carne, del dolore, del rosso.
Rosso.
Il rosso sgorgava come da una fontana, colava per la lama, scendeva giù per l'impugnatura, gocciolava per terra con ritmo esasperante.
Goccia...
"Bel-sempai, forse... qualcuno non era poi così morto." Abbozzò Fran, guardandosi intorno.
Un soldato era lì. Tremava per lo sforzo di reggere il busto, ansimava per la ferita che copiosa sanguinava dal petto. Il braccio ancora teso, dopo aver lanciato quella singola lama d'argento, così intrisa di rosso da non riuscire neanche più a brillare alla fioca luce della luna.
... dopo goccia.
"Ushishishi."
Silenzio.
"AHAHAHAHAH!" La risata di Belphegor rieccheggiò nel buio della notte. Una nuvola aveva coperto l'unica fonte di luce, e l'oscurità era piombata sul campo di battaglia. Una risata innaturalmente naturale, che si sposava alla perfezione con quella bocca tesa in quel sorriso mostruoso, con quei fili d'oro puro che sembravano stati intessuti da manine fatate, con quel modo di gonfiare il petto, così pieno di ego da scoppiare.
Scoppiare. Sangue.
Un vortice di pensieri raccapriccianti lo aveva sopraffatto, un'altra volta.
Guardò l'uomo, con scherno crudele. Chi era? Come aveva osato ferirlo, lui? Il principe Belphegor!
Quale affronto, quale onta, quale... bellezza.
Perché sì, Bel ne era profondamente e ingenuamente convinto. Glielo avevano insegnato quando era ancora un bambino, lo aveva capito con anni di esperienza: il suo sangue, era la cosa più bella che esistesse al mondo.
Peccato che nessuno, né tantomeno l'esperienza, gli avesse insegnato quanto fosse prezioso.
Fran taceva, osservando il nemico. Sarebbe morto da solo, nel giro di pochi minuti, anche senza che qualcuno gli infliggesse il colpo di grazia.
Ma non lo disse, ovviamente. Perché le sue parole, in quel momento, non avevano alcun valore. Niente aveva valore, in quel momento.
Niente.
Suona, campanella. Suona davanti al nemico, ottenebrato dal terrore. Suona, e non fermarti mai. La tua melodia vivrà in eterno, lo sai?
Una nota che vibra fuori dal tempo, che esiste in ogni istante, che dura nell'infinità di uno spazio che non riuscirai mai a percorrere tutto. Perché, dopotutto, non ne hai alcun bisogno. Il tuo regno è qui, dove c'è il tuo suddito più fedele.
Suona, campanella. Suona, e grida al mondo quanto sei sola, quanto sei triste, quanto sei folle. Gridalo, a questo mondo sordo e cieco, fatti ascoltare, fatti vedere. Tu esisti, in ogni frammento di questo universo immenso e sconfinato. Ogni stella ti appartiene, ogni astro si inchina a te, ogni pianeta ti riverisce come un re.
Suona, campanella d'argento. Brilla nell'oscurità, risplendi della tua luce, non permettere a nessuno di nascondere la tua folgorante bellezza. Tu esisti, tu sei vivo, tu SEI, semplicemente sei. Non lasciare che qualcuno prenda il posto che ti spetta.
"Tu!" Gridò, perfettamente immobile, il busto contratto da un movimento artificioso e, a prima vista, estremamente doloroso "Come hai osato, plebeo! Ushishishi! Ahahahah!"
Ordinaria pazzia, ordinaria amministrazione.
Questo era quello che pensava Fran, osservando la scena senza fare una piega.
Ma c'era qualcosa di diverso. Bel non sembrava intenzionato a colpirlo, non accennava a muoversi, e... la sua ferita sanguinava costantemente.
E lui non sembrava preoccuparsene. Anzi, ne godeva profondamente. E allora, capì. Una cosa sciocca, evidente, che non sarebbe dovuta sfuggire a un attento osservatore come lui.
