I
just wanna fix it somehow but
how many times will it
take?
Erano
cinque mesi che David Karofsky
frequentava, due volte a settimana, la sede locale della GLAAD*.
All’inizio,
era stato
costretto a recarsi lì a causa di Kurt Hummel.
Quell’odiosa femminuccia aveva
osato ricattarlo appena tornato dalla Dalton: o andava a farsi aiutare
e
parlava con qualcuno, ficcandosi finalmente in testa che essere gay non
era una
sorta di maledizione divina lanciata da chissà chi oppure
avrebbe detto a tutti
quanti al McKinley del loro bacio negli spogliatoi qualche tempo prima,
facendo
precipitare l’atleta nell’ignominia e nella
vergogna più totale.
Ovviamente, Kurt
non sarebbe mai andato in giro volteggiando per i corridoi del liceo
dichiarando la verità sulla sessualità di
Karofsky; non ne avrebbe mai avuto il
coraggio, non era quel tipo di persona amante dei pettegolezzi,
specialmente
così delicati. Ma quel ragazzo, secondo lui, aveva
disperatamente bisogno di
uscire fuori dall’armadio metaforico in cui si era rinchiuso
a tutti costi.
Hummel si era decisamente impuntato
nel volergli dare una mano.
Il
primo incontro di
gruppo per Dave fu alquanto traumatico. Era un tipo che non
sopportava
le imposizioni altrui, specialmente se provenienti da una fastidiosa
checca che
non faceva altro che confonderlo e gli faceva desiderare cose
sbagliate.
Stette
tutto il tempo imbronciato
e zitto, cercando di controllare la rabbia per essere finito in un
posto del
genere contro la sua volontà, sperando mentalmente di non
incontrare nessuno
che conoscesse, serrando la Furia e appoggiandola tremante sulle
ginocchia. Per
tutto il tempo della prima seduta e di quelle immediatamente
successive, avrebbe
voluto picchiare quella sottospecie di fatina da musical comodamente
adagiata
sulla sedia accanto a lui, che si era pure offerta di stargli vicino e
di
assistere ad ogni riunione, e tutti coloro che si trovavano con loro
nella
stanza. Durante il primo mese, si
sentì sempre
più pieno di risentimento per ciò che stava
vivendo; ma riuscì a governare il
suo lato distruttivo abbastanza bene.
Per
Kurt il coming out era
stata un’operazione relativamente
semplice. Lui si era sempre accettato
per ciò che era e riteneva che l’essere gay fosse
un qualcosa di assolutamente
normale. Niente di scandaloso, niente di cui vergognarsi, niente di
schifoso,
come invece dicevano quei cretini à la Fred Phelps**. Altri
sarebbero andati a
bruciare all’inferno, non di certo gli omosessuali. Era nato
in quel modo e,
seppur molto giovane, era già consapevole che la via per la
felicità passava
necessariamente per l’accettazione personale.
Ma
per Karofsky non
stavano così le cose. Era circondato da genitori e amici
omofobi; se avesse
detto la verità, se l’avesse fatta accettare prima
di tutto a se stesso e poi
anche a loro, la sua vita e tutto ciò che pensava di essere
sarebbero andati
letteralmente in mille frantumi. Si sentiva spaventato, arrabbiato,
solo e
confuso. Aveva necessità che qualcuno si sporgesse verso di
lui e lo salvasse,
molto probabilmente, da una futura vita che avrebbe trascorso facendo
finta di
essere un’altra persona.
Col
passare del tempo,
meeting dopo meeting, Kurt notò un cambiamento in quella
enorme montagna di
muscoli e apparente stupidità e ignoranza che rispondeva al
nome di David
Karofsky. Una volta, al secondo mese e mezzo, lo vide commuoversi di
nascosto dopo
che una ragazza lesbica aveva raccontato come si era sentita ferita dal
comportamento della madre che l’aveva cacciata di casa dopo
che le aveva
confessato i suoi orientamenti sessuali e di come questa cosa
l’avesse
distrutta nel profondo. In quell’esatto momento, Hummel lo
vide per ciò che era
veramente: un ragazzo dotato di grande sensibilità,
schiacciato da un peso
enorme e da paure molto più grandi di lui. E gli strinse la
mano, cercando di
trasmettergli tutta la forza possibile.
Verso
la fine del terzo
mese, David iniziò ad andare al GLAAD Lima il
martedì e il venerdì con piacere,
anche se non lo avrebbe mai ammesso, orgoglioso come era. A poco a
poco, col trascorrere
delle settimane, si era incredibilmente
sciolto.
Era riuscito anche a intervenire più volte negli incontri e
a raccontare alcuni
dubbi, alcune sue personali angosce. Aveva anche stretto qualche
amicizia con
alcuni dei ragazzi e delle ragazze che lì si ritrovavano.
Sempre di fianco a
lui, Kurt. La sua presenza gli dava sollievo
e tanta forza. Si stava finalmente accettando, stava capendo che non
c’era
niente di sbagliato in lui o nelle sue pulsioni. Il problema era creato
dagli
altri, aveva dato troppa importanza al loro giudizio e al loro
pregiudizio.
Stava ricostruendo la propria immagine di sé nel modo
giusto.
