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Autore: sweetpast    20/03/2011    7 recensioni
Sorridendo con aria soddisfatta, Alfred si mosse dalla posizione scomoda che aveva assunto per spiare Arthur aspettarlo davanti al porto, si alzò e si spolverò le ginocchia.
Ridacchiò, e finalmente si decise a raggiungerlo sul molo con la faccia più tosta che potesse sfoggiare.
L'inglese, scorgendolo, scosse la testa tra l'indignato e il sollevato, e si voltò verso di lui.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed era ancora là.

 

 

 

Il tempo del non tramonto era finito.

Vi era solo notte.

 

*

 

Era davvero buffo, secondo lui, stare ad osservarlo da lontano. Vederlo sbuffare aggrottando le folte sopracciglia, scorgerlo mormorare qualche maledizione contro chi, bastardo, lo stava facendo aspettare così. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, l'espressione contrariata, con una mano che tentava di domare i corti capelli biondi travolti dal vento; spostava talvolta le iridi smeraldine prima sulla strada, cupe, poi sul mare dolcemente increspato dal vento come un vecchio lenzuolo di lino. E, lo poteva immaginare guardandolo rilassare le spalle, il suo volto si raddolciva e i suoi occhi brillavano, come se bastasse quella grande distesa d'acqua a fargli dimenticare tutti i suoi -numerosi, strani, complicatissimi- pensieri.

Arthur, probabilmente, aveva sempre amato il mare, fin da quando questo li aveva uniti la prima volta. Alfred, accovacciato dietro un vecchio peschereccio, pensava proprio a questo.

Sorrise, divertito, e trattenne una risata quando l'inglese sospirò sonoramente biascicando un insulto davvero poco da gentleman.

Si sistemò meglio gli occhiali sul naso, stringendo gli occhi azzurri.

La luce cupa del tardo pomeriggio nascondeva malamente il rossore di stizza che colorava le guance dell'inglese, e tanto meno il suo viso imbronciato che Alfred trovava tanto adorabile.

Probabilmente, pensò, il suo pessimismo gli aveva già fatto prendere in considerazione l'ipotesi di esser stato bidonato.

Era strano, il suo Arthur. Non lo aveva mai capito, o forse era troppo sicuro di sé anche solo per provarci, eppure lo conosceva davvero da moltissimo tempo. L'americano, però, amava le sfide: aveva perciò sviluppato una particolare attrazione per il carattere difficile del più grande fin da bambino.

 

La sua mente ritornò a quando lo attendeva con impazienza calpestando la rena dorata con i piedini scalzi; ricordò di quando Arthur scendeva dalla nave, o dalla carrozza, da cui era venuto e gli rivolgeva un sorriso intenerito, un po' storto per la sua tendenza a distendere un angolo della bocca più dell'altro, socchiudendo quegli occhi vagamente malinconici e aggrottando le sopracciglia come se non sapesse come sistemarle per un'espressione convincente. Appena lo vedeva ne riconosceva immediatamente il passo composto, ma aspettava di scorgere quell'espressione tipica prima di spalancare le labbra in un largo sorriso e gettarglisi tra le braccia.

Arthur allora rideva, evidentemente contento, mentre lo sollevava attentando alla sua costituzione esile che gli dava sempre meno equilibrio ogni volta che prendeva il piccolo americano in braccio.

A quei tempi era tutto perfetto e tutto meraviglioso. Arthur gli leggeva favole di esseri strani e posti fantastici, storie di guerre e di pirati. Pareva ne avesse una vasta conoscenza. Mentre leggeva, la fronte insolitamente rilassata, America sfiorava la copertina morbida e ruvida del grosso libro, osservandolo rapito. Poi si addormentava con la fronte appoggiata al petto dell'inglese, che si alzava e si abbassava velocemente, e le piccole dita strette strette al suo indice. Sentiva il respiro umido sui capelli e il braccio che gli circondava delicatamente le spalle.