Non aveva bisogno di colpire il nemico, perché il suo sangue era più che sufficiente per soddisfare la sua orrida sete di dolore. A stento, forse, si rendeva conto che stava mettendo in pericolo la sua stessa vita.
Era come se considerasse se stesso e il proprio corpo come due entità separate. Come se fosse capace di vedersi dissanguare dall'alto, e riderne con quel Ushishishi che lo rendeva inconfondibilmente il Principe Caduto, senza riserva alcuna. Come se fosse... qualcosa di prossimo all'immortale, ma molto più umano, molto più vicino alla terra, e comtemporaneamente convinto di potersene allontanare a suo piacimento. Come un dio, una divinità, un essere trascendentale. Come se il suo corpo si muovesse attraverso forze che nulla avevano a che spartire con le cose di questo mondo. Come se lui, Belphegor, oltre a essere un principe fosse anche un santone, e qualche misterioso potere gli fluisse nell'anima, donandogli la vita al posto di quella cosa bellissima e pressocché inutile che era il suo sangue.
Il suo sangue, un semplice ornamento. Quello degli altri, vino terribile da bere ma splendido a vedersi versare.
"Bel-sempai, le sanguina la gamba." Gli fece notare Fran, indicandogli il polpaccio con un dito.
"Lo so!" Gongolò lui. "Non è meraviglioso? Guarda, inutile rospo! GUARDAMI!"
"Lo sto già facendo, sempai. E non è per niente meraviglioso. Anzi..."
Non terminò la frase, Fran. Non ne ebbe il tempo, perché un coltello d'argento gli trapanò il copricapo, interrompendo ogni altro suono che potesse uscire dalla sua bocca irriverente.
"Ahi." Disse, ma fu più una constatazione che un lamento.
Bel rise, ignorandolo beatamente. Ed estrasse un altro coltello dall'interno della sua giacca, pronto a lanciarlo verso il malcapitato.
Fran lo osservò, senza battere ciglio. Forse, dopotutto, concedersi come vittima al principe Bel era la cosa migliore che potesse fare.
Forse.
Ma non ci fu tempo, per soffermarsi oltre su quei ragionamenti deliziosamente pacati.
Non ce ne fu, perché al suo posto venne il tuono a scuotere ogni fondamenta del suo pensiero, e fu costretto a rivedere i rapidi dati che si era permesso di calcolare in una manciata di secondi, mentre il suo sempai dava prova della sua insaziabile sete di rosso.
Un'illuminazione, una visione, e la verità colpì Belphegor con l'evidenza di un proiettile, così forte da farlo barcollare per qualche istante.
"Hai ragione, stupido rospo!" Gridò, mentre la follia gli contorceva il viso stravolgendone i lineamenti. "Non è... abbastanza!"
Avvenne tutto nel breve spazio di un battitio di ciglia. La lama trapassò lo stomaco del principe, mozzandogli il respiro e costringendolo a piegarsi su se stesso. Rideva, facendo ciò. Si esaltava, perché la vista del suo sangue lo eccitava immensamente e spropositatamente, rendendolo vulnerabile ed estremamente pericoloso allo stesso tempo. Un essere che avrebbe dato qualunque cosa, in quel momento, per spargere il suo regale sangue sul mondo, così brutto e imperfetto.
Oh, no. Non era degno di un principe, quel mondo. Ci avrebbe pensato lui, a correggerlo.
A lavarne i peccati, con il suo sangue.
Il suo sangue. Purpureo ed etereo, benedetto e maledetto allo stesso tempo. Lui era...
Un salvatore.
La ferita produceva un dolore lancinante, bruciava come fuoco sulla carne viva, eruttava rosso a ogni spasmo. Bel si stava letteralmente dissanguando, premendo sul profondo taglio come a volersi trapassare, letteralmente.
Non tardò ad arrivare, il vomito di sangue.
"Bel-sempai, la smetta. Si ucciderà, in questo modo." Disse Fran, la cui razionalità aveva prudentemente suggerito di fermare Belphegor, chiaramente fuori di sé e disposto a morire, pur di ricoprire tutto con la sua linfa scarlatta. Sarebbe stato un grosso problema, se fosse morto.