Hummel
era soddisfatto di sé
e di ciò che era riuscito a fare grazie alla sua proverbiale
testardaggine e
capacità di persuasione. Stava aiutando il suo ex bullo a
trovare la propria
strada nel mondo. Pure a scuola la situazione era migliorata: niente
più spinte
sugli armadietti, niente viaggi nei cassonetti. Ogni tanto qualche
granita gelata
in faccia come tutti i membri del Glee Club e vestiti firmati
meravigliosi orrendamente
rovinati per sempre, ma la situazione era comunque sotto controllo
rispetto al
passato. Certo, era strano vedere nei corridoi a distanza di sicurezza
il
ragazzo con cui si incontrava di segreto due volte a settimana ed
evitarlo, ma il piccolo
soprano sapeva che lo faceva anche per proteggerlo. In fondo, era stato
il
responsabile della sua fuga alla Dalton e nessuno avrebbe potuto capire
il perché
del loro… legame?
se fosse stato reso
palese. Non era ancora il tempo adatto.
Dave,
al quarto mese,
riprese la sua vita normale e spensierata. I voti a scuola tornarono ad
essere
brillanti, a casa e fuori era tornato ad essere sorridente, giocava
energicamente a football e non si era più fatto coinvolgere
in atti di bullismo
nei confronti di nessuno. Non
posso rischiare
l’espulsione, me ne tiro fuori- affermava sicuro
ad Azimio. In realtà, anche
se non fosse stato per la minaccia di essere cacciato a calci in culo
fuori dal
McKinley, non si sarebbe più macchiato di certi atti. Era cambiato. Grazie agli incontri (che
teneva nascosti a tutti,
eccetto Kurt e quella sua sottospecie di fidanzato assolutamente
insopportabile
che ogni tanto veniva a prenderlo, facendolo ingelosire non poco),
aveva trovato
finalmente una sorta di serenità che gli permetteva di poter
vivere senza quel
fardello che si trascinava dietro da un paio di anni. Rigava dritto ed
era
abbastanza felice. Anche se sentiva che gli mancava qualcosa.
Gli
mancava avere sempre
Kurt con sé, non solo quelle poche volte al GLAAD. Lo amava
perdutamente e lo
sapeva da moltissimo tempo ormai, anche se solo da poco riusciva a
confessarlo
apertamente a se stesso. David aveva imparato a conoscere bene Hummel
grazie ai
pomeriggi passati assieme, ai messaggi di incoraggiamento che gli
mandava e
alla sua vicinanza continua; sapeva perfettamente che, se ci fosse mai
esistita
una possibilità per loro, non avrebbe mai potuto diventare
reale se prima non
avesse fatto coming out. L’amore per lui e la pace interiore
che stava
conquistando ogni giorno di più sarebbero state la molla
definitiva per uscire
allo scoperto con tutti coloro che conosceva non appena avesse percepito
arrivare
il momento giusto.
Kurt
osservava con
fierezza la metamorfosi di Karofsky, lo aveva sostenuto davvero durante
il suo
percorso tortuoso e difficoltoso e lo aveva fatto per entrambi. Per
Dave
stesso, per fargli affrontare con sincerità i suoi gusti
sessuali; ma, con una
punta di egoismo da prima donna quale era, anche per sé. Se
il ragazzo si fosse
accettato, avrebbe smesso di odiarlo di riflesso e la sua vita ne
avrebbe
giovato. Ma poi, all’improvviso, al quinto mese, si rese
conto che quello che l’atleta
nutriva per lui era tutto fuorché odio o indifferenza o
amicizia. Ripassò
mentalmente gli ultimi periodi trascorsi assieme, i suoi sorrisi, la
sua
rilassatezza, il carattere aperto e giovale che aveva imparato ad
apprezzare e
le sensazioni che aveva cominciato a provare quando era al suo fianco.
Tutte
cose che vedeva chiaramente, ma a cui non aveva dato significato sin
dall’inizio.
In fondo, perché si era così ostinato nel voler
tirar fuori David
dal quel guazzabuglio confuso che era la
sua esistenza? Lo aveva tormentato per mesi, spintonato, aggredito
verbalmente,
violato con quel bacio rubato. Perché si era comportato
così con lui, non
appena tornato al McKinley, nonostante fosse felice con Blaine? E
perché continuava
a stargli vicino, nonostante probabilmente lui non avesse
più bisogno della sua
presenza?
Kurt non era sicuro di voler conoscere la risposta a tutte queste questioni.
***
Note
* GLAAD= Gay and Lesbian Aliance Aganist Defamation; celebre associazione statunitense contro l'omofobia, la disinformazione e la discriminazione contro il mondo omosessuale.
** Fred Phelps= pastore battista americano omofobo il cui motto è God hates fags (Dio odia i froci).
***
Angolo dell'autrice
*fa ciao con la manina*
Non so da dove mi sia uscita fuori sinceramente, non scrivevo qualcosa di mio da mesi e mesi e non so manco se sia soddisfacente agli occhi altrui o perfettamente IC ù_ù; è basata sul celebre spoiler della 2x18 Born this way secondo cui Kurt, tornato finalmente where he once belonged (leggete= MK), affronterà e ricatterà (LMAO si sfrega felice le manine! ANGST is the way) il nostro Dave. O va a un incontro LGTB oppure lo sputtanerà (scusate il termine, ma rende l'idea!) davanti a tutta la scuola raccontando del bacio. Dato che secondo me la nostra fatina non ha assolutamente un animo cattivo, lo fa solo per sbloccarlo, chissà perchè... e secondo me otterrà qualche risultato. *.*
Devo dire che stranamente mi piace il finale... mentre Dave è finalmente sulla strada di capire chi é e di mostrarlo agli altri, Kurt si chiude metaforicamente in sé perchè ha paura dei suoi sentimenti... curioso visto che è stato proprio a lui a spingerlo all'accettazione della propria persona. Contrappasso dantesco ^.^ .
Grazie a chiunque dovesse anche solo leggere questa mia prima opera originale nel Glee-fandom!
Ila
Ps: il titolo è tratto da Get it right, il mio nuovo inno personale. Rachel *.*