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Autore: formerly_known_as_A    18/03/2011    2 recensioni
Rimane ad accarezzargli il viso, persa tra i ricordi, attaccata a quella tomba vegetale, sperando segretamente di poterlo raggiungere e chiudere gli occhi con lui. Ma più il tempo passa, più la mente torna lucida e le dice che il tempo è scaduto, che, se non torna, la cercheranno ancora... e che deve continuare a scrivere su quei leggeri fogli di speranza.
{Pink Ribbon/FeLia}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Polonia/Feliks Łukasiewicz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La neve scricchiola sotto i propri piedi, nel silenzio irreale di quella campagna vuota. Non ha paura del vuoto, Natalia. Non ha paura dei luoghi disabitati. Si sta abituando ad essi, quelle infinite distese di neve e rocce che, da un giorno all'altro, sono diventate la propria casa. Almeno una parte.

Forse, però, le persone che abitano vicino a quel luogo avrebbero paura di lei, una figura solitaria, avvolta in un capotto di un bianco abbagliante, da cui sfuggono i capelli che il vento muove a proprio piacimento e che non sono tanto diversi dal colore della neve.

Colore della Luna. la corregge una voce scherzosa nella propria testa, una voce che emerge prepotentemente dai ricordi, ricordi in cui sorride spesso. Era difficile non sorridere, allora.

Ha camminato per due giorni, per arrivare in quel luogo apparentemente uguale agli altri, nello sconfinato deserto di neve. Due giorni di cammino per arrivare in tempo, come ogni anno.

Si siede nella neve, insensibile ormai da molto tempo al vento che le sferza il viso. Intorno a lei non c'è molto, ma non può sbagliare. Il proprio cuore lo dice. Solo un paio d'alberi hanno resistito alla furia delle stagioni, non saprebbe riconoscerli, per questo si affida al cuore.

“Sono tornata...” sussurra al nulla, togliendosi i guanti per spostare la neve accanto a sé.

Sono trascorsi anni, da quel giorno. Il sangue che era sul manto bianco si è disperso con esso, lui, però, è lì, sotto quelle radici che sembrano essere spuntate dal niente e, ancora si sorprende, ogni anno, a pensarlo, formano uno scudo naturale, come a volerlo proteggere.

Le bruciano le mani per il freddo, non ne ha l'assoluto controllo, ma districa quelle radici scure con destrezza, come se si trattasse di una tessitura che ha completamente sbagliato, ma che non ha il coraggio di distruggere.

Quando si avvicina alla fine di quel districare, ha le dita quasi del tutto congelate, per cui si ferma, cercando di scaldarle. Prepara un fuoco, -non molto grande, le serve solo per le mani, non per lei- dispone gli oggetti che le servono intorno a lei, prende tempo.

Ha il terrore di guardarlo. Ha il terrore di smuovere ancora le radici e non ritrovarlo, di scoprire che ogni speranza si è spenta, che lui non c'è più, da nessuna parte. Per cui perde tempo, finché le proprie mani non sono di nuovo calde abbastanza e deve voltarsi, deve continuare il lavoro.

Lui non è cambiato. Il suo viso è sempre sereno, sembra semplicemente addormentato. Ci mette un po' a posare le mani su di esso, con una delicatezza tale che quasi sembra aver paura di romperlo. Ancora una volta.

La sua pelle è fredda come sempre, fredda come l'aria che lo circonda e lungo le sue ciglia si sono formati dei piccoli cristalli di ghiaccio. Scivola con le dita fino ai suoi capelli, districandoli dalla neve, sempre con il terrore che si sgretoli sotto il suo tocco, che vada in pezzi. Ancora una volta.

Esita a scendere lungo le sue spalle, poi passa l'indice sullo strappo netto sul suo petto, rabbrividendo e scuotendo la testa. Non ce la fa, può solo guardare quel viso.

Posa il libro accanto sul suo petto, facendo attenzione a non schiacciarlo ed accanto vede i resti degli altri, più o meno deteriorati dal tempo. Ingenuamente pensa che siano proprio quei libri a tenere accesa la speranza, a non farlo scomparire del tutto.

“Anche quest'anno hanno scritto veramente tanto su di te, sai? Ci sono moltissime persone che ti aspettano, che non aspettano altro che un tuo segno per sollevarsi contro l'invasore...” racconta, tenendogli di nuovo le mani sul viso, come a volerlo riscaldare.

Su quelle pagine malamente rilegate, da anni, trascrive tutto ciò che è pubblicato su di lui, ogni singola riga o verso. Qualche anno il libretto non è molto ampio, ma ricorda anni in cui, alla fine, i tomi erano numerosi e il polso era gonfio per il troppo scrivere.

Continua a raccontare, con voce calma, tentando di immaginare le sue reazioni... è passato tanto tempo e quelle sono sfuocate, rese meno chiare dai sentimenti che prova, che tendono ad idealizzarlo, a cambiare quello che era.

Quando ha terminato, stappa la bottiglia di wodka che ha portato e si bagna le labbra con questa, portandosi poi al di sopra di lui e condividendone il sapore dolciastro. Anche le sue labbra sono gelide, ma non è una scoperta così sconvolgente. In fondo... In fondo è morto, no?

Rimane ad accarezzargli il viso, persa tra i ricordi, attaccata a quella tomba vegetale, sperando segretamente di poterlo raggiungere e chiudere gli occhi con lui.

Ma più il tempo passa, più la mente torna lucida e le dice che il tempo è scaduto, che, se non torna, la cercheranno ancora... e che deve continuare a scrivere su quei leggeri fogli di speranza.

Intreccia di nuovo le radici, con cura e dedizione e si alza, togliendo la neve dagli abiti. Prende una scatoletta di legno e ne tira fuori un mazzo di papaveri che ha fatto seccare. Li posa sulla tomba, togliendovi un po' della neve e sorride piano.

“Buon Natale, Feliks.”

   
 
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