Squalo se la sarebbe certamente presa con lui. Sì, se la sarebbe presa con lui.
... Vero, che lo avrebbe fatto? Come poteva avere dei dubbi, Fran? No che non li aveva.
No.
No.
No.
Infatti, quelli non erano dei dubbi. Lui non aveva dubbi. Aveva solo certezze, di cui stava attentamente vagliando la pertinenza.
Era pertinente, quello che sentiva?
Era pertinente... impedire al Principe Caduto di morire, per un motivo così insulso?
Non si chiese se fosse giusto o sbagliato, perché la linea di demarcazione che separa questi due universi totalmente opposti, è pur così miserabilmente sottile, che quando te ne accorgi non puoi fare a meno di ridere. Perché ti aspettavi chissà quale giudizio, chissà quale colpa, chissà quale ricompensa... e poi scopri che è stato tutto inutile. Perché non c'è confine reale tra bene e male, e non puoi essere accusato, ma neppure portato in trionfo. Sei solo, con la tua coscienza.
O follia, nel suo caso.
Ridere o piangere sta solo a te.
E Belphegor, cosa avrebbe fatto? Avrebbe riso o avrebbe pianto, alla fine di tutto questo?
Qualunque fosse stata la sua decisione, una cosa fondamentale sarebbe venuta a mancare, facendo crollare quel fragile castello di carte.
Il tempo.
Per Fran, il tempo era un concetto molto astratto. Il suo mondo non lo richiedeva, anzi, lo aborriva, dichiarandolo inutile e insulso. Se avesse seguito le regole del suo mondo, Bel sarebbe morto. Lui lo sapeva.
Avrebbe pertanto dovuto seguire le regole di un altro mondo? Un mondo di cui il suo sempai era schiavo, e per questo lo disprezzava, tentando di renderlo più simile a lui?
Ecco. Era lì, che risiedeva tutta la pertinenza possibile. Che cosa avrebbe dovuto fare, Fran?
"Silenzio, rospo! ROSPO!" Gridò il principe, estraendo con un gesto secco la lama dalla sua pancia. Litri di sangue si riversarono sul terreno, e Bel cadde in ginocchio in quella pozza color dei rubini, senza smettere di ridere per un solo istante. "Guardalo, il mio sangue! Guardalo, Fran! Guarda il mondo che si tinge del mio sangue! La vedi, questa impalpabile bellezza? LA VEDI?!"
C'era qualcosa di disperato, in quelle parole. Un'urgenza, un bisogno che andava oltre qualunque follia. Non era umano, non era pazzo, non era niente di tutto questo.
Era Belphegor, semplicemente Belphegor. Non era possibile dire se la sua mente fosse sana, se fosse stato colto da un lampo di consapevolezza, di sofferenza, di dolore, di rammarisco. Che sarebbe stato piuttosto inusuale per uno come lui.
Quell'urlo varcava ogni frontiera, si propagava per un mondo in cui nessuno lo aveva mai guardato, lo aveva mai ascoltato veramente.
Tranne.
Una.
Singola.
Persona.
"Credo di aver visto qualcosa, Bel-sempai. Adesso può smettere di sventrarsi, per favore?"
Sì. Era interessante, il sempai Bel. Gli piaceva, quella follia, quell'accidia pigra e snob che come una mantella lo accompagnava ovunque andasse. Gli piaceva, quel sibilo fastidioso, quel Ushishishi che doveva essere una risata principesca e che assomigliava molto di più a un magro tentativo di imparare a fischiare, da parte di un bambino dispettoso e birichino. Forse Belphegor era convinto che fosse una risata regale e di classe.
E forse Fran avrebbe dovuto dirglielo, che era stupida e senza senso alcuno. Così il sempai lo avrebbe rincorso per i corridoi del castello, attentando alla sua vita con il sorriso più sadico dell'universo stampato sul suo volto. Ed era divertente, in fondo, perché Fran non avrebbe mai rischiato niente di serio per una cosa come quella, e Bel poteva continuare a divertirsi, cercando di spargere il sangue altrui anziché il proprio.