Era cresciuto in fretta. In quegli anni Arthur sembrava più stanco, ma era rimasto lo stesso. Quell'aria stanca, anzi, gli donava ancora più fascino. A volte si addormentava sul tavolo o sul divano e Alfred adorava svegliarlo, beccarsi le sue occhiate confuse e lucide di sonno, le labbra asciutte piegate in varie amabili smorfie. Aspettava che come al solito tossicchiasse con la voce un po' arrochita, stringendo gli occhi e scompigliandosi i capelli già spettinati. Poi sorrideva sornione. Arthur rispondeva con il suo solito sorrisetto inclinato, mormorava il suo nome e gli chiedeva cosa volesse. Allora Alfred gli saltava agile sulle gambe e declamava qualche nuovo sproloquio, qualche curioso interrogativo, o anche solo una semplice -e assillante- cantilena di richieste sul farsi leggere qualcosa o giocare insieme ai cowboy contro gli indiani.

 

Poi era cresciuto ancora, aveva conosciuto un lato d'Inghilterra più freddo e risoluto. L'Inghilterra che gli aveva fatto conoscere i doveri di una nazione, che iniziava a vederlo uomo, che gli aveva insegnato ad usare il moschetto.

Lo stesso che, in seguito, gli puntò contro quando decise di prendersi anche il resto della sua amata, sacrosanta libertà limitata fino ad allora. Arthur, testardo, avrebbe avuto tutta l'intenzione di impedirglielo, quasi fosse stato un affronto personale: come se il suo considerarlo adulto si fosse egoisticamente bloccato a metà, ritenendolo ancora suo, proprio come un bambino capriccioso che gioca a sentirsi superiore.

Ed era invece finito lì, stremato, senza il coraggio di continuare e piegato in ginocchio su una pozzanghera torbida, la pioggia fitta e sottile a mescolarsi con le sue lacrime. Dipinti sul viso la delusione, la rabbia, lo sconforto.

Alfred, con i capelli dorati gocciolanti accasciati sul volto, la paura nascosta in una vena del collo che pulsava troppo velocemente, gli fissava i brevi tremiti delle sopracciglia, le labbra rosse e bagnate di pioggia. Lo guardava coprirsi i begli occhi arrossati con una mano sporca di fango e di schegge di legno, il moschetto annegato nella fanghiglia e il suo poco lontano con un visibile squarcio nel calcio, osservando gli scatti lenti e trattenuti delle spalle. Si vide dispiaciuto -ma non era colpa sua, lui voleva solo la sua libertà- , con i singhiozzi di Arthur nelle orecchie, impietosito nel vedere la grande nazione che lo aveva cresciuto accasciata ai suoi piedi.

 

Aveva per un attimo temuto di non vedere più il suo sorriso.

Invece, acquisita l'indipendenza, se lo ritrovò ancora intorno, con l'aria beffarda di chi continua a ritenersi superiore, le stesse strette spalle rigide e la stessa misteriosa malinconia negli occhi. Alfred, con la sua postura fiera e la nuova determinazione negli occhi, aveva quindi iniziato a conoscere un altro lato di Inghilterra.

Quel lato fatto di zigomi arrossati dall'imbarazzo, di buffe facce stizzite o indignate, di occhiate veloci e indecifrabili. Anche America stava offrendogli un nuovo lato, il lato dei sorrisoni arroganti, delle piccole tenerezze mal mascherate e delle frecciatine fastidiose, ma tanto divertenti.

E rimaneva una certa vaga complicità nei loro contrastanti atteggiamenti. Un piccolo piacevole tepore, lo stesso di sempre, ma con una nota di cambiamento.

 

Erano poi venuti gli abbracci, goffi e possessivi; le carezze di dita rigide e tremolanti, occhi socchiusi e caldi sospiri sulla pelle. E ancora balbettii agitati, risate imbarazzate, carezze più dolci e quasi ironiche. America aveva scoperto la pelle chiara di Arthur, che ricopriva sottile le sue ossa sporgenti e le vene blu. Aveva scoperto il suo profumo aspro e avvolgente, gli piaceva ficcare il naso nei suoi capelli arruffati ignorando le sue proteste e inalare tutto l'odore che riusciva a scorgere. Aveva scoperto i suoi polpastrelli freddi e la lingua veloce.

Aveva scoperto i suoi baci, aveva imparato a conoscerli.

I baci di Arthur erano sempre diversi, sempre. Erano impacciati quando lo faceva imbarazzare, a volte rabbiosi quando era in vena di fare l'isterico; passionali, maliziosi quando giocavano all'amore. A volte erano dolci, quando aveva pianto, o quando aveva paura di perderlo di nuovo. Ogni tanto Alfred riusciva a farlo ridere durante i loro baci e si baciavano sorridendo. Però poi, quasi sicuramente, Arthur si irritava e gli mordeva le labbra. Talvolta la lingua. Così finivano per prendersi a parolacce, lanciarsi le tazze da tè e sbuffare, imbronciati, distogliendo lo sguardo l'uno dall'altro. E l'americano amava, poi, quando lo baciava per chiedergli scusa e lui si scioglieva piano piano, prima contrariato quasi come se cercasse di rifiutare le sue scuse per rimanere arrabbiato ancora un po', poi di nuovo dolce, un po' rassegnato e molto contento di fingere di dargli una possibilità solo per miracolo. Ma non riusciva a continuare a mal recitare distacco, Alfred se ne accorgeva. Lo costringeva a tuffarsi sulla sua spalla e gli schioccava baci umidi sulla fronte. Arthur si dimenava solo un po', poi affondava il viso sul petto largo dell'americano, sibilava un insulto e rimaneva lì. America rideva, contandogli le vertebre con la punta delle dita.

Era tutto esageratamente stupendo, così complicato, così difficile, eppure così perfetto.

 

Sorridendo con aria soddisfatta, Alfred si mosse dalla posizione scomoda che aveva assunto per spiare Arthur aspettarlo davanti al porto, si alzò e si spolverò le ginocchia.

Ridacchiò, e finalmente si decise a raggiungerlo sul molo con la faccia più tosta che potesse sfoggiare.

L'inglese, scorgendolo, scosse la testa tra l'indignato e il sollevato, e si voltò verso di lui.

 

 

Una volta aveva temuto di non rivedere il suo sorriso.

E invece eccolo ancora là, l'ombra sottile stagliata sul cemento grigio e dietro alle spalle il bagliore birichino del sole sulle onde, col sorriso sbilenco e il vento fra i capelli.

 

 

È un lungo tramonto, poi ci aspetta la luna.

 

 

 

 

 

[“Vorrei sapere quanto è grande il verde, com'è bello il mare, quanto dura una stanza;

è troppo tempo che guardo il sole, mi ha fatto male.”

 

Ma se ci tieni tanto puoi baciarmi ogni volta che vuoi.

 

Oceano; F. de André.]

 

 

 

 

NdA

 

Le frasi riportate tra parentesi in fondo alla storia sono due versi della canzone Oceano di Fabrizio de André; ho voluto scrivercele perché è proprio quello lo spunto che ho preso per scrivere questo. Beh, non trovo alcun collegamento, ma è giusto citare la fonte di ispirazione.

Lo stesso, le due frasi che aprono e concludono questo non hanno una interpretazione particolare, vedete voi che significato trovarci o se ignorarle completamente. Ah, aggiungo spesso cose superflue a quello che faccio.

 

Questo.. questo. Che cos'è? Non lo so. Semplicemente, avevo voglia di scriverlo. Non so se lo apprezzerete o no, ma insomma, a me piace. Credo sia una specie di mio personale tributo all'UsUk, o un resoconto di quello che è per me il loro rapporto. Boh. Insomma, sono così scoppiata che non so dare nemmeno una definizione a quello che faccio! Quindi lascio a voi- amati, osannati lettori che mi sopportate, se fossi Francis vi molesterei tutti, per dimostrarvi il mio amour- l'interpretazione anche di questo. Quasi quasi ora cambio il titolo e ci metto Questo. No, eh? Ma di cosa sto parlando? Mi sono persa. Ah no, ho solo sonno. Perché sto scrivendo a raffica cose insensate? Ah boh. Sì, di nuovo boh. Insomma, lascio a voi tutti i giudizi, vi mando un gigantesco bacione con i petali di ciliegio sullo sfondo per ringraziarvi della vostra gentile attenzione.

E vi prego di perdonarmi la mia sfacciata pigrizia. So che voi che mi seguite nelle long vorreste fucilarmi tutti. Ma vi amo lo stesso~

Sto di nuovo divagando. Occazzo, quanto sto scrivendo? *si mette le mani nei capelli*

 

In breve...

 

Adoro questi due. Mi odio. Mi annoiavo. Vi ringrazio.

 

Perché mia madre ha gli occhi verdi e le nuvole sono viola, o più semplicemente perché ero in vena di UsUk.

 

Xoxo, Lole. 

   
 
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