Invano, rigorosamente invano.
Ed era più bello così, dopotutto.
Più pulito, in un certo senso. E meno scomodo, per lui.
"Ushishishi. Cosa stai dicendo, stupido ranocchio? Io sono un principe, e i principi non muoiono." Il suo corpo era scosso da sussulti dolorosi e brucianti, ma sembrava ignorarli. La sua mente era tutta in quella chiazza di sangue, in quel lago rosso che presto avrebbe inghiottito ogni cosa. Puntò una gamba, e fece leva per alzarsi. Era la pazzia, che gli dava la forza per farlo. Quell'adrenalina misteriosa che gli scorreva nelle vene, nelle articolazioni, attraverso ogni lembo di pelle, che lo rendeva cieco alla più palese delle evidenze. "Mio fratello è morto perché non era un principe, come me. Ushishishi, patetico. Semplicemente... patetico." Ebbe un attimo di mancamento, fece un passo all'indietro, ma non cadde. Era già caduto una volta, adesso lo attendeva solo il trono. E il trono era posto sulla cima più alta, ragion per cui lui non poteva cadere.
E non cadde.
Il mondo si fece improvvisamente più basso, ma lui non cadde. Lui... non cadde. No, non cadde.
Era il mondo che si era calato per lui, non era lui a essere precipitato al suolo, annegando nel suo sangue.
No, non era affatto così. Era il mondo. Il mondo. Il mondo!
"Il mondo!" Ripeté "Il mondo si inchina a me! Hai visto, Fran? Fran! Dove sei sparito, fattucchiere da due soldi?"
E poi, lo smarrimento.
Non lo vedeva più, Fran.
Non vedeva più nulla, Belphegor. L'evidenza lo aveva vinto.
Era rimasto solo.
Di nuovo.
Ancora una volta, il mondo non era diventato come lui avrebbe desiderato che fosse. Anzi, dov'era il mondo? Non c'era più.
E al posto del rosso, il grigio aveva preso il sopravvento. Come un velo pietoso che veniva steso su una storia patetica, che non avrebbe mai avuto un futuro.
La storia di Belphegor, il Principe Caduto. Per la seconda e ultima volta.
Di nuovo, dimenticato da tutti. Dimentico di sé, era lui che stava morendo in una pozza di sangue, le palpebre pesanti, e la sensazione di gelo nelle ossa, nella carne divenuta fredda e rigida.
Sarebbe morto? Forse, se lo chiese. E la sua diabolica risata gli affiorò alle labbra, troppo stanche per poter permetterle di uscire fuori e scuotere le fondamenta di quell'universo che lo stava ignorando, che si stava prendendo gioco di lui.
Dopo un ultimo, disperato tentativo di farsi sentire, che non trovò mai la sua manifestazione, Belphegor si lasciò andare a quello che credeva essere 'il sonno del re', che lo avrebbe accolto, finalmente, nella sua terra promessa.


Sempai.


E poi, quella voce.
Una voce che risuonava dove non avrebbe dovuto esserci alcun rumore, dove niente avrebbe potuto raggiungerlo, perché quella era la terra del re.
Insolente ranocchio, come hai potuto seguirmi fin qui?
Lo disse? Lo pensò? Non fu in grado di stabilirlo. Quello che accadde dopo, non avrebbe avuto nessuna spiegazione razionale.
Non poteva averne, perché era pur sempre di un illusionista che si stava parlando. Non c'era niente da spiegare, e niente da capire. C'era solo da guardare... e gioire.
Una pioggia rossa cadde dal cielo, macchiato di colori impalpabili e impossibili, rosso come il fuoco, rosso come il sangue. Il mondo si tinse di scarlatto, avvolgendo ogni cosa. Ogni roccia, ogni montagna, ogni sottile stelo di erba morta, ogni carcassa, ogni nuvola, ogni molecola di qualunque cosa potesse esserci in quella landa sperduta, era diventata di un purpureo abbagliante.
Belphegor aprì gli occhi.
Li aprì. Non sapeva dove fosse il resto del suo corpo, ma in quel momento non gli importava. C'erano solo lui, il rosso, e...
"Ranocchio, che cosa è questo?"
"Il suo mondo, sempai. Non è forse come lo desiderava?"
Fran era lì, accanto a lui. Lo vide, con gli occhi, lo vide al suo fianco, le mani congiunte dietro la schiena e l'espressione incolore che animava sempre il suo viso, in ogni momento della giornata.
Eppure, non poté sfuggirgli. Quella tensione nervosa che testimoniava lo sforzo in corso, quella goccia di sudore che colava, lenta, fino a depositarsi nell'incavo del collo, quegli occhi che finalmente sembravano fissare qualcosa, qualcosa che lui non riusciva a vedere.
O forse sì? O no? Non c'era modo di venirne a capo.
Rise, Belphegor. Rise di gusto, senza un perché. "Ushishishi, mi dispiace, non è abbastanza rosso." Disse, e gli parve di indicare con un dito l'ambiente circostante, per fargli vedere che i toni erano ancora opachi, e che lui avrebbe voluto vederne di più. Gli parve, perché non ne poté essere completamente certo.
Però, una cosa la comprese, fin troppo bene.
"Puoi fare di meglio, ranocchietta."
Sì, Fran poteva fare di meglio, sicuramente. Ma si stupì, che Bel glielo avesse fatto notare.
Dunque lui...
"Ma così non potrebbe vedere più nulla." Ribatté calmo "E andrebbe a sbattere ovunque, facendosi un gran male. Visto che poi, tra le altre cose, lei è parecchio stupido. Bel-sempai."
"Ushishishi, che cosa hai detto?"
"La verità."
"Prova a ripeterlo."
"La verità." Ripeté, impassibile.
"Non questo, idiota. Parlo della frase di prima. Cosa è che sarei, io?"
"Oh, intende il 'parecchio stupido'? Va bene: lei è parecchio stupido, Bel-sempai."
"Hai appena firmato la tua condanna, rospo. Comincia a correre."
"Lei è disarmato, Bel-sempai. Non può farmi alcun male, mi dispiace."
Ci fu un attimo di silenzio.
"Ushishishi" ridacchiò "e pensi davvero che ti lascerò vivere, dopo l'affronto che ho subito?"
"Eeeh~" fece lui, alzando le spalle "che vuole che le dica, sempai? O il suo sangue, oppure il mio. Entrambi non si può."
Entrambi non si può.
Le parole lo colpirono in rapida successione. Perché le sentì come straordinariamente vere, nonostante la frase, in sé, non avesse poi molto senso.
Se ne stupì leggermente. E un largo sorriso gli si aprì sulla faccia, solleticato dalla sua indole vendicativa e perversa.
"Ushishishi. Vorrà dire che banchetterò con il tuo, per questa volta. Meriti di essere punito, insulso rospo che non sei altro."
"Uh. Come vuole, sempai." Non aspettava altro che quelle parole. E l'illusione svanì.
E il cielo tornò ad essere blu, e la luna tornò a essere bianca, e ogni cosa riacquistò il suo colore originale. Fran sospirò impercettibilmente, di sollievo.
Sollievo, perché lo sforzo era stato placato. Sollievo, perché la follia era stata placata. Sollievo, perché non avrebbe dovuto spiegare a nessuno della morte di Bel. Perché non se la sarebbe dovuta spiegare. Che sarebbe stata, sicuramente, la cosa più difficile da fare.


*


Era vivo.
Immerso in una pozza di sangue - verosimilmente il suo - Belphegor respirava appena. Ma era vivo, incontestabilmente vivo.
E Fran gli era accanto, come sempre, disteso sopra di lui trasversalmente, formando una croce sbieca che di terribile non aveva proprio nulla.
Squalo sbuffò, mandando via i capelli che gli stavano coprendo l'occhio destro.
"Mocciosi del cazzo..." Berciò, a bassa voce, osservando i due ragazzi privi di sensi o addormentati che fossero. La sua voglia di farli a fettine non si era placata, ma decise che l'avrebbe messa da parte - per il momento - in attesa che fossero nel pieno nelle forze. Altrimenti non ci avrebbe trovato alcun gusto, il povero Squalo.
E lui doveva necessariamente trovare un po' di gusto in qualcosa, perché altrimenti come avrebbe fatto a sfogare la rabbia repressa che gli avrebbe causato la punizione, certa, del boss?
Quel boss di merda, che gli avrebbe lanciato qualunque cosa gli fosse capitata a tiro, rimproverandogli la sua inettitudine.
Sì, proprio lui che neanche ci aveva partecipato, a quella cavolo di battaglia. Era nel suo stile, in fondo.
Armiamoci, partite, e se non tornate nello stesso stato in cui mi trovo io che non ho mosso il culo neanche per fare un metro, vi rovino.

Per fortuna, Belphegor sarebbe stato a marcire per un po' nel suo letto, e non avrebbe potuto passargli con simpatia i vari proiettili da scagliargli contro. E Fran non gli avrebbe fatto credere che quello che stava volando verso di lui non era un coccio di vetro - giusto dalla parte più tagliente- , bensì un perizoma tigrato.
Quindi, forse, il dolore sarebbe stato di meno. Ma sempre dolore sarebbe stato, quindi con qualcuno si sarebbe dovuto sfogare, per forza di cose.
Li prese sottobraccio e se li caricò sulle spalle, come due sacchi di patate.
Ma qualcosa lo stupì così tanto da fargli perdere l'equilibrio.
"Maledetto e inutile cappello, ma quanto cazzo pesa?!" Gridò, quando mancò poco che cadesse sulle ginocchia per il peso eccessivo dato dall'originale copricapo di Fran.
Il viaggio di ritorno sarebbe stato molto più lungo dell'andata.
Ma gli avrebbero pagato anche questa.
Oh, se gliel'avrebbero pagata. E pure con gli interessi.







Note dell'autrice: che cosa è questa? Una BelxFran? Forse. Non lo so, diciamo che è più un esperimento. L'OOC sarà mostruoso, quindi mi scuso, ma trattarli non è stato facile ç_ç troppo complessi, i Varia. Fran poi non ne parliamo, sarà venuto uno schifo. Quindi scusatemi, ne sono consapevole. Ma dovevo scrivere anche su di loro, per forza, altrimenti non potrei considerarmi conquistatrice del fandom di KHR, oh oh oh.
Dico cose senza senso ( ._.) scusatemi. Non è colpa mia, sono le provole! (?)
Ero indecisa se mettere giallo o arancione come rating, ma alla fine ho optato per l'ultimo perché ci sono troppi riferimenti violenti (forse), e non volevo turbare le vostre giuovini 'mmenti. Voi mi capisciate, I think. Or not. Boh. Ma che sto a dire?  Ah, che mal di testa...
Il contesto è questo: i Varia stanno lottando da qualche parte, diciamo nel futuro, diciamo che non ce ne frega niente e facciamo prima. Xanxus è morto di poltronite acuta e quindi è al castello a non fare un AZZO! mandando Squalo come secondo in comando e Lussuria ad allietargli la serata, perché i Varia si amano profondamente. E voi lo sapete. E io pure. E lo sappiamo tutti. (?)
Ringrazio, per motivi vari, le seguenti persone: Eiko, Nagipon, moecchi, bannie, Milly Milk, Erros11, iMato. Perché? Non lo so. Mi ispirate, che vi devo dire? AHO! Li mortacci... vabbè, evitiamo.
Non vi è dunque altro da dire. Ah, sì, fatemi sapere che ne pensate. Scusate se è così lunga, ma sapete, quando si è Forever Alone... ci siamo capiti. O forse no. Ma non importa neppure questo. Indi... grazie per aver letto. <3 E arrivecerdi (purtroppo per voi!), oh oh oh! 8D




   
 